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Autore: Nuel    12/10/2015    9 recensioni
Non è “solo tempo”: lasciar andare chi si ama è fiducia assoluta, è amare senza compromesso, senza chiedere nulla in cambio, e Brian lascia che Justin se ne vada ogni volta che vuole perché crescere significa imparare a camminare da soli, prima di poter camminare fianco a fianco.
♣ Questa fanfiction partecipa al contest "L'amore non ha età", indetto da Rhys89 sul forum di EFP.
[Contest annullato]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ogni volta che vai via


 
L'aria puzzava ancora di esplosivo e forse, forse, c'era un sentore di ferro che si mischiava al fetore della plastica bruciata. Un piccolo angolo di mondo sospeso al di fuori del tempo era andato distrutto, delle persone erano morte. Detto così sembrava non avere importanza se fossero stati uomini o donne, etero o gay: “persone” sembrava scuotere gli animi da dentro la scatola che trasmetteva il notiziario delle cinque. A nessuno importava con chi erano andate a letto, adesso, ma solo che erano morte. Buongiorno, Pittsburgh, meglio tardi che mai!
    Brian reagiva bene agli scossoni, cadeva in piedi, elaborava in fretta il lutto; non che fosse abituato alle perdite: non era abituato ai legami. Nella sua vita c'erano poche persone importanti e, nell'esplosione del Babylon, aveva rischiato di perderle tutte: Michael, Lindsay e Justin. Era una bolla di sapone meravigliosa, il Babylon, rifletteva colori splendidi, ubriacava di musica, di vita, di magia: nessuno avrebbe dovuto toccare mai il suo spicchio di paradiso personale.
    Eppure, c'era stata una nota stonata nella musica del Babylon: lui. Lui che non sapeva tenere legate a sé le persone che amava, come un filo lasciato pendente in una trama altrimenti perfetta, un nodo sciolto che minacciava di disfare l'intera tessitura.
    Ad un certo punto se ne era fatto una ragione: Linz e Mel, persino Mickey e Ben, ma Justin… Ogni volta che Justin andava via, Brian si chiedeva se sarebbe tornato. Justin era cresciuto un po' ogni volta che si era allontanato da lui, era diventato un giovane uomo capace di camminare sulle proprie gambe, di fare le proprie scelte, e Brian era orgoglioso di lui. Quindi inghiottì il nodo che gli chiudeva la gola e sorrise, come se non fosse accaduto niente.
    Justin stava ancora facendo le valigie, in silenzio, la stanchezza che traspariva dai suoi occhi azzurri, ma non era la prima volta che andava via, e Brian le ricordava una per una le volte che si erano lasciati, ogni volta che il suo compagno aveva sgomitato per farsi largo nel mondo, per conquistarsi uno spazio che fosse suo, inseguendo sogni e desideri, lo scandire del tempo che imponeva tappe imprescindibili.
    Se lo era preso in casa che era un ragazzino, ma Justin aveva accorciato le distanze in fretta, quasi senza che lui se ne accorgesse, superando le incertezze dell'adolescenza, la testardaggine della giovinezza, plasmandosi su di lui, e Brian, a volte, si chiedeva se fosse stato giusto influenzare tanto un ragazzo così giovane.
    Aveva cercato di non farlo, ma era stato inevitabile. Per fortuna, Justin aveva un carattere forte.
    Brian aveva appena cominciato ad accettare di essersi innamorato, lui, che fingeva di non averlo nemmeno, un cuore, la prima volta che Justin aveva voluto qualcosa che era fuori dalla sua portata e se ne era andato per ottenerla. Brian si era detto tante volte che sarebbe potuto succedere, ma quando era diventato reale, e una fedina era comparsa al dito di Justin, aveva fatto male.

 
«Dove hai preso quest'anello?».
«Ethan».
«Che romantico!».
«Che ne sai di romanticismo?».
«Tieni il resto».
«No, è troppo».
«Puoi comprargli dei fiori, lo apprezzerà molto».

Brian non era riuscito a dormire, quella notte. Si era rigirato lentamente nel letto, allungando un braccio verso il comodino per prendere una sigaretta e i cerini. Pochi attimi dopo una minuscola fiamma aveva rischiarato la camera. Un filo sottile di fumo si era alzato nel buio, mentre il profumo della notte si arricchiva di una nuova fragranza.
    «Stai dormendo, Justin?», aveva chiesto con voce bassa, rigirandosi verso il lato vuoto del letto, ad accarezzare con reverenza le lenzuola fredde, fiutando una traccia olfattiva che non c'era già più.
    Quello che lui sapeva e che gli aveva dato la forza di non spezzarsi era che i ragazzi devono fare le loro esperienze per diventare uomini. Lui le aveva fatte.
    Aveva aspirato a fondo il tabacco, lasciando uscire il fumo dalle labbra, simile al miasma che si alza, lento e denso, da un corpo in putrefazione, e si era sforzato di sorridere: senza Justin tra i piedi, la sua vita era perfetta, si era detto. A lui non serviva l'amore, troppo mutevole, troppo ingannevole, troppo effimero per permettergli di prendere il controllo sulla sua vita. Lui non era più un ragazzo, non se lo poteva più permettere. Non se lo era mai permesso.
    Stava per accaparrarsi il miglior contratto della sua vita ed era di nuovo libero di scopare tutta la notte senza guardare l'orologio perché un moccioso gli aveva imposto un coprifuoco. Era esattamente quello che voleva: successo e autodeterminazione. Se la campagna pubblicitaria che aveva organizzato per Stockwell avesse avuto successo, la sua carriera sarebbe definitivamente decollata, per questo si era dato da fare, perché nessuno gli aveva mai regalato niente, quindi si sarebbe guadagnato il successo che meritava di avere, così da poter continuare a fare la vita che voleva, mantenere chi voleva e pagare la scuola a chi voleva… perché Justin andava ancora a scuola.
    Non potevano esistere sabati e domeniche o vacanze, mentre costruiva il proprio solido e brillante futuro, eppure, una pausa caffè se la poteva permettere.
    Il Liberty Diner, in quel periodo, non era accogliente come in passato, dal momento che Debbie non sapeva distinguere lavoro e vita privata, ma era l'unico posto in cui poteva controllare senza dare nell'occhio che Justin stesse bene, che non avesse bisogno di nulla. Che ne sarà di me?, gli aveva chiesto dopo il suo incontro con quell'Ethan che, solo per dispetto, si ostinava a chiamare Ian. È questa l'idea che hai dell'amore, Raggio di Sole?, gli aveva chiesto di rimando, guardandolo andare via sconvolto mentre qualcuno gli succhiava il cazzo al posto suo.
    Justin lo succhiava a Ethan come faceva con lui? Il pensiero molesto si era infilato a tradimento nella sua mente, diventando un tarlo che non lo lasciava dormire. Se lo era chiesto anche quel giorno, guardando le belle labbra serrate, mentre Justin gli metteva davanti il caffè che aveva ordinato, tenendo gli occhi bassi, come se non volesse guardarlo. Brian aveva capito subito che qualcosa non andava, ma non era suo padre e non era nemmeno più il suo compagno.
    Aveva preso il caffè da asporto e lasciato una banconota da dieci dollari in pagamento; l'espressione di Hamilton, stampata in inchiostro verde, sembrava scettica sull'opportunità di una mancia superiore all'importo dello scontrino, ma Brian era uscito senza attendere il resto ed era tornato al proprio ufficio, facendo la strada più lunga, quella che passava per il parco dove, sere prima, aveva incontrato il giovane signor Gold, con i suoi valori poco pratici e la sua poca esperienza del mondo. No, si era corretto, quel ragazzo non era ingenuo come Justin, anche se lo sembrava. Probabilmente avrebbe fatto strada, probabilmente Justin sarebbe stato meglio con un ragazzo della sua età…
    Aveva mascherato un sospiro, mentre proseguiva oltre, terminando il caffè e gettando il bicchiere in un cestino vicino ad un albero, ripetendosi per la millesima volta che i ragazzi crescono e imparano a camminare da soli, devono farlo e non importa quanto si allontanano o quante volte cadono, purché si rialzino. Lui si era sempre alzato da solo e forse non avrebbe dovuto darsi tanta pena per Justin: era forte, Justin. Era sopravvissuto ad un trauma cranico, era un artista, era sensibile… e quell'Ethan gli avrebbe spezzato il cuore.
    Quando fosse successo, Brian sarebbe stato lì a raccogliere i pezzi e a rimetterli assieme, forse, se Justin avesse voluto. Se fosse stato capace di mettere da parte il proprio orgoglio ferito.
    Non sapeva nemmeno lui quando si era affezionato tanto a quel moccioso che gli scaldava il letto, ma, almeno con se stesso, poteva ammetterlo. Forse non era ancora pronto a chiamarlo amore, ma si era sentito meglio quando non aveva più visto quell'anello stringergli il dito, perché Justin non era andato in pezzi quando il suo sogno si era infranto.
    Era tornato da lui, determinato e testardo, facendo un gran casino, rovinandogli la carriera, col suo idealismo, ma consapevole che i fatti valgono più delle parole, che le promesse possono essere bugie e che l'amore, sì, l'amore non è solo guardarsi negli occhi e sussurrarsi “ti amo” o regalarsi rose rosse agli anniversari. L'amore è prendersi cura dell'altro, senza ipoteche, senza compromessi. Lasciarlo andare senza dirgli “ti aspetto”.
    Lui, però, che ne sapeva dell'amore? Si era innamorato di Justin come un adolescente e come un adolescente si era ingannato, aveva puntato i piedi, e chissà com'era che si era ritrovato a restare indietro, ad ostinarsi a non cambiare, mentre Justin cresceva.
    Aveva rischiato di perderlo di nuovo.
    Come il più ottuso degli uomini, il più cocciuto dei ragazzi, aveva dato la colpa a tutti, tranne che a se stesso.
    «Se ne è andato per colpa tua!», gli aveva detto, quella notte, Michael.
    Per la prima volta non aveva saputo come controbattere, aveva dovuto guardare dentro quella voragine affettiva intorno a cui aveva costruito mura alte e spesse per diventare inespugnabile e ammettere che lui amava Justin. La verità l'aveva colpito diritto in faccia, come un pugno ben assestato e aveva dovuto ammettere, anche se solo con se stesso, di avere paura di quello che Justin voleva: amore, famiglia, una quotidianità da cui lui era fuggito per tutta la vita. Aveva avuto una fottuta paura di non essere in grado di dargli quella vita che per sé non aveva mai voluto. Era così che si erano invertiti i ruoli, con Justin diventato un uomo e lui strenuamente aggrappato ad un'adolescenza passata da un pezzo.
    Brian chiuse gli occhi e trattenne un respiro profondo. Avrebbe potuto perderlo.
    Il rumore della valigia che veniva chiusa lo riportò dolorosamente alla realtà. C'era voluta un'esplosione perché ammettesse di non poter più vivere senza Justin.
    Justin,
che non era più un ragazzino, ma il suo uomo e presto l'avrebbero chiamato signor Taylor, come chiamavano lui signor Kinney. Justin che l'aveva raccolto una sera, mentre vagava sperduto fuori dal Babylon, quando non sapeva ancora cosa fare della sua vita, tra un pompino e una scopata, e l'aveva fatto diventare un uomo.
    «Vuoi che ti accompagni?», gli chiese con il tono più indifferente di cui era capace.
    «No, ho chiamato un taxi», rispose Justin con un sorriso tirato sulle labbra. «Abbiamo ancora un po' di tempo», aggiunse avvicinandosi e circondandogli il collo con le braccia.
    Mentre lo baciava, Brian sapeva che Justin aveva capito perché non era andato con lui a sciare.
    Mentre gli sbottonava i jeans, sapeva che, adesso, faceva male anche a lui dire ti amo sapendo che avrebbe potuto dirgli addio.
    Mentre faceva l'amore con lui, per fortuna, Brian aveva ormai la certezza che fossero fatti allo stesso modo, due atomi dello stesso elemento, un legame covalente, perciò, per quanto volte Justin se ne fosse andato, alla fine sarebbe tornato sempre da lui. Nonostante la differenza d'età e di esperienza, nonostante quello che poteva dire la gente, non lo aveva perso, non lo avrebbe mai perso.


 
_____________________

Note:
♦ Brian era bravo in chimica, quindi ho trovato appropriato usare un parametro di tale disciplina, in cui io ero una capra, ragione per cui mi limito a copiare la spiegazione di cosa sia un legame covalente.
Legame covalente: il legame covalente si forma tra atomi che hanno un alto valore di elettronegatività e quindi tra atomi "non metallici". Esistono due tipi di legame covalente: il legame covalente puro e il legame covalente polare.
1. Il legame covalente puro (o covalente omeopolare) si realizza tra atomi dello stesso elemento.
2. Il legame covalente polare (o covalente eteropolare) si realizza tra atomi di elementi diversi (ma i due atomi devono avere una differenza di elettronegatività inferiore a 1,9).

Alexander Hamilton, politico, militare ed economista, ritenuto tra i padri fondatori degli Stati Uniti, è ritratto sulle banconote da dieci dollari.

♦ Nella puntata 3x05 quando Justin chiede a Brian
“che ne sarà di me?”, lui gli risponde: “Che ne sarà di te? Ti aspetti che lui rovini la sua carriera per il culo di un bel ragazzino biondo? È questa l'idea che hai dell'amore, Raggio di Sole?”… ma è esattamente quello che Brian farà per Justin, aiutandolo nella campagna contro Stockwell, che lo porterà a perdere il lavoro.

♦ Il dialogo inerente all'anello è ripreso dalla puntata 3x06.

«Se ne è andato per colpa tua! Chi non lo avrebbe fatto?», è quello che gli urla Michael quando Brian si precipita a casa sua, a notte fonda, per accusarlo di aver “infettato” Justin e avergli affollato la mente con le sue idee di “bambini, matrimoni e steccati bianchi”, nella puntata 5x07. Personalmente ho sempre pensato che Brian avesse un "tu" sulla punta della lingua e che proprio il fatto che fosse Mickey a dire una cosa del genere gli abbia fatto passare di colpo la sbronza.

♣ Questa fanfiction partecipa al contest "L'amore non ha età", indetto da Ehys89 sul forum di EFP.
Il contest è stato annullato.

 
   
 
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