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Autore: SabrinaSala    10/10/2015    10 recensioni
"...Sdraiato supino sul letto, un braccio dietro la nuca e l’altro appoggiato sul ventre piatto, pantaloni e calzari ancora indosso, Johannes accolse così, sfacciatamente seducente, le prime, impertinenti luci dell’alba. «Proteggere una donna, salvaguardare la sua persona, è il compito più difficile e più importante al quale un uomo possa essere chiamato. Ne sarai all’altezza?»"
***
Sacro Romano Impero Germanico. Città di Rosenburg. Anno Domini 1365
Quando Johannes, altero e affascinante capitano delle guardie cittadine, riceve l’incarico di proteggere Madonna Lena, pupilla del Vescovo di Rosenburg, solo Justus, l’amico di sempre, può trovare le parole per chetare il suo animo inquieto.
Pedine inconsapevoli di un gioco iniziato quando ancora erano in tenera età, Justus, Johannes e Lena si troveranno loro malgrado coinvolti in un ordito di peccati e di colpe… Sarà sufficiente lo stretto legame con il Vescovo-conte, reggente della città, loro padrino e benefattore, a salvare le loro anime?
***
"Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam" ("Pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia") – dal Salmo 51
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo, Inquisizione
Capitoli:
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Capitolo 12 – Miserere
 
 
 
Lentamente, a piedi, guidando il cavallo per le redini, varcò la Porta Orientale. Attraversò il lungo ponte di pietra, che cavalcava il Danubio in piena. Penetrò in una città grondante acqua, percossa da una pioggia battente e fredda. Una città stanca, in procinto di scivolare nell’abbraccio della sera.  Poi si fermò. Sollevando lo sguardo, oltre il bordo irregolare del cappuccio calato sul capo. Immobile. Sostenendo il peso della cappa ormai fradicia.
La facciata del monastero, velata di un grigiore umido e arcano,  gli apparve in tutta la sua fredda imponenza. Granitico monito al peccatore, indulgente rifugio per il pellegrino. Chinò il capo.
Un colpo leggero alle briglie e il cavallo ripartì quieto al suo fianco.
Girando attorno all’edificio, evitò l’accesso principale. Cavallo e cavaliere imboccarono quindi l’ingresso posteriore. Raggiunsero le stalle e qui si separarono.
L’uomo penetrò il chiostro con decisione, diretto allo scriptorum, in cerca di un monaco. Uno in particolare. Sapeva dove trovarlo e, probabilmente, di trovarlo solo.
Giunto al riparo, con un gesto secco si spogliò del mantello, liberandosi di quel peso, scaricandolo lungo il cammino.
«Johannes!» proruppe Justus in un fremito, vedendoselo comparire dinnanzi, sollevandosi a mezzo dal proprio scranno.
Poi, le mani tremanti,  abbandonò gli arnesi da copista e titubante mosse qualche passo in direzione del capitano, esitando e fermandosi prima di raggiungerlo, turbato dal suo aspetto cupo e da un’insolita espressione che non gli riconosceva e che gli trasfigurava il volto, indurito da giorni di viaggio, provato dalla pioggia battente, giocato dalle ombre delle fiamme che dalle torce appese alle pareti proiettavano su di loro una macabra danza di luci e di ombre.
Deciso a scalzare quella sgradevole sensazione e di godere solo del suo ritorno, Justus afferrò una lucerna da un tavolo vicino e  finì per raggiungerlo. Un sorriso impacciato e timido sulle labbra dischiuse. Grato al Cielo per quell’inaspettata sorpresa.
«Lei dov’è? » fu l’unica risposta di Johannes. La voce atona, bassa e tesa. Le labbra serrate.
Justus impallidì. Inspirò profondamente, cercando l’ennesima chiave di accesso al suo sguardo impenetrabile, ma nel contempo gli indicò l’edificio della foresteria.
Senza battere ciglio, Johannes lo scostò, con la pressione di una mano sul braccio, e lo superò lasciandoselo alle spalle, pallido e costernato.
Il suo passo cadenzato e pesante riempì la stanza, poi si perse lungo i corridoi ghermiti dalla penombra, mescolandosi ai salmodiare dei monaci in preghiera e all’odore dolcemente amaro dell’incenso.
 
***
 
Fradicio. I capelli scuri appiccicati sul collo e  sulla fronte. Le ciglia imperlate di gocce ad offuscare la vista.
Non si era fatto annunciare. Non aveva bussato. Non si era fatto scrupoli a spalancare quella porta e poi chiudersela alle spalle, cogliendo Maddalena Aicardo di sorpresa. Immobilizzandola nella roccaforte inespugnabile dei suoi occhi grigi, torvi e torbidi come non li aveva mai visti. Togliendole il fiato.
«Questa è la sua risposta»,  disse senza giri di parole,  porgendole una lettera sigillata, sporca e umida di pioggia.
Lena trasalì.
Non c’era molto da dire e nemmeno da chiedere. Il mittente di quella lettera era chiaro. Il messaggero, invece, uno spietato scherzo del Destino. Possibile che Johannes sapesse? Si domandò avvampando.
Decisa a non lasciar trasparire l’imbarazzo e l’irritazione, la ragazza si morse impercettibilmente il labbro inferiore, indurendo lo sguardo e raddrizzandosi nelle spalle. Imponendosi di mettere a tacere lo stomaco e i suoi spasmi violenti,  la voglia e il desiderio di manifestare la propria emozione per il suo inatteso ritorno, il crepitio sulle guance in fiamme. 
Allungò una mano verso la lettera, facendo un passo avanti e chinandosi leggermente verso il braccio non completamente teso  di Johannes, indispettita dal suo atteggiamento arrogante, e in quell’attimo le loro dita si sfiorarono.
Lui le afferrò il polso, lasciando cadere l’epistola, attirandola bruscamente a sé. Senza una parola. Prepotente.
Furiosa, Lena sollevò il mento in un moto di sfida. Pronta a reagire a quell’ulteriore e inutile umiliazione. E quando i loro occhi si incrociarono, trasalì di nuovo.
Johannes catturò quegli occhi scuri che sostennero il suo sguardo e allora affondò le dita tra i folti capelli castani, possessivo, e con un gemito, carpì le sue labbra, come se non avesse mai desiderato altro.
Un bacio duro. Opprimente. Egoista. Una necessità urgente.
«Questa è la mia», ruggì sulla sua bocca, staccandosi da lei.
Ma ad un suo battito di ciglia, incredulo consenso, le afferrò il viso con entrambe le mani, baciandola di nuovo e impetuosamente, con la stessa irrefrenabile urgenza, crescente ed esasperata. L’urgenza di agire, di imporsi, di cancellare immagini, suoni e parole. Di cancellare l’eco di una colpa espiata e lontana, lasciata sopire tra gli strali di una nebbia lattiginosa e fredda. L’idea disgustosa di altre labbra, altre mani che l’avrebbero altrimenti toccata.  Suggendo quelle labbra morbide fino a quando con divenne un abbeverarsi alla fonte che aveva per troppo tempo evitato. Assetato, affamato, deciso a prendere e pretendere… Per una volta consapevole ma indifferente al peccato.
La sua irruenza, costrinse Lena ad arretrare, fino a trovare il muro con le spalle e qui fermarsi. Assediata e in trappola.
Inebriata, sorpresa, quasi soffocata, dal suo impeto inatteso, sfiorò con le dita il volto ruvido, freddo di pioggia e un mugolio di piacere le gorgogliò tra le labbra, spontaneo e irrefrenabile. Pensò alla “Rosa”, pensò a quel vicolo maleodorante e nascosto. Pensò a quel che sarebbe potuto succedere allora e non successe. Alle sue mille domande. Sospirò silenziosamente. Non lo fermò, né lo rifiutò.
Johannes non rallentò, né esitò.
Slacciò il nastro che arricciava il collo ampio della camicia. Fece affiorare i seni, rotondi e morbidi, profumati e tiepidi come le colline in primavera. Li afferrò, tra le mani un misto di stoffa e carne,  e li strinse con la rude determinazione del desiderio. Vi sprofondò. Una mano scivolò più in basso, fino ad afferrarle i fianchi, attirarla ancora più vicino, sollevare le gonne, cercare tra le sue gambe calde. La desiderò, la cercò, la prese.
Era sua. Sua e di nessun altro, sembrò affermare in un gemito gutturale e primitivo come il suo istinto.  
Vinta dal suo trasporto, Lena si lasciò guidare e amare.  Abbandonata a gemiti e gesti che non conosceva ancora ma che scoprì naturali e istintivi. Radicati nel suo essere donna. Aggrappata alle spalle di quell’uomo fattosi ardore,  come al  disperato tentativo di emergere dal baratro di un futuro imposto. Donna tra le braccia di colui che aveva scelto e non semplicemente e passivamente accettato.
Lo invitò, lo cercò, lo accolse. E il suo stomaco si contrasse ancora e gli spasmi si susseguirono implacabilmente deliziosi e languidi, fino a quando si sentì persa, stordita e vinta. Fragile involucro incapace di contenere una sensazione terribile e grandiosa al tempo stesso.
Sua. Sua e di nessun altro, pensò. Persa e poi ritrovata. Sotto a quel corpo spudoratamente scolpito dalla disciplina, ormai vinto da un desiderio irrefrenabile e dannato, che l’aveva prima testardamente respinta poi voluta e infine avuta. Virilmente conquistata. Un affondo dopo l’altro. Un gemito dopo l’altro.  Espugnandola come fosse stata una deliziosa e affascinante roccaforte di sospiri. Esitando solo nell’attimo di chiedere e poi cogliere il suo ennesimo ma irrinunciabile consenso. Senza parole. Solo cenni. Solo sguardi.
E allora capì di amarlo. E trattenne il fiato. E fu piena e paga di un amore che non si era mai nemmeno illusa di poter provare.
Il peccato si era compiuto. Una volta e poi un’altra ancora. Lasciando i due giovani amanti stremati e finalmente privi di pensieri.
Fuori, sotto la pioggia battente e implacabile, Justus. Addossato alla parete della foresteria, scivolato a terra, quasi rannicchiato. Aveva visto fin troppo, aveva udito fin troppo. Confessioni, preghiere, gemiti... E il ruggito sordo ed esigente di Johannes nell’attimo in cui  l’aveva presa e fatta sua.
Gli occhi sbarrati, vitrei, rivoli d’acqua fredda che dai capelli fradici gli rigavano il volto come lacrime copiose, il monaco si era fatto il segno della croce, più e più volte… Snocciolato il rosario con dita e labbra tremanti.
«Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam»
Abbi pietà di me, mio Signore, secondo la tua grande misericordia…
Combattendo l’opprimente senso di vuoto, si sollevò da terra. Si affacciò alla piccola finestra. Guardò i due corpi nudi e addormentati sul letto. Allacciati l’uno all’altra. Abbandonati l’uno all’altra. I lunghi capelli scuri di Lena rivestire il torace profondo di Johannes, le belle labbra di lui sfiorare appena la fronte liscia di lei.
Bellissimi e dannati…
Strinse i pugni, affondando le dita nella stoffa fradicia del saio. Si allontanò a passo svelto, preoccupandosi che altri  non si affacciassero a quello scempio. 



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IL CONFESSIONALE (ovvero, l'angolo dell'autrice):

«Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam»
Abbi pietà di me, mio Signore, secondo la tua grande misericordia…


La "frittata" è fatta! 

Apro questa chiacchierata riportando le parole di Justus, sconvolto e fradicio, addossato a quella parete.
Che dire, con questo capitolo si chiude la PRIMA PARTE del racconto e ci si affaccia sulla SECONDA... Troviamo forse alcune risposte, ma rimaniamo con una serie di interrogativi. Punti in sospeso che verranno ripresi, non vi preoccupate, e spiegati al momento opportuno, ma sui quali, come sempre, sarò contenta di leggere le vostre impressioni e supposizioni! 
Capitolo un po' noioso, lo ammetto, fatto di sospiri e percezioni, ma necessario passaggio per gli avvenimenti futuri...

Sperando di avervi accompagnato in una lettura comunque gradevole, chiudo con i dovuti e sentiti ringraziamenti alle mie care lettrici! Contenta che di tanto in tanto qualcuna in più, tra le più silenziose, decida di farmi sentire la sua preziosa voce! GRAZIE DAVVERO!

A presto,
Sabrina 

 
   
 
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