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Autore: Veni Vidi Jackie    12/10/2015    1 recensioni
Matilde, amica (o qualcosa di più?) da più di un anno di Jack, ha da tempo dimostrato con lui atteggiamenti aggressivi. Quando lei troverà l'amore in Frank, Jack verrà prima relegato in secondo piano e poi abbandonato dalla ragazza. Ormai libero, la fine del "regime tirannico" di Matilde dovrebbe farlo stare meglio, ma la gelosia lo dilanierà e ben presto lo farà arrivare sull'orlo della pazzia.
In questa situazione, saranno personaggi assai strani a farlo tornare su di morale!
Genere: Comico, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Viviamo, mia Lesbia, e amiamo! -

Osservo con perplessità e timore Catullo, che sta sbraitando dal terrazzo della mia sala. Stasera ho la casa libera (i miei genitori sono andati a cenare fuori con mia sorella), quindi ho invitato Cicerone e tutti i suoi amici. Valerio ha bevuto un po' troppo di vino, per questo ora non fa che urlare sul terrazzo e ridere senza motivo. Ha un bicchiere vuoto in mano e si sporge pericolosamente dal balcone. I vicini non fanno che lamentarsi, dicendo di farlo smettere.
- Dammi mille baci, poi altri cento, poi altri mille, poi per la seconda volta cento, poi altri mille ancora, poi cento! - grida Catullo, per poi accasciarsi esausto a terra.

Sono le ventidue e un quarto di una fredda sera di febbraio, ma Catullo è talmente ubriaco da non sentire il gelo.

Non faccio in tempo a trascinarlo in casa che Cicerone, anche lui molto ubriaco, schizza veloce sul balcone e inizia a cantare.
- Sì! - grida – Con ventiquattro mila baci! E con ventiquattro mila baci! Forza! -

Marco inizia a ballare in modo scomposto, quindi decido di riprendere la scena con il mio telefonino. Sto ridendo come un matto e il freddo mi sta passando. I vicini continuano ad urlare, ma io non li ascolto. Quando, però, Cicerone sta per cadere dal terrazzo, sono costretto a a riportarlo dentro insieme agli altri. Sistemo i più ubriachi sul divano, solo Tacito e Alessandro Magno sono ancora sobri. Alessandro si sta massaggiando i muscoli delle braccia e ogni tanto lo sento sussurrare: “come stanno i miei muscoli, eh? Stanno bene? Ma certo! I miei bellissimi muscoli!”, invece Tacito sta leggendo una copia dei suoi “Annales”.

Giusto! Il mio esame! Quasi lo dimenticavo. Mi siedo sul bracciolo della poltrona dove si trova Tacito, che non appena mi vede mi sorride e ripone sul tavolo il libro.
- Non ti volevo disturbare, continua pure – gli dico
-Tranquillo, è troppo noioso da leggere -
- Ma lo hai scritto tu! -

Lui inclina la testa di lato e fa una smorfia. - Non ho detto di aver fatto un capolavoro. -

Sorrido e mi siedo sul tavolino di fronte a lui, in modo da poterlo vedere negli occhi. Voglio assolutamente fare un buon esame e con lui andrei sul sicuro. Nelle ultime settimane non ho più studiato, ero troppo triste per farlo. Ovviamente questa non è una valida giustificazione, ma ogni volta che spostavo gli occhi sul libro le parole scorrevano veloci, troppo veloci perché io le potessi afferrare. Avevo sempre in mente Lei...mi sto rendendo conto di non trovare nemmeno più la forza di nominare il suo nome. Per me ormai si chiama “Lei”.
- Mi devi aiutare – gli dico – ho un esame di latino, devi aiutarmi. E' sugli “Annales”. -

Publio Tacito annuisce, poi alza l'indice destro e si alza in piedi.
- Voi tutti pensate che io sia qui a non fare niente, giusto? -

Lo guardo: probabilmente ha sentito la mia conversazione con Seneca qualche giorno fa, nella quale abbiamo detto che è qui solo per divertirsi. Accidenti! Perché mi metto sempre nei guai?
- Vi sbagliate di grosso – continua – innanzitutto: se io sono qui solo per “divertirmi”, come dite voi, allora non venirmi a chiedere aiuto in latino. Secondo: anche io ho delle lezioni da darti, se è per questo. -

Abbasso la testa, facendogli capire che ho capito il mio errore e ne sono pentito. Sento la sua mano posarsi sulla mia spalla, poi mi dà una pacca affettuosa.
- Scusami, non volevo offenderti. Apprezzo quello che fate per me, davvero – mi scuso
- Fa nulla, ora lasciami aiutarti. -

Tacito mi prende a braccetto e mi porta in giardino. Quando fa per uscire dal cancello mi blocco.
- Toglietemi una curiosità: perché quando volete insegnarmi qualcosa dobbiamo per forza uscire? Comincio a non sopportarlo più -
- Su, andiamo. -

Publio mi prende con forza e mi trascina in strada, poi iniziamo a camminare verso una destinazione imprecisata. Attraverso per l'ennesima volta il centro del paese, finché la mia “guida” non si ferma ad una fermata dell'autobus.
- Pul- man...pul- man – ripete – dobbiamo prendere un pul- man...-

Comincio ad avere paura di quando iniziano a sillabare le parole, hanno un qualcosa di terrificante. Io annuisco, fingendo di capire. Siamo alla fermata dell' autobus che conduce sul lungomare. Non ho neppure un biglietto, un controllore potrebbe farmi una multa.

Osservo il piccolo pullman avvicinarsi a noi e poi fermarsi, mentre le porte si aprono. Chi avrebbe mai detto che il bus fosse così pieno in una sera di febbraio? Io e il mio amico entriamo, mentre gli altri passeggeri lo osservano scioccati. Accidenti, dimentico sempre di vestire i miei nuovi amici in modo appropriato: non fanno che uscire con la toga.

Una bambina di circa sei anni lo scruta con curiosità, mentre lui ricambia lo sguardo. E' terrorizzato dall'autobus e non fa che reggersi ad un palo. Siamo infatti in piedi, poiché il mezzo è del tutto pieno.
- Hai paura? - chiede la bambina

Tacito la guarda con sdegno, ma non riesce a mascherare il suo terrore.
- Paura? Che paura dovrei avere? Bisogna temere solo le cose che possono fare paura, non le altre. E un pul- man non fa certo paura...- risponde, abbassando lo sguardo per non lasciare trapelare la sua agitazione.

Nel frattempo un gruppo di ragazzi seduti sul fondo ridono dello strano abbigliamento di Tacito, mentre io sono sempre più perplesso: se ha così paura di un autobus, perché mi ha chiesto di prenderlo? Non ho risposta, ma d'altronde negli ultimi tempi non ne ho mai avute. Chiudo gli occhi e prego che tutto questo finisca presto.
- E' straniero...- dico poi, cercando di dare una giustificazione ai vestiti del mio amico – è venuto qui da poco e deve ancora ambientarsi. -

I ragazzi annuiscono e sembrano comprendere, ma dopo pochi secondi riprendono a schiamazzare.

Smetto di osservarli e sposto lo sguardo su Tacito: credo sia sul punto di vomitare per la nausea. Prenoto dunque la fermata e dopo pochi minuti scendiamo: sono costretto a sostenerlo sulle spalle perché non si regge in piedi, non fa che tossire e vomitare. Mi guardo intorno: siamo sul viale che conduce al mare, a qualche centinaia di metri dalla spiaggia. Decido di andare verso quella direzione.
- Se il pullman ti fa questo effetto, perché salirci? - gli chiedo.
Lui reprime l'ennesimo conato di vomito e si pulisce la bocca con la manica della tunica.
- Volevo essere all'altezza di un cittadino moderno, ma mi pare impossibile. Ah, una cosa: voglio prendere la patente -
- Cosa?! Sei già il secondo che me lo dice, non capite che non ci riuscirete mai? Che vi è preso? Non dite sciocchezze. -

Lui sorride e ci avviamo verso la spiaggia, dove un forte vento freddo mi fa più volte venire la tentazione di tornare indietro. Ci inoltriamo per le dune, dove Tacito si ferma e si mette a sedere. Lo imito, rischiando di calpestare una cavalletta. Come già accaduto con Cicerone, indietreggio istintivamente per la paura, mentre l'animale salta su di me. Mentre io mi dimeno in modo alquanto imbarazzante, non posso fare a meno di sentire la risata di Tacito, che si sta godendo lo spettacolo. La cavalletta non fa che saltarmi sulla maglia, mentre io do l'impressione di ballare una strana danza tribale. Quando l'animale si allontana finalmente da me, mi getto con fatica a terra. Tacito mi guarda divertito.
- Mi ricordo quando una cavalletta saltò addosso a Traiano, fu esilarante -
- Mi fa piacere. -

Tacito smette all'improvviso di sorridere ed assume un'espressione seria.
- Ora basta divertirsi – esclama – è tempo di istruirti. Jack, ti manca Matilde? -

Traggo un respiro molto profondo, perché questo argomento mi fa male solo a parlarne. Oggi sarà un'altra serata dura, il ricordo non fa che aumentare il dolore. Mi manca Matilde? Suppongo di sì, altrimenti non ne soffrirei.
- Sì, mi manca molto – rispondo
- So che ti manca. Jack, la ami ancora? -

Deglutisco: è da tanto che non sento dire quella parola, “amare”. Forse l'ultima volta che l'ho sentita è anche stata l'ultima volta che ho provato amore: con chi ero quella volta? Con Matilde, ovviamente. La amo ancora? Guardo dentro di me, cercando una risposta alla mia domanda. Nel frattempo un cane corre fra me e Publio, ma io sono concentrato a pensare. Sento solo Tacito imprecare in latino e poi rispondo alla sua difficile domanda.
- Non saprei – dico, dopo essermi svegliato dal mio stato di trance – quello che è certo è che adesso la odio, ma allo stesso tempo...non lo so...non voglio le succeda nulla di brutto nella sua vita. La odio...ma le voglio bene...non lo so! Io non lo so! -

Publio fa un sorriso triste, come se comprendesse la mia situazione. Ma la comprende sul serio? Continuo a dire che chi non passa attraverso qualcosa del genere non può capire.
- Jack, Matilde si è comportata male e non ha scuse per quello che ti ha fatto. Ricordi come ti trattava? Certe volte, come dici tu, il suo “buon giorno” era un pugno nel tuo stomaco. Ti sembra una cosa accettabile? No, non lo è. E' ovvio che rispetto a molti altri problemi della vita questo sia una sciocchezza, ma allora perché tu ne stai così male? Vuol dire che per te, Jack, è stata una catastrofe. E poi nessuno si dovrebbe permettere di fare del male ad un altro essere umano...eccetto forse a quei Cartaginesi, loro sì che erano dei "bastardini"...Comunque, io so benissimo che quello che noi tutti stiamo cercando di insegnarti ti sembrerà contraddittorio.

Al di là del fatto che tu adesso la ami o no, l'hai amata in passato? -

Annuisco.
- Bene, allora non odiarla. Lei ti ha abbandonato, ma tu puoi continuare ad amarla. -

Questa frase risuona dentro la mia testa priva di senso. Come faccio ad odiare una persona che ormai odio?

“Jack!”, mi sussurra la coscienza. “Jack, mi senti?”. Certo che ti sento! Che ci fai ora qui? Cosa vuoi? E' strano che la mia vocina interna si presenti proprio adesso. “Sei sicuro di odiarla? Pensaci bene, perché io non credo che sia così”. Prima ancora di rispondere, la mia coscienza se n'è andata. Cosa avrà voluto dirmi? Pensa che io la ami ancora? Non ha tutti i torti...
- E come faccio? Dimmi come faccio! - domando disperato
- La cosa migliore che adesso puoi fare è non pensare assiduamente a lei, ma farle sapere che per lei ci sarai sempre. L'ultima volta che le hai parlato avete litigato: vuoi che il vostro rapporto finisca così? -
- Se lo meritava – rispondo, senza fare molto caso al fatto che sappia l'ultima volta ci ho litigato
- No, tu non sei così. Tu le vuoi bene. Senti, quello che ti sto chiedendo di fare non è semplice, ma è l'unica cosa che ti può aiutare. Amala ancora, anche se lei per te non c'è più. Tu puoi sempre esserci per lei, perché tu le hai voluto bene veramente. L'amore, Jack, dura per sempre. Sii felice per lei: lei il suo vero amore l' ha trovato. Ripeto: è una cosa difficilissima, ma tu provaci. -

Penso alle sue parole: in fondo so che ha ragione: se ami una persona la ami per sempre. Tuttavia, questo vale anche nel caso in cui la persona di cui sei innamorato prima ti tratta male e poi sparisce? Devo ancora trovare una risposta. Non sono ancora pronto per perdonare Matilde, sono troppo arrabbiato. Ho accumulato mesi e mesi di tristezza e depressione, non sarà facile liberarsene in fretta.

Mi alzo in piedi, accorgendomi di avere le estremità dei pantaloni bagnati. Che mi è successo? Tocco con una mano la parte bagnata e la annuso: sa di urina! Tacito ride, indicandomi un punto dietro di me. Mi giro e vedo un cocker che corre allegramente sulla spiaggia. Capisco immediatamente: il cane mi ha fatto la pipì qualche minuto fa, mentre ragionavo su quanto mi diceva il mio “maestro”.

Ad un certo punto il cane si volta verso di me e, lo potrei giurare, mi fa l'occhiolino.

 

  
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