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Autore: DigitalGenius    12/10/2015    2 recensioni
Garfield arrossì lievemente. Non poté evitare che il cuore gli si fermasse, nel guardarla, anche se non era la vera Raven.
«Allora, cosa ti porta qui?» gli domandò lei sorridendo.
Garfield dischiuse le labbra per risponderle. All’improvviso tutti i suoi piani, tutti i discorsi a cui aveva pensato per riportare Raven tra i Titans, sembravano inutili. Chinò lo sguardo e strofinò per terra una suola della scarpa.
Sentiva quegli occhi addosso a sé e quello sguardo lo trafiggeva.
«Dov’è che sono le altre emozioni? Potrei parlare con alcune di voi?» esordì all’improvviso agitando le punte delle orecchie.
Coraggio scrollò le spalle. Il sorriso le si spense mentre si avvicinava al bordo del precipizio su cui si trovavano. «Loro non verranno» annunciò rassegnata. «Si vergognano»
«Perché dovrebbero?» le domandò il ragazzo seguendola. «Sono sempre il buon vecchio Beast Boy, credevo di piacere almeno alla metà di loro»
«Tu ci piaci» lo tranquillizzò lei nel vederlo quasi nel panico. Gli sorrise. «Diciamo che non sono pronte ad incontrarti. O almeno non lo sono la maggior parte di loro»
«Perché?» domandò Garfield mogio. «Perché loro no e tu sì?»
«Perché?» ripeté lei. «Perché io sono il Coraggio»
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beast Boy, Raven, Robin, Starfire
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luce nascente del primo mattino non aveva ancora raggiunto la vecchia biblioteca abbandonata, che restava ancora immersa nel suo cupo silenzio e preda di quell’aura oscura che soffiava fuori dall’invisibile frattura che dava su un altro mondo. Scendendo verso l’oscurità il ragazzo lasciava dietro di sé dei piccoli solchi sulla terra che si era accumulata nel tempo, scoprendo piccole porzioni del pavimento di pietra nascosto da anni di polvere.
Il mantello ondeggiava dietro di lui, celando le sue possenti spalle sotto la pelle nera e la spada scarlatta, ben assicurata al suo fianco, scintillava ancora del sangue scuro dell’ultimo demone che aveva ucciso.
La sala del rito si aprì davanti ai suoi occhi appena giunto in fondo alle scale, dal soffitto sfondato si riusciva a vedere solo la volta del piano superiore, ricoperto di arabeschi e affreschi di miti greci e creature straordinarie, come la sagoma del Minotauro illuminata in un angolo alle prime luci del mattino e le fauci di un dragone spalancate nell’atto di sputare fuoco. Evren sorrise in quella direzione, girando attorno ad un grosso pezzo di soffitto crollato per raggiungere il centro della stanza.
Non aveva bisogno di ulteriori fonti di luce per vedere bene anche in quell’ambiente, estrasse la spada e ne scagliò la punta contro il pavimento, incidendo nella pietra per quanto la lama glielo permetteva.
 
Victor sollevò la scatola dei videogiochi e la rigirò sul tavolino della stanza principale, beandosi del rumore dei dischetti che urtavano contro la superficie lucida e lasciando cadere il contenitore per disporli in una fila ordinata davanti a sé. Osservò per l’ennesima volta ogni familiare copertina, seguendo al contempo con la coda degli occhi il lieve ondeggiare della figura di Garfield, fermo davanti alla vetrata a scrutare pensieroso la città con la tazza della colazione stretta tra le mani.
Fece fare mezzo giro al polso, quasi fosse un gesto di un illusionista, e calò la mano puntando l’indice contro una delle confezioni, premendone il polpastrello al punto da creare una piccola conca sulla copertina in plastica. «Mega Monkeys 8?» domandò sollevando lo sguardo verso l’amico con un sorriso.
Vide le spalle e la testa dell’amico abbandonarsi pesanti alla forza di gravità ed ebbe una visione più chiara della sua nuca dalla quale trasudava uno sconforto tale da appesantire anche il suo cuore e farlo scivolare con un tonfo fino al fondo del suo stomaco contorto.
«No» gli rispose, rigirandosi la tazza tra le mani e risollevando la testa verso uno dei piccoli agglomerati di nuvole che interrompevano la sfumatura azzurra del cielo mattutino.
Victor prese tra le dita Mega Monkeys 8 e lo lanciò nella scatola con uno sbuffo, batté il piede per terra ripetutamente ed ignorò l’aura cupa che l’amico emanava da ogni poro per ritentare spudoratamente a coinvolgerlo in qualcosa: «GTA?»
«No» ribadì Garfield spostando il peso da un piede all’altro, dondolò lievemente facendo ondeggiare pericolosamente il latte caldo nella tazza, fin quasi a farlo schizzare fuori dal bordo, ma si voltò solo nel sentire la porta scorrevole che scivolava e scompariva nella parete e Kori che irrompeva nella stanza a passo svelto.
Il «Buongiorno!» della ragazza rimbalzò allegro sulle pareti, quasi rompendo la bolla di aura scura che Garfield aveva avuto attorno fin dalle prime luci del mattino, contagiandolo in un seppur mesto sorriso. «Non trovate che sia una giornata fantastica, amici?» domandò loro candidamente spalancando le ante dei mobili della cucina e iniziando a frugare tra le padelle tintinnanti alla ricerca di qualcosa. Non aspettò che uno di loro le rispondesse e proseguì il suo discorso con voce squillante: «Vorrei fare dei waffle» disse mentre apriva il cassetto delle posate ed afferrava una spatola, «o forse delle crepés, non lo so» continuò spostando le pentole sul tavolo e lanciandoci dentro un mestolo. Spalancò il frigo e batté le unghie contro uno degli scaffali sorridendo apertamente: «Potrei inventare una nuova ricetta unendo i waffle alle crepés e voi mi darete un giudizio»
Cyborg deglutì e batté i palmi l’uno contro l’altro mentre balzava in piedi. La raggiunse dimenticando i videogiochi e le mise un braccio intorno alle spalle amichevolmente per impedirle di fermarlo dal rimettere a posto tutte quelle padelle inutili. «Perché non ti limiti a seguire le ricette terrestri alla lettera ancora per un po’, prima di darti alle sperimentazioni?»
La lasciò andare per riporre la spatola nel cassetto delle posate e la spinse a sedersi a tavola per afferrare una tazza, del latte e dei cereali. «Dovresti riposare e limitarti a pasti semplici o lasciar cucinare noi altri per un po’»
«Sto bene, adesso» gli disse lei stringendosi nelle spalle con un sorriso, guardò prima Victor che le versava il latte ed i cereali nella ciotola e poi Garfield che la scrutava di profilo, restando in controluce davanti alla finestra. «Davvero, sono felice di cucinare per voi»
«Grazie, ma abbiamo già fatto colazione» le disse Garfield. Mandò giù con un poco educato gorgoglio gli ultimi sorsi di latte come per rimarcare il concetto. E mentre accarezzava lentamente la testa di Kori Victor lo sentì sussurrare, rivolto di nuovo verso la città: «Buon compleanno, Raven».
 
Dalla finestra della camera che Raven aveva scelto di occupare si vedeva gran parte di Jump City e, oltre il profilo dei grattacieli, la Torre Titans svettava sulla sua isola stagliandosi contro il cielo azzurro leggermente chiazzato di nuvole chiare; era bianca e scintillante dei riflessi dell’acqua della baia.
La ragazza fluttuava nella posizione del loto ma aveva smesso di meditare già da molto tempo ed ora si limitava a guardare il panorama familiare con sguardo vacuo, consapevole della frenesia dei cittadini appena svegli per i quali quello non era altri che un giorno come tutti gli altri.
Lo sguardo si perse sul riflesso torre, per poi tornare a scivolare sulle grande vetrate fino a puntarsi contro la finestra della sala principale proprio in cima, attirato da uno scintillio d’anima familiare e rincuorante e dalla sensazione di un pensiero indefinito che l’aveva raggiunta ed avvolta con calore.
Un altro pensiero, molto più vicino ed intenso, la colse alle spalle strappandole un contagioso sorriso prima ancora che i due colpi rapidi e frettolosi contro la porta la risvegliassero riportandola nella realtà ed il faccino arrossato di Lilith si fece largo attraverso lo spiraglio appena aperto. Raven sciolse l’incrocio delle gambe e planò lentamente al suolo voltandosi.
«Buongiorno» disse alla ragazzina, e lei si sentì libera di irrompere nella stanza saltellando senza troppa cautela.
Lilith sollevò le braccia e fece un piccolo balzò verso di lei buttandole le braccia al collo e stringendola in un abbraccio. «Buon compleanno, Raven!» le disse, ignorando la serie di pesanti libri e la lampada che si erano sollevati in aria attorno a loro mentre affondava il volto contro il collo della sorella.
Raven la sollevò da terra con un abbraccio. «Grazie» le disse rimettendola giù. Lilith la fissò e batté le mani un paio di volte. «Devi venire a vedere cosa ti abbiamo preparato, oggi è il grande giorno!»
Rimbalzò ripetutamente sulle ginocchia e scrollò le spalle, afferrando una mano di Raven e trascinandola fuori dalla camera. «Ci siamo svegliati presto, abbiamo comprato delle cose, ne abbiamo preparate altre» spiegò mentre attraversavano il corridoio. Le lasciò la mano solo una volta arrivate alle scale e la precedette correndo giù ed aspettandola accanto alla porta della sala da pranzo. Raven fece un sospiro e scese le scale a passo sostenuto, mentre Lilith spalancava la porta e le indicava la tavola con un gesto plateale: «Ta-daaan!»
Jeremy le sorrise e chinò il capo, ancora con il grembiule e con una paletta da cucina sporca di impasto stretta tra le mani. «Buongiorno e buon compleanno» disse. Diede una gomitata a Belial, già seduto a tavola e con gli occhi ciechi persi nel vuoto.
Lui si raddrizzò, trovandola attraverso i suoi poteri e sollevando gli angoli delle labbra «Sì» disse passandosi una mano tra i capelli. «Buon compleanno. Finalmente è arrivato il grande giorno»
Raven seguì Lilith a tavola e si sedette al suo fianco «Non vedo l’ora che sia finita ed arrivi domani» ammise.
 
Cyborg parcheggiò la T-car ad un paio di isolati di distanza dalla biblioteca, sotto una terrazza sporgente che dopo un paio d’ore avrebbe assicurato ancora dell’ombra. Sganciò la cintura di sicurezza, spalancò lo sportello e mise il piede sull’asfalto sbiadito. Il fresco venticello mattutino scivolò sui suoi innesti e, ben più piacevolmente, sopra la sua pelle scura. Dopo aver richiuso lo sportello ed inserito la sicura, Cyborg si diresse con un sospiro verso il punto in cui Robin gli aveva dato appuntamento.
La periferia era calma e solo alcuni pettirossi si azzardavano ad infrangerne la quiete con il loro tipico cinguettio, mentre un gattone tigrato, appena alcuni metri più in là, li osservava con occhi ridotti a due fessure, le orecchie tirate indietro e la coda pelosa che sventolava a destra ed a sinistra in attesa.
Quella zona della città aveva poco da spartire con il centro di Jump City, le strade non erano così nuove e neanche troppo curate, i lampioni erano stati sistemati distanti come per risparmiare e ciò che restava degli edifici circostanti doveva avere almeno la metà degli anni che aveva la stessa biblioteca. Le case erano scrostate, le pareti ricoperte di muffa, alcuni balconi pericolanti non avevano neanche una ringhiera e molti vetri erano rotti, alcuni edifici erano ormai privi di porte e finestre. I marciapiedi stretti erano ancora ricoperti di pietre che ticchettavano sotto i piedi di metallo dei ragazzo, mentre lui avanzava.
Il sole si stava alzando pigramente in cielo, non c’erano nuvole a gettare ombre nette sulla strada, quindi la sagoma scura che scivolò per terra attirò subito l’attenzione di Cyborg, per poi afferrarlo e spingerlo contro l’ingresso di una casa.
«Sttt!» disse Robin, tenendolo schiacciato contro una parete polverosa, con la mano premuta sulla sua bocca. «Loro sono già qui»
Lo lasciò andare e Cyborg lo fissò con l’occhio umano strabuzzato, la bocca dischiusa in una genuina espressione di stupore.
«Chi?» gli domandò.
Il ragazzo si avvicinò alla finestra, sbirciando oltre la strada. Dalla loro postazione si vedeva perfettamente il prospetto rovinato della biblioteca, ancora più diroccato di quanto Cyborg ricordasse, la ragazzina saltellò attraverso l’ingresso, Raven e Jeremy, appena dietro di lei, affiancavano Belial salendo la piccola scalinata in pietra rovinata. Svanirono nell’oscurità del corridoio oltre l’uscio, lasciandoli soli in strada.
Cyborg sospirò, scambiandosi un’occhiata con l’amico. «Raven non riporterebbe indietro Trigon, me l’ha detto. Questo deve essere parte del suo piano per farlo fuori definitivamente»
«Può darsi» ammise Robin «Ma il libro che hanno rubato al museo aveva solo un incantesimo per riaprire il portale, quindi voglio assicurarmi che vada tutto bene»
Salì sul davanzale della finestra e saltò dall’altra parte, correndo verso il marciapiede opposto, si acquattò contro lo stipite della porta e tornò a guardare Cyborg. Gli fece cenno di raggiungerlo con uno scatto della testa.
«Maniaco del controllo» sospirò Cyborg. Scavalcò a sua volta il davanzale e si avvicinò a lui a spalle basse, senza preoccuparsi di nascondere la sua presenza in alcun modo. Robin lo afferrò per un braccio e lo spinse dietro di sé.
«Se non prenderai questa cosa sul serio sarò costretto a lasciarti qui» sibilò a denti stretti.
Cyborg deglutì. «Ok, andiamo»
Compose il cannone sul proprio braccio e lo tese verso l’oscurità, parandosi davanti alla porta spalancata, Robin impugno un birdarang e lo seguì dentro.
 
Le spalle del Ragazzo Meraviglia, davanti a lui, erano una sagoma scura che risaltava solo a grazie alla luce della torcia, il cono di luce rischiarava i gradini abbastanza da permettere loro dove mettere i piedi.
Robin spinse indietro una mano, facendogli cenno di fermarsi, Cyborg obbedì e aspettò mentre lui si chinava e posava il palmo sullo scalino inferiore «Qualcuno è passato di qui di recente». Fece roteare gli occhi, lasciando che scendesse ad analizzare le impronte anche sul gradino successivo «Un paio di scarpe da ragazza, un paio da bambina, due ragazzi e un adulto»
Cyborg li contò sulle dita «Raven, la ragazzina, il ragazzo» stirò le labbra «Hai contato due paia di impronte in più»
Robin scosse la testa «No, qui sotto c’è anche qualcun altro»
«Magari qualcuno è risalito e poi è sceso di nuovo dopo essersi cambiato le scarpe»
«Magari ho ragione io e ci sono cinque persone là sotto» sbottò Robin, voltandosi quel tanto che bastava per scrutarlo con espressione torva. La torcia incorporata nel braccio di Cyborg fece scintillare la parte bianca dell’amico, dando ancora più enfasi al suo fastidio, facendo quasi emergere la smorfia attraverso essa. «Comunque sia Raven non ci ha detto tutto e questo non è da lei»
Riprese a scendere e Cyborg avanzò con lui poggiando una mano sulla parete al suo fianco «Non è che Raven ci abbia mai detto tutto della sua vita» gli ricordò «Anzi, l’ha fatto solo quando era questione di vita o di morte»
«Questo rientra nella categoria “questione di vita o di morte”»
Cyborg sospirò, sollevando gli occhi al soffitto. Qualcosa si mosse, quasi un agglomerato scuro, ondeggiante e vivo, puntò il braccio contro di esso, rivelando un gruppo di pipistrelli che agitò le ali frusciando e soffiando contro di lui per poi lasciarsi cadere e volare oltre Robin fino a sparire nel buio.
Avanzarono ancora nell’oscurità, gradino dopo gradino verso la sala principale in cui anni prima avevano visto Trigon risorgere, la luce ondeggiante filtrava dalla porticina in fondo al corridoio, rendendo viva e calda la pietra attorno a loro, sbirciarono all’interno della stanza, individuando le candele disposte attorno ad un cerchio di rune disegnate sulla polvere. Jeremy dava loro le spalle, e potevano vedere bene anche il profilo paffuto di Lilith ed il riflesso delle fiammelle negli occhi di Belial.
«Ne mancano due al conteggio» sussurrò cyborg. Robin si voltò per raccomandargli di fare silenzio, ma Raven li anticipò emergendo dalle ombre alle loro spalle e spingendoli oltre l’ingresso con un viticcio di energia nera. Scivolarono sul pavimento sporco fin quasi ad urtare i piedi di Jeremy, che si era voltato verso di loro. Il mantello sulle sue spalle prese a fluttuare attorno al suo corpo, il potere trapelò anche attraverso le sue parole, vibrando assieme alla sua voce inumana quando si rivolse a loro.
«Che diavolo ci fate qui?» tuonò.
Belial tese la mano come per trattenerlo «Jeremy» disse con calma, ed il ragazzino rilassò le spalle sbattendo gli occhi mentre il mantello tornava a pendere contro le sue gambe quasi sfiorando una delle candele. «Non importa, è tutto pronto»
Cyborg lo scrutò, tutta quella calma che lo circondava, quella sicurezza che aveva nonostante la sua cecità, si domandò quanto fosse grande il suo potere per permettergli ciò. Lo osservò girare la testa come se sapesse esattamente dove era Raven, anche se non puntò gli occhi direttamente su di lei. «Raven» sospirò, abbassando il braccio fino a sfiorare il proprio mantello con i polpastrelli «Spiega loro cosa stiamo per fare»
Lei annuì, avvicinandosi a Robin e tendendogli la mano, che l’amico afferrò, lasciandosi tirare su con uno strattone. Si ripulì i pantaloni mentre lei passava ad aiutare lui. Cyborg scosse la testa, rifiutando l’aiuto con un sorriso per poi alzarsi da solo.
Lo sguardo di Robin corse alle rune rosse disegnate per terra. «Quello è sangue?» domandò diffidente con un cenno della testa. «È umano?» si voltò verso di lui, storcendo la bocca in un’espressione che diceva chiaramente “te l’avevo detto”.
Lilith fece un saltello verso di loro e congiunse le mani davanti al petto, intrecciando le dita «Rubato alla banca del sangue» si affrettò a spiegare «Non abbiamo fatto del male a nessuno»
Raven le carezzò una guancia e le sorrise, poi tornò a rivolgersi a loro «Ascoltate» disse «il portale che si è aperto anni fa è ancora instabile, rischierebbe di riaprirsi» deglutì, puntando gli occhi verso Robin «Noi siamo tutti i discendenti di Trigon e possiamo usare il nostro sangue per chiuderlo definitivamente, in modo che la terra non corra più alcun pericolo»
Robin sospirò allargando le braccia in un gesto di stizza, fece scorrere gli occhi sui presenti, puntò il dito contro di loro, soffermandosi su Belial, poi disse: «Bene, ma vi teniamo d’occhio»
Si fecero da parte, ma il ragazzo non riusciva a smettere di guardarsi attorno in cerca di qualcosa, lo vide percorrere le mura con gli occhi e si domandò cosa stesse cercando con quell’espressione tanto sospettosa, ma non fece domande, limitandosi invece ad osservare Raven ed i suoi fratelli che si disponevano in mezzo alle rune e si preparavano per il rito. Belial dispose per terra il libro che avevano rubato in biblioteca e lo spinse verso Jeremy, che si inginocchiò vicino a lui. Formarono uno stretto quadrato all’interno del cerchio, ponendosi ai quattro angoli.
«Sii i miei occhi» disse Belial a Jeremy.
«Certo» gli rispose lui. Aprì il libro, sfogliandolo sotto gli occhi degli altri.
Cyborg notò con la coda dell’occhio Robin che si sporgeva in direzione di un’intercapedine sulla parete, tentando di intravedere se ci fosse qualcosa attraverso l’oscurità. «Cosa stai facendo?»
«Qui ci dovrebbero essere cinque persone» gli ricordò «Devo capire chi è e cosa vuole»
Aprì la bocca per ribattere, sebbene non sapesse esattamente cosa dire, ma la voce di Belial che iniziava a svolgere l’incantesimo lo fermò. Iniziò la litania da solo, poi gli altri tre si unirono a lui e le voci si fusero in un coro uniforme che riecheggiò quasi a tempo con l’oscillazione delle fiammelle delle candele. Continuarono a recitare frasi che non riusciva a comprendere, parole che Cyborg non conosceva e di cui non riusciva ad intuire il significato. Jeremy scostò il libro di lato, Belial sollevò il pugnale intagliato e tese una mano verso Lilith, non riusciva a vedere cosa raffigurasse l’incisione, ma vide bene la ragazzina deglutire mentre gli porgeva il palmo e, stringendo il polso del fratello, guidava la lama contro il proprio dito e la osservava ferirle la pelle. La vide mordersi il labbro e stringersi il polpastrello ferito, mentre Belial pungeva il proprio dito. Poi, seguendo il senso orario, venne il turno di Jeremy, ma dalla loro posizione non riuscivano a vedere la sua espressione. Raven, direttamente di fronte a Belial spinse la punta del dito contro la lama che lui teneva ferma a mezz’aria.
«È il momento» disse il ragazzo, e Cyborg si aggrappò al braccio di Robin. Percepivano entrambi la tensione di quel momento, ma il Ragazzo Meraviglia pareva non aver messo ancora a posto tutti i pezzi.
«Cy, ci dovrebbe essere una quinta persona» ribadì.
I quattro fratelli congiunsero le dita nel centro del cerchio, premendole una contro l’altra, il sangue zampillò più di quanto avrebbe dovuto e le gocce rosse si allargarono tra loro. Le rune attorno a loro si illuminarono, scintillando scarlatte tra le candele. «Il portale è aperto» sussurrò Raven, mentre tutti ritiravano le proprie mani. Lilith leccò il polpastrello per fermare il sangue, le sorrise mentre la sentiva dire: «È il momento di sigillarlo definitivamente»
Le spalle di Jeremy ebbero un sussulto, Belial chinò il capo scoprendo i denti in quello che Cyborg pensò dovesse essere un sorriso inesperto. Uno dei canini parve scintillare prima che lui richiudesse le labbra. Tese ancora una mano verso Raven, che lo guardò confusa.
«Tutto bene?» gli domandò, si sporse verso di lui e tese la mano a sua volta, gli afferrandogli il gomito come per dargli forza.
«Stai tranquilla» le disse Belial «dopo questo sarà tutto finito e saremo liberi»
Raven gli sorrise scambiando uno sguardo fiducioso prima con Jeremy e poi con Lilith, che le sorrise a sua volta con le mani congiunte davanti al volto, lui si agitò sul posto premendo un palmo a terra.
Raven chiuse gli occhi e sospirò, percependo la stretta della mano del ragazzo che aumentava attorno al suo gomito fino al punto da riuscire a sentire il battito del proprio cuore rimbalzare sulla fredda pelle di lui. Belial fece scorrere la mano contro il suo braccio, fino ad afferrarle la spalla. «Belial?» gli domandò.
Lui si lanciò in avanti, spingendo la lama del pugnale verso di lei ed affondandola nel suo stomaco.

L'angolino di Digital

Ehi, oggettivamente non sto facendo più molto per la fic, ma Genius è stata brava e ha finito il capitolo in una sola giornata o al contrario, dovremmo rimproverarla per aver temporeggiato tanto?
Belial scopre le carte e torno ad essere orgogliosa di quel ragazzo, c'è un motivo se la sua creazione è stata divertente!
Che ne pensate?
Chissà se il prossimo capitolo vi farà dire sul serio "BOOM".
-Digital
  
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