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Autore: cartacciabianca    15/02/2009    2 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Premessa, la Dimora








Elena tirò le redini, portando il cavallo al passo.
Il suo maestro teneva lo sguardo basso e le briglie in una sola mano; la schiena dritta e il braccio libero lungo il fianco.
La gente in prossimità di Acri non era molta, ma la strada era comunque affollata. Sopra di loro si stagliava un cielo grigio e in procinto di tempesta. Aleggiava un’aria gelida, accompagnata dai boati di tuoni lontani. Alcune cornacchie appollaiate su un albero spoglio gracchiavano spietate, ed Elena rabbrividì nel vedere dei corpi impiccati allo stesso ginepro rinsecchito.
Le mura della città comparvero dopo poco, quando svoltarono prendendo una strada secondaria.
-Quello è l’ingresso principale- le disse ad un tratto l’assassino.
Elena si riscosse, lanciando un’occhiata alle porte spalancate. La folla andava e veniva tranquillamente portando con sé carovane e bestiame. Il frastuono divenne assordante nel momento in cui Elena e Altair smontarono da cavallo.
Lasciarono le cavalcature accanto ad una cesta di fieno e si avviarono verso l’ingresso.
Altair la bloccò improvvisamente mettendole un braccio davanti, ed Elena ricevette un duro colpo al costato. –Mi hai fatto male!- bisbigliò contenendo il dolore.
Altair alzò lo sguardo al cielo grigio, dove il puntino scuro che era Rashy svolazzava in circolo. –Aspetta…- fece l’uomo. –Qualcosa non va…-.
Elena si guardò attorno, mentre un groppo di paura le saliva alla gola. –Che… che succede?- balbettò.
-Le guardie…- proseguì Altair. –non ci sono-.
Elena notò che in effetti l’ingresso era per nulla controllato! Non c’era una guardia a presenziare quel pomeriggio, quando invece c’era da aspettarsi chissà quanti battaglioni… buffo, pensò.
Altair sfoderò la spada, ed Elena si strinse dietro di lui imitandolo. –Maestro…- mormorò terrorizzata, ma non riuscì ad aggiungere altro che il grido Rashy si diffuse nel vento.
A quel punto ci fu una voce di un uomo che gridava: -Eccoli! Gli assassini! Prendeteli!- sulle mura comparvero degli arcieri che li puntavano armati.
Elena sbiancò: erano spacciati.
La folla attorno si stanziò e intraprese una corsa di massa verso l’interno della città; tra grida ed urla, Elena assecondò le parole del suo maestro:
- Sta’ pronta…- le disse solo Altair.
- Cosa?!- Elena contò le figure distinte di una decina di uomini che emersero dalla calca e li accerchiarono svelti.
Elena fu con le spalle contro quelle del suo maestro, che senza aspettare che la gente si allontanasse, scagliò un pugnale da lancio contro il soldato, il quale si accasciò a terra. –Combatti!- gridò l’assassino.
Le campane della città tuonarono, e lo scontro ebbe inizio: una guardia si avventò su di lei e la ragazza parò il colpo indietreggiando. Sebbene i soldati si facessero avanti uno alla volta, i due assassini erano nel mirino degli arcieri sulle mura.
Elena estrasse d’istinto la lama corta rinfoderando la spada, e la guardia le fu di nuovo sul collo. La ragazza schivò, e ne approfittò per colpire il suo aggressore alla schiena. Un fiotto di sangue caldo macchiò la terra, e la ragazza piroettò su se stessa quando una nuova guardia tentò di abbordarla.
Elena parò il colpo, e contrattaccò appena le fu possibile. Con un fluido movimento del polso, dopo esser balzata avanti, segò un taglio preciso alla gola dell’uomo.
Alle sue spalle, Altair contrastò con facilità un fendente, sbatté a terra il soldato e lo infilzò con un ultimo fatale colpo di spada in pieno petto. Scartò di lato, e la feccia gli sfiorò il cappuccio. Ben presto le guardie si raddoppiarono, e non ci fu nessuna pietà nel duello, che proseguiva con un susseguirsi di corpi crociati che si accasciavano a terra.
Stava uccidendo: era tornata a colpire, tornata ad assaporare il sapore di un’anima che si sgretolava sotto il taglio della sua lama.
Elena fece un balzo indietro, e la spada dell’aggressore le sfiorò il petto di pochi millimetri. La ragazza attese che il fendente puntasse verso il basso, poi si piegò e conficcò la lama corta nel piede dell’uomo, che gridò immondo. Elena si sollevò e gli tagliò il viso.
L’uomo cadde sfregiato a terra, in preda al dolore. Si portò le mani sul volto, mentre il sangue gli grondava attraverso le dita.
Elena cercò di non pensarci, concentrandosi sul fatto che la sua e la vita del suo maestro erano in pericolo e principalmente rilevanti.
Qualcuno riuscì a ferirla, e la ragazza si accorse che si era trattato di una freccia. Le era comparso uno sfregio rossastro sulle pelle della spalla, dove la veste aveva ceduto.
Il dardo era andato a conficcarsi nel terreno, ma Elena si guardò lo stesso dall’avversario successivo, che venne verso di lei con un colpo ben assestato sulle gambe.
Elena rotolò indietro, si rialzò trattenendo il respiro. Quando la guardia le venne di nuovo contro, si slacciò dalla cintura un pugnale e glielo scagliò nella fronte.
Non c’era tempo di prendersene i meriti, le guardie di Corrado li accerchiavano in un numero troppo elevato!
Elena non perse un istante, e si avventò contro un gruppetto di guardie compatto. Schivò il colpo del primo soldato piegandosi sulle ginocchia, rotolò e colpì alle gambe il secondo. Nell’alzarsi la ragazza spiccò un salto sul cadavere di questo e tagliò la gola al primo. Atterrò coi piedi saldi a terra, e si voltò giusto in tempo per evitare la freccia che le sfiorò il ciuffo di capelli fuori dal cappuccio. Tornò alla carica, ma l’avversario riuscì a frenare il suo affondo spingendola a terra.
La ragazza provò ad sollevarsi, ma la guardia alzò la lama al cielo; il fruscio familiare di un pugnale da lancio si diffuse nell’aria.
Elena scartò alla sua sinistra, evitando così che il corpo dell’uomo le cadesse addosso. Si sollevò a fatica, quando un nuovo fendente entrò nel suo campo visivo.
Si piegò ancora, tornando a stringere tra le dita la spada lunga. I suoi muscoli andavano indebolirsi, e la sua resistenza agli attacchi si affievoliva ogni qual volta era costretta ad indietreggiare.
Era stato l’assassino suo mentore a lanciare il pugnale, e ora Altair si apprestava in combattimento contro i più valorosi tra i soldati di Corrado.
-Non ce la faccio!- sbottò la ragazza tornando al fianco del suo maestro.
Altair scagliò un nuovo pugnale e schivò una freccia. –Maledetti! Ci aspettavano, avrei dovuto prevederlo!- fu la sua risposta a denti stretti. Poi Altair infilzò come uno spiedino la spada nel petto di una guardia, la quale si rovesciò inerme in una pozza di sangue.
-Non sareste dovuti venire!- li gridarono contro.
-Il nostro Signore avrà la vostre teste su un piatto d’argento!- rise qualcun altro.
Altair le strinse un lembo della veste. –Vattene!- le disse in un sussurro.
Elena sobbalzò, evitando di pochissimo una freccia. –Maestro, non vi lascio in questa situazione! E non vi è via di fuga se non combattere!- protestò lei tenendo la voce bassa.
I due si divisero, quando i soldati vennero di corsa nella loro direzione.
Elena si appoggiò a terra con le mani, scartando di lato in una bella e precisa ruota. Lanciò la spada in aria e l’afferrò, lasciando i suoi avversari senza parole.
Una prima guardia le fu addosso, ed Elena scartò in basso. Il colpo era mal piazzato, e le fu troppo facile tagliargli l’addome senza troppa fatica del braccio.
Elena si guardò le spalle da una nuova, improvvisa freccia. Roteò a sinistra, ma qualcosa la bloccò per i fianchi, stringendola con vigore.
Non realizzò in tempo che la spada le volò via, mentre l’uomo che la stringeva a sé la strozzava con il braccio.
Elena sentì l’aria mancarle, e i suoi piedi si sollevarono dal suolo. Provò con tutte le sue energie a divincolarsi, ma il cavaliere crociato la teneva saldamente. I suoi occhi azzurri guardavano verso il cielo nuvoloso, e le sue mani graffiavano la tunica dell’aggressore. Elena soffocava.
-Trouve un moyen de s'échapper!- le gridò in francese un soldato, ridendo sarcastico.
-Maudit assassins !- disse un altro.
La vista le si annebbiava, i sensi si sfumavano. Elena lasciò che le braccia le cadessero lungo i fianchi, ed era sul punto di finirla lì.
Il suono delle campane d’allarme divenne un brusio lontano e fastidioso come quello di una zanzara nel buio e, lentamente, Elena chiuse gli occhi.
Altair si voltò, e scagliò un nuovo pugnale che trafisse il cavaliere sulla spalla.
L’uomo indebolì la presa, gemendo di dolore, e il corpo di Elena si accasciò al suolo.
La ragazza si riebbe lentamente, tossendo sangue e non riuscendo a reggersi in piedi.
L’altro assassino le venne accanto. –Devi andartene! Va’ alla Dimora!- gridò collerico infilzando il soldato in pieno petto con la spada corta. –Ora!- l’afferrò per l’avambraccio e la tirò in piedi come una bambola.
Altair le aprì la strada verso la città scagliando quanti pugnali gli rimanevano, ed Elena scivolò più volte nelle pozze di fango prima di un ultimo scatto verso le mura.
Le frecce degli arcieri la sfioravano, ma lei continuò a correre confondendosi tra la folla.
Si fece largo a bracciate, mentre battaglioni di soldati le venivano dietro; spingevano la gente e gridavano: -Prendre-la!-.
Elena si strinse la gola con una mano, passando le dita sul livido bluastro che aveva. Mugolava di dolore, ma non si sarebbe fermata.
Faticando per mantenere la distanza tra lei e i soldati, si concentrò su cosa era capace di fare un assassino quando si trattava di “scomparire”.
Le parole di Tharidl, quella volta che le aveva spiegato i principi di un Angelo della Morte, le tornarono alla mente, assieme alla figura del vecchio.

Confondersi tra la gente comune è ciò che ci facilita gli incarichi…

Come poteva confondersi tra la gente se portava con sé armi di tutti i generi non ché quelle vesti così ben riconoscibili da tutti i soldati della città?
Elena accelerò la corsa svoltando in un vicolo buio.
Conosceva bene le vie del distretto povero. Mal ridotte, piene di buchi per la strada e case distrutte dalla guerra. Ruderi di abitazioni, travi di legno ammuffito e vecchi mobili.
Strano che non stesse piovendo.
Elena imboccava un viottolo dopo l’altro, cercando di confondere i suoi inseguitori. In parte ci riuscì, ma si trovò presto in un vicolo cieco che quando viveva ad Acri non c’era mai stato.
-Diamine!- gridò.
Ai suoi lati si aprivano due stradine secondarie che gettavano una sulla via principale e in un mare di folla, e l’altra sull’ingresso di una vecchia chiesa.
-Si è nascosta, quella bastarda!- gridò qualcuno, ed Elena si strinse contro la parete.
Le voci venivano dai tetti; già, i tetti… se avesse saputo arrampicarvisi, si disse, sarebbe stato tutto più semplice, ma doveva trovarsi una nuova ed imminente via di fuga o sarebbe finita!…
Lanciò un’occhiata alla folla lontana, sulla via principale, e ci pensò troppo allungo, perché un soldato atterrò con un salto proprio davanti a lei.
-Je l’ai trouvé! …- Elena lo colpì con un pugno ben assestato alla mandibola.
L’uomo volteggiò su sé stesso e si accasciò a terra privo di coscienza.
Elena si massaggiò le nocche miagolando di dolore.
-Eccola!- disse un altro soldato dal fondo della strada, e la ragazza scattò sul momento.
La gente si scostava spaventata, ma mai quanto lei che era preda dell’adrenalina e del battito accelerato del cuore.
Scivolò, rotolò ma si rialzò. Per la sua distrazione, aveva buttato giù una bancarella e qualche passante, da aggiungersi al fatto che le guardie alle sue spalle avevano recuperato la distanza.
Gli arcieri appostati sulle macerie delle case la puntavano, ma gran parte delle frecce le facevano solo il filo della veste.
Basta! Non sarebbe scappata in eterno, ma non se ne parlava di combattere! Se gli assassini si servivano del dono della neutralità, lei avrebbe osservato il credo per compromettere la missione il meno possibile.
Svoltò in un vicolo e cominciò a spogliarsi del suo equipaggiamento.
Iniziò dal fodero della spada, scagliandolo in un mucchio compatto di fieno e fango. La pelle della custodia si mimetizzò con la fanghiglia, e lei continuò imboccando una nuova strada buia.
Fu il turno della cintura di cuoio, che lanciò tra alcuni vecchi barili. Sarebbe tornata a prenderla in un secondo momento o mai più.
Fu il turno delle cinghie sulla spalla destra, che contenevano i cinque astucci dei coltellini da lancio. Abbandonò anche quelli sciogliendosi il triangolo di metallo dal petto. Si strappò i lembi della veste, arrotolandoli nelle mani e poi lasciandoli cadere nelle fogne.
Svoltò ancora, e si accorse di essere prossima al confine con il distretto ricco.
Il vicolo andava a terminare su una piazza mercantile, nei pressi dell’ingresso per il porto. Elena si guardò dietro, ma non vide nessuno.
Si privò del cappuccio e della stoffa rossa che le avvolgeva i fianchi. In fine, slacciò svelta gli stivali tenendosi ai piedi solo la parte inferiore con la suola.
Si sistemò i capelli e prese a camminare tranquilla tra la gente.
Le guance in fiamme, le gambe affaticate e il fiato corto. Elena era stremata, sia nel fisico che nella mente.
Si avvicinò ad una bancarella e prese ad esaminarvi i tappeti quando nel mezzo della piazza comparve un battaglione compatto di soldati.
Il comandante di quel piccolo esercito indicò ad alcuni dei suoi uomini di andare a nord, ad altri di tornare indietro; dei nuovi lo seguirono di corsa verso la Grande Cattedrale.
Elena tornò a respirare regolarmente, avviandosi vigile sulla la strada principale.
Si mosse nel modo più naturale possibile, fermandosi a bere da una fontanella e ammirando le bancarelle allestite sul corso centrale.
Se c’era un posto cui era diretta, era la Sede di Acri, la Dimora dove avrebbe trovato il Rafik… ma dov’era esattamente?
Si fermò, sedendo su una panca di pietra. Prese a massaggiarsi le caviglie stanche per la corsa e il combattimento, pensando che durante i suoi anni ad Acri non aveva idea ci fosse una Dimora di assassini, poiché nelle cartine della città non era certamente segnalata. Per tanto la gente comune non poteva sapere dove fosse.
La ragazza riprese il cammino.
Paura, angoscia e sconforto le mordevano lo stomaco. Il suo maestro… lui… sarebbe sopravvissuto? Elena era scappata da vera vigliacca, ma se non l’avesse fatto la situazione avrebbe preso sul serio una brutta piega. Altair doveva salvaguardarla, ed era quello che aveva fatto: darle l’opportunità di salvarsi.
Ecco qualcun altro che moriva per lei, si disse pensando a suo padre.
Distratta dai suoi pensieri, Elena si trovò in breve in un bel cortile. La gente sedeva sulle panche e una fontana al centro della piazzetta scintillava di acqua chiara. Un gruppo compatto di monaci faceva il giro del quartiere cantilenando il Padre Nostro in latino.
Elena stava camminando tranquilla verso la stradina secondaria, quando urtò con la spalla qualcuno che poi le gridò contro: -guarda dove cammini, razza di…-.
La ragazza incontrò gli occhi del soldato, al quale bastò solo un istante per riconoscerla: -ECCOLA!- sbraitò l’uomo.
Elena sfuggì alla sua presa di pochissimo, e scattò di corsa dalla parte opposta.
-Via! Fate passare!- vociavano gli uomini alle sue spalle. Rieccola al punto di partenza, si disse col fiato che le mancava.
La ragazza saltò agilmente una panchina e abbandonò la piazza issandosi su una fragile scaletta di legno.
I passi dei suoi inseguitori si persero nelle strade quando la ragazza si guardò attorno.
Era sul tetto di una casa, il cuore aveva ricominciato a battere fortissimo e le tremavano le mani.
Fece qualche passo indietro, allontanandosi da dove era venuta, fin quando la terra non le mancò sotto i piedi e la ragazza cadde nel vuoto.
Atterrò di schiena, e un grido di dolore le scaturì dalla gola.
Sopra di lei, precisamente dove era scivolata, si chiuse una grata di legno, ed Elena si sentì in trappola come un topo.
Si girò di lato, ascoltando i lamenti delle sue ossa, e provò ad alzarsi.
L’interno era buio, e sembrava tanto il salotto di una delle stanze della fortezza: c’erano dei cuscini e qualche candela appesa al soffitto. Delle piante ad ornare gli angoli della stanza, una finestrella che affacciava sul locale secondario accanto. Alla ragazza brillarono gli occhi: c’era un simbolo intarsiato nella roccia della parete opposta, sopra una fontana addossata al muro, e la ragazza riconobbe il maestoso emblema della Setta degli Assassini.
Era nella Dimora.
Alzò lo sguardo e ascoltò le voci dei soldati che la cercavano: - dov’è finita?!- sbottò uno.
-Non lo so, ma io l’ho vista in faccia!- rispose l’altro.
-Forza, continuiamo a cercare-.
-Maledetti! Corrado ci taglierà la testa sapendo che ci sono scappati tutti e due!-.
-Morisse, quel bastardo! Mi ha rovinato il fodero, guardate qua!-.
-Piantatela, tutti voi! Il nostro signore non ci darà tregua finché non gli consegneremo l’assassino di suo padre. Avanti! Torniamo a lavoro…-.
I passi sul tetto si allontanarono, ed Elena crollò a terra.
Si prese il volto tra le mani premendo sulle tempie. –è vivo…- si disse. Il suo maestro era riuscito a fuggire da quel bordello alle mura della città. Le parve una cosa impossibile.
-Tu!- il suono di una spada sguainata, ed Elena si voltò restando al suolo. Alzò le braccia, e quello che riuscì a vedere fu un uomo che le puntava la lama contro.
-Chi sei?!- sbottò il vecchio.
Portava una lunga tunica scura, e una cintura di cuoio a tenergli la veste bianca sottostante. Il volto celato sotto il cappuccio e una folta barba bianca che poggiava sul petto. –Chi sei?! Come sei entrata qui?!- proseguì minacciandola.
Elena strisciò in un angolo. –fermo, ti prego, non farlo! Sono Elena!- piagnucolò lei tenendosi una mano sulla spalla lussata. –Ti prego! Ti prego! Sono l’assassina! Elena… sono Elena…- era in preda alle lacrime.
L’uomo tacque, ed Elena scorse la figura che si allontanava rinfoderando la spada. Si chinò su di lei e l’aiutò ad alzarsi. –Dio, perdonami- mormorò il Rafik facendola sedere poi tra i cuscini. – Sei ferita?- le chiese.
Elena tentò ancora di alzarsi, ma l’uomo la spinse giù. –Ho fatto una domanda, rispondi- disse secco.
- Sì, forse… sono caduta, ecco- tirò su col naso.
- Dov’è il tuo maestro?- domandò poggiandole una mano sulla spalla.
Elena trattenne l’urlo quando il vecchio le riaggiustò le ossa dell’omero con sonoro “crack”.
Il dolore successivo fu immenso, ma la ragazza restò composta, cercando di nascondere l’imbarazzo e le sue pene. –Non lo so- balbettò. –I soldati di Corrado ci hanno sorpreso alle mura, ed è stato lui a dirmi di scappare… invece sarei dovuta rimanere a combattere!- sbottò con rabbia.
-Ti sbagli- la canzonò il vecchio guardandola seriamente. –La situazione doveva essere più pericolosa di quanto immagini, se ha scelto di allontanarti da lì. Hai altre ferite?- le chiese prendendole il mento nella mano e facendola voltare, controllando che stesse bene.
-Sì, un graffietto… qui, ma non è nulla- Elena indicò lo sfregio sulla spalla opposta, dove il tessuto della divisa aveva ceduto. Il graffio si era arrossato, e probabilmente andava ad infettarsi.
-Chi sei tu per giudicare?- il Rafik si allontanò nella stanza accanto, sparendo dietro il bancone e chinandosi a prendere qualcosa. –C’è da considerare l’evenienza, seppur assurda, che le frecce siano state avvelenate-.
L’uomo tornò al suo fianco con un rotolo di garza, delle forbici e un liquido in una boccetta. –avanti, levati la camicia- le disse.
Elena obbedì, restando solo con una canottiera di cotone e le spalle scoperte.
Il vecchio Rafik la medicò in fretta, prendendo tutte le premure possibili: disinfettò il taglio e vi versò una sottospecie di “protezione” agli avvelenamenti. In fine fasciò il tutto stringendo il più possibile le bende.
-Ecco fatto- disse riportando il materiale al suo posto.
Elena si alzò e roteò le braccia per controllare che fosse tutto apposto, ma lo stiramento della pelle della spalla le causava ancora qualche fastidio.
Dopo essersi rivestita, la ragazza raggiunse il vecchio guardandosi attorno.
Vaste librerie ornavano le pareti strette della stanza. C’era una scacchiera con qualche cuscino, dei tappeti pregiati e una scala che portava ad un soppalco, sul quale la ragazza contò una moltitudine di spade corte e non attaccate al muro; poi dei giacigli di paglia coperti con delle federe bianche.
Il Rafik tirò fuori da uno scaffale alle sue spalle un libro, lo poggiò sul tavolo e lo aprì alla prima pagina bianca. Intinse la piuma nell’inchiostro e cominciò a scrivere.
Elena gli si avvicinò, osservando nello stesso tempo le cartine dettagliate di Acri distese sul tavolo.
-Tra quanto sarà qui?- domandò la ragazza.
Il Rafik le volse un’occhiata fugace, poi tornò alle sue scritture. –Non so dirti con precisione, ma sappi solo che fuori della Dimora nessuno è al sicuro- le disse solo.
Elena non le colse come parole rassicuranti, anzi, intravide un senso di sconforto persino nel capo sede.
La ragazza si sedette davanti alla scacchiera e cominciò a girarsi un pedone nella mano.
I secondi divennero minuti, i minuti ore, e il sole andava calare dietro la coltre di nuvole, mentre tuoni e lampi infuriavano per la città. Il suono delle campane tacque all’improvviso, segno che… Non poteva pensarci.
Elena vagava per la stanza non riuscendo a stare ferma. Si passava nervosamente le mani tra i capelli; faceva su e giù quasi trattenendo il fiato.
Ad un tratto il Rafik alzò lo sguardo su di lei: - Sta’ calma, siediti; sarà qui a momenti- le disse.
Elena sobbalzò. Un tonfo sordo, un lamento: -Ma che diavolo!..- e sia lei che il vecchio si catapultarono nella stanza accanto.
Altair era piegato a terra, ma dopo poco si alzò composto. Elena non gli diede il tempo di fare, dire o guardare nulla. Gli saltò al collo, ignorando il dolore alla spalla. –Maledetto! Sarei dovuta rimanere a combattere, lo sapevo! Ero certa che vi sarebbe successo qualcosa! Se fossi rimasta al vostro fianco, nulla di questo sarebbe successo! Sono abbastanza forte, voi…-.
-Elena- disse lui scostandola gentilmente. –Sono vivo- aggiunse col solito tono pacato, neutro e così dannatamente tranquillo come se fosse il lavoro di tutti… sì, era il lavoro di tutti i giorni.
La ragazza fece un passo indietro. –Lo so. Insomma… scommetto che siete ferito!- proruppe.
Altair scoppiò in una risata. –Mi credi davvero così poco capace?- domandò guardandola malizioso.
Elena scosse la testa, e si fece ancor più da parte.
Altair si voltò, rivolgendosi al vecchio. –Ci sono altri assassini in giro?- chiese.
Il Rafik annuì. -Mi duole ammetterlo, ma sì. È uscito da solo questa mattina presto, da lì non l’ho più visto. Ha svolto le indagini ieri e doveva occuparsi di un nobile nel distretto ricco, ma suppongo che quello sia il punto caldo- fece il vecchio incrociando le braccia.
L’assassino tacque inquieto, e il suo sguardo volò sulla ragazza.
Elena sentiva mancarle il buio del cappuccio a celarle il volto, come una necessità e un nascondiglio dagli sguardi critici di chiunque la circondasse.
- L’ho indirizzato verso la Grande Cattedrale, potrebbe essere ancora da quelle parti- aggiunse il Rafik, ma Altair rispose cambiando argomento.
-Dov’è il tuo equipaggiamento?- proferì l’assassino guardandola.
Elena sobbalzò, sentendosi i suoi occhi scuri che la squadravano pezzo per pezzo. –Io…- balbettò.
- Già- confermò il Rafik. –Mi stavo giusto chiedendo che fine avesse fatto tutta… la roba…-.
- Elena!- ruggì Altair, e la ragazza fu attraversata da un brivido.
- Io… non sapevo come scollarmeli di dosso! Erano un centinaio, tutte guardie e io, be’… io avevo solo qualche pugnale e la spada corta! Mi è passato per la testa e non ci ho pensato troppo! E va bene! Domani recupererò tutto quanto! Mi ricordo dove ho lasciato ciascuna cosa!- non riuscì a trattenersi.
I due uomini omisero scambiandosi un’occhiata.
- D’accordo- concluse in fine il suo maestro. –Quando la situazione quadrerà tranquilla sarò io ad accompagnarti, ma per il resto…- gli occhi del ragazzo indugiarono ancora su di lei, ed Elena si sentì in dovere di avanzare mostrandosi meglio.
– Per il resto avresti dovuto agire diversamente, e lo sai…- sottinse il suo mentore.
Elena abbassò lo sguardo, debole. –Mi spiace, ma non sono ancora in grado di dileguarmi come avreste voluto che facessi, maestro- mormorò, e i capelli le si pararono davanti al viso.
Altair alzò il mento e, come di risposta ad un ordine, il Rafik tornò al bancone della camera accanto, riprendendo a scrivere, lasciandoli soli.
Elena sfiorò con una mano la pianta sistemata nell’angolo in un bellissimo vaso di cotto.
Altair la guardò allungo. –In ogni modo, te la sei cavata egregiamente- sorrise da sotto il cappuccio.
Elena raddrizzò la schiena. –Grazie- arrossì. Sarebbero state rare le volte, si disse, in cui il suo maestro le avrebbe fatto dei complimenti.
Altair le si avvicinò e allungò una mano.
Elena rimase di sasso quando il suo maestro le scoprì la spalla dalla veste, notando con grande stupore il bendaggio. –Sei riuscita a ferirti- commentò lui di rimprovero.
Elena si schiarì la voce.  – È successo durante il duello alle mura della città- borbottò mesta.
-Come hai trovato la Dimora?- le chiese ammirandola dall’alto.
Elena soffocò una risata. –in tutta sincerità, è stata la Dimora a trovare me- e alla fine non poté contenersi, scoppiando a ridere. –Sono caduta di schiena e per poco non mi ammazzavo! Non potevate mettere l’ingresso civilmente al piano terra?-.
Sul volto dell’assassino si allungò tutt’altro che un sorriso. –Le guardie ti hanno vista entrare qui?!- ruggì.
Elena si ritrasse, riacquistando rigidezza. –No, non credo…- disse confusa.
Altair la fulminò. –Ne sei convinta?!- domandò ancora.
Elena non seppe che rispondere. Se qualcuno l’avesse davvero vista entrare lì, allora quella Dimora poteva ritenersi proprietà di Corrado nel giro di poche ore. –Io…- strinse i pugni nervosamente. –Io non lo so!-.
-Grandioso…- Altair si voltò, passandosi le mani sugli occhi. Si prese alcuni secondi per sbollentare, poi proferì: -Rafik!- andando nell’altra camera.
L’uomo alzò gli occhi dagli scritti.
-Vado a cercare quello sprovveduto, ma se noti qualcosa di strano, non aspettare il mio ritorno- detto così, Altair si arrampicò con maestria sulla parete, scalando con inimmaginabile agilità la facciata della fontana, fino a raggiungere il bordo del tetto. S’issò su e scomparve.
Elena era rimasta a bocca aperta, e si disse che non sarebbe stata la prima volta.
Se un giorno avesse imparato ad arrampicarsi in quel modo su qualunque superficie, solo da quel momento sarebbe stata degna di portare la nomina di assassina. Dopo aver visto tale scioltezza nei movimenti e nessuna difficoltà nell’appigliarsi al primo tentativo, non aveva idea di quanta sofferenza l’aspettasse oltre quella stessa soglia cui il suo maestro aveva varcato con tanta comodità, come se fosse abitudine… era l’abitudine di tutti i giorni. Se nella Dimora non c’erano altri ingressi se non quello sul tetto, allora tutti gli assassini erano costretti a compiere manovre impossibili anche solo per prendere una boccata d’aria. Magari teneva in esercizio, certo, ma poteva diventare stressante, soprattutto per una come lei.
-Elena- il Rafik la chiamò e lei lo raggiunse.
-Sì?- domandò disponibile, tranquilla; ma in lei si agitava di nuovo lo stesso sconforto precedentemente provato. Perché i più bravi dovevano sempre rimetterci per i novellini? Il suo maestro rischiava la vita per assicurarsi che un assassino stesse bene; dov’era il rispetto del prossimo? Acri era nel caos! Perché perdere due assassini al posto di uno!?
-Perché non ti stendi un po’- le disse il vecchio indicando i cuscini. –Sono certo che sei distrutta, che a mala pena ti reggi in piedi. È stata una giornata difficile, e non preoccuparti di altro se non la tua salute, ora- le consigliò.
Elena annuì. –Grazie- e andò verso i cuscini.
Con la schiena al muro, il silenzio attorno e la protezione delle quattro mura della Dimora, Elena riuscì a prendere sonno, nonostante la costante paura che Corrado venisse a strapparle via quell’ultimo rifugio.

   
 
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