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Autore: RLandH    07/10/2015    2 recensioni
Da capitolo II:
[...]“E quindi hai pensato che abbandonarmi era meglio?” domandò irascibile lei, “Tesoro, nasciamo, viviamo e moriamo soli. Non è mia abitudine aiutare i mortali, mai, neanche i miei figli. Neanche quelli divini, se per questo” aveva detto con un tono infastidito, continuando a limarsi le unghia.[...]
Da capitolo IX:
[...]Era il figlio al prodigo, aveva bisogno di quel padre a cui aveva voltato le spalle, per uno stupidissimo corvo che non avrebbe potuto fare nulla contro un gigantesco uomo alto venti piedi. Le sentì brucianti le lacrime sulle guance.[...]
July vorrebbe aspettare la fine in pace, Carter si sente perso come mai è stato, Heather è in cerca di qualcosa e Bernie di quella sbagliata.
Se si è cosa si mangia: Arvery è una bella persona; Alabaster, lui è quello furbo. Marlon è un anima innocente e Grace è un mostro dal cuore d’oro.
E quando gli Dei decidono di invocare l'aiuto di quegli stessi figli dannati a cui non hanno mai rivolto lo sguardo, non c'è da stupirsi se il mondo intero va rotoli ...
Buona lettura,
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Le Cacciatrici, Mostri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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QUESTO CAPITOLO E' STATO UN PARTO! Mi ha davvero dissanguato e mi dispiace di non averlo postato prima ma è stato soggetto a continui rimaneggiamenti, ultimi dei quali dopo sette ore di lezione (di cui tre di latino!) e quindi tante care cose.
Per prima cosa, se no, potrei dimenticarlo, GRAZIE DI CUORE a summe_time, alla fine di questa storia ti ricoprirò di cupcake, giuro.
Adesso passiamo alle precisazioni:
-Si, la questione del Nome Asiatico sarà ripresa.
- Si, il dono profetico è bloccato, ma insomma l'indovino nel Figlio di Nettuno ci riusciva piuttosto bene ... quindi, Licenza Poetica!
-Ok, io non ho capito perchè RR ha piantato Apollo a Delo, se no avrebbe perso lucidità, quando è l'unico dio maggiore che non avrebbe dovuto soffrire di schizofrenia - Insomma ha lo stesso nome tra Greci e Romani ("Perchè La perfezione non può essere migliorata" semicit); ma dobbiamo farcelo andare bene, ed io avevo già osato troppo con Ascelpio (Capitolo che avevo scritto prima di BOO) e quindi si, Apollo è agli arresti domiciliari, ma loro non lo sanno, ma in un certo senso voglio sperare che Apollo abbia affidato a tutti i suoi animali, simboli, cose di essere al servizio dei suoi figli. SI QUESTO E' SPOILER.
-Si, Carter è sentimentalmente confuso ma è colpa mia - che ho rimaneggiato la storia troppo.
-Questa è la canzone. Dura otto minuti, quindi non vi obbligo a sentirla xD

Buona Lettura

(Non sono riuscita a girare l'immagine, perdonatemi)







Il crepuscolo degli idoli




Un Tizio una volta ... ma quella era un'altra storia ...




Carter II





Jordan Shelter non aveva dato segni di averlo riconosciuto, aveva passato il viaggio a giocare ad un videogame sotto gli incitamenti della sua amica, quella che Carter aveva intuito chiamarsi Emma. Lui era rimasto con la sua vicina di posto, alta, dai capelli castano ramato e gli occhi di un delicato castano, lunghe ciglia ed una vena maliziosa minimamente velata. Si era presentata, Lauren Odalisque, senza smetterlo di chiamarlo Bel Faccino neanche una volta, sbattendo di continuo gli occhi e civettando amichevolmente.  Guardandola per Carter era stato impossibile non pensare fosse una figlia di Afrodite, era prettamente bella, come solo la progenie della Bellezza poteva essere, era perfetta, sembrava costruita su misura per esserlo, una beltà spontanea. Poi il cognome ricordava quello di una concubina, un odalisca. Si immaginò Lauren vestita di veli, ballare su una musica turca alla corte d’un sultano.
“Allora, bel faccino, il tuo nome?” aveva indagato Lauren, inumidendosi le labbra. “Carter Gale” sputò fuori lui, sperando in un miracolo non associasse il suo nome a qualcuno di conosciuto, la ragazza mise su un espressione crucciata, in cui Carter sudò a freddo, prima di voltarsi verso Grace per cercare il suo aiuto. La creatura aveva le mani, piantante sulla testa bionda di Marlon, e gli occhi perforanti alle ragazze sedute davanti. “Non è un nome molto asiatico” aveva semplicemente commentato Lauren, come se quella fosse la radice di tutti i mali. Carter aveva ridacchiato a freddo, prima di uscirne con un commento stupido, che aveva avuto l’effetto di farlo prendere per stupido dalla ragazza.
In un certo senso Lauren aveva qualcosa di familiare, qualcosa di lei, si ritrovò a pensare il ragazzo, cercando di afferrare il ricordo di quel viso perso da qualche parte nella sua memoria. Era ancora perseguitato dal sogno della notte prima, trovava così ingiusto non riuscire ad afferrarla a non dare contorni al suo viso. Ricordava un volto dolce, curvato, tondo, ma se chiudeva gli occhi non riusciva ad inquadrarlo, neanche quel bel sorriso e quei begli occhi, che tanto erano ridenti. La vedeva seduta sotto un albero a riparo dal sole, con i capelli scuri come inchiostro filante, ma null’altro dettaglio si incastonava in quel quadro.
C’era solo la sua voce,  priva di una delicata dolcezza e di una risa fresca. Carter voleva ricordare ardentemente quelle.
Nient’altro.

L’autista del bus si era fermato ad una stazione di servizio per fare il pieno e permettere ai suoi passeggeri di sgranchire le gambe, dopo buone quattro ore di viaggio. “Quindi, Carter Gale …” aveva detto Lauren, mentre il ragazzo si alzava, per raggiungere Grace e Marlon già incolonnati tra le persone che volevano uscire. “Si?” aveva domandato lui, “Ti piacerebbe prendere un caffè insieme?” aveva proposto.  Emma e Jordan che si erano alzate guardarono l’amica con occhi sbarrati, ma poi la bionda figlia di Efesto aveva spostato lo sguardo su di lui, gli occhi castani erano prontamente critici. “Tu” lo disse come un suono raschiante. Grace si era voltata verso di lui, gli occhi erano sbarrati dallo sgomento e dalla paura, Carter aveva fatto un gesto cauto, come a dirgli di non pensare a lui. Così la creatura aveva spinto indelicata Marlon giù dall’autobus, non prima di avergli lanciato ancora uno sguardo preoccupato.
“Joe chi è?” aveva domandato Emma, stringendo le mani sulla vita. Aveva un espressione battagliera sul viso, di chi difficilmente lasciava scappar via qualcosa.  Non era bella, neanche un po’, aveva un naso imponente e degli occhi stretti, poi di sicuro faceva una magra figura vicino Lauren, con il suo volto a cuore, ma Emma animata dalla malizia, sembrava guadagnare davvero tanti punti.  “Un figlio di Apollo” aveva risposto con voce stizzosa Jordan, “Un membro dell’esercito di Crono” aveva tenuto a precisare. Quel nome l’aveva sputato fuori come se fosse stata qualcosa di velenoso.  Emma ora lo guardava come se avesse voluto mangiarlo. Lauren al contrario era salita con i piedi sopra la sua sedia. Carter si chiese quanto tempo sarebbe passato prima di ritrovarsi una spada nelle budella? Poco ne era certo.

L’autista era sceso dal suo sedile, era un uomo alto, nerboruto, con una barba ispida nera striata di grigio argento, come fulmini, aveva un collo taurino, muscoli evidenti, anche sotto l’uniforme grigia. I suoi occhi erano scuri come il petrolio. Fu Lauren ad accorgersi di lui, “Em! Joe!” aveva squittito con voce sottile, “Non credo che lui sia il problema” aveva detto, indicando timorosa l’autista. Si voltarono verso di lui. L’autista sorrise in maniera oscena. “Giù” l’ordine di Emma fu un rantolo nella sua voce,  aveva tirato fuori il porta chiave dalla tasca e questo era divenuto un corto bastone di legno spesso, terminante con una punta, aveva due piatti d’ascia al fondo, uno era di bronzo celeste, scintillava d’oro scuro, l’altro era di un grigio lucente. 
Jordan aveva afferrato il martello dalle punte acuminate per l’emergenza ed aveva colpito il vetro, spaccandolo in mille pezzi. “Laurie!” aveva gridato Emma alla ragazza dai capelli di rame, ammiccando al vetro rotto, l'altra ragazza aveva annuito, aveva il viso dipinto di terrore ma aveva dato cenni dell'aver inteso e cauta s'era avvicinata alla figlia di Efesto. Jordan aveva aiutato Lauren a scavalcare il vetro rotto, poi s'era voltata verso la terza di loro,  “Emma?” aveva detto Joe, il viso non tradiva solo preoccupazione, ma anche profonda incertezza , “Vai tranquilla, dolcezza, io me la cavo” aveva risposto la riccia, afferrando la doppia ascia con entrambe le mani e sorridendo in una maniera irosa. Carter si sentì piccolo. Quella era la sua opportunità, sarebbe potuto fuggire e mettere in salvo Grace e Marlon. I vestiti dell’autista esplosero, mostrando un ornata armatura greca, che raffigurava visi urlanti, aveva catene sui polsi e sue caviglie dall’area pesante, ma lui non sembrava turbato, aveva una lancia ruggente in mano.

“Sei sicura?” domandò Carter, estraendo dalla tasca del pantaloni, l’accendino nero e rosso, fatta scorrere la rotella, anziché di una fiamma, si era ritrovato tra le mani una lama bronzo e ferro, era stata forgiata da un giovane ciclope di nome Sheamus, era un po’ tordo, ma aveva abili mani. Scoprirono presto che la lancia dell’uomo era estendibile tramite una catena di ferro nero e non s’era fatto problemi a lanciarla dritto al ventre di Emma, come se non vedesse l’ora di infilzarla come uno spiedino,  la ragazza aveva evitato il colpo, dirottando la lancia con la doppia ascia. Ma Carter l’aveva afferrata di forza  e l’aveva portata fuori, dallo stesso squarcio lasciato da Jordan, buttandola per terra. Emma si era voltata verso di lui, aveva occhi rabbiosi, come d’una bestia, infiammati di un ardore implacabile, come quelli di Mary, la figlia della vittoria. Carter si chiese perché mai l’avesse pensata, era una cosa che non faceva mai.
Emma s’era rimessa sulle gambe, “Cosa, Ade, fai?” aveva urlato contro di lui, sollevando l’ascia come se avesse voluto affettarlo come del prosciutto. Lauren e Jordan erano arrivata da lei. La prima aveva ancora dipinto sul viso un terrore folle, che ne rovinava i fini dettagli, le labbra schiuse, ma come ghiacciate. Joe teneva tra le mani un martello, che emanava scintille di fuoco, aveva aiutato con una mano Emma a sollevarsi, "Stai bene?" aveva chiesto apprensiva, in parte tremolante, l'altra aveva annuito, "Non ho intenzione di lasciarti presto" aveva aggiunto con sicurezza Emma, fissandola negli occhi decisa. “Cos’è?” aveva domandato poi Jordan in parte rischiarata e sollevata da quella promessa, ma una mano ancora arpionata sul braccio della compagna. Nessuno aveva risposto, Carter aveva gli occhi puntati sul pulmino, aspettandosi qualsiasi cosa, quasi bramando che accadesse. L’autista era passato dalla loro stessa finestra, ma ora s’alzava a venti metri d’altezza, era imponente, spaventoso. Era … un gigante. “Oh miei dei” strillò Lauren, chiudendo le dita sui capelli castagni, “Efesto aiutami tu” aveva ringhiato Jordan - Emma le aveva stretto la mano libera, a quel commento - cominciando a far roteare il martello attorno alla sua mano, creando una spira di fuoco, prima di lanciarlo verso il gigante, nella speranza di scogliere la pettorina e scavargli un poco la pelle. Tentativo che andò all'aceto, perché il fuoco annerì a stento l’armatura in bronzo e cadde ai piedi della creatura, lontano dalle mani della figlia di Efesto. “Ucciderò la zanzare di Ares per prima” aveva stabilito, inchiodando Emma con lo sguardo, provando ad infilzare di nuovo la ragazza. Con la sua spada Carter aveva intercettato la catena di ferro e l’aveva portata ad arrotolarsi sulla sua lama, impedendo al gigante il controllo sulla lancia, che giaceva smorta al suo fianco. 

Alle sue spalle Emma fece un sospiro di sollievo, con vigore scagliò la sua ascia verso la giugulare del mostro; non servì  a nulla. Anche con la gola squarciata e l'arma ancora incastrata nella carne,  il gigante era ancora possente ed in forze,  strattonò con decisione la catena liberando la sua lancia dalla presa di Carter, lasciando la spada del figlio di Apollo segnata da una ragnatela di screpolature - un altro fendente e sarebbe andata in frantumi. Il gigante si strappò via dal collo l'ascia, quasi fosse stato un cerotto, non turbato dai zampilli di icore e con una potenza portentosa la scagliò contro la proprietaria. Lauren aveva emesso un grido stridulo, Jordan non si era fatta prendere dal panico, senza aver mai lasciato la presa di Emma s'era lanciata per terra a qualche metro, con un balzo, portando l'altra con lei. "Mi hai fatto una promessa, eh!" le ringhiò contro, con i ciuffi biondi che sfuggivano alle code.
“Io sono Tizio” aveva detto con voce greve il gigante, “E non sarà Areseide a finirmi … ne tanto meno un Apollide” aveva esordito, alla fine, con un tono di scherno nella voce, prima di tentare di infilzare Carter con la sua lancia, mancandolo di davvero poco.  Il ragazzo si era allontanato con una furia che non credeva gli fosse mai appartenuta e l'eco del fischio della lancia che fendeva il vento nelle orecchi; era finito addosso ad una Lauren rigida come una statua, le mani ancora artigliate sul viso cereo a scavarlo.  
Emma non aveva preso bene l’offesa, s'era stacca con un gesto lesto da Joe - non prima di averle fatto l'occhiolino - ed aveva recuperato la sua ascia, infiammata dall'ardore della guerra era tornata alla carica, cercando di colpire nuovamente al collo del mostro, nel tentativo di staccargli la testa. Jordan, non era rimasta in disparte, aveva afferrato il suo martello con un movimento scaltro, s'era accodata all'altro continuando a far roteare l'oggetto e scatenare le fiamme.
 Carter era indietreggiato di qualche passo, sorpassando anche Lauren. Ora, avrebbe potuto fuggire, portare al sicuro Grace e Marlon, non avrebbe avuto altre occasioni. Ma guardò le tre ragazze. Ripensò per un attimo a Lee che si fermava sempre in armeria a scherzare con Joe, mentre Jake Mason gli urlava che era una animale per come riduceva il suo ferro.  Tutta quella vita che s’era lasciata alle spalle.  Alzò gli occhi al cielo e con più forza di quanto avesse si sforzò di proiettare i raggi del sole negli occhi del gigante per accecarlo il più possibile. Era il massimo che un figlio d’Apollo riuscisse a fare con il controllo della luce.

“Non importa quanto ci si provi” aveva detto Lauren, togliendo le mani dal viso, il suo tono era lugubre, “Come?” aveva chiesto Carter, “E’ un gigante” aveva detto la ragazza, sembrando riacquistare colore,  “Solo un dio ed un mezzosangue possono uccidere un gigante” aveva spiegato con un tono insicuro,  stringendo i pugni. Bene, erano davvero nei guai, insomma dove lo trovavano un dio? Senza contare che buona parte delle divinità odiavano Carter. “Che facciamo?” chiese a Lauren, sperando che la ragazza dicesse qualcosa, quella si morse le labbra. Emma s’era ritrovata una lancia nel femore, Jordan era stata sbalzata a distanza, finendo contro la pompa di benzina, per un miracolo divino non la ruppe - avrebbe rischiato di far esplodere tutto con il suo martello infuocato. “Vuoi aiutare?” aveva domandato ringhiante lui, stringendo l'elsa della sua spada inutilizzabile, si sentiva in parte colpevole, lui non stava facendo poi molto ed era praticamente dall'inizio dello scontro che cercava di filarsela.  Emma aveva voltato lo sguardo verso la figlia di Efesto, trovando Jordan in uno stato di semi incoscienza fin troppo lontano da lei, "Joe! Tesoro!" urlò e la sua voce era impastata di dolore, poi - lasciando Carter basito - aveva chiuso ambe due le mani sulla lanci e l'aveva sfilata con un unico movimento fluido, senza lasciarsi intimorire dal loro. Anche Tizio doveva essere rimasto colpito da quella prova di vigore, degna della progenie della guerra e forse per quello aveva lasciato che il fuoco lo cogliesse di sorpresa, alle spalle. Carter aveva lasciato saettare lo sguardo a Jordan, ma lei si stava tirando su a fatica, con una mano sulla testa ed una sulla schiena, il martello senza scintille a pochi piedi, allora aveva riportato lo sguardo su Tizio e la vidi: Grace rifugiata dietro l’autobus, occhi rossi come sangue e mani fumanti. 
Il figlio di Apollo si era già lanciato nella corsa, per poter aiutare l’amica, ma Lauren si era aggrappata a lui, “Che succede?” aveva chiesto sorpreso lui, ma gli occhi della ragazza erano cristallini, improvvisamente sembrava che la paura fosse dissipata dal suo volto ... quasi trasudava sicurezza; “Il simbolo di tuo padre sono i corvi, vero?” aveva domandato, il suo tono era retorico, sapeva perfettamente  la risposta a quella domanda. Carter annui, dopo un più che bravo esame delle sue conoscenze in mitologia, era un paio d'anni che non pensava ad Apollo ed il suo simbolismo.
Nel frattempo Grace aveva creato con la nebbia una lancia con sei uncini ed aveva attaccato alle spalle Tizio, non poteva sempre usare il fuoco, la sciupava, Emma aveva  fatto roteare l’ascia, tentando di far saltare la testa al titano ancora una volta, ma ad ogni ferita, quel mostro veniva rimarginato. 
Lauren piazzò le mani sulle guance del ragazzo, “Devi chiamarne uno” aveva esordito con voce profonda. “Un corvo?” chiese Carter, davvero quella ragazza li chiedeva un corvo? Un corvo contro un gigante? Non aveva senso! Era follia! Ma la ragazza sembrava stranamente sicura di se. “E’ corvo sia” aveva detto. Ma come diamine si invocava un corvo? Non era una cosa che avesse mai fatto. 

Padre so che mi odiate. Ma un corvo, per Lauren, Emma, Joe, Grace e … Marlon che è così innocente. Ci serve un corvo. Le dita di Carter si strinsero, fino a sbiancare le nocche e far sanguinare i palmi, non credeva davvero Apollo avrebbe potuto rispondere al suo appello, da che Carter aveva disertato il Campo l'influenza di suo padre s'era fatta così sottile su di lui da scomparire a volte, ma da quando lo aveva condotto da Melissa e Marlon sembrava essere scomparsa del tutto. Carter aveva sempre saputo di non avere il favore di suo padre, dopo la defezione - e perchè avrebbe dovuto? Aveva cercato di detronizzarlo -  ma ora sembrava essere scomparso in toto. Lauren continuava a tenere le sue dita sulle sue guance, aveva occhi fiduciosi, ma le sue labbra tremolavano appena. Non voleva deluderla, non voleva deludere Grace e non voleva deludere nessuno, non si era pentito mai così tanto di aver alzato la lama per il signore del tempo; ma aveva le sue ragioni, ragioni che la ragione stessa non comprendeva. Era il figlio al prodigo, aveva bisogno di quel padre a cui aveva voltato le spalle, per uno stupidissimo corvo che non avrebbe potuto fare nulla contro un gigantesco uomo alto venti piedi. Le sentì brucianti le lacrime sulle guance.
Stava piangendo?
Poi lo sentì, il gracchiare d’un uccello.

Sopra le loro teste s’era mostrato quell’animale, nero come la notte, ma con scintillanti occhi arancio. Unico nel suo genere, era più grande di un volatile normale, le piume erano lucenti e nonostante l'aria sinistra che Carter aveva sempre imputato a quegli animali - per colpa di un vecchio brano di Edgar Allan Poe - era piuttosto maestoso. Era bastato un suo gracchiare perchè gli infausti colpi del gigante subissassero un arresto e quando Tizio lo scorse, di primo strizzò gli occhi porcini, confuso, ma poi ... era divenuto sul viso livido come il gesso, “No! Uccelli no!” aveva urlato il gigante, accartocciandosi su se stesso, “Non avrai il mio fegato” aggiunse, pavido come una colombella. Grace ed Emma s'erano fermata dal loro scontro, con gli occhi rivolti alla macchia nera sul cielo a dir poco stupefatte. Il corvo aveva preso a vorticare a cerchio attorno a Tizio, gracchiando, come una iena intorno alla sua cascata, il gigante tremolava come fatto di burro, mentre sventolava le mani per allontanarlo, un altro versaccio del corvo e Tizio s'era alzato preso dal panico per correre in una direzione imprecisa, inseguito dal volatile. 

Carter era rimasto scioccato, era sembrato di vedere un elefente scappare davanti ad un tavolino e la cosa lo aveva fatto ridacchiare in maniera più stupida possibile; forse era stato lo stress. “Ma cos …” non finì la frase, con la ridarella sulle labbra, prima di ritrovarsi la risata soffocata dalle labbra di Lauren sulle sue, "Bravo!" aveva cantato sudigiri Lauren. Prima che Carter realizzasse il fatto, era stato in malo modo allontanato dalla ragazza, da Joe che era passata senza grazia tra i due, lanciata verso Emma; "Tesoro" strillò, disperata. La figlia di Ares era accasciata a terra, con le mani impiastrate di rosso sulla gamba, dove dal femore zampillava il rosso, il viso segnato da un profondo dolore.
Lauren era rimasta sbattuta qualche istante ferma, realizzando dopo il fatto e poi era accorsa dall'amica e Carter le era andato dietro. Grace era già lì, inginocchiata al suo fianco per studiare la ferita, mentre Joe aveva avvolto le braccia attorno al corpo esanime della ragazza e le aveva sollevato il busto per poterla tenere stretta.  Carter s'era infilato tra Grace e Lauren spintonandole un attimo per osservare meglio il colpo, rimanendo per un attimo perso: la ferità attraversava da parte a parte la gamba della ragazza, aveva un diametro imponente, ed era fiotti di sangue, poteva vedere l'osso ed i tendini recisi, la carne della figlia di Ares era bianco cagliata, il viso esangue e gli occhi semi chiusi di chi aveva raggiunto il capolinea. Carter era rimasto impotente, nonostante l’emorragia, Emma aveva continuato a combattere. Ed anche in quel momento gli ricordò Mary Beuchamp. Avrebbe voluto davvero aiutare Mary, era stato lui a trovare il suo cadavere e bruciarlo nella pira, aveva visto le ferite, era stata quasi triturata, non aveva smesso di combattere contro il figlio di Gea fino a che non aveva avuto tutte le ossa spezzate e la vita stessa non aveva potuto più abitare quelle carnie, l’avrebbe davvero voluta aiutare, darle un minimo di conforto. Aveva solo potuto che il suo spirito raggiungesse il regno dei morti - guadagnando l'ira e la disperazione di July, Perchè non mi hai aspettata? aveva chiesto in lacrime, con ancora i segni del labirinto marchiati sulla carne e nell'anima per sempre. “Resisti” disse ad Emma alla fine, quella annui, esangue in viso, "E resta sveglia" la ammonì lui ferrea.
Carter posò le mani sulla sua coscia, tremolante, ogni figlio di Apollo aveva le sue specialità, l'arco, la musica, la medicina e la profezia, Carter era sempre stato un bravo indovino e un discreto guaritore, ma come cantante era sempre stato piuttosto pessimo, ma in quel momento non ci badò neanche, troppo preoccupato di fallire. Cantò una vecchia litania greca, stonando ogni brutta nota, che aveva imparato assieme ad Heather e Kayla quando avevano curato un passero ferito. Sentì le dita formicolare come se cento formiche camminassero sotto la sua carne, sentì la pelle della figlia di Ares bruciare, il suo sangue bollire, la riccia urlò a squarciagola come se nulla potesse essere più doloroso di quello, ma in qualche modo rianimata e rinvigorita. Quando Carter abbandonò la zona ferita, aveva ritrovato solo un vecchio jeans consumato e strappato, che mostravano pelle nuda ma integra e qualche macchia di sangue già secco secco. L'incarnato della ragazza era tornato roseo e vigoroso, “Grazie” disse con una voce raschiante, di chi riacquistava le forze, abbozzando un sorriso. Carter le sorrise, ma finì lui accasciato per terra per lo sforzo.


Una ragazza era davanti a lui, aveva i capelli del colore della ruggine ed occhi verdastri come foglie in primavera. Indossava una maglietta arancione tutta stropicciata, rovinata, bucherellata e macchiata di sangue, sul petto c'era una scritta ed un pegaso, la ragazza era tutta presa da una serie di maglie in quello che sembrava il reparto di vestiti da donna. Carter aveva notato che all'altezza del ventre, sulla maglietta, c'era uno squarcio più grande che mostrava una bella porzione di pelle nuda proprio sopra l'ombelico. Lei indossava una collanina del campo mezzosangue, con almeno cinque perle. Carter ci mise davvero troppo tempo per riconoscere i connotati di Heather, la sua mezza sorella, dal sorriso sempre sbarazzino che girovagava con quel figlio di Demetra. “Heat” la chiamò. Per un attimo, sembrò come se sua sorella l’avesse sentito, aveva sollevato il collo e s’era guardata intorno, la confusione aveva dipinto il viso e lei era tornata al suo operato, tirando via da una stampella una maglietta nera semplice. Aveva cercato il dispositivo per togliere l’allarme, ma sembrava abbastanza limitata, “Jude, puoi aiutarmi?” aveva chiesto nel suo campo visivo si era palesato un ragazzo con una giacca di pelle, capelli biondi piuttosto corti, pelle di cera ed occhi chiari come il vetro. Era sfornito della sua lama di ferro di stige, ma anche senza la sua spada bastarda Carter sapeva chi era, lo aveva conosciuto sulla Principessa Andromeda, il mezzosangue che non parlava mai e seguiva come un cagnolino Alabaster. Jude, il figlio di Apollo si rendeva conto di non aver mai saputo il suo nome, sembrò guardarlo.
“O grazie agli dei stai bene” disse Marlon, con il viso rischiarato, stringendolo in un abbraccio soffocante ed amorevole. Grace era al suo fianco, gli occhi erano tornati nocciola, ma la sua mano era ancora così calda da bruciare, ma Carter era grato che fosse ancora stretta alla sua.  Davanti a lui, le tre ragazze del campo erano in piedi. Joe aveva smesso di lanciargli sguardi diffidenti, sembrava più occupata ad osservare che Emma stesse bene, tenendole apprensiva le mani attorno alla vita della ragazza, la figlia di Ares sembrava piuttosto contenta di vederlo stare bene - quando non diceva cose all'orecchio a Joe - e  lo stesso di poteva dire di Lauren, che gli aveva allungato una mano per aiutarlo a rimettersi in piedi, “Davvero bravo bel faccino, ci hai fatto preoccupare” aveva detto sghignazzante, prima di scompigliarli i capelli scuri. Ed ad averla così vicina, Carter era avvampato pensando al breve bacio che lei gli aveva dato e che lui non si era potuto godere per nulla, doveva dire qualcosa? “Come sapevi del corvo?” chiese invece, cercando di riprendere fiato.
La ragazza se possibile sorrise di più, gli occhi sicuri di se, “C’è una sciocca diceria che vede che i figli di Afrodite siano stupidi” aveva detto quella con orgoglio, “Farà schifo con le armi …” l'aveva interrotta Emma ridacchiando, “Ma è più intelligente lei di tre quarti della cabina di Atena” aveva terminato per lei Jordan battendo le mani sulle sue spalle. Lauren sorrise orgogliosa ed un po' imbarazzata delle belle parole delle sue amiche, “Tizio era un gigante figlio di Zeus, dopo essere stato sconfitto da tuo padre e dalla divina Artemide, nel tartaro è stato condannato ad essere legato e con aquile ed avvoltoi a mangiare il suo fegato” aveva spiegato la figlia di Afrodite con sicurezza, “Quindi mi è sembrato naturale, che avesse sviluppato una naturale fobia agli uccelli, se per più di due mila anni si nutrono di te” aveva terminato soddisfatta.  “Ma non era Prometeo ad aver avuto quella punizione?” aveva invece chiesto Grace, grattandosi i capelli,  Lauren l’aveva guardata, aveva alzato le spalle e poi aveva risposto: “Dovevano essere carenti di fantasia” come se la cosa non la interessasse, infilando le mani nelle tasche della gonna a pieghe.


“Quindi andavi al campo mezzosangue” aveva constata Jordan, sedendosi accanto a lui, Carter aveva annuito.  Emma stava sistemando lo specchietto della macchina, per cercare di orientarlo bene per la sua altezza, avendo appena preso il posto della figlia di Efesto al volante, che di centimetri la superava parecchio. Lauren aveva sorriso dal posto affianco al guidatore, riguardo a Marlon, guardava eccitato il finestrino, sperando di scorgere Grace. Da quando avevano distrutto l’autobus e reso latitante l’autista, avevano dovuto ingegnarsi per raggiungere il campo mezzosangue. L’idea era venuta alla figlia di Afrodite tutt’altro che oca, che s’era maledetta per non avere la Lingua Ammagliatrice di alcune sue sorelle, aveva citato Drew, che Carter ricordava passivamente, ed una certa Piper, che gli era estranea. Con quella suddetta capacità, Lauren aveva rivelato che avrebbero potuto prendere un auto direttamente dal proprietario.
Dopo quelli che erano stati minuti di lunghissima preoccupazione, in cui Jordan si era offerta di forzarne una, mentre Emma di picchiare il proprietario; Grace aveva sospirato, “Sono un empusa” aveva detto con tono sterile. Gli occhi della figlia di Afrodite erano diventati scintillanti come stelle. “Davvero?” aveva domandato eccitata Lauren, quasi saltellando con le sue gambe. Quando Grace passava per la Principessa Andromeda, tutti i mezzosangue presenti avevano paura, non sapevano quanto diversa fosse dalle sue sorelle, temevano solo che volesse mangiarli. Anche Carter aveva avuto paura di lei, di Tammy, di Kelli e di tutte le altre. Aveva visto Grace schizzare nel fuoco, l’aveva vista combattere con forza e selvaggia degna di una belva ed aveva davvero temuto che la belva volesse lui. L’empusai lo guardava sempre, sembrava fosse il suo unico passatempo. In ogni momento Carter poteva sentire quegli occhi nocciola sulla sua nuca sulla sua pelle, “Sembra valuti come cucinare meglio la colazione” aveva detto un giorno July Goldenapple, mentre legava la pettorina al suo fisico snello. Ma aveva sbagliato, come tutti sbagliavano, Grace era buona, quando sorrideva sembrava così innocente; Carter aveva capito con il tempo quanto inoffensiva fosse Grace, nessun mezzosangue che l’avesse vista appena – o tentare di bruciare un gigante – aveva mai mostrato eccitazione e felicità nel sapere cosa fosse. “Si” aveva risposto tetra Grace, mentre teneva la mano di Marlon. Il viso di Emma e Jordan era ghiacciato, come la normale reazione da manuale. “La lingua ammagliatrice è una caratteristica delle’Empusai” aveva spiegato Lauren, giustificando quella tanta eccitazione nei confronti della creatura. “Sono fuori allenamento” aveva spiegato Grace, ma Carter sapeva bene che se si sera scoperta così tanto era solo per quello. 
“Mi fido di te” aveva commentato il figlio di Apollo, accarezzandole i capelli, “Solo non mangiarlo” commentò, prima di abbracciarla, “Non lo farei mai, con Marlon presente” aveva ribattuto offesa lei, come fosse stata un’accusa, chiudendo le mani con i fianchi.  Crucciata aveva l’espressione più carina di sempre, “Mi fido di te” ripeté, per un attimo il dolce calore di nocciola degli occhi era diventato rosso incandescente. Poi si era diretta verso il proprietario di una macchina che faceva benzina, disinteressato a quel delirio che erano le macerie del vecchio autobus. Aveva scavalcato un bel po’ di mortali confusi che si chiedevano cosa avesse fatto. Carter non era riuscito a sentire cosa l’uomo aveva detto, aveva capito dalla sua postura del corpo, che aveva stava cercando un approccio con la ragazza.  Si erano allontanati insieme, ma dopo pochi minuti era tornata solo lei. Aveva una camminata spigolante, con gli occhi ancora infuocati, con le chiavi in mano. “L’hai ucciso?” chiese Emma, avvicinandosi  cauta, Grace mosse il capo, anche se l’empusai avesse mentito per la presenza di Marlon, Carter non aveva dubbio che non l'avesse fatto. “Dormirà per molte ore” aveva risposto Grace sicura di se, accarezzando i capelli di Marlon, “Ma ricorderà che gli ho rubato l’auto” aveva risposto, prima di lanciare le chiavi a Jordan, “Solo cinque posti” aveva risposto, “Io vado a piedi” aveva spiegato.
Così Grace era una fiamma lungo la linea rossa, loro erano in auto, scambiandosi di ruolo nel guidare e diretti al campo mezzosangue.  Marlon aveva riempito di domande le tre ragazze sul luogo dove avrebbe vissuto e quelle aveva risposto con estrema novizia di particolari - chiedendo ancora se Grace avesse potuto rimanere con lui. “Si andavo al campo” rispose a Jordan, mentre la ragazza si sistemava i capelli biondi in due code, "Grazie per averla salvata, io non potrei vivere senza di lei" aveva sussurrato Joe ammiccando alla ragazza che guidava, Carter aveva annuito, comprendendo bene quel sentimento. Aveva sorriso alla ragazza, ottenendo di rimando un sorriso complice,  “Will ed Heat saranno contenti, sempre se non provino ad ucciderti” aveva aggiunto la figlia di Efesto, con un sorriso sbarazzino. Al secondo nome, Carter si irrigidì, ricordando il sogno, in cui Heather era a comprare magliette con il muto. Ed ebbe improvvisamente una pessima sensazione, quando pensò alla sua sorellastra, sentì quasi una nausea ribollirli nel ventre, tanto da voler vomitare. “Ferma la macchina” disse alla figlia di Ares, che arrestò la macchina lungo la strada.  Marlon era già saltato fuori, quando Carter rimise sull’asfalto, con il naturale aspetto costruito, Grace era china al suo fianco, che gli carezzava i capelli. Distorta, lontana, vedeva Heather sotto l’arco del campo, appena dopo l’albero di Thalia, la sua pelle era grigia e segnata due vene nere spesse che percorrevano il corpo, gli occhi vacuie e lucidi. Ma sorrdeva.

“Mi servono delle dracme” bisbigliò con voce pacata, sollevandosi sulle sue gambe, Grace l’aveva già circondato con un braccio per sostenerlo, doveva chiamare Heather. Ma la ragazza avrebbe rifiutato la sua chiamata, Carter era un traditore infondo, “Anzi, servono a te” disse a Joe, che era al suo fianco, “Chiama il campo! Devo sapere dove è Heat”  aveva detto. Nella sua mente si formò ancora quel sorriso affaticato, circondato da nere vene. Jordan annui, cercando nella sua tracolla di stoffa viola e bianca, tirando poi fuori quella che aveva tutta l’aria di essere una borraccia, “Laurie lo specchio” disse alla figlia di Afrodite, che prontamente le aveva passato l’oggetto in questione, recuperato da chi sa dove. Lo specchio era tondo, da un lato nero con fiori di rossi, dall’altro null’altro che una superficie riflettente; cominciarono a giocare con l’acqua e gli specchi tentando di creare un arcobaleno,  “Ci serve la tua luce” gli aveva detto Lauren, toccandoli i capelli in maniera gentile, amichevole ed anche intima. Carter aveva deglutito sonoramente, accaldato da quel contato innocente, ma aveva trovato la forza di annuire.
Si sollevò dalla posizione in cui era accucciato, per alzare gli occhi al cielo dove il sole si era fatto rossastro, dipingendo l'ambiente di un rosa pastello, “Non posso” s'era lamentato, profondamente mortificato dalla sua inettitudine, gli ultimi raggi del crepuscolo erano estremamente difficili da cogliere per un qualsiasi figlio di Apollo, figurarsi uno che era stato ripudiato dal suo stesso padre. Certo, era riuscito ad invocare il corvo, per una volta suo padre sembrava aver risposto al suo appello, ma lo avrebbe fatto di nuovo? Gli avrebbe dato abbastanza potere per cogliere un raggio di sole del tramonto. “Bene, allora riprendiamo il viaggio” aveva sentenziato Emma, “Fino ad un bad and breakfast, poi lì proveremo di nuovo” impartì categoria la figlia di Ares, nonostante si fosse ripresa il viso era profondamente segnato, avviandosi verso la macchina, Joe l'aveva afferrata per una mano, "Fa guidare di nuovo me!" aveva detto tutta inviperita, "Posso farlo io" aveva bisbigliato Carter, "Hai appena rimesso, neanche per sogno" aveva gracchiato la figlia di Efesto. Lauren aveva riso appena, "Io non ho la patente, ma se volete" aveva canticchiato. Per un attimo tutto era sembrato più leggero.  

Grace afferrò Carter per una mano, in maniera compostamente gentile, “Vedrai che non è nulla” aveva detto cercando di essere amichevole, “Vorrei poterlo dire anche io” aveva risposto asettico lui - perdendo quel momentaneo buon umore. Ma un figlio di Apollo non mente. Il sorriso sul volto di Grace si incrinò un attimo, avendo smascherato la menzogna. S'infilò in macchina, seguito da Marlon che si era stretto in maniera automatica a Grace quasi temendo che non l'avrebbe ritrovata alla sua discesa, mentre l'empusa dopo averlo delicatamente fatto entrare, chiudeva lo sportello. Carter si era trovato al centro e Lauren al suo fianco,  “Anche Michael lo faceva” aveva confidato con un sorriso un po’ smorto sulle labbra, “Quando vedeva qualcosa” aveva confidato con un tono piatto. Carter era rimasto in silenzio a pensare a quel ragazzo che era stato come un fratello maggiore ed aveva rivolto i suoi pensieri a Marlon, che aveva preso a ridere e scherzare con Emma, che si divertiva a raccontargli tutto e di più sul campo.  “Heather Shine” aveva risposto solamente lui,  Lauren aveva annuito con un movimento lento, “La fidanzata di Darren” aveva mormorato la figlia di Afrodite, chiudendo le braccia attorno alle ginocchia che s’era chiusa all’altezza del petto, "Il piccolo capolavoro di Mitchell" aveva bisbigliato cauta.
“Ho paura possa succedere qualcosa di brutto” aveva proseguito Carter, con quel macigno sull'esofago, soffocante, da stordirlo. Aveva tradito il campo, gli aveva traditi tutti, eppure una  parte di lui non poteva non preoccuparsi di loro, erano stati la sua famiglia, anzi erano la sua famiglia e lo sarebbero stati per sempre. Quando era sulla principessa Andromeda, Alabaster gli aveva detto un numero incessante di volte di dimenticare, altrimenti si sarebbe trovato spezzato, ma per quanto Carter lo stimasse, riteneva che Al non potesse capire, era stato un ragazzo del campo questo si, ma non era mai stato davvero parte di esso, viveva da figlio di Ecate tra i figli di Ermes, lui aveva una cabina, dei fratelli, dei legami ... era diverso. Non poteva capire Al, così come July, Ines e le gemelle LaFayette. Mary, Jake e  Chris potevano invece, quando erano andati via dalla loro casa, avevano lasciato un pezzo di cuore. Forse era per questo che lui non si era mai sentito in grado di condannare Chris per essere tornato sui suoi passi, o Ethan o per fino quel figlio di buona donna di Luke Castellan. 

Carter aveva lasciato il suo cuore in Lee, Mike, Will e tutti gli altri, due di loro non c’erano più ed ora temeva di perdere Heather, quella stessa Heat che se l’avesse avuto sotto mano gli avrebbe  tirato il collo di persona. “Io non la vedo da qualche mese, stavamo proprio tornando al Campo ora, ma sono sicura stia bene ... lei è una tosta” aveva confidato Lauren con un tono gentile, "Potrebbe infilzare uno scoiattolo in un occhio da due yard di distanza" aveva cercato di rincuorarlo “Ho paura possa esserle successo qualcosa” aveva ripetuto lui lo stesso, abbattuto. Carter non riusciva in alcun modo a liberarsi dell’immagine della sua sorellastra sofferente, senza contare che nel suo sogno l’aveva vista con Jude, il muto, che era stato uno di loro ... e Carter non credeva di potersi fidare di ciò che erano stati.  Emma si era voltata verso di lui, “Dovresti dormire un po’” aveva detto cercando di essere gentile. Carter aveva mosso la testa in senso di diniego, di tutto aveva voglia, tranne che dormire, "Tu dovresti farlo, ordini del medico" aveva ribattuto invece, Jordan aveva colto tutti di sorpresa ridendo, "Santi numi, sembri Will" aveva aggiunto.


La fiamma di Grace si era defilata in una curva della strada che aveva portato a quello che sembrava un bed&breakfast,  di tutto rispetto, preceduto da uno spiazzale  circondato da alberi sempre verdi. “La seguiamo?” aveva domandato la figlia di Ares, cercando gli occhi di Lauren dallo specchietto, la figlia di Afrodite aveva annuito dando il suo assenso. Carter aveva concordato, aveva davvero bisogno di dormire, anche se aveva detto ad Emma che non ne aveva bisogno e poi di Grace si poteva fidare, sebbene poteva capire che per gli altri mezzosangue doveva sembrare piuttosto ambiguo. "Rilassati Em!" la canzonò Lauren, "Mi pare che abbiamo attestato di poterci fidare di loro" aveva canticchiato la figlia di Afrodite, infilando un ciuffo di capelli dietro l'orecchio, della sua ordinata coda non era rimasto altro che una matassa informa e sconvolta, ma era ugualmente bella. Le figlie di Afrodite lo erano sempre.
Emma aveva annuito, girando il volante per inseguire l'empusa e parcheggiare all'interno della piazzola a semicerchio, "Nel dubbio, tenete sempre le armi a portata di mano" aveva stabilito la figlia di Ares, slacciandosi la cintura.
Joe l'aveva fermata, "Tu proprio no! Non tenterai la fortuna più di quanto ai già fatto!" la canzonò, battendoli con l'indice sulla punta del naso, Emma ridacchiò imbarazzata. Alla fine scesero tutti giù dall’auto, Marlon era immediatamente corso verso Grace per prendere la mano, con un sorriso amorevole sulle labbra. Carter temeva il giorno che quei due si sarebbero dovuti separare; "Non potrebbero tenerla al Campo, oltre a ninfe e satiri, ci sono anche le arpie?" aveva buttato lì lui, mentre si allontanava dalla macchina, assieme a Lauren, "Renderebbe isterici gli altri, ma Chirone probabilmente non farebbe problemi" aveva constato la ragazza, con le braccia al petto, la pelle d'oca evidente sulle braccia. Carter era rimasto in silenzio, osservando i due davanti a lui, ascoltando il respiro di Laurie, pensando alla fiero aspetto del centauro che gestiva il campo, l'irritabile - e irritante - Dionisio e quanto avrebbero svalvolato gli altri al campo a sapere che un'empusa viveva con loro. Lauren aveva poi ripreso: "Infondo ci sono anche Tyson e Mrs O'Leary" - con un tono un oi' vacuo, preoccupato in un certo senso -  "E poi in casi disperati come questi, ogni aiuto è benvenuto" aveva commentato la ragazza. 

Prima che Carter riuscisse a proferire domande su ciò che la ragazza intendesse, che Marlon aveva attirato la sua attenzione, con gli occhi assottigliati, avvolti dal buio della sera, il suo fratellino indicando un cartellone s'era lamentato: "Uffa!Non riesco a leggere!” con un tono leggermente risentito. Carter aveva guardato anhe lui cercando di trovare un senso alle lettere rosse su sfondo giallo del cartello appena fuori dalla locanda. “Non è un bed&breakfast” aveva valutato Grace, “E’ un centro termale” aveva detto con un tono vagamente infastidito, “La foatna nid  Semacla” aveva detto con convinzione Joe, la prima ad esser riuscita ad ordinare in qualche modo le lettere sul cartello “La fontana di Salmace” l’aveva corretta l’empusa. “Bel posto dove fermarci” aveva commentato con un tono di stizza Lauren, ponendo le mani sopra i suoi fianchi, decisamente poco entusiasta della cosa, “Di sicuro non sarà come il centro di C.C. ma potrebbe andare bene” aveva detto Grace, ignorando deliberatamente la figlia di Afrodite, “Anzi a te, dovrebbe andare meglio” aveva aggiunto guardando Carter, “Nessuno ti trasformerà in un porcellino d’india” aveva risposto, cercando di sdrammatizzare un po', ottenendo solo sguardi confusi dall'amico.  

Il centro benessere era fatto in marmo bianco,  alto intorno ai due piani, come una villetta da quartieri residenziali in stile art nouvau, aveva un porticato in colonne bianche dal capitello corinzio e l’impalco di legno, le finestre erano coperte da tende colorate e la porta era di mogano, non aveva un campanello ma una testa di serpente, dalle cui zanne scendeva un anello in ottone, la lingua biforcuta correva su tutto esso. Fu Joe ad afferrare l'oggetto e picchiarlo contro la porta, finché qualcuno non l'aveva aperta, una ragazza dal fisico slanciato, labbra di fragola, un corpo tonico coperta da una mantellina viola e capelli ricci di una castano delicato, poteva essere sulla prima metà dei vent'anni e nonostante l'aspetto piuttosto grazioso aveva qualcosa di sinistro. La giovane donna aveva piantato gli occhi viola su di loro e gli aveva studiato per un bel po' di minuti, “Prego” aveva detto con un tono amichevole, prima di lasciarli passare, sembrava squisitamente gentile, aveva constata Carter, una gentilezza finitamente e finemente costruita.
 L’interno del centro era bello, era una reception con un bancone che sembrava un altare, in marmo rosa, con bassi rilievi di scene di caccia, un tappeto ricavato da pelle di una tigre e divanetti con cuscini ricamati per aspettare. C’erano due porte,  che conducevano altrove, speculari ed identiche, ai lati dell'altare, entrambe erano coperte da piogge di perline lilla chiaro, una musica particolare riempiva l’aria. “Con il nome di questo posto, non dovrei sorprendermi di sentire questa canzone” aveva constato Emma con un sorriso sornione in viso, le mani attorno alla vita di Joe. Carter aveva aggrottato le sopracciglia scure, “Come?” aveva domandato , “E’ una canzone dei Genesis” aveva spiegato la figlia di Ares ma, prima che potesse procedere, la donna vestita di viola l'aveva anticipata: “The Fountain of Salmace” prima di recarsi dietro il bancone-altare e tirare fuori quello che sembrava un registro. “Mi piace molto questa canzone” aveva confidato la donna, sfogliando il suo quaderno, Emma aveva annuito, “Sono il gruppo preferito di mamma, sono cresciuta con i Genesis nelle orecchie” aveva commentato, ripescando un vecchio ricordo.

La receptionista aveva sorriso, “Io sono Manto” aveva detto con un tono amichevole, “Sai già chi siamo dunque” aveva detto Lauren, frapponendosi tra lei ed Emma, con un tono da so-tutto-io,  “Si ... e cosa volete” aveva stabilito asettica Manto, prima di scarabocchiare qualcosa sul registro. Carter l'aveva guardata attentamente, sentendo brividi arrampicarsi lungo la schiena, la donna  aveva preso una ciotola con delle chiavi e ne aveva data una ad Emma, poi ne aveva pescata un'altra e l'aveva allungata a  Lauren, una terza ed ultima l'aveva posata sul bancone. “Dietro la porta sinistra, ci sono la sala da pranzo, con le scale che portano alle camere. La cena è già stata servita” aveva detto con un tono piatto Manto, “A quella destra ci sono le terme. Saune, piscine, fonti e tutto il resto” aveva spiegato, “Fate attenzione, a Giano piace stare da queste parti” aveva terminato, tenendo un sorriso sempre sfacciatamente finto.  Poi aveva fissato Carter per un po' di tempo, appena un po' confusa, “Carter, queste sono per te e tuo fratello” aveva commentato, indicando le chiavi, il figlio di Apollo aveva sentito vero freddo nell'essere stato chiamato per nome dalla donna, “Sempre che tu non voglia dormire con le fanciulle” aveva mormorato la donna, risvegliandolo dal suo momentaneo assenza,  facendo oscillare davanti a lui le chiavi.  Carter le aveva prese frettolosamente senza ringraziare.

“Ma lei chi è?” chiese il ragazzo fissando le chiavi con sguardo assente, “Manto figlia di Tiresia, maga ed indovina” aveva risposto con un sorriso sornione sulle labbra quella. “Lavori da sola?” aveva domandato Lauren, ora con un tono più gentile, posando il mento sui palmi delle mani, aveva un aspetto vagamente civettuolo, “Oh no” aveva risposto, “Ci sono anche il mio onorabile padre ed il caro Ermafrodito” aveva risposto Manto, uscendo da dietro il bancone ed avvicinandosi alla porta a sinistra, “Posso conoscerlo?” aveva chiesto con una punta di divertimento, “Sa questione da sorella a fratello … o sorella” aveva  spiegato Lauren. Manto aveva riso, chiudendo le dita sulle labbra, “Preferisce che si rivolga a lui come un uomo” aveva spiegato, con la stessa confidenzialità che si potesse dare ad amici di vecchia data, circondando le spalle della figlia di Afrodite, con una mano. Era più alta di Lauren e sembrava amichevole, ma Carter continuava a percepire disagio nel guardarla.

Avevano seguito Manto, dietro la porta, passando davanti una porta aperta che dava per una bella sala da pranzo con alcuni tavoli scuri con dei centrini decorati, ma la maga gli aveva indicato una scala a chioccia in frassino, sul corrimano c’erano incisi fiori, chiudendo la porta della sala.  “Carter, aspetta, devo parlarti” aveva detto l’empusa, fermandolo e costringendolo a passare proprio per la sala che Manto aveva chiuso. Avrebbero potuto parlare lì, ma quando l'empusa aveva scorto un ragazzo dai capelli scuri passare un panno su una spada d'orata, lo aveva spinto verso la porta finestra per ad andare all’aperto, Carter aveva guardato appena il ragazzo, che aveva sollevato il viso verso di loro ed aveva sorriso. Si erano stabiliti su una bella terrazza che dava la vista ad una grande città illuminata ad una certa distanza ed un cielo costellato di stelle. Il figlio di Apollo aveva potuto vedere gli altri averli seguiti almeno dentro la stanza - ma non sul terrazzo - Emma stava gesticolando qualcosa verso Manto ammiccando spesso a Malcom, scommetteva cercasse di guadagnarsi del cibi sfruttando l’irresistibilità di dodicenne di Malcom. “Non mi sono fermata qui senza motivo” aveva spiegato la creatura, "Sapevi di questo posto?" aveva chiesto confuso lui, ma Grace non gli aveva risposto, “Non volevo farlo, ma poi hai detto che non riesci a vedere bene" aveva chiarito l'empusa. Carter aveva deglutito timoroso e nervoso “Ci sono alcune fonti particolari qui” aveva spiegato,  “Una di queste potrebbe aiutarti” aveva mormorato con un tono gentile, lui aveva annuito, “Qualcosa che tolga le ragnatele dai tuoi occhi” aveva spiegato lei, prima di accarezzarli la guancia in maniera materna. “Ma, bisogna fare attenzione” aveva aggiunto Grace, “Potremmo sbagliare fonte o potrebbero non permettercelo” aveva terminato, per un attimo gli occhi erano scintillati di sangue e la pelle s’era fatta di latte. Poi era rientrata nella sala.
Carter non era riuscito neanche a dirle che quel posto lo spaventava.
   
 
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