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Autore: PerseoeAndromeda    16/02/2009    1 recensioni
E se il mandorlo si riveste di un manto serico di petali che vengono accarezzati dal vento furtivo, già si sente la decadenza che porterà i frutti… e già le sue mandorle dorate cadono sotto le mani giocose dei bambini che maneggiano pietre... Inizio e fine in un balletto continuo... E tu, al di sopra di tutto, mi guardi con i tuoi occhi dolci, quei due specchi graziosi su un animo nobile e dedito alla Dea, quel volto fiero di colui che sa essere tenero con gli uomini, ma duro contro i nemici di Athena. Sospiro...
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aries Mu, Taurus Aldebaran
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Commosso, egli la guarda

Ci tengo a dire che questa fanfic non è scritta unicamente da me ma in coppia con il mio tesoro, Aphrodite di Pisces^^

Le parti in cui parla Mu sono sue, quelle di Alde mie^^

So che questa non è una coppia molto amata ma da parte nostra è più che plausibile, quindi vogliamo semplicemente mostrare qual è la nostra interpretazione ed è assolutamente innocente, lo shonen ai è puramente accennato, solo per un piccolo particolare, per il resto potrebbe anche essere la storia di una bella amicizia… diciamo che a un certo punto il rapporto si mostra un po’ più chiaramente ma, ripeto, niente di esplicito, credo possano leggerla tranquillamente tutti^^

 

 

 

SFIORARSI E MAI TOCCARSI

 

 

 

 

Commosso, egli la guarda.. e la bambina ride.

Quanta gente può rendersi conto della dolcezza di quest'uomo così grande e forte? Una bimba e un gigante... e io lì a guardarli.

Egli si volta... mi sorride. Perché proprio a me?

Non siamo che tre vecchi amici che passeggiano... io, da poco tornato al Santuario, chiedo notizie degli ultimi eventi, dopo la mia partenza e ritorno dal Pamir... dopo la mia fuga...

Fuga da un amore che non riesco a reprimere, fuga da un uomo che mi ossessiona, fuga da un sentimento dolce che permea ogni minima parte di questo cuore di persona e non di Santo di Athena.

Eppure egli non si accorge di me, mentre riempie con la sua figura la mia essenza.

Aiolia non nota minimamente il mio rossore delicato su una pelle di carne stinta, cosa potrebbe pensare di me? Uno dei più potenti esseri umani... uno dei più forti Santi...

"Se potessimo mettere un fiore su ogni tomba di cavaliere morto in questa prima, stupida guerra... questo campo così bello sarebbe privato per sempre della bellezza e dei colori vivaci che queste corolle rugiadose porgono..." la sua voce baritonale mi lascia a fremere, in questa cassa dorata che mi ricorda quanto non posso amare, perché il mio amore dovrebbe essere solo per la Dea...

La bambina si allontana da noi, saltellando... innocente. Le gambe bianco latte vengono frustate con leggerezza dall'erba alta... sembra una libellula su uno stagno in cui si rispecchia l'arcobaleno... si chiama Europa, la sorellina adottata dal mio caro amico.

Aiolia, sempre distaccato, comincia a prendere la via per il Santuario, pieno di angosce e paure umane... pieno di ricordi, forse, legati a quel fratello che perse, giovane: "Come sei poetico..." afferma, con una punta di sarcasmo "Ogni lotta è necessaria, se è la Dea che la vuole... e poi non penso che ogni cavaliere d'oro e d'argento morti in quella guerra meritassero un fiore... forse meritavano più spine pungenti nella tomba, vermi brulicanti ... e piccoli mammiferi affamati di carne e sangue..."

Lo vedo, ti vedo... aggrondi le sopracciglia folte... cosa pensi di queste parole?

Io penso che Aiolia stia esagerando... penso che non abbia alcun diritto di disprezzare la vita umana ..

Io penso che quando la sofferenza rende acidi i cuori... allora quei cuori possono considerarsi sconfitti... e tu la pensi come me... perché ti volti ancora a sorridermi e non fermi lui che si allontana?

Silenzio tra noi... il vento scompiglia i capelli di entrambi... io sorrido di rimando, complice dei pensieri delicati che sono solo nostri ..

Forse ti amo... mentre stringi quel fiore tra le mani mettendo a nudo la tua vera natura di fronte a me... forse ti amerò sempre, pensandoti così: semplice, umano... a portata del mio cuore che trema...

Io sorrido... eppure vorrei solo poter parlare con sincerità.

Ma il mio occhio guarda e la mia bocca tace.

 

Ascolto e penso... una sensazione di morte. Tutto finisce… tutto ha inizio… quando la primavera si riempie di fiori e zolle erbose, comincia il declino del bucaneve...

E se il mandorlo si riveste di un manto serico di petali che vengono accarezzati dal vento furtivo, già si sente la decadenza che porterà i frutti… e già le sue mandorle dorate cadono sotto le mani giocose dei bambini che maneggiano pietre...

Inizio e fine in un balletto continuo...

E tu, al di sopra di tutto, mi guardi con i tuoi occhi dolci, quei due specchi graziosi su un animo nobile e dedito alla Dea, quel volto fiero di colui che sa essere tenero con gli uomini, ma duro contro i nemici di Athena.

Sospiro...

La tenda si muove al vento, lascia dietro di sé tanti colori brumosi, grigio perla e bianco latte... i raggi di sole vengono filtrati e sembrano avere consistenza irreale.

Sono qui, teso, l'armatura chiusa nel Cloth, serrata bene!

Coperto solo da una tunica leggera, non sopporto questo caldo soffocante che mi opprime e mi fa respirare male. Mi sento così sconsolatamente solo!

Siamo ancora in stato di allerta... avrei dovuto mantenere indosso le sacre vestigia di Aries, ma oggi mi pesano più del solito.

Sono stanco… assonnato… triste… depresso… consapevole di poter fare tutto fuorché essere sincero.

Seduto di fronte alla mia scrivania in legno, poggio le braccia conserte sul tavolo e sfioro con il mento il mio avambraccio destro. Osservo i pochi libri che ho sul ripiano. Non leggo i titoli, li tocco, leggero, solo con lo sguardo.

Potrei passare il tempo così ... potrei aprirne uno e cercare di non pensare al Santuario, ai nostri problemi... alla minaccia fantasma o al fantasma minaccioso...

Sorrido a me stesso, alla mia anima speranzosa: "Chi credi di imbrogliare, Mu di Aries? Pensi veramente che uno come te possa sopportare anche questa ennesima lotta? Non ti senti indebolire di fronte alla prorompente invasione incognita, alla sensazione di perdita delle coordinate che trasmette il nemico perennemente nascosto... oh, Aries... dammi la forza, ti prego! Io non sono degno di..."

Una voce, virile e potente. Parole confortanti:

"Che Athena non voglia mai che un cavaliere come te perda la speranza!"

Aldebaran... e tu, al di sopra di tutto, sei la mia unica certezza.

 

Che ti succede, mio dolce santo dagli occhi di bosco? Se ci abbandoni tu, in questo momento di incertezza nel quale più nessuno di noi sa realmente cosa prova il proprio cuore, chi riuscirà realmente ad arrivare fino in fondo alla strada che ci aspetta?

Moriremo… questo ti angustia? Sì, è vero, è probabile… è quasi certo…

Perdere, vincere, non cambierà nulla per noi, qualunque cosa accada, noi non saremo lì per piangerne, o gioirne; le lacrime o il sorriso di altri saluteranno l’esito della nostra battaglia.

E allora? Lo sapevamo… fin da quando siamo nati, fin dal primo istante che possa essere raggiunto dai nostri ricordi d’infanzia… Perché quest’angoscia, amico dall’intrepido cuore? A che serve angosciarsi su ciò che è risaputo, su ciò per cui ci siamo preparati nell’arco di tutta una vita?

Eppure cosa potrei mai rimproverarti se io stesso mi sento tutt’altro che pronto? Ti rimprovero mentalmente perché voglio che almeno tu sia pronto; se crolli tu, chi potrebbe rimanere in piedi fino al momento del bisogno? Non certo io, colossale torre dalle fragili fondamenta, io che parlo con voce grossa, che incedo pesantemente abbattendo gli ostacoli davanti a me come il toro che scalpita tra le stelle… io non sono nulla, o meglio, io sono qualcosa solo finché tu sei lì a darmi un senso e se in te non trovassi la guida sicura, come potrei andare avanti, io?

Riderei per il mio infantile egoismo se non significasse dissacrare, con queste mie rozze attitudini, le mura che ti avvolgono impregnandosi della tua delicatezza, amico mio.

Cerco di avanzare solenne fino alle tue spalle mentre tu, al suono della mia voce, ti volti, restando seduto, sollevi lo sguardo e mi sembri così piccolo, laggiù, dall’immensità della mia altezza… ma mi basta perdermi un attimo in questi occhi e immediatamente i ruoli si invertono e io divengo minuscolo e insignificante al tuo cospetto, principe che illumini il mio spirito debole e rozzo, che mai potrà aspirare alla tua conoscenza suprema del tutto spirituale.

Mi sorridi e ti alzi, invitandomi con un cenno a prendere posto, mentre le tue morbide labbra formulano parole di pura convenienza:

“Accomodati pure, vado a prendere qualcosa da bere… una tisana?”

Mentre mi dai le spalle, mi sembra quasi che la tua sia una fuga, per sfuggire almeno momentaneamente al mio sguardo; non vuoi mostrarmi ciò che già ho intravisto nei tuoi limpidi occhi? Per questo ti nascondi dietro ad una maschera di cortese e costruita formalità che tra noi non dovrebbe più avere senso da un pezzo?

Troppo tardi, Mu di Aries, ti ho scoperto e ho visto la tua paura, ma di me non ti devi vergognare, lo dovresti ormai sapere… mi sono mai vergognato, io, di fronte a te? A parte quel piccolo, grande segreto inconfessabile, di quello sì che mi vergogno… ma per il resto, le mie debolezze te le ho sempre svelate, ponendole sui palmi delle tue mani pronte a ricevere i problemi altrui e a trovare una risposta, saggia, a volte velata di quell’ironia discreta che non pesa, proprio perché da te sapientemente dosata.

Il mio braccio enorme e goffo si solleva, resta fermo un attimo al di sopra di te, titubante al solo pensiero di sfiorarti… poi si abbassa, finché la mia mano si posa sulla tua spalla; mi sento come un contadino sporco di letame che ha appena osato toccare le vesti candide e profumate di un principe, so che sto esagerando con tali assurdità che mi vengono in mente ma non posso farne a meno, perché questa mia mente se ne va da sola per i fatti suoi.

Ti blocchi di colpo, rigido… e non mi sfugge il tuo tremore, la tensione dei tuoi nervi; e nonostante tutto l’egoismo che non so accantonare, ora mi sento di poter essere io, almeno per un po’, il tuo sostegno, se solo mi permetterai di farlo.

 

Tremare non è da me. Ho sempre avuto tutto sotto controllo… ogni mia sensazione involontaria per me deve sempre essere considerata di troppo, questo mi ha insegnato il mio maestro e, anche per rispetto alla sua memoria, dovrei sempre tenere care queste sue perle di saggezza.

“Trattieni ogni tuo timore soprattutto di fronte ai nemici che, orgogliosi, si presenteranno al tuo cospetto per portarti guerra o per avanzare pretese…” così recitava spesso il sommo Sion di cui ormai sento la mancanza come un figlio la proverebbe per un padre nato generale, morto quasi ancora prima della nascita del suo bambino.

La voce di Aldebaran mi trascina lontano dai miei pensieri e, in cuor mio, lo ringrazio, ché è sempre doloroso ricordare chi non c’è più, chi ci ha lasciati quando eravamo troppo piccoli per comprendere il peso che, quella mancanza, avrebbe fatto gravare sul nostro cuore.

Cosa succede, Mu?!”

Dove avrà trovato il coraggio di chiedermi direttamente qualcosa? Sento il suo disagio anche se, rispetto al mio, è solo un alone appena percettibile. Io credo che egli tema di avermi offeso con il suo tocco, mentre io non aspettavo altro da lui… ma non so assolutamente come dirgli di non lasciare mai più la mia spalla, di continuare a stringermi solo per mantenere intonso questo contatto per me così importante e quasi vitale.

Non so cosa rispondere alla sua domanda se non con una scrollata di spalle.

“Nulla, credo che non stia per succedere nulla… allora, ti preparo la tisana?”

Sospira e intanto mi lascia e io volto lo sguardo verso l’altra stanza dove spero di poter fuggire presto, ma intanto il tremito delle mie membra si accentua, anche se impercettibilmente. Non voglio sentire la sua mano lontana dalla mia spalla, non voglio neppure immaginare cosa sarebbe per noi stare per un po’ di tempo distanti

“Sarei felice di assaggiare una delle tue splendide tisane conosciute in tutta la Terra Santa!” mi stai tirando su con il tuo sorriso e io ti sono silenziosamente grato.

Quando mi allontano egli rimane al centro della stanza quasi abbandonato. Le mie sensazioni, i miei sentimenti mi stanno vietando di essere un buon padrone di casa, non so cosa dirgli per metterlo a suo agio, non so cosa fare per non fargli sentire il mio tremore, la mia incertezza, la mia paura…

L’unica azione che vedo come liberatoria è l’allontanamento. La fuga è il gesto della disperazione… ma è un gesto tanto positivo per la mia sanità mentale da essere del tutto necessario, mentre le mie mani si affrettano, tremolando, nel mescere insieme i fiori secchi, nel mescolarli con l’acqua calda e la buona riuscita dell’infusione.

Guardando i piccoli fiori che scompaiono nell’acqua, colorandola e profumandola, mi sento un po’ come loro… sciolto in una brodaglia di passioni contrastanti, che mi rendono solo nervoso e abbacchiato. Qualcosa sta per accadere. Lo leggo nei fiori in infusione, lo scorgo nel loro colorare l’acqua di un giallo rosato… 

Stasera avremo una visita, lo sento.

Stranamente, mentre guardo il liquido che stinge velocemente, sento un tremito lungo la schiena e, attraverso la superficie a specchio del contenuto odoroso vedo il riflesso di un profilo troppo caro per essere dimenticato… il mio maestro sembra sorridermi da quella pozza di ricordi.

 

Mi sembra che il tempo sia passato troppo velocemente. Infatti dopo pochissimi minuti mi ritrovo ancora faccia a faccia con il mio amico che, paziente, mi attende nella stessa stanza in cui l’avevo abbandonato poco prima. Stringo le mani intorno ad un vassoio di legno, regalo di un amico così come la teiera e le tazze di porcellana.

Dopotutto la modernità si mesce perfettamente alla staticità temporale del Santuario, soprattutto in queste silenziose comunioni tra piccole opere d’arte quali che possono essere gli oggetti di artigianato moderno, bagnati di antichità, e le strutture architettoniche effettivamente antiche, sparse in tutta la Terra Santa.

Rivederlo di nuovo mi riempie il cuore di emozioni turbinanti, queste emozioni che devo far tacere così, quasi come se le quattro mura che ci circondano non riuscissero a contenere questo caos interiore che mi ritrovo a fronteggiare; come se mi sentissi soffocare dall’opprimente senso di chiuso del mio tempio, lo invito ad uscire fuori, nel piccolo giardino che cresce, silenzioso, nel retro della prima casa.

Molti dei templi hanno un piccolo universo verde, spesso dedicato alla meditazione, coltivato e amato dal custode assegnato. Il mio è solo una macchiolina rispetto alla suprema bellezza dei giardini degli alberi di Sala della Sesta Casa, ma è la mia oasi di pace ed è lì che tento di ritrovare la tranquillità, precedendo il mio silenzioso amico per questa piccola riunione piacevole, almeno spero.

Ci sediamo sotto un albero pieno di foglie verdi e lussureggianti, intorno a noi l’aria è quasi fresca e piacevole. Penso ai fiori e alle illusioni che la primavera porta, l’illusione della vita tutta rosea, l’illusione che tutto vada assolutamente bene in questo mondo: un pianeta che, stranamente, appare tondo.

Egli è seduto al mio fianco, lo guardo appena. Ho paura di dare troppo nell’occhio con le mie bizzarre emozioni contrastanti.  Siamo sulla stessa panca di pietra, vorrei avvicinarmi, ma in realtà lo scaccio con il pensiero perché vorrei salvarlo da me stesso…

Afferro così una tazza, mentre lo osservo fare lo stesso … siamo in silenzio, paurosamente muti … cosa starà pensando di me e del mio strano comportamento? Sospiro un poco, nascondendo il mio gemito liberatorio nei vapori profumati che si alzano dal liquido caldo.

Una tisana… ironico è sorseggiare una tisana di fronte ad un vecchio amico, soprattutto se è una tisana rilassante e, colui che ha la fama di essere l’uomo più calmo del Santuario, non dovrebbe rischiare simili cadute di stile. La personificazione della pacatezza non può gingillarsi in simili debolezze.

Per un attimo, quindi, sono irretito da una paura incontrastabile e, temendo di essere scoperto, riposo la tazza di porcellana, regalo di Shaka, sul tavolo.

Il mio nervosismo non cessa, anzi continua ad accentuare il mio essere insolitamente strano; Aldebaran, il mio caro amico montagna, appare molto imbarazzato. Sono uno stupido… non smetterò mai di ripetermelo.

“Ha percepito il mio malessere e non sa come reagire…” dico a me stesso “Sei goffo, Mu di Aries, e non te ne rendi conto con chiarezza: non vedi la tazza tormentata dalle tue dita?” e, quasi facendo da eco ai miei pensieri, il mio sguardo segue i movimenti nevrotici delle mie dita tormentatrici.

“Mu…” la sua voce, cosa mi scuote dentro? Mi sembra pesantemente sussurrata, assurdamente angosciata ed è colpa mia! Non voglio sentirla così triste… vorrei un sorriso!

“Sì?!” rispondo, temendo ad ogni parola di essere scoperto.

La sua mano, immensa, si allunga verso di me. Siamo seduti a pochi centimetri di distanza, ma sembriamo tremendamente distanti ed è tutta colpa del mio tentativo disperato di schermare i sentimenti.

Le sue dita tozze mi sfiorano l’orecchio.

“La bellezza cerca la bellezza…”

Una simile frase da adulatore mi fa sgranare gli occhi e, ancora di più, quando osservo la foglia larga e chiara, quasi rosata, affogata nel suo palmo abbronzato. Uno dei “petali” dei mitici giardini di Sala, gli alberi che sorgono nei pressi del sesto tempio: gli alberi del Buddah.

I miei sentimenti, complessi e variegati, come se fossero passati attraverso un caleidoscopio che ne ha dissociato e associato le forme, sembrano meno prorompenti ora, quando lo stupore si fa avanti sul mio viso, subito seguito da uno strano prurito agli occhi, come se essi volessero solo versar lacrime.

“Cosa ci fa un petalo di Sala qui, al mio tempio?!

Mentre i miei occhi incrociano quelli del mio immenso am… amico, sento dentro di me una forte incomprensione, mista alla certezza della sensazione di pezza bagnata che prova un pupazzo quando cade nel fiume.

Sta veramente per succedere qualcosa, a volte odio la mia abilità innata nel sentire a pelle le disgrazie.

Osserviamo ancora il fiore, insieme, fianco a fianco, ascoltando lo stormire delle fronde, un uccellino che cinguetta su un ramo… il bruco che si nutre, rumoroso, il ronzio dell’ape che cerca riparo. Il nostro udito arriva anche più lontano, galoppa in altri lidi fino al mare che sciaborda  contro gli scogli a miglia e miglia di distanza da qui.

Per un attimo ci sembra di udire persino la modernità al limitare del Santo Mondo della Dea… ci sembra di poter ascoltare il mitico rumore di fondo universale, eco della creazione del nostro universo.

Per un attimo io torno indietro e cerco di concentrarmi sugli elementi più fisici in prossimità del mio spirito segnato; qualcosa sta cambiando, ma cosa?!

Ci guardiamo di nuovo, io e Aldebaran, ci osserviamo e i miei occhi si fanno ancora più grandi. Sto ascoltando il mio cuore mentre mi spingo avanti, afferro la sua mano che ancora stringe il petalo, mi avvicino tanto da sfiorare con la bocca la sua guancia, mentre nella mobilità del cosmo noi siamo le uniche statue immobili e, per un attimo, siamo il centro di questo Universo infinito e quindi, paradossalmente, senza un centro.

Shaka mi ripeteva spesso un vecchio detto della sua terra: “Se un albero cade nella foresta, qual è il suo rumore? La risposta è semplice e impossibile da capire: come fa ad esistere il rumore, se non vi è nessuno lì ad udirlo?!

Così deve rimanere il mio amore: come un albero nella foresta che tu non esplorerai mai.

Per un secondo la confusione mi assale: cosa ho fatto?! Il tremore della mia mano è talmente fastidioso che devo staccarmi velocemente da lui, dal mio caldo compagno e dalle sue braccia rassicuranti… come posso rimanerti vicino dopo averti sussurrato all’orecchio, stupidamente, queste parole?

E’ tutta colpa di questa orrenda sensazione di precarietà che mi accartoccia le viscere.

 

Se questo è l’ultimo sogno concessoci prima della fine, oh Dei, fate per lo meno che duri a lungo… non chiedo in eterno perché il nostro dovere ci chiama e non abbiamo il diritto di smarrirci per sempre in un limbo di pace… ma non farmi risvegliare subito… e lascia sognare, ancora per un po’, anche lui perché i suoi occhi sono quelli di un innocente e sognante bambino, confuso per avere appena commesso una marachella.

Ma quale effetto ha avuto su di me questa monelleria, amico dallo sguardo di bosco, non lo puoi neanche immaginare! Forse mi prendi in giro… ma no… so riconoscere i tuoi occhi quando trasudano sincerità e spavento… spavento per qualcosa di troppo più grande di te e me messi insieme, forse ancora più grande di quello che dovremo affrontare tra poco.

E io rimango immobile, una parola a fior di labbra destinata a rimanere prigioniera del sacro terrore che mi sta dilaniando la mente; perché poi? Dovrebbe essere un momento così bello questo, dovrebbe essere l’avverarsi definitivo di ogni mio sogno eppure proprio questo è il punto: un sogno può fare tanto, troppo male quando sai che devi risvegliarti e precipitare in un incubo.

Il contrasto tra ciò che è e ciò che sarà è stridente come l’acciaio che cozza contro una pietra, fa male alle orecchie, ad ogni senso, tanto che ci si vorrebbe rannicchiare su se stessi e annullar tutti i sensi, uno ad uno, renderli come morti e mutarsi in vegetale; solo questo renderebbe più facile accettare la fine di una storia nata con noi… la fine della nostra storia, di noi, sacri guerrieri di Athena vissuti in quest’epoca.

Un’epoca che finisce è più struggente di ogni singolo lutto perché, in un certo senso, è una sorta di lutto cosmico che tutto soffoca e distrugge.

Sono troppo pessimista mi diresti tu, o angelo biondo che sei sempre stato, per me, una sorta di guida spirituale, perché la morte non è mai la fine di tutto e da essa nasce sempre qualcosa; ma al tempo stesso sono sicuro che ora non sarebbero questi i tuoi pensieri, perché ti senti male anche tu e darei non so che cosa per alleviare il peso che ti porti dentro e prenderlo tutto sulle mie spalle, perché tu meriti di mantenere integra la tua avvolgente serenità fino all’ultimo istante… ma come fare? Siamo giovani… troppo… e solo adesso questa nostra giovinezza ci pesa a tal punto da renderci così difficile il pensiero di doverla lasciare.

Adesso sarebbe mio compito avvicinarmi a te, rassicurarti, come tu hai sempre fatto con me, te lo devo, perché non c’è niente di male in quello che hai fatto… che hai detto…

Solo che ho paura… sì… terrore puro di avere capito male e di sbagliare tutto, di blaterare cose che per te in realtà non hanno logica alcuna; forse hai detto tutt’altro e il mio inconfessabile desiderio ha voluto ascoltare quello che credo di avere udito… forse il senso di ciò che mi hai sussurrato è tutt’altro o forse, semplicemente, non ti sei neanche avvicinato a me, le tue labbra non mi hanno davvero sfiorato la guancia, le mie orecchie non hanno udito quella piccola manciata di parole che disperatamente desidero di avere udito! Se dopotutto questo è un sogno, in esso accade ciò che ho in realtà sempre sognato, non è così? Ma proprio perché è sogno, allora ciò che accade al suo interno è, almeno per la durata del sogno stesso, meravigliosamente reale, per quanto illusorio ed effimero.

Mi guardi, in attesa; cosa ti aspetti da me, adesso? Forse ogni cosa che dirò andrà bene in virtù dell’irrealtà nella quale siamo immersi perché ogni cosa possiamo trasformare e far evolvere a nostro piacimento.

Ma non possiamo mutare il destino che ci aspetta alla fine di questo percorso, un destino che sembra, ormai, terribilmente prossimo, lo dicono questi petali che danzano soavemente intorno a noi, come creature scese a celebrarci per qualche strano motivo, ad invitarci a scrivere il nostro testamento, un santo presagio che sta prendendo corpo lassù, nel luogo da cui essi provengono. Sta già pensando, il custode della Sesta Casa, al suo testamento? Dovremmo farlo anche noi? Sono forse un invito a riflettere su questo tali leggiadri messaggeri del vento?

Un petalo volteggia davanti al tuo viso, rompendo con ferma volontà il momento di sospensione e, quando è passato, tu stai sorridendo… il sorriso si muta in risolino leggero, una di quelle tue buffe espressioni che in un altro momento incornicerebbe con grazia una tua battuta o un tuo lazzo ai danni dell’ignara vittima di un folletto quale sai diventare. Invece ora non mi sfugge il nervosismo di questa risata, la forzatura con la quale vuoi mascherare una paura segreta ma che per me più segreta non è.

“Ti prego di scusarmi io… non so cosa mi è preso… è che… scusa…”

Farfugliando in un modo disordinato che non ti appartiene, ti alzi tentando di darmi le spalle, di celare la tua confusione ai miei occhi e in quel momento non so che accade al mio corpo, una scossa elettrica che gli impone di agire al di fuori del mio controllo; l’istante dopo vedo la mia mano enorme stretta intorno al tuo avambraccio, un pugno grosso e goffo che afferra malamente un fuscello rischiando di spezzarlo. Ma non ti spezzerai per così poco, lo so, è pura vergogna la mia, per ciò che sto compiendo, perché mi sembra di dissacrare, in tal modo, quella tua carne così bianca e pura… sacra…

Le mie dita si aprono, precipitosamente, come se si fossero scottate e vorrei morire quando scorgo le impronte rossastre che la mia innocente aggressività ha lasciato sulla tua pelle… come ho potuto? Anche con le migliori intenzioni ogni mio tocco è pericoloso e privo di delicatezza.

Pensavo avresti semplicemente ripreso a camminare per allontanarti e invece resti fermo, una statua di marmo della quale scorgo solo la schiena, le membra irrigidite in un passo morto sul nascere; un alito di vento, sicuramente più gentile di me, accarezza i tuoi capelli, scompigliandoli un po’ mentre i petali ancora turbinano intorno alla tua figura eretta.

Perché questa tempesta di petali? Non ha sosta, passano di qui e si innalzano ancor più nel cielo, per scomparire, chissà dove; forse anche i cuccioli di bronzo li potranno osservare, tra poco, dall’altra parte del mondo? Saranno abbastanza veloci da giungere da loro in tempo?

Non comprendo il senso di questa mia domanda, perché mi sembra così importante, così urgente… è inutile in fondo… loro non combatteranno al nostro fianco, non vogliamo, Athena non vuole e improvvisamente mi chiedo se sia giusto: significa proteggerli o ferirli profondamente, umiliarli?

Al loro posto cosa faremmo noi? Accetteremmo una simile eventualità? La risposta che mi sale improvvisa alla mente mi sconcerta e mi terrorizza perché vorrei prenderti e portarti via, al sicuro, rifugiarci tra i tuoi monti e dimenticare tutto, parlare finalmente di noi e confessarci ogni cosa, per poi vivere la nostra storia, solo nostra, di noi due, ignari di tutto il resto.

Mi odieresti se sapessi questo, lo so, io stesso mi odio e già l’istante successivo la risposta è drasticamente mutata: ucciderei chiunque mi impedisse di combattere la battaglia finale quando giungerà il momento e non oserei impedire a te di combattere perché solo in ciò che sta per accadere, in ciò per cui siamo nati si compie perfettamente il senso della nostra esistenza. Se così non fosse, noi saremmo solo corpi senz’anima, non saremmo ciò che siamo e non saremmo, ora, qui, immersi in quest’amalgama di incanto e di angoscia che ci rende tuttavia così speciali… forse non ti amerei neanche, forse tu non ameresti… me… l’hai detto veramente? E torniamo a quelle piccole, complicate parole a causa delle quali tu vorresti fuggire e io vorrei trattenerti, per sentirmele ripetere ancora e ancora, fino alla fine dei giorni, anche quando saremo polvere… tra poco…

Fulmineamente ti volti e io affogo, nelle distese sconfinate dei tuoi occhi; sembri più sicuro adesso, in qualche modo nuovamente te stesso ma cresciuto, ancor più saggio di quanto già eri, malinconicamente, dolorosamente saggio. Fai un passo e ti chini, lentamente, con mosse studiate, inginocchiandoti ancora davanti a me e le tue mani cercano una delle mie, racchiudendola nella coppa preziosa delle tue dita che tuttavia non riescono a imprigionarla del tutto, troppo piccole e fini per una così grossolana propaggine.

“Non abbiamo tempo…” canta la tua voce accompagnata dal vento “perché giocare a fare gli stupidi? Perché perderci in paure che non hanno ragione d’essere?”

Le tue ciglia lunghissime si stringono appena, un’intensa riflessione guida adesso il tuo animo, è così evidente e io non so se perdermi in queste tue espressioni da creatura fatata o nella sensazione che mi danno le tue mani sulla mia… sono fredde e sudate ma così inebriante il loro contatto con la mia pelle.

Si riaprono i tuoi occhi e cercano i miei; come puoi chiedermi di sostenere la loro luce, amico mio? Eppure non te lo posso negare.

“Solo una cosa ti chiedo… Aldebaran…” il mio nome pronunciato dalle tue labbra mai mi è sembrato un suono tanto gradevole “mi odi per ciò che ho detto? Solo questo voglio sapere…”

“Come puoi…” deglutisco mentre tento di rispondere a precipizio, rischiando di strozzarmi con le mie stesse parole che si accavallano l’una sull’altra; mi impongo la calma e disperatamente annaspo, per raccogliere il fiato necessario “come puoi pensare una cosa del genere, io….”

Una tua mano si solleva, due dita si posano, teneramente, sulle mie labbra; annuisci, profondamente assorto:

“Va bene così, non aggiungere altro, ti prego… non ora…”

E quando? Quando potrò dirti che ti amo anch’io? Quando metri di terra saranno gettati sopra i nostri corpi inerti? Perché non vuoi sentirmelo dire, cosa temi ancora? Hai forse cambiato idea e vorresti rimangiarti tutto?

Mi stai ancora guardando, vorresti ancora parlare tu stesso, cosa ti fa tacere?

“Perdonami, Aldebaran…”

Ripeti ancora il mio nome, ripetilo all’infinito, non smettere mai…

“Aldebaran… non so spiegarmelo ma… le parole mi fanno troppa paura adesso…”

Anche se potrebbero essere le ultime che pronunceremo, anche se non potremo mai più scambiarcene altre?”

Un lampo d’angoscia nei tuoi occhi, un lato di te che solo oggi sto imparando a conoscere:

“Io vorrei… che di parole non ci fosse più alcun bisogno… proprio perché così poco ci rimane…”

Una nota incrinata giunge alle mie orecchie; vorresti piangere, amico mio, perché non lo fai? Sono pronto a stringerti a me, se vorrai concedermelo.

Qualcosa all’improvviso assale feroce i miei sensi, ciò che probabilmente, lo vedo dai tuoi occhi che si aprono in tutta la loro ampiezza, hai percepito anche tu; ti stacchi da me e ti sollevi, guardandoti intorno… il ragazzo impaurito ha lasciato posto, nuovamente, al santo di Athena.

“Loro… arriveranno presto, abbiamo dei compiti da assolvere, dopo… dopo forse...

Mentre sussurri gravemente questa sentenza che suona come la nostra condanna, nello stesso istante l’ho pensato anche io… arriveranno presto e io non sono al mio posto

Con un sospiro mi alzo e sono al tuo fianco; ti passo accanto, la mia mano sfiora la tua ma non oso dire più nulla. So cosa devo fare adesso… raggiungere la Seconda Casa e compiere il mio dovere di custode… sta scendendo la sera… forse l’inizio della Notte Eterna per la Terra, sicuramente l’ultima volta che noi vedremo le stelle. Non posso guardarti adesso, non posso, perdonami, anche se sento il tuo sguardo fisso su di me… non posso o non riuscirei più ad andarmene.

Che Athena sia con te, fratello d’arme, che sia con me, con noi tutti… vorrei poter almeno combattere al tuo fianco ma non ci è concesso.

“Aldebaran!”

Mi irrigidisco… no Mu… non costringermi a voltarmi, stavolta non riuscirei a fermare i miei desideri di fronte alla consapevolezza del nostro nulla personale …

Non ti guardo, Mu, sollevo una mano e a testa alta ti lascio, che tu possa perdonarmi e addio perché lo so… in questa vita non ci vedremo più.

“Le mie parole, facevano parte di una confessione autentica... confessa ancora e io sorrido dentro, mentre allentandomi affermo:

“Come sempre, sei il più coraggioso tra noi...

 

Attendo… è questione di tempo, ne sono consapevole e nel frattempo voglio vivere, immergermi nella vita che in queste ultime ore è esplosa in tutta la sua sensuale bellezza intorno a me. Mi siedo sulla scalinata alla soglia del mio tempio e, sorridendo, scruto il fiore che la piccola Europa mi ha donato. Non avrò neanche il tempo di darle l’ultimo saluto, mi dispiace… chiederà di me? Probabilmente, ma chi potrà risponderle se tutti noi saremo scomparsi?

E’ anche e soprattutto per le persone come lei che io ora sorrido al pensiero di ciò che mi aspetta, perché per loro farò in modo che l’alba sulla Terra sorga ancora e per sempre!

Questo fiore, gioiello dai petali viola, fa davvero uno strano effetto tra le mie dita; non si direbbe che esse siano capaci di tenere un fiore senza spezzarlo, senza ucciderlo…

Sono passate ore ma lui è ancora bello, vivo, non avvizzisce, sembra un miracolo; lo guardo come guarderei lei se l’avessi al mio fianco… come guarderei Mu, adesso che so, adesso che avrei il coraggio di dirgli tante cose, proprio adesso che il tempo fugge, crudele, spietato.

Ma nel frattempo non voglio pensare a niente e solo questo fiore che rigiro senza sosta diviene il mio universo, nel quale mi perdo e contemplo sogni e memorie; tutto il resto è distante e silenzioso, la morte è distante, non esiste in questo mondo che ha rapito i miei sensi e il mio cuore. Illudersi è bello, voglio farlo fino all’ultimo istante, all’ultimo mio sospiro che la mia amata Terra vedrà e poi sarò felice perché ce l’avremo fatta e la Terra intera sarà meravigliosa come questi petali viola che ruotano, girano, con la giostra ininterrotta delle mie emozioni… felicità, tenerezza, gioia, amore… morte…

La morte che mi colpisce alle spalle, la morte che mi strappa il fiore dalle mani, Europa che grida, in quel fiore ferito si cela la sua anima e lei è stata colpita con me; non soffrire, perché i miei compagni ed io ti permetteremo di vivere ancora e io vivrò in te, fai solo in modo che noi non veniamo dimenticati, incidi il nostro ricordo sul libro delle memorie universali e io sarò felice.

Con le mie forze residue farò in modo di fermarti, tu che hai osato macchiare, con la tua sola presenza, la purezza del mio mondo, di tutto ciò che mi appartiene e quando il mio Mu sarà qui… perché verrà… tra poco giungerà tra queste mura… quando sarà qui, da te non avrà nulla da temere, né lui, né nessun altro dei miei compagni! Almeno da te li proteggerò e il mio corpo resterà a baluardo della Seconda Casa, a fare da scudo contro ogni influsso malvagio che vorrà tentare ancora di violarla…

Vieni, allargo queste mie braccia e ti attendo, nel mio abbraccio mortale!

 

Apro la mia mano e libero una scintilla di cosmo; il lucore all’orizzonte è così fioco, come questa piccola fiammella bianca. Non riesco a smettere di piangere, ma con questa bocca posso infine parlare e sussurrare un grazie che si perde in questa fresca notte spettrale.

Intanto le mie parole riempiono l’aria dove ti libero, dove libero ciò che sei stato… e la mia anima si perde seguendo la scia che torna all’Universo Padre che tutto comprende, il tuo luccichio sale al cielo volteggiando piano, seguendo complessi ghirigori nell’aria carica.

Abbiamo avuto il nostro tempo, lo abbiamo sprecato per non dirci nulla, pur avendo entrambi un forte bisogno di amore ricambiato.

“Al... de... ba... ran... perché?”

 

 

   
 
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