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Autore: cartacciabianca    16/02/2009    2 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Pulizia, atto secondo










Elena sobbalzò, portandosi una mano alla bocca. Quale… sorpresa, pensò.
-Non te l’aspettavi, eh?- fece Altair alzando un sopracciglio.
-A dire il vero sì- fece tranquillo il vecchio sedendosi sullo sgabello dietro il bancone. –Piuttosto… tu te l’aspettavi?- gli chiese con un gesto della mano.
Altair lo osservò in silenzio mentre ricominciava a scrivere sulle sue Cronache.
-No, ma…- esitò un istante. -Non voglio che si sappia; non posarlo nelle mie memorie…- borbottò Altair avvicinandosi agli scacchi.
Il Rafik poggiò la penna e chiuse il libro. –Come vuoi. Sarà mica per questo che ultimamente lei è così nevosa e tu… così… vivace?- sorrise mesto.
L’assassino strinse nel guanto la regina. –Forse…-.
-E come credi di tenere in pugno la situazione? Chi dei due lo dirà prima al Maestro?- domandò ancora il vecchio.
Altair non seppe che rispondere; taceva nei propri pensieri girandosi la regina nera tra le dita.
-È comprensibile che tu ti senta così. Prova a guardare per una volta chi come te ci è già passato. Fredrik, per esempio. Ha una moglie e due figli sistemati comodi. Credi forse che possa essere solo un peso, non ti senti all’altezza? Chissà quale bel giovanotto potrebbe crescere sotto un’educazione come la tua- proferì il Rafik.
Eppure le parole del vecchio capo sede non gli furono di conforto. Aumentarono le sue ansie, le sue paure e la voglia di non pensarci, di distrarsi, di tornare all’opera. Di occupare le mani.
Elena appoggiò la testa contro il muro.
Altair ripose la pedina sulla scacchiera. –Non mi sembra il momento adatto. Ci sono questioni più urgenti che richiedono la mia attenzione- Altair lanciò un’occhiata alla ragazza nella camera accanto. –e non mi serve a nulla immaginare un futuro se sono poco certo di poterne costruire uno-.
-Ecco l’errore di ogni padre- il vecchio scoppiò in una risata, attirando gli occhi scuri dell’assassino su di se.
-Sarebbe?- domandò infastidito Altair.
-Assecondi i tuoi doveri ai tuoi desideri. Il credo da una parte e la famiglia da un’altra; non dico che sia sbagliato, ma se il Maestro lo sapesse, Elena potrebbe venire affidata a qualcun altro e tu potresti occuparti di ciò che ti grava tanto sull’animo. Di che cosa hai paura, concretamente? Di abbandonare tuo figlio come il tuo padre anonimo fece con te?-.
-Attento a come parli…- digrignò l’assassino, manifestando i primi scatti di collera.
Il Rafik alzò le spalle. –Se non ti senti chiamato a questo genere di doveri, io non ti impedirò di varcare quella soglia- indicò l’uscita della Dimora.
Altair rimase immobile dov’era, quando Elena si voltò e notò una figura stesa accanto a lei. Era rannicchiato e composto allo stesso tempo, portava una veste anonima e il suo equipaggiamento era poggiato in un angolo della stanza. Era l’assassino che Altair era andato a cercare poche ore prima, che ora dormiva al suo fianco sotto la sua stessa coperta di lana. Elena si scansò appena.
-È tutto?- domandò il ragazzo fissando il vecchio con rabbia.
Il Rafik annuì. –Guardati da te stesso, prima di chiunque altro…- disse in fine il capo sede, tornando a scrutare la mappa della cittadella.
Altair, con passo scattante, raggiunse la fontana alla parete e fece per issarsi su, quando Elena si alzò.
-Maestro!- bisbigliò.
Il suo mentore curvò improvvisamente le spalle, voltandosi affranto. –Sei sveglia…- parlottò.
Elena annuì, ma andò dritta al solo. –Dov’è che andate voglio venire con voi!- disse seria.
Altair alzò lo sguardo, scrutando con occhio critico le costellazioni nel buio del firmamento che andava e veniva travolto da nuvole grigie di passaggio.
-Cosa ti fa credere che acconsentirò?- fece irritato.
Elena si strinse nelle spalle. –Muoversi di notte potrebbe essere più vantaggioso, dato che debbo recuperare il mio armamentario il prima possibile- era brava ad improvvisare quando ci si metteva.
Altair annuì poco convinto solo dopo qualche istante, poi si voltò arrampicandosi sulla fontana.
Elena si riallacciò le scarpe di fretta e provò ad imitarlo, ma riuscì a raggiungerlo sul terrazzo con un immensa fatica.
Altair la prese per un braccio proprio mentre stava per scivolare di nuovo giù, più o meno allo stesso modo di come era caduta nella Dimora la prima volta.
-Ne sei sicura?- le chiese tirandola a sé, fissandola con cattiveria e tormento, come se la ragazza fosse un peso, un altro sulla sua coscienza (cosa che concretamente era).
La ragazza accennò un sì tremante, e Altair le lasciò il braccio.
-Va’ avanti, io ti seguo dall’alto e ti guardo le spalle- le disse.
Elena si calò giù dalla fragile scaletta e si trovò nella piazza con la fontana e le panche. Tutta la folla cittadina di quella mattina era scomparsa. Ora regnava il silenzio più tetro, con accenni a passi di soldati che si muovevano le buio e lamenti di animali, tra cui un gatto inseguito da un topo.
Elena si voltò, ma del suo maestro notò solo l’ombra proiettata da una parete all’altra mentre Altair saltava di tetto in tetto.
Come promesso vegliò su di lei durante tutto il tragitto, ed Elena percorse le vie di Acri in lungo e in largo tentando di orientarsi nella sua città natale nonostante il buio.
Impiegò un’oretta circa a ritrovare i suoi lacci da spalla, nascosti in un vicolo assieme al suo cappuccio e agli stivali. Da lì riuscì ad individuare la strada che aveva percorso nella fuga, così le fu facile riappropriarsi della cintura di cuoio e il fodero della spada.
Raggi di luna le schiarivano il volto a spicchi, in quei brevi istanti in cui il cielo non era coperto dalle nuvole. Elena camminò fino a raggiungere una nuova scala che portava sull’alto di un’abitazione.
Portare quelle vesti la faceva sentire di nuovo se stessa. Il peso delle armi e l’ombra del cappuccio… era a casa!
Una volta sul tetto, qualcuno gridò: -Ehi, tu! Non puoi stare qui! Vattene prima che ti faccia del male!- assieme al suono di una corda che si tendeva, mentre l’arciere alle sue spalle incoccava la freccia e gliela puntava contro.
La ragazza non fece in tempo a voltarsi, che Altair si lanciò sull’uomo gettandolo a terra. La lama nascosta penetrò nel collo del soldato e un lieve fruscio si diffuse nel vento, accompagnato da uno scatto simili ad una serratura oliata.
Elena riuscì a voltarsi solo allora, quando constatò che fosse tutto finito.
Altair la fissava da lontano, imponente sopra il corpo dell’uomo accasciato in una posa innaturale e forzata. Una pozza di sangue si allargava sotto al suo petto, e le frecce della sua faretra si erano rovesciate tutt’attorno.
-Se c’è una scala…- Altair le si avvicinò. –Non ti viene in mente che qualcuno possa averla usata?!- le bisbigliò collerico all’orecchio.
Elena rimase di sasso, sprofondando ancor più nel cappuccio. –Scusate, io…-.
-Lascia stare, non potevi saperlo- lui guardò altrove.
Elena tirò un sospiro di sollievo, squadrando attenta curiosa la fetta di profilo visibile del suo maestro. Il mento sporgente, la mandibola serrata e accenni di giovane barba. Quanti anni poteva avere all’incirca per essere già… padre?
Elena scosse la testa, scacciando quei pensieri, e il suo mentore se n’accorse.
-Qualcosa non va?- le chiese tornando a fissarla.
Una nuova folata di vento freddo agitò i lembi delle loro vesti argentate, che assumevano quella tonalità bianchissima solo al chiaro di luna. –No, no…- mormorò.
-Se hai intenzione di partecipare alle mie pratiche, in queste prossime ore dovrai restarmi dietro, qualsiasi cosa accada ed eseguire ogni mio ordine senza controbattere. Sono stato chiaro?- la incalzò.
La ragazza annuì silenziosa.
-Devo occuparmi di alcune guardie che domani mattina, al sorgere del sole, potrebbero causare alcuni problemi alle nostre indagini. Sei pronta a prendere parte a nuovi strazianti, dolorosi e sanguinari omicidi?- aggiunse girandole attorno.
Annuì, ancor più convinta.
Quella risposta così secca parve turbarlo, poiché l’assassino si arrestò a pochi passi da lei. –Bene… non ho idea da dove tu prenda tutta questa energia, ma puoi stare tranquilla che non te ne resterà molta a fine giornata- sorrise malizioso, ma sul suo volto appena visibile, Elena colse anche un tocco di divertimento.
Era il suo burattino, si disse seguendolo.
Altair intraprese un percorso banale da principianti su e giù per i tetti, ma comunque dopo pochi minuti di equilibrio sulle travi e aggrapparsi a muri, Elena cedette, cadendo a terra.
Non avevano attraversato neppure mezza città, intraprendendo per di più, la strada “meno articolata” tra tutte. Travi, comignoli, muri e finestre erano comodi appigli… sì, se ti restava sufficiente forza nelle gambe per alzarti e guardarti attorno! Si disse.
Era distrutta, mai prima di allora avrebbe immaginato quanto potesse essere faticoso.
-Avanti, salta- le disse ad un tratto.
Elena si reggeva alle ginocchia, riprendendo fiato. –Come?- domandò alzando gli occhi, mentre ciocche di capelli le sguisciavano via dal cappuccio.
-Hai capito bene, avanti salta!- le ripeté indicando il tetto della casa di fronte.
Era distante, troppo si disse. Sarebbe caduta sfracellandosi al suolo prima di toccare anche solo con la mano il bordo del regolato.
-Alzati!- le gridò, ed Elena scattò sull’attenti. –Ci sono guardie che in questo momento potrebbero averci già visti, e tu te ne stai a lì a bazzicare sulle ginocchia! Forza! Salta!- aggiunse.
Elena si sporse, lanciando un’occhiata alla strada sottostante, pattugliata da continue ronde di uomini armati.
Guardandosi in giro, Elena si accorse che erano belli alti. La cima della Grande Cattedrale spiccava su qualunque altre guglia o croce. L’orizzonte si perdeva nel buio, ma andava a schiarirsi nelle prime luci dell’alba.
Già, l’alba… quindi dovevano essere trascorse un bel po’ di orette, e si disse che probabilmente Altair l’aveva fatta girare in circolo senza che se n’accorgesse. Solo per iniziazione alle mille fatiche che essere un’assassina comportava. Maledisse il giorno in cui aveva accettato di stringere una spada in pugno solo per dare retta a suo padre.
-Piegati nello spiccare, accompagnati con le braccia, e fai fare il resto al vento. Se cadi vengo a prenderti più tardi- rise l’assassino.
Elena ci trovava poco e niente di divertente.
-Non ho tutta la notte- sbottò tornando serio.
Elena si allontanò di quale passo indietro, intraprese una buona rincorsa e in beve fu in aria.
Le sue mani si aggrapparono al bordo del tetto, mentre si reggeva a mala pena coi piedi contro la parete. Provò ad issarsi su, ma erano particolari muscoli delle braccia che avrebbe acquistato col tempo… con molto, molto tempo.
Altair la raggiunse e, guardandola dall’alto, le porse una mano.
Elena si lasciò aiutare, stringendosi al suo braccio.
Senza alcuni fatica, l’assassino la tirò sulle tegole della casa, ed Elena tenne a mala pena l’equilibrio.
-Non sei in forze- constatò lui squadrandola.
-Vi sbagliate- fece lei spolverandosi la veste. Le mani le tremavano, assieme alle gambe e alle spalle. Era un tremore umano. –Sono al meglio delle mie potenzialità, e…-.
-Sei addestrata a combattere. Hai muscoli sufficienti per scalare quella torre, lo sappiamo entrambi. Invece che seguirmi dovresti tornare indietro e cacciarti sotto le coperte. Vedrai che domani ti sarà tutto più semplice- Altair alzò gli occhi, dove Rashy svolazzava sopra le loro teste.
-Ne siete… sicuro?- domandò flebile.
Oh, quanto le sarebbe piaciuto tornarsene nella Dimora, al calduccio nelle coperte e cominciare il suo addestramento la mattina seguente, anche alle primissime luci, ma dopo un’abbondante colazione e i riflessi pronti.
-Va’, torna alla Dimora…- le mormorò tranquillo.
Elena sospirò. –Grazie- disse.
-E di cosa?- fece lui. –è il mio dovere insegnarti anche quando e come sfruttare al meglio ogni tua risorsa. Il sonno è una fonte essenziale nel nostro mestiere…- proferì con voce soave.
-Intendevo- sorrise lei. –grazie della vostra pazienza, maestro-.
L’uomo allungò il suo sorriso a quelle parole. –Altrettanto-.
Elena saltò sul tetto dal quale era venuta e ripercorse la strada al contrario.
Altair la guardò allontanarsi nel buio, sperando che quella poca fiducia affidatole nel tragitto di ritorno fosse sufficiente per tenerla lontana dai guai. Poi si voltò, e saettò di corsa verso il bordo del tetto. Si scagliò allargando le braccia nel vuoto, cadendo in un cesto di fieno.
Quando ve ne scaturì, Altair estrasse la lama nascosta. Il Templare era proprio davanti a lui.
 Era tempo di dare una ripulita a quella città abbandonata da Dio.

Una volta raggiunta la Dimora, atterrò poco salda dentro la stanza, facendo sobbalzare l’assassino che sonnecchiava tra i cuscini. –Chi?! Cosa?! Dove?!- si alzò lui.
Elena si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo.
-Ah… sei tu- sbottò il ragazzo tornando a stendersi.
Elena raggiunse il Rafik nella camera accanto.
-Mi stavo giusto chiedendo dove fossi- ammise il vecchio, che ancora scriveva sui suoi vecchi testi.
-Altair mi manda…- sbadigliò.
-Sì, sì; immaginavo che l’avrebbe fatto. Fa’ sogni tranquilli- le sorrise.
Elena si stese con le spalle al muro e, senza pensarci due volte, si addormentò scivolando di lato.
Un tuono, e la pioggia venne giù sulla fortezza di Corrado.


   
 
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