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Autore: Gobbigliaverde    13/10/2015    1 recensioni
Spin off de "il viaggiatore di sogni" che vede come protagonista Gemma Jones, la figlia di Killian e Emma.
Dal testo:
- È dura recuperare le tracce di un passato dimenticato, soprattutto se le risposte che si cercano non sono nel mondo che conosciamo.-
- Gemma corse via cercando di dimenticare l’affronto che l’amico le aveva rivolto. Salì le scale ripide del piccolo appartamento di New York e si infilò nel letto in camera sua. Si avvolse nella coperta ispida e rovinata, e dentro di se maledisse il giorno in cui i suoi genitori l’avevano lasciata all’orfanotrofio.-
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Per la morte non c’è spazio, ma le vite volano e si aggiungono alle stelle nell’alto cielo.»
Publio Virgilio Marone

SETTE

 

Presente, Foresta Incantata.
    — È via da troppo tempo… — Sussurrò la ragazza, spettinandosi i capelli già ribelli di loro.
    — Almeno non metterà le mani su mia figlia per un po’… — Tossì Fergus, beccandosi una gomitata nelle costole dalla moglie.
    Merida non lo ascoltava. Era quasi un mese che rimaneva alla finestra, a fissare l’orizzonte, aspettando di vederlo arrivare in groppa a quel cavallo così bianco da poter essere solo di un principe. Il suo principe. Ma non arrivava. «Mamma, e se è morto?» Aveva sussurrato una sera a Elinor, sull’orlo delle lacrime. Lei le aveva preso il viso tra le mani, come faceva quando era piccola, e l’aveva stretta a se. Ma neppure il calore di sua madre riusciva a cancellare quella brutta sensazione che le bruciava lo stomaco. I suoi capelli rossi come le fiamme dei draghi sembravano di boccioli di rose appassite, e il pallore principesco della sua pelle si era trasformato in un biancore malaticcio. I suoi occhi non brillavano più, erano spenti, spenti come le fiamme che non bruciavano più nella sua chioma, e nel suo cuore.
    — Sta morendo… Fergus, sta morendo… — Disse con voce rotta Elinor, prendendo la mano del marito.
    Ma a lei le parole non arrivavano. I genitori erano troppo distanti, dall’altro capo dell’enorme stanza, come della mente di Merida.
    — È morto, lo so. Io non valgo nulla, senza di lui. — Sussurrò ancora la ragazza. Parlava con il vento da giorni, ormai, nella speranza che questi le portasse notizie del suo amato. Ma nessuno sapeva nulla da dopo la sua partenza.
    Fergus studiò a lungo la moglie. Quel pallore della morte che la figlia portava addosso si stava specchiando lentamente sul volto della madre. E presto si sarebbe impadronito completamente di lei. Doveva fare qualcosa, o sarebbero morte entrambe.
    — Harris! Hubert! Hamish! Badate a vostra sorella. Io vado a cercare Henry. — Che ironia, la sorte. Il nome del futuro marito di sua figlia calzava a pennello con quelli dei suoi figli.
    Si fiondò fuori dalla stanza sotto gli occhi stupiti dei tre gemelli identici, sempre assieme, persino ora che avevano diciotto anni.

Presente, Storybrooke.
    Sean non sapeva dove puntare la pistola. Se verso Henry o verso il vecchio con un bastone che era comparso alle loro spalle.
    — Posa l’arma. — Disse pacatamente senza dedicargli troppe attenzioni.
    — Gold, lasciaci andare. Scomparirai anche tu, se non riusciamo a raggiungere gli altri! — Ringhiò Henry tenendo gli occhi puntati sul ragazzo con la pistola, con lo sguardo carico di diffidenza.
    Ma Tremotino non si mosse. — Certo che vi lascerò andare, ma prima, un accordo.
    Il portale già dava segno di cedimento, e la voragine si restringeva sempre di più. — Cosa vuoi in cambio? — Gridò Gemma, avvicinandosi al fratello, sebbene Drake tentasse di trascinarla più lontano possibile.
    — Voglio che tu legga per me, quando saremo dall’altra parte. Almeno una volta, almeno un tentativo. — Ridacchiò con quella sua vocina fastidiosa, notando che al portale mancavano non più di una manciata di secondi.
    Lo sguardo ansioso di Henry diceva tutto, ma che altra possibilità avevano? — Abbiamo un accordo. — Disse lei, annuendo, prima di tuffarsi senza il minimo indugio in quel vortice di luce verdognola che si restringeva sempre più.

Anni prima, Foresta Incantata.
    
— È morta. — Sussurrò il cerusico, avvicinandosi lentamente all’uomo che aspettava seduto su un tronco caduto.
    — Cosa? — Disse con voce rotta, stringendo a se una bambina di meno di quattro anni come per poterla proteggere da qualunque cosa. Ma sapeva bene che dalla morte non si scappa.
    — La mamma è andata in cielo? — Chiese con voce angelica, quasi ignara di ciò che era accaduto. Nel suo tono si poteva cogliere persino una piccola traccia di leggerezza.
    — Sì, Belle è andata in cielo… — Sussurrò lui, stringendola più forte a se. Era tutto quello che gli rimaneva di lei.
    — Papino, non ti preoccupare, — Iniziò, asciugando una lacrima dal viso di Tremotino con quelle sue manine piccine. — la mamma starà rimboccando le coperte a Bae ora.
    — Sì, sarà con Baelfire… — Continuò lui, fissando il vuoto e accarezzando i folti capelli mori della bambina. Mori come quelli di sua madre, la donna che lui amava di più al mondo. E una stupida malattia l’aveva portata via.
    — Papino, tu puoi riportarli qui con la tua magia? — Domandò la bambina, interrompendo per l’ennesima volta i pensieri del padre.
    Lui la prese sulle sue ginocchia, mentre lei continuava imperterrita a giocare con le ciocche dei suoi capelli. — Mia cara… — Apostrofò lui, cercando nello sguardo luminoso della piccola quella scintilla che c’era negli occhi di sua madre. — Neppure la magia più potente può strappare le anime alle Figlie della Morte.
    Per un attimo credette di essere riuscito finalmente ad attirare la sua attenzione. — I fantasmi intendi? Le Dame Bianche? — Chiese con aria spaventata.
    Lui annuì con forza. — Si, proprio loro. Le hai viste, no? Arrivano quando chi sta morendo ha ancora voglia di restare, di lottare. Sono loro a chiamarlo, a persuaderlo a seguirle nella morte. Gli accarezzano il cuore fino a fargli credere che non esista posto migliore del loro mondo, se si può definire tale.
    — Ma alla mamma piaceva stare con noi… — Piagnucolò lei, incrociando le braccia al petto.
    — Non è colpa sua. Loro arrivano per togliere il dolore là dove non c’è più speranza… — Concluse, dandole un piccolo buffetto sul naso. Ma forse si sbagliava. Una speranza c’era ancora. Si ricordava di una storia che parlava di un mangiafuoco che aveva fatto un patto con loro. La sua anima, per quella del figlio morto. E forse avrebbe funzionato, doveva solo trovare un esca e il modo di evocare quegli spiriti così sfuggevoli.

Presente, Foresta Incantata
    Erano passati sette giorni e sette notti da quando si erano lasciati portare via dal mondo che Drake si ostinava a chiamare Reale. Eppure a Gemma anche questo sembrava altrettanto reale. Così reale da poter amarne i colori, i sapori, i profumi, e perché no, anche gli abitanti. Il ragazzo invece, si ostinava a rimanere in coda al gruppo, più distante possibile da tutti, osservando con aria diffidente gli immensi alberi che sembravano toccare il cielo.
    — Dici che ci seguirà? — Sussurrò Robin all’orecchio di Henry.
    — Chi, Tremotino? No, è già troppo lontano. Ma ci terrà d’occhio. — La sua voce sembrava preoccupata, ma Gemma non ci fece caso. Era più occupata a tenersi alla larga dalle grosse ragnatele che legavano gli alberi. — Piuttosto, perché tu, tuo figlio e il poliziotto non andate a cercare un po’ di legna? Io e Gemma prepariamo i giacigli per la nostra ultima notte di viaggio. — Esclamò il giovane, dando una forte pacca sulla spalla a Sean, che gemette. Si era slogato qualcosa, cadendo dal portale. E pareva che a Henry facesse parecchio piacere. La chiamava “una piccola vendetta per avermi puntato una pistola”.
    Gemma si sedette su un tronco tagliato, gli occhi azzurri come il cielo puntati in quelli del fratello. Si, erano un po’ di giorni che erano azzurri. E Henry se n’era accorto prima di Drake, quell’idiota. — Quindi? — Chiese la ragazza.
    Negli ultimi tre giorni di cammino, Henry aveva tentato in tutte le maniere di rimanere da soli, ma c’era riuscito solo ora. — Mi sembri tranquilla. Non ti preoccupa quello che ti voglio dire?
    Gemma scosse la testa. — Come lo sai?
    — I tuoi occhi, sono lo specchio delle tue emozioni, non te n’eri mai accorta? — Henry sghignazzò. Ma quella risata non aveva alcunché di divertente. La ragazza lo guardava frastornata, e le sue iridi passarono dall’azzurro al verde dorato. — Ah, ecco. Adesso va meglio. — Disse Henry, ritornando completamente serio.
    — Vai subito al punto. — Grugnì Gemma. Probabilmente il nero era il colore della rabbia, e piano piano, i suoi occhi ci stavano arrivando.
    Henry ridacchiò di nuovo. — Se speri di trovare una famiglia, oltre questa foresta, ti sbagli di grosso. E in questo libro — strappò il libro delle fiabe dalle mani di Gemma, scuotendolo in aria come se avesse potuto stritolarlo tra le dita — neppure. Nostra madre e tuo padre sono troppo occupati con gli altri figli, piuttosto che badare a quelli che hanno abbandonato ignoro per il mondo. — Sputò fuori.
    Gemma rabbrividì. Quando lui le aveva tolto il libro dalle mani, aveva avvertito qualcosa che non andava. Lo riprese tra le dita con delicatezza, come un cimelio antico. — Hai ventotto anni e sei geloso di alcuni marmocchi? — Lo canzonò, con aria talmente ingenua che per qualche istante persino Henry rimase scottato.
    — Non capisci. — Continuò, riscuotendosi. — Emma cerca in tutti i modi di riempire il vuoto che ha lasciato in se stessa quando si è resa conto di non avermi visto crescere amando gli altri suoi figli. È bloccata in un limbo. Ama fino a che loro non compiono l’undicesimo anno d’età. Dopo di che è tutta una finzione.
    Gemma annuì con aria confusa. La sua mente le diceva che lui era sincero, fin troppo sincero. Ma il suo cuore stentava a crederci. E il suo superpoteri aveva già dato la dimostrazione di non funzionare bene, quando aveva seguito Gold credendolo suo fratello.

    — Tu! Meschino ingrato! Te ne vai a zonzo per la Foresta Incantata con una bella fanciulla quando mia figlia è in bilico tra la vita e la morte? — Una voce, per fortuna, aveva interrotto quella conversazione senza sbocco.
    Henry scattò in piedi, visibilmente preoccupato. — Fergus? Io non… Che hai detto? Tua figlia? — Esclamò. La paura stava lentamente prendendo possesso del suo corpo.
    — Vieni con me. Faremo i conti dopo che l’avrai salvata. — L’uomo robusto che era comparso tra le frasche trascinò via Henry per un braccio come un pupazzo di pezza, mentre lui gli arrancava dietro come un cagnolino.
    “Evviva.” pensò Gemma. “Ora dovrò farmi tutta la strada con il padre di Drake, da cui, a quanto pare, ha ereditato il silenzio.” La ragazza fece qualche passo avanti tra le fronde scricchiolanti, spostando le foglie e trovandosi di fronte allo spettacolo mozzafiato di un castello abbarbicato su uno scoglio. Sembrava quasi che fosse sul piede di fare un bel tuffo in mare, con tanto di torri torrioni e mura merlate.

Pochi mesi prima, Arendelle
    — I figli somigliano ai genitori troppo spesso… — Sussurrò Anna accarezzando il broncio di Kristoff con un dito. L’uomo teneva lo sguardo puntato all’orizzonte, con la fronte corrucciata e gli occhi furenti.
    — Possibile che Kim non riesca a rimanere a palazzo per più di cinque minuti? Ormai ha quindici anni, e non riesce a pensare a null’altro che al ghiaccio. — Grugnì l’uomo, lasciandosi scivolare con la schiena sulla neve.
    Anna ridacchiò. — Non è vero… Pensa anche a quella ragazzina rompiscatole e iperattiva di cui si è innamorato. Non so perché ma mi ricorda vagamente qualcuno. — Lo punzecchiò, ma lui non sorrise.
    — Immagina come reagirà Irene quando lui le dirà che dobbiamo trasferirci per un periodo nella foresta incantata per salvare il mondo e i suoi abitanti.
    Anna ridacchiò stampandogli un bacio sulle labbra. — Gli eroi lo fanno per mestiere a quanto pare. E poi sarà felice di sapere che avrà un fratellino. Giusto? — Domandò, mentre lui le prendeva le mani.
    — Giusto.

Presente, Foresta Incantata
    La sala del trono era molto più ampia di quanto la sua immaginazione avesse potuto pensare. Il tappeto bianco era cosparso di petali di rose rosse come il sangue, grandi tavolate di cristallo azzurro pallido erano adorni di cesti di frutta, tra cui Gemma riconobbe quasi subito delle tonde e perfette mele rosse quanto i petali che scintillavano alla luce dei candelabri e dei lampadari luminosi. E poi c’erano i fiori. Tanti di quei fiori che nemmeno il fioraio più fornito d’America aveva mai visto in tutta la sua carriera. E molte specie probabilmente, nel mondo da cui veniva, non erano ancora state scoperte.
    C’erano alcune domestiche che agghindavano la sala e sistemavano le tende, spalancandole e facendo entrare più luce di quanta già non facessero quelle mille candele disposte in fila sulle tavolate. I finestroni enormi ad arco gotico - come aveva studiato mal volentieri in storia dell’arte - si slanciavano verso l’alto, come d’altronde tutti gli elementi architettonici in quella stanza. La facevano sentire così piccola e fragile che avrebbe tanto voluto nascondersi dietro una di quelle colonne bianche candide che arrivavano così in alto che lei non si sarebbe stupita se avessero toccato le nuvole.
    Al suo fianco, anche Drake e Sean sembravano incantati e intimoriti da tutto quello splendore. Robin era sparito, non aveva più detto nulla a Drake, dopo quel fatto a Storybrooke. Ma lei ci aveva ripensato parecchio. Se lei poteva far uscire le cose dai libri, forse Drake poteva creare strani campi di forza. In quel mondo alla rovescia non sembrava poi un ipotesi tanto campata in aria. E in più era felice di essere stata l’unica in grado di aiutarlo, anche se ora non emetteva neppure un suono.
    Uno scalpiccio di passi frettolosi la strappò dai suoi sogni romantici e la riportò alla realtà. Sempre che un mondo fatto di castelli, orchi e magia lo fosse. Un uomo si era fermato ad una decina di metri da loro, squadrandoli con aria grave. Tra i quaranta e i quarantacinque anni, capelli neri, occhi chiari, e un abito di pelle che, se non fosse stato per la corona che portava in testa, l’avrebbe fatta pensare ad un pirata, piuttosto che ad un principe.
    — Gemma… — Sapeva anche il suo nome. Che novità. In quel mondo sembravano conoscerla tutti. “Tutti a parte me stessa…” pensò amareggiata.
    — La sala è pronta per il gran ballo di questa sera, maestà. — aveva squittito una delle domestiche in direzione dell’uomo. Ma lui non le diede retta.
    — Sei identica a tua madre… — Sussurrò lui, con una lacrima che gli scendeva lungo la guancia.
    E per un lunghissimo istante mi sentii come ci si dovrebbe sentire in una famiglia. Amati. — Papà… — Balbettò facendo un passo avanti. Ma subito dopo sopraggiunse la rabbia.

 

 

L’angolo della Gobbiglia :)
Ok, speravo di riuscire a scrivere qualcosa di meglio dopo tutto questo tempo, ma nulla, la mia testa non funziona e non vuole funzionare… Questo è un capitolo di passaggio, mi serviva per scrivere cose interessanti che verranno dopo, quindi l’unica cosa che mi consola è che c’era bisogno di questa schifezza per arrivare al resto :)
Esattamente come per lo scorso capitolo, vale lo stesso principio, non so quando riaggiornerò, perciò non fatevi falsi illusioni :) Fino a che non dirò a me stessa che prendere troppi impegni è male, la vita andrà così. :)
Buona notte,
Gobbigliaverde :)

Ps: Fatemi sapere cosa ne pensate, la vostra opinione è importantissima :) E perdonate gli errori di ortografia delle undici e mezza di sera :)

  
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