Ci tengo a dire che questa fanfic non è
scritta unicamente da me ma in coppia con il mio tesoro, Aphrodite di Pisces^^
Le parti in cui parla
Mu sono sue, quelle di Alde
mie^^
So che questa non è una
coppia molto amata ma da parte nostra è più che
plausibile, quindi vogliamo semplicemente mostrare qual è la nostra interpretazione
ed è assolutamente innocente, lo shonen ai è
puramente accennato, solo per un piccolo particolare, per il resto potrebbe
anche essere la storia di una bella amicizia… diciamo che a un certo punto il
rapporto si mostra un po’ più chiaramente ma, ripeto, niente di esplicito,
credo possano leggerla tranquillamente tutti^^
SFIORARSI E
Commosso,
egli la guarda.. e la bambina ride.
Quanta
gente può rendersi conto della dolcezza di quest'uomo così grande e forte? Una bimba e un gigante... e io lì a guardarli.
Egli
si volta... mi sorride. Perché
proprio a me?
Non siamo che
tre vecchi amici che passeggiano... io, da poco tornato al Santuario, chiedo
notizie degli ultimi eventi, dopo la mia partenza e ritorno dal Pamir... dopo
la mia fuga...
Fuga
da un amore che non riesco a reprimere, fuga da un
uomo che mi ossessiona, fuga da un sentimento dolce che permea ogni minima
parte di questo cuore di persona e non di Santo di Athena.
Eppure
egli non si accorge di me, mentre riempie con la sua figura la mia essenza.
Aiolia
non nota minimamente il mio rossore delicato su una pelle di
carne stinta, cosa potrebbe pensare di me? Uno dei più potenti esseri
umani... uno dei più forti Santi...
"Se
potessimo mettere un fiore su ogni tomba di cavaliere morto in questa prima,
stupida guerra... questo campo così bello sarebbe privato per sempre della
bellezza e dei colori vivaci che queste corolle rugiadose porgono..." la sua voce baritonale mi
lascia a fremere, in questa cassa dorata che mi ricorda quanto non posso amare,
perché il mio amore dovrebbe essere solo per
La
bambina si allontana da noi, saltellando... innocente. Le
gambe bianco latte vengono frustate con leggerezza dall'erba alta...
sembra una libellula su uno stagno in cui si rispecchia l'arcobaleno... si
chiama Europa, la sorellina adottata dal mio caro amico.
Aiolia,
sempre distaccato, comincia a prendere la via per il Santuario, pieno di angosce e paure umane... pieno di ricordi, forse, legati
a quel fratello che perse, giovane: "Come sei poetico..." afferma, con una punta di sarcasmo "Ogni lotta è
necessaria, se è
Lo
vedo, ti vedo... aggrondi le sopracciglia folte...
cosa pensi di queste parole?
Io
penso che Aiolia stia esagerando... penso che non
abbia alcun diritto di disprezzare la vita umana ..
Io
penso che quando la sofferenza rende acidi i cuori... allora quei cuori possono considerarsi sconfitti... e tu la pensi come
me... perché ti volti ancora a sorridermi e non fermi lui che si allontana?
Silenzio
tra noi... il vento scompiglia i capelli di entrambi... io sorrido di rimando,
complice dei pensieri delicati che sono solo nostri ..
Forse
ti amo... mentre stringi quel fiore tra le mani
mettendo a nudo la tua vera natura di fronte a me... forse ti amerò sempre,
pensandoti così: semplice, umano... a portata del mio cuore che trema...
Io
sorrido... eppure vorrei solo poter parlare con
sincerità.
Ma il mio
occhio guarda e la mia bocca tace.
Ascolto
e penso... una sensazione di morte. Tutto finisce… tutto ha inizio…
quando la primavera si riempie di fiori e zolle erbose, comincia il
declino del bucaneve...
E
se il mandorlo si riveste di un manto serico di petali che vengono
accarezzati dal vento furtivo, già si sente la decadenza che porterà i frutti…
e già le sue mandorle dorate cadono sotto le mani giocose dei bambini che
maneggiano pietre...
Inizio
e fine in un balletto continuo...
E
tu, al di sopra di tutto, mi guardi con i tuoi occhi
dolci, quei due specchi graziosi su un animo nobile e dedito alla Dea, quel
volto fiero di colui che sa essere tenero con gli uomini, ma duro contro i
nemici di Athena.
Sospiro...
La
tenda si muove al vento, lascia dietro di sé tanti colori brumosi, grigio perla
e bianco latte... i raggi di sole vengono filtrati e
sembrano avere consistenza irreale.
Sono
qui, teso, l'armatura chiusa nel Cloth, serrata bene!
Coperto
solo da una tunica leggera, non sopporto questo caldo soffocante che mi opprime
e mi fa respirare male. Mi sento così sconsolatamente solo!
Siamo
ancora in stato di allerta... avrei dovuto mantenere indosso le sacre vestigia di Aries, ma oggi mi pesano più del solito.
Sono
stanco… assonnato… triste… depresso… consapevole di poter fare tutto fuorché
essere sincero.
Seduto
di fronte alla mia scrivania in legno, poggio le
braccia conserte sul tavolo e sfioro con il mento il mio avambraccio destro.
Osservo i pochi libri che ho sul ripiano. Non leggo i titoli,
li tocco, leggero, solo con lo sguardo.
Potrei passare il tempo così ... potrei aprirne uno e cercare di non pensare al Santuario, ai
nostri problemi... alla minaccia fantasma o al fantasma minaccioso...
Sorrido
a me stesso, alla mia anima speranzosa: "Chi credi
di imbrogliare, Mu di Aries? Pensi veramente che uno
come te possa sopportare anche questa ennesima lotta? Non ti senti indebolire
di fronte alla prorompente invasione incognita, alla sensazione di perdita
delle coordinate che trasmette il nemico perennemente
nascosto... oh, Aries... dammi la forza, ti prego! Io non sono degno
di..."
Una
voce, virile e potente. Parole confortanti:
"Che
Athena non voglia mai che un cavaliere come te perda
la speranza!"
Aldebaran...
e tu, al di sopra di tutto, sei la mia unica certezza.
Che ti succede, mio dolce santo dagli occhi di bosco? Se ci abbandoni tu, in questo momento di incertezza nel quale più nessuno di noi sa realmente cosa prova il proprio cuore, chi riuscirà realmente ad arrivare fino in fondo alla strada che ci aspetta?
Moriremo… questo ti angustia? Sì, è vero, è probabile… è quasi certo…
Perdere, vincere, non cambierà nulla per noi, qualunque cosa accada, noi non saremo lì per piangerne, o gioirne; le lacrime o il sorriso di altri saluteranno l’esito della nostra battaglia.
E allora? Lo sapevamo… fin da quando siamo nati, fin dal primo istante che possa essere raggiunto dai nostri ricordi d’infanzia… Perché quest’angoscia, amico dall’intrepido cuore? A che serve angosciarsi su ciò che è risaputo, su ciò per cui ci siamo preparati nell’arco di tutta una vita?
Eppure cosa potrei mai rimproverarti se io stesso mi sento tutt’altro che pronto? Ti rimprovero mentalmente perché voglio che almeno tu sia pronto; se crolli tu, chi potrebbe rimanere in piedi fino al momento del bisogno? Non certo io, colossale torre dalle fragili fondamenta, io che parlo con voce grossa, che incedo pesantemente abbattendo gli ostacoli davanti a me come il toro che scalpita tra le stelle… io non sono nulla, o meglio, io sono qualcosa solo finché tu sei lì a darmi un senso e se in te non trovassi la guida sicura, come potrei andare avanti, io?
Riderei
per il mio infantile egoismo se non significasse dissacrare, con queste mie
rozze attitudini, le mura che ti avvolgono impregnandosi della tua delicatezza,
amico mio.
Cerco
di avanzare solenne fino alle tue spalle mentre tu, al
suono della mia voce, ti volti, restando seduto, sollevi lo sguardo e mi sembri
così piccolo, laggiù, dall’immensità della mia altezza… ma mi basta perdermi un
attimo in questi occhi e immediatamente i ruoli si invertono e io divengo
minuscolo e insignificante al tuo cospetto, principe che illumini il mio
spirito debole e rozzo, che mai potrà aspirare alla tua conoscenza suprema del
tutto spirituale.
Mi
sorridi e ti alzi, invitandomi con un cenno a prendere
posto, mentre le tue morbide labbra formulano parole di pura convenienza:
“Accomodati
pure, vado a prendere qualcosa da bere… una tisana?”
Mentre
mi dai le spalle, mi sembra quasi che la tua sia una fuga, per sfuggire almeno
momentaneamente al mio sguardo; non vuoi mostrarmi ciò che già ho intravisto
nei tuoi limpidi occhi? Per questo ti nascondi dietro ad una maschera di
cortese e costruita formalità che tra noi non dovrebbe più avere senso da un
pezzo?
Troppo
tardi, Mu di Aries, ti ho scoperto e ho visto la tua
paura, ma di me non ti devi vergognare, lo dovresti ormai sapere… mi sono mai
vergognato, io, di fronte a te? A parte quel piccolo, grande
segreto inconfessabile, di quello sì che mi vergogno… ma per il resto, le mie
debolezze te le ho sempre svelate, ponendole sui palmi delle tue mani pronte a
ricevere i problemi altrui e a trovare una risposta, saggia, a volte velata di
quell’ironia discreta che non pesa, proprio perché da te sapientemente dosata.
Il
mio braccio enorme e goffo si solleva, resta fermo un
attimo al di sopra di te, titubante al solo pensiero di sfiorarti… poi si
abbassa, finché la mia mano si posa sulla tua spalla; mi sento come un
contadino sporco di letame che ha appena osato toccare le vesti candide e
profumate di un principe, so che sto esagerando con tali assurdità che mi
vengono in mente ma non posso farne a meno, perché questa mia mente se ne va da
sola per i fatti suoi.
Ti
blocchi di colpo, rigido… e non mi sfugge il tuo
tremore, la tensione dei tuoi nervi; e nonostante tutto l’egoismo che non so
accantonare, ora mi sento di poter essere io, almeno per un po’, il tuo
sostegno, se solo mi permetterai di farlo.
Tremare non è da me. Ho sempre avuto tutto sotto
controllo… ogni mia sensazione involontaria per me deve sempre essere
considerata di troppo, questo mi ha insegnato il mio maestro e, anche per
rispetto alla sua memoria, dovrei sempre tenere care
queste sue perle di saggezza.
“Trattieni ogni tuo timore soprattutto di fronte ai
nemici che, orgogliosi, si presenteranno al tuo cospetto per portarti guerra o
per avanzare pretese…” così recitava spesso il sommo Sion
di cui ormai sento la mancanza come un figlio la proverebbe per un padre nato
generale, morto quasi ancora prima della nascita del suo bambino.
La voce di Aldebaran mi
trascina lontano dai miei pensieri e, in cuor mio, lo ringrazio, ché è sempre
doloroso ricordare chi non c’è più, chi ci ha lasciati quando eravamo troppo
piccoli per comprendere il peso che, quella mancanza, avrebbe fatto gravare sul
nostro cuore.
“Cosa succede, Mu?!”
Dove avrà trovato il coraggio
di chiedermi direttamente qualcosa? Sento il suo disagio
anche se, rispetto al mio, è solo un alone appena percettibile. Io credo
che egli tema di avermi offeso con il suo tocco, mentre io non aspettavo altro
da lui… ma non so assolutamente come dirgli di non
lasciare mai più la mia spalla, di continuare a stringermi solo per mantenere
intonso questo contatto per me così importante e quasi vitale.
Non so cosa rispondere alla sua domanda se non con
una scrollata di spalle.
“Nulla, credo che non stia per succedere nulla…
allora, ti preparo la tisana?”
Sospira e intanto mi lascia e io volto lo sguardo
verso l’altra stanza dove spero di poter fuggire presto, ma intanto il tremito
delle mie membra si accentua, anche se impercettibilmente. Non voglio sentire
la sua mano lontana dalla mia spalla, non voglio neppure immaginare cosa
sarebbe per noi stare per un po’ di tempo distanti…
“Sarei felice di assaggiare una delle tue splendide
tisane conosciute in tutta
Quando mi allontano egli rimane
al centro della stanza quasi abbandonato. Le mie sensazioni, i miei sentimenti mi stanno vietando di essere un buon padrone
di casa, non so cosa dirgli per metterlo a suo agio, non so cosa fare per non
fargli sentire il mio tremore, la mia incertezza, la mia paura…
L’unica azione che vedo
come liberatoria è l’allontanamento. La fuga è il gesto della disperazione…
ma è un gesto tanto positivo per la mia sanità mentale da essere del
tutto necessario, mentre le mie mani si affrettano, tremolando, nel mescere
insieme i fiori secchi, nel mescolarli con l’acqua calda e la buona riuscita
dell’infusione.
Guardando i piccoli fiori che scompaiono
nell’acqua, colorandola e profumandola, mi sento un po’ come loro… sciolto in
una brodaglia di passioni contrastanti, che mi rendono solo nervoso e
abbacchiato. Qualcosa sta per accadere. Lo leggo nei fiori in infusione, lo
scorgo nel loro colorare l’acqua di un giallo rosato…
Stasera avremo una visita, lo
sento.
Stranamente, mentre guardo il liquido che stinge
velocemente, sento un tremito lungo la schiena e, attraverso la superficie a specchio
del contenuto odoroso vedo il riflesso di un profilo
troppo caro per essere dimenticato… il mio maestro sembra sorridermi da quella
pozza di ricordi.
Mi sembra che il tempo sia passato troppo
velocemente. Infatti dopo pochissimi minuti mi ritrovo
ancora faccia a faccia con il mio amico che, paziente, mi attende nella stessa
stanza in cui l’avevo abbandonato poco prima. Stringo le mani intorno ad un
vassoio di legno, regalo di un amico così come la teiera e le tazze di
porcellana.
Dopotutto la modernità si mesce perfettamente alla
staticità temporale del Santuario, soprattutto in queste silenziose comunioni
tra piccole opere d’arte quali che possono essere gli oggetti di artigianato moderno, bagnati di antichità, e le strutture
architettoniche effettivamente antiche, sparse in tutta
Rivederlo di nuovo mi riempie il cuore di emozioni turbinanti, queste emozioni che devo far tacere
così, quasi come se le quattro mura che ci circondano non riuscissero a
contenere questo caos interiore che mi ritrovo a fronteggiare; come se mi
sentissi soffocare dall’opprimente senso di chiuso del mio tempio, lo invito ad
uscire fuori, nel piccolo giardino che cresce, silenzioso, nel retro della
prima casa.
Molti dei templi hanno un piccolo universo verde,
spesso dedicato alla meditazione, coltivato e amato dal custode assegnato. Il
mio è solo una macchiolina rispetto alla suprema bellezza dei giardini degli
alberi di Sala della Sesta Casa, ma è la mia oasi di
pace ed è lì che tento di ritrovare la tranquillità, precedendo il mio
silenzioso amico per questa piccola riunione piacevole, almeno spero.
Ci sediamo sotto un albero pieno
di foglie verdi e lussureggianti, intorno a noi l’aria è quasi fresca e
piacevole. Penso ai fiori e alle illusioni che la primavera porta, l’illusione della vita tutta rosea, l’illusione che tutto vada
assolutamente bene in questo mondo: un pianeta che, stranamente, appare tondo.
Egli è seduto al mio fianco, lo
guardo appena. Ho paura di dare troppo nell’occhio con le mie bizzarre emozioni
contrastanti. Siamo sulla stessa panca
di pietra, vorrei avvicinarmi, ma in realtà lo scaccio con il pensiero perché
vorrei salvarlo da me stesso…
Afferro così una tazza, mentre lo osservo fare lo
stesso … siamo in silenzio, paurosamente muti … cosa
starà pensando di me e del mio strano comportamento? Sospiro un poco,
nascondendo il mio gemito liberatorio nei vapori profumati che si alzano dal
liquido caldo.
Una tisana… ironico è sorseggiare una tisana di
fronte ad un vecchio amico, soprattutto se è una tisana rilassante e, colui che ha la fama di essere l’uomo più calmo del
Santuario, non dovrebbe rischiare simili cadute di stile. La personificazione
della pacatezza non può gingillarsi in simili debolezze.
Per un attimo, quindi, sono irretito da una paura
incontrastabile e, temendo di essere scoperto, riposo la tazza di porcellana,
regalo di Shaka, sul tavolo.
Il mio nervosismo non cessa, anzi continua ad
accentuare il mio essere insolitamente strano; Aldebaran, il
mio caro amico montagna, appare molto imbarazzato. Sono
uno stupido… non smetterò mai di ripetermelo.
“Ha percepito il mio malessere e non sa come
reagire…” dico a me stesso “Sei goffo, Mu di Aries, e
non te ne rendi conto con chiarezza: non vedi la tazza tormentata dalle tue
dita?” e, quasi facendo da eco ai miei pensieri, il mio sguardo segue i
movimenti nevrotici delle mie dita tormentatrici.
“Mu…” la sua voce, cosa mi scuote dentro? Mi sembra pesantemente sussurrata, assurdamente angosciata ed è
colpa mia! Non voglio sentirla così triste… vorrei
un sorriso!
“Sì?!” rispondo, temendo
ad ogni parola di essere scoperto.
La sua mano, immensa, si allunga verso di me. Siamo
seduti a pochi centimetri di distanza, ma sembriamo tremendamente distanti ed è
tutta colpa del mio tentativo disperato di schermare i sentimenti.
Le sue dita tozze mi sfiorano l’orecchio.
“La bellezza cerca la bellezza…”
Una simile frase da adulatore mi fa sgranare gli
occhi e, ancora di più, quando osservo la foglia larga e chiara, quasi rosata,
affogata nel suo palmo abbronzato. Uno dei “petali” dei
mitici giardini di Sala, gli alberi che sorgono nei pressi del sesto tempio:
gli alberi del Buddah.
I miei sentimenti, complessi e variegati, come se
fossero passati attraverso un caleidoscopio che ne ha dissociato e associato le
forme, sembrano meno prorompenti ora, quando lo
stupore si fa avanti sul mio viso, subito seguito da uno strano prurito agli
occhi, come se essi volessero solo versar lacrime.
“Cosa ci fa un petalo di Sala qui, al mio tempio?!”
Mentre i miei occhi incrociano quelli del mio
immenso am… amico, sento dentro di me una forte
incomprensione, mista alla certezza della sensazione di pezza bagnata che prova
un pupazzo quando cade nel fiume.
Sta veramente per succedere
qualcosa, a volte odio la mia abilità innata nel sentire a pelle le disgrazie.
Osserviamo ancora il fiore, insieme, fianco a fianco, ascoltando lo stormire delle fronde, un
uccellino che cinguetta su un ramo… il bruco che si nutre, rumoroso, il ronzio
dell’ape che cerca riparo. Il nostro udito arriva anche più lontano, galoppa in
altri lidi fino al mare che sciaborda contro gli scogli a miglia e miglia di
distanza da qui.
Per un attimo ci sembra di udire persino la
modernità al limitare del Santo Mondo della Dea… ci sembra di poter ascoltare il
mitico rumore di fondo universale, eco della creazione
del nostro universo.
Per un attimo io torno indietro e cerco di
concentrarmi sugli elementi più fisici in prossimità del mio spirito segnato;
qualcosa sta cambiando, ma cosa?!
Ci guardiamo di nuovo, io e Aldebaran, ci
osserviamo e i miei occhi si fanno ancora più grandi. Sto ascoltando il mio cuore mentre mi spingo avanti, afferro la sua mano che
ancora stringe il petalo, mi avvicino tanto da sfiorare con la bocca la sua
guancia, mentre nella mobilità del cosmo noi siamo le uniche statue immobili e,
per un attimo, siamo il centro di questo Universo infinito e quindi,
paradossalmente, senza un centro.
Shaka mi ripeteva spesso un vecchio detto della sua
terra: “Se un albero cade nella foresta, qual è il suo rumore? La risposta è
semplice e impossibile da capire: come fa ad esistere il rumore, se non vi è
nessuno lì ad udirlo?!”
Così deve rimanere il mio amore: come un albero
nella foresta che tu non esplorerai mai.
Per un secondo la confusione mi assale: cosa ho
fatto?! Il tremore della mia mano è talmente
fastidioso che devo staccarmi velocemente da lui, dal mio caldo compagno e
dalle sue braccia rassicuranti… come posso rimanerti vicino dopo averti
sussurrato all’orecchio, stupidamente, queste parole?
E’ tutta colpa di questa orrenda
sensazione di precarietà che mi accartoccia le viscere.
Se questo è
l’ultimo sogno concessoci prima della fine, oh Dei, fate
per lo meno che duri a lungo… non chiedo in eterno perché il nostro dovere ci
chiama e non abbiamo il diritto di smarrirci per sempre in un limbo di pace… ma
non farmi risvegliare subito… e lascia sognare, ancora per un po’, anche lui
perché i suoi occhi sono quelli di un innocente e sognante bambino, confuso per
avere appena commesso una marachella.
Ma quale effetto ha avuto su di me
questa monelleria, amico dallo sguardo di bosco, non lo puoi
neanche immaginare! Forse mi prendi in giro… ma no… so
riconoscere i tuoi occhi quando trasudano sincerità e spavento… spavento per
qualcosa di troppo più grande di te e me messi insieme, forse ancora più grande
di quello che dovremo affrontare tra poco.
E io rimango
immobile, una parola a fior di labbra destinata a rimanere prigioniera del
sacro terrore che mi sta dilaniando la mente; perché poi? Dovrebbe essere un
momento così bello questo, dovrebbe essere l’avverarsi definitivo di ogni mio sogno eppure proprio questo è il punto: un sogno
può fare tanto, troppo male quando sai che devi risvegliarti e precipitare in
un incubo.
Il contrasto tra ciò che è e ciò che
sarà è stridente come l’acciaio che cozza contro una pietra, fa male alle
orecchie, ad ogni senso, tanto che ci si vorrebbe rannicchiare su se stessi e
annullar tutti i sensi, uno ad uno, renderli come morti e mutarsi in vegetale;
solo questo renderebbe più facile accettare la fine di una storia nata con noi…
la fine della nostra storia, di noi, sacri guerrieri di Athena
vissuti in quest’epoca.
Un’epoca che finisce è più struggente di ogni singolo lutto perché, in un certo senso, è una sorta
di lutto cosmico che tutto soffoca e distrugge.
Sono troppo pessimista mi diresti tu, o
angelo biondo che sei sempre stato, per me, una sorta di guida spirituale,
perché la morte non è mai la fine di tutto e da essa
nasce sempre qualcosa; ma al tempo stesso sono sicuro che ora non sarebbero
questi i tuoi pensieri, perché ti senti male anche tu e darei non so che cosa
per alleviare il peso che ti porti dentro e prenderlo tutto sulle mie spalle,
perché tu meriti di mantenere integra la tua avvolgente serenità fino all’ultimo
istante… ma come fare? Siamo giovani… troppo… e solo adesso
questa nostra giovinezza ci pesa a tal punto da renderci così difficile
il pensiero di doverla lasciare.
Adesso sarebbe mio
compito avvicinarmi a te, rassicurarti, come tu hai sempre fatto con me,
te lo devo, perché non c’è niente di male in quello che hai fatto… che hai
detto…
Solo che ho paura… sì… terrore puro di avere capito male e di sbagliare tutto, di blaterare cose
che per te in realtà non hanno logica alcuna; forse hai detto tutt’altro e il
mio inconfessabile desiderio ha voluto ascoltare quello che credo di avere
udito… forse il senso di ciò che mi hai sussurrato è tutt’altro o forse,
semplicemente, non ti sei neanche avvicinato a me, le tue labbra non mi hanno
davvero sfiorato la guancia, le mie orecchie non hanno udito quella piccola
manciata di parole che disperatamente desidero di avere udito! Se dopotutto
questo è un sogno, in esso accade ciò che ho in realtà
sempre sognato, non è così? Ma proprio perché è sogno,
allora ciò che accade al suo interno è, almeno per la durata del sogno stesso,
meravigliosamente reale, per quanto illusorio ed effimero.
Mi guardi, in
attesa; cosa ti aspetti da me, adesso? Forse ogni cosa che dirò andrà bene in
virtù dell’irrealtà nella quale siamo immersi perché ogni cosa possiamo trasformare e far evolvere a nostro piacimento.
Ma non possiamo mutare il destino che ci
aspetta alla fine di questo percorso, un destino che sembra, ormai,
terribilmente prossimo, lo dicono questi petali che danzano soavemente intorno
a noi, come creature scese a celebrarci per qualche strano motivo, ad invitarci
a scrivere il nostro testamento, un santo presagio che
sta prendendo corpo lassù, nel luogo da cui essi provengono. Sta già pensando,
il custode della Sesta Casa, al suo testamento? Dovremmo farlo anche noi? Sono
forse un invito a riflettere su questo tali leggiadri
messaggeri del vento?
Un petalo volteggia davanti al tuo viso,
rompendo con ferma volontà il momento di sospensione e, quando è passato, tu
stai sorridendo… il sorriso si muta in risolino leggero, una di quelle tue
buffe espressioni che in un altro momento incornicerebbe
con grazia una tua battuta o un tuo lazzo ai danni dell’ignara vittima di un
folletto quale sai diventare. Invece ora non mi sfugge il
nervosismo di questa risata, la forzatura con la quale vuoi mascherare una
paura segreta ma che per me più segreta non è.
“Ti prego di scusarmi io… non so cosa mi
è preso… è che… scusa…”
Farfugliando in un modo disordinato che
non ti appartiene, ti alzi tentando di darmi le spalle, di celare la tua
confusione ai miei occhi e in quel momento non so che accade al mio corpo, una
scossa elettrica che gli impone di agire al di fuori del mio controllo;
l’istante dopo vedo la mia mano enorme stretta intorno
al tuo avambraccio, un pugno grosso e goffo che afferra malamente un fuscello
rischiando di spezzarlo. Ma non ti spezzerai per così
poco, lo so, è pura vergogna la mia, per ciò che sto compiendo, perché mi
sembra di dissacrare, in tal modo, quella tua carne così bianca e pura… sacra…
Le mie dita si aprono, precipitosamente,
come se si fossero scottate e vorrei morire quando
scorgo le impronte rossastre che la mia innocente aggressività ha lasciato
sulla tua pelle… come ho potuto? Anche con le migliori
intenzioni ogni mio tocco è pericoloso e privo di delicatezza.
Pensavo avresti semplicemente ripreso a
camminare per allontanarti e invece resti fermo, una
statua di marmo della quale scorgo solo la schiena, le membra irrigidite in un
passo morto sul nascere; un alito di vento, sicuramente più gentile di me,
accarezza i tuoi capelli, scompigliandoli un po’ mentre i petali ancora
turbinano intorno alla tua figura eretta.
Perché questa
tempesta di petali? Non ha sosta, passano di qui e si innalzano
ancor più nel cielo, per scomparire, chissà dove; forse anche i cuccioli di
bronzo li potranno osservare, tra poco, dall’altra parte del mondo? Saranno
abbastanza veloci da giungere da loro in tempo?
Non comprendo il senso di questa mia
domanda, perché mi sembra così importante, così urgente… è inutile in fondo…
loro non combatteranno al nostro fianco, non vogliamo, Athena non vuole e improvvisamente mi chiedo se sia giusto: significa
proteggerli o ferirli profondamente, umiliarli?
Al loro posto cosa faremmo noi?
Accetteremmo una simile eventualità? La risposta che mi sale improvvisa alla mente mi sconcerta e mi terrorizza perché vorrei prenderti e
portarti via, al sicuro, rifugiarci tra i tuoi monti e dimenticare tutto,
parlare finalmente di noi e confessarci ogni cosa, per poi vivere la nostra
storia, solo nostra, di noi due, ignari di tutto il resto.
Mi odieresti se sapessi questo, lo so,
io stesso mi odio e già l’istante successivo la
risposta è drasticamente mutata: ucciderei chiunque mi impedisse di combattere
la battaglia finale quando giungerà il momento e non oserei impedire a te di
combattere perché solo in ciò che sta per accadere, in ciò per cui siamo nati
si compie perfettamente il senso della nostra esistenza. Se così non fosse, noi
saremmo solo corpi senz’anima, non saremmo ciò che siamo
e non saremmo, ora, qui, immersi in quest’amalgama di incanto e di angoscia che
ci rende tuttavia così speciali… forse non ti amerei neanche, forse tu non
ameresti… me… l’hai detto veramente? E torniamo a
quelle piccole, complicate parole a causa delle quali tu vorresti fuggire e io
vorrei trattenerti, per sentirmele ripetere ancora e ancora, fino alla fine dei
giorni, anche quando saremo polvere… tra poco…
Fulmineamente ti volti e io affogo,
nelle distese sconfinate dei tuoi occhi; sembri più sicuro adesso, in qualche
modo nuovamente te stesso ma cresciuto, ancor più saggio di quanto già eri,
malinconicamente, dolorosamente saggio. Fai un passo e ti chini, lentamente,
con mosse studiate, inginocchiandoti ancora davanti a me e le tue mani cercano
una delle mie, racchiudendola nella coppa preziosa delle tue dita che tuttavia
non riescono a imprigionarla del tutto, troppo piccole
e fini per una così grossolana propaggine.
“Non abbiamo tempo…” canta la tua voce
accompagnata dal vento “perché giocare a fare gli stupidi? Perché
perderci in paure che non hanno ragione d’essere?”
Le tue ciglia lunghissime si stringono
appena, un’intensa riflessione guida adesso il tuo animo, è così evidente e io
non so se perdermi in queste tue espressioni da creatura fatata o nella
sensazione che mi danno le tue mani sulla mia… sono
fredde e sudate ma così inebriante il loro contatto con la mia pelle.
Si riaprono i tuoi occhi e cercano i
miei; come puoi chiedermi di sostenere la loro luce, amico mio? Eppure non te lo posso negare.
“Solo una cosa ti chiedo… Aldebaran…” il
mio nome pronunciato dalle tue labbra mai mi è sembrato un suono tanto
gradevole “mi odi per ciò che ho detto? Solo questo voglio sapere…”
“Come puoi…” deglutisco
mentre tento di rispondere a precipizio, rischiando di strozzarmi con le
mie stesse parole che si accavallano l’una sull’altra; mi impongo la calma e
disperatamente annaspo, per raccogliere il fiato necessario “come puoi pensare
una cosa del genere, io….”
Una tua mano si solleva, due dita si
posano, teneramente, sulle mie labbra; annuisci, profondamente assorto:
“Va bene così, non aggiungere altro, ti prego… non ora…”
E quando?
Quando potrò dirti che ti amo anch’io? Quando metri di terra saranno gettati sopra i nostri corpi
inerti? Perché non vuoi sentirmelo dire, cosa temi
ancora? Hai forse cambiato idea e vorresti rimangiarti
tutto?
Mi stai ancora guardando, vorresti
ancora parlare tu stesso, cosa ti fa tacere?
“Perdonami, Aldebaran…”
Ripeti ancora
il mio nome, ripetilo all’infinito, non smettere mai…
“Aldebaran… non so spiegarmelo
ma… le parole mi fanno troppa paura adesso…”
“Anche se
potrebbero essere le ultime che pronunceremo, anche se non potremo mai più
scambiarcene altre?”
Un lampo d’angoscia nei tuoi occhi, un
lato di te che solo oggi sto imparando a conoscere:
“Io vorrei… che di parole non ci fosse
più alcun bisogno… proprio perché così poco ci rimane…”
Una nota incrinata giunge alle mie
orecchie; vorresti piangere, amico mio, perché non lo
fai? Sono pronto a stringerti a me, se vorrai concedermelo.
Qualcosa all’improvviso assale feroce i
miei sensi, ciò che probabilmente, lo vedo dai tuoi
occhi che si aprono in tutta la loro ampiezza, hai percepito anche tu; ti
stacchi da me e ti sollevi, guardandoti intorno… il ragazzo impaurito ha
lasciato posto, nuovamente, al santo di Athena.
“Loro… arriveranno presto, abbiamo dei
compiti da assolvere, dopo… dopo forse...”
Mentre
sussurri gravemente questa sentenza che suona come la nostra condanna, nello
stesso istante l’ho pensato anche io… arriveranno presto e io non sono al mio
posto…
Con un sospiro mi alzo e sono al tuo
fianco; ti passo accanto, la mia mano sfiora la tua ma
non oso dire più nulla. So cosa devo fare adesso… raggiungere
Che Athena sia con te, fratello d’arme,
che sia con me, con noi tutti… vorrei poter almeno combattere al tuo fianco ma non ci è concesso.
“Aldebaran!”
Mi irrigidisco…
no Mu… non costringermi a voltarmi, stavolta non riuscirei a fermare i miei
desideri di fronte alla consapevolezza del nostro nulla personale …
Non ti guardo, Mu, sollevo una mano e a
testa alta ti lascio, che tu possa perdonarmi e addio perché lo so… in questa
vita non ci vedremo più.
“Le mie parole, facevano parte di una
confessione autentica...” confessa
ancora e io sorrido dentro, mentre allentandomi affermo:
“Come sempre, sei il più coraggioso tra
noi...”
Attendo… è questione di tempo, ne sono
consapevole e nel frattempo voglio vivere, immergermi nella vita che in queste
ultime ore è esplosa in tutta la sua sensuale bellezza intorno a me. Mi siedo sulla scalinata alla soglia del mio tempio e,
sorridendo, scruto il fiore che la piccola Europa mi ha donato. Non avrò neanche il tempo di darle l’ultimo saluto, mi dispiace…
chiederà di me? Probabilmente, ma chi potrà risponderle se tutti noi saremo
scomparsi?
E’ anche e soprattutto per le persone
come lei che io ora sorrido al pensiero di ciò che mi aspetta, perché per loro
farò in modo che l’alba sulla Terra sorga ancora e per sempre!
Questo fiore, gioiello dai petali viola,
fa davvero uno strano effetto tra le mie dita; non si direbbe
che esse siano capaci di tenere un fiore senza spezzarlo, senza ucciderlo…
Sono passate ore ma
lui è ancora bello, vivo, non avvizzisce, sembra un miracolo; lo guardo come
guarderei lei se l’avessi al mio fianco… come guarderei Mu, adesso che so,
adesso che avrei il coraggio di dirgli tante cose, proprio adesso che il tempo
fugge, crudele, spietato.
Ma nel
frattempo non voglio pensare a niente e solo questo fiore che rigiro senza
sosta diviene il mio universo, nel quale mi perdo e contemplo sogni e memorie;
tutto il resto è distante e silenzioso, la morte è distante, non esiste in
questo mondo che ha rapito i miei sensi e il mio cuore. Illudersi è bello, voglio
farlo fino all’ultimo istante, all’ultimo mio sospiro che la mia amata Terra
vedrà e poi sarò felice perché ce l’avremo fatta e
La morte che mi colpisce alle spalle, la
morte che mi strappa il fiore dalle mani, Europa che grida, in quel fiore
ferito si cela la sua anima e lei è stata colpita con me; non soffrire, perché
i miei compagni ed io ti permetteremo di vivere ancora
e io vivrò in te, fai solo in modo che noi non veniamo dimenticati, incidi il
nostro ricordo sul libro delle memorie universali e io sarò felice.
Con le mie forze residue farò in modo di
fermarti, tu che hai osato macchiare, con la tua sola presenza, la purezza del
mio mondo, di tutto ciò che mi appartiene e quando il mio Mu sarà qui… perché
verrà… tra poco giungerà tra queste mura… quando sarà
qui, da te non avrà nulla da temere, né lui, né nessun altro dei miei compagni!
Almeno da te li proteggerò e il mio corpo resterà a baluardo della Seconda
Casa, a fare da scudo contro ogni influsso malvagio che vorrà tentare ancora di
violarla…
Vieni, allargo queste mie braccia e ti attendo, nel mio abbraccio mortale!
Apro
la mia mano e libero una scintilla di cosmo; il lucore all’orizzonte è così
fioco, come questa piccola fiammella bianca. Non riesco a smettere di piangere,
ma con questa bocca posso infine parlare e sussurrare un grazie che si perde in questa fresca notte spettrale.
Intanto
le mie parole riempiono l’aria dove ti libero, dove libero ciò che sei stato… e la mia anima si perde seguendo la scia che
torna all’Universo Padre che tutto comprende, il tuo luccichio sale al cielo
volteggiando piano, seguendo complessi ghirigori nell’aria carica.
Abbiamo
avuto il nostro tempo, lo abbiamo sprecato per non dirci nulla, pur avendo
entrambi un forte bisogno di amore ricambiato.
“Al...
de... ba... ran... perché?”