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Autore: BlackDrake    14/10/2015    1 recensioni
Assassin's Creed: Huntsmen è la storia di Havik Vögelson, appartenente all'ordine degli Assassini Scandinavi, antenato di Shay Cormac nell'era dell'Espansione Vichinga tra l'anno 833 dC e il 896 dC.
Una contesa tra Templari e Assassini per il possesso di un Frutto dell'Eden tra le rigogliose foreste svedesi e norvegesi, un mistero che avvolge la morte del padre di Havik, nuovi amici e nuovi nemici per quello che era un semplice cacciatore ed è diventato un seguace del Credo.
Genere: Avventura, Azione, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SEQUENZA 6
– Runnevål, Swealand, 856 dC

 
Gli inverni passarono. Molti inverni, almeno tre. Uno più freddo e rigido dell'altro. Havik si allenava, si allenava di spada, si allenava nei salti e nelle acrobazie, si allenava nella scaltrezza e nella furtività, ripassando i fondamenti dell'indagine di un Assassino: ascoltare, rubare, interrogare, servirsi degli informatori. Ingra ed altri confratelli lo mettevano alla prova con delle simulazioni, degli eventi che si sarebbero potuti verificare nella realtà.
«Va bene, Havik» disse Kilstig abbassando la spada. «Passa a fare pratica di corpo a corpo con Bjorr e hai finito per oggi.»
L'ultimogenito della Fratellanza annuì per poi congedarsi con un saluto a pugni giunti. Abbandonò l'area di allenamento con la spada nello spiazzo di Runnevål, e si immerse nei bui cunicoli del covo. Nel silenzio attraversò dieci sale prima di sbucare nella camera funeraria dove ci si dava man forte a petto nudo. Si stava già tenendo un combattimento e non si trattava di una dimostrazione. Molti fratelli si erano radunati in cerchio attorno a Eyarr l'Orso e Rogvar Ratfast. Proprio in quel momento Eyarr ricevette un gancio destro in pieno volto da parte di Rog. Sputò rosso al suolo e poi assalì il piccolo e svelto lanciatore di pugnali con entrambe le mani, prendendolo per le scapole e sollevandolo come uno vasetto di terracotta.
«Dai, spaccagli le ossa!» incitava la folla. «Fallo nero, Ratfast. Fagli conoscere la velocità degli Assassini!» Si contrapponevano voci da una parte e dall'altra dell'anfratto che si era fatto minuscolo con tutta quella bolgia. «Eyarr, scatena la furia dei Berserkèr!»
L'Orso scaraventò il piccolo Rogvar ai piedi della folla. Quegli si tirò poi su a fatica in preda agli spasmi muscolari e alla mancanza di fiato. «Ti faccio vedere io, colosso senza cervello» strillò con la sua voce senza tono. Scattò in avanti verso le gambe di Eyarr, afferrandolo di colpo e spingendo più che poteva. Fu un tentativo abbastanza vano e ridicolo e molti tra gli astanti risero alla scena. Anche Havik non riuscì a trattenere un ghigno. Ratfast scivolò lungo le cosce del suo avversario, provando sempre a spingerlo goffamente. Finirono in un abbraccio del tutto imbarazzante e poco virile del quale l'Orso non sembrava affatto compiaciuto. Tuttavia in qualunque modo tentasse, non riusciva a liberarsi della presa salda del formidabile ex borseggiatore. Ratfast partì con una scarica di pugni nel costato di Eyarr, facendolo accennare ad un tentennamento, un momento e sarebbe...
«Che cosa state combinando?!» Era la voce del Mentore, Arvid. Nella sala calò un gelo che neanche quello dell'ultimo inverno sarebbe stato all'altezza.
«Ancora con questi combattimenti clandestini, eh? Qua, nella sede della nostra fratellanza? Vergognatevi, siete Assassini! Seguaci del Credo! Non galli in un pollaio.» Si fece largo in mezzo alla folla, fino ad arrivare al centro. Superava persino Eyarr in altezza, di almeno un palmo e mezzo. «Sparite dalla mia vista. Andate ad allenarvi piuttosto.»
La sala si svuotò in silenzio reverenziale e anche Havik fece come ordinato. «Tu no.» Sentì la mano di Arvid prendergli la spalla fino a fargliela sparire. «Tu vieni con me.»
Nuovamente rispettò l'ordine del suo maestro, sebbene non senza trasalire un filo a quell'insolita richiesta. Lo seguì nella stanza tombale, quella in cui normalmente risiedeva il capo della confraternita. «Siediti pure, Havik.» Gli mostrò una seduta di pietra, molto semplice e grezza, su cui l'iniziato assassino si adagiò con le mani strette intorno alle cosce. Preferì rimanere in religioso silenzio, attendendo pazientemente la rivelazione del motivo di quella convocazione.
«È parecchio tempo che ti sei unito a noi... quanto? Due cicli di stagioni?»
«Tre...»
Il vecchio ridacchio e tossì, grattandosi un tratto di barba ispida. «Addirittura. Come passa il tempo! Alla mia età non si riesce più a tenere ben conto del suo scorrere. Gli inverni ti passano sulla pelle come fossero una flebile brezza di campagna. Una pelle troppo fredda e indurita per ricordarsi la sensazione che si dovrebbe provare al termine di ogni anno.»
“Ci sta girando attorno.” Cercò di rassicurarsi Havik. Il vecchio Arvid aveva parlato direttamente con lui solo altre due volte ed entrambe erano state semplicemente per informarsi sui suoi progressi. Molto spesso l'aveva visto invece soffermarsi con quella che era diventata praticamente la sua insegnante ufficiale: Ingra.
«Comunque non perdiamo altro tempo a parlare del freddo e a quanto mi sia intontito. So bene, Havik, che in questi anni hai fatto molta strada e hai recuperato velocemente un addestramento per il quale normalmente ci vorrebbe tre volte lo stesso tempo. Hai imparato a fare tuoi i fondamenti del credo, hai stretto un forte legame di sangue con i tuoi fratelli, hai conosciuto il territorio e le tecniche di osservazione della nostra setta. Tutte nozioni che presto ti serviranno per agire singolarmente o in gruppo nella nostra lotta alla preservazione dell'equilibrio.»
«Perché mi volete qui oggi, Gran Maestro?» trovò il coraggio di esprimere quell'interrogativo, anche se un po' a denti stretti e un po' pentendosi di averlo, forse, interrotto.
«Tempi nefasti sono alle porte, caro Havik. Si agitano nella tempesta come fiocchi di neve impazziti. Una tempesta che dev’essere controllata. Possibilmente fermata; cosa alquanto impossibile.»
«Ma...?»
«Ma c'è la speranza. Ci siamo noi. Noi siamo la speranza. Come avrai sentito le razzie in tutto il continente e nelle isole britanniche continuano. Mai i nostri clan avevano raggiunto questi risultati e con Ragnar Loðbrók, uniti sotto la sua guida, siamo riusciti a mettere in ginocchio tutti i regni cristiani e dei loro alleati, compresi i membri dell'Ordine dei Templari. Tuttavia il suo regno giungerà presto alla fine. Ragnar è anziano, stanco e soddisfatto. Non ha più nulla per cui combattere; per questo ci penseranno i suoi figli. Non tutti però sono d'accordo con la reggenza del figlio di Sigurd. E con l'appoggio dei Templari, che mirano alla rinascita, lentamente hanno rosicchiato sul fondo di questo drakkar, come dei famelici e fastidiosissimi ratti. Alcuni jarl sono stati contagiati dal malumore e dal dissenso. Hanno stretto alleanze con i Cristiani e hanno tramato nell'ombra, favoriti dal calo d'interesse di Ragnar nei confronti dei suoi domini. Complice anche la lontananza dei suoi eredi, dediti alle campagne di espansione dei confini.»
Arvid aveva fornito una spolverata più che sufficiente di cronache attuali. Ragnar Loðbrók, ritirato nei suoi possedimenti nell'Anglia dell'Est, aveva lasciato che i suoi cinque figli governassero per lui. O più precisamente, conquistassero. Quella era la via dei Vichinghi. Solo con le razzie e la conquista di nuove terre si otteneva la piena soddisfazione del popolo. Terre da coltivare, terre in cui proliferare. Dopotutto i norreni, alla base, restavano una stirpe di contadini e cacciatori.
«In particolare» continuò il Mentore, «recentemente sono state avanzate delle minacce nei confronti di re Eysteinn Beli di Svezia. Un “invito” alla sottomissione.»
«Sì, Gran Maestro.»
«Ti starai domandando quale sia il compito della Confraternita in tutto ciò. Ebbene dovremo partire per la capitale, Gamla Uppsala, e fornire assistenza al sovrano, investigando, se possibile, sui mittenti di questa lettera. Voglio portarti con noi, perché è giunto il momento di coinvolgerti maggiormente nelle missioni del culto.»
«Sì, Gran Maestro» ripeté Havik, quasi meccanicamente.
«Prima di partire, però, ti verrà assegnato il tuo nuovo equipaggiamento. Vieni con me.» Si alzò, scortandolo nuovamente per le gallerie del tumulo. “Finalmente parteciperò a qualcosa di importante per la Fratellanza. Finalmente il Gran Maestro Arvid ripone la sua fiducia in me.” Per giorni, settimane e mesi, la vita di Havik era stata vuota. Diversa, ma sostanzialmente priva di brividi. Anche se prima di quell'iniziazione non è che avesse avuto particolari emozioni, vivendo prettamente come cacciatore con un basso profilo a Tingvalla, a parte le sporadiche competizioni di tiro con l'arco o le festività annuali, la vita da assassino aveva creduto che sarebbe stata più motivante, più adatta ad un racconto degno di entrare nel ciclo di una saga. E invece per adesso erano stati solo allenamenti, lezioni, studi, pagine e pagine da leggere. E anche lezioni di lettura, perché a quanto pare, prima di allora, Havik era stato anche ignorante in materia e Ingra aveva dovuto alfabetizzarlo. O meglio, aveva lasciato che se ne occupasse il mastro delle rune di Runnevål.
C'era proprio lei ad attenderlo nell'armeria del covo. Ingra, orgogliosa, a braccia incrociate. Tirò fuori un pugnale proprio nel momento in cui Arvid e Havik fecero il loro ingresso. Iniziò a giochicchiarci, girandoselo tra le mani e puntandosi i polpastrelli.
«Ben arrivati. Gran Maestro» li salutò.
«Havik, questa sarà la tua nuova dotazione.»
Su di un manichino una maglia verde stretta in un corpetto di cuoio lo attendeva. Vi era anche un cappuccio sulle spalle, un cappuccio dotato di falda appuntita, come quella di tutti i suoi fratelli. Alla vita una fascia rossa cingeva gli estremi di quella casacca, contornati di una fine bordatura dorata che si aggrovigliava in un arabesco decorativo. Per i polsi due bracciali, uno rinforzato da una placca di metallo lucido, l'altro protetto da una fascia di tela morbida, color sabbia, da stringere intorno al braccio con una cordicella di spago. Infine dei pantaloni di cuoio verde con ginocchiere d'acciaio e stivali scuri.
«E come armi...» Arvid si portò dietro una tavola. Vi erano riposte sopra un'accetta semplice e maneggevole, un terzetto di asce più piccole, probabilmente da lancio, con la lama a mezzaluna affilata, uno scramsax dall'impugnatura nera, istoriato con l'incisione di rune col significato di “falco pescatore”. E infine, eccola lì, poggiata su una gamba del tavolo la maekir, la spatha vichinga, di Havik; fresca di fucina, brillante e lucida come uno specchio, con il pomolo che ricordava il becco di un rapace e l'elsa rigata.
Gli occhi del novizio s'illuminarono. «È perfetto! Per Thor e Týr, che lavoro eccezionale!»
«Non dimenticare provviste e strumenti» concluse il Gran Maestro portandosi all'ultimo tavolo. Corda, rampino, fogli di pergamena arrotolati, una boccetta di inchiostro, una piuma di corvo, una borraccia e delle monete di rame.
«Manca solo una cosa...» soggiunse vago il vecchio assassino, lanciando un'occhiatina in tralice al suo apprendista.
«Che cosa, Gran Maestro?»
«Abbiamo bisogno di alcune scorte mediche. Dovrai raggiungere Tingvalla per acquistarle.»
“Non ne hanno qui?” Havik era perplesso. “Tutto è pronto, hanno rifornimenti per tutto l'inverno, le ultime scorte sono state fatte questo autunno. Che strano...”
«Siamo a corto Gran Maestro?»
«Ci servono solo alcune erbe che non abbiamo in magazzino. Una quota addizionale giusto per il lungo viaggio verso la capitale. È stata una decisione imprevista, tu capirai.»
«Sì, maestro. Perdonate la mia ingenuità.»
«Bene. Sei pronto dunque per incamminarti verso il villaggio? In realtà questa volta non sarai da solo...»
Si riferiva ad Ingra? Sarebbe venuta anche lei? Arvid tuttavia non fece accenni. Sembrava che lo divertisse restare sul vago, nascondendo sempre tutto dietro un alone di mistero. Lasciò che Havik indossasse la nuova tenuta, completa e perfetta. Gli calzava a pennello e l'unica cosa che lo distingueva da un assassino ufficialmente unito all'ordine era la mancanza della lama celata che tutti portavano nascosta nel bracciale sinistro. Una parte fondamentale della dotazione che gli sarebbe stata concessa solo al momento del rito dell'Iniziazione.
Quando lasciarono il deposito delle armi Ingra non li seguì e Havik si guardò alle spalle abbandonandola con uno sguardo di rammarico; lei, stoica, lo tenne sott'occhio con un cipiglio sollazzato. «Maestro, a chi vi riferivate prima? Chi mi dovrà accompagnare a Tingvalla?»
«Lei.» Arvid si fece superare da Havik che sotto la neve calante notò una maestosa sagoma equina dal manto nero caramellato. La neve le decorava la groppa come un leggero filo di zucchero a velo.
«Havik, ti presento la tua nuova compagna di viaggio: Mysost.» Le passò una mano sul fianco accarezzandola e poi scrollò via la neve dalla sella. L'animale istintivamente si mosse facendo scendere anche i fiocchi in eccesso sulla spessa peluria. Era un cavallo norvegese, un Dole, resistente alle basse temperature, temprato per il duro lavoro nei campi e capace di galoppare per diverse ore.
L'iniziato sentì il cuore riempirsi di euforia e contentezza: aveva una cavalcatura tutta per sé, una nuova amica che probabilmente sarebbe stata più loquace e disponibile della gelida Ingra. «Posso...?»
«Certo, è tuo!»
Salì in arcione senza farsi invitare due volte. Si tirò su il cappuccio e si preparò a partire.
«Va bene, Gran Maestro. Farò ritorno il prima possibile.»
«Ecco» Arvid gli passò un foglietto ingiallito piegato in quattro. «Questa è la lista delle erbe che ci servono. Passa nella bottega di mastro Halfsten.»
Havik annuì, tirò le redini e voltò il cavallo. Con un colpo di tacco nelle reni partì al galoppo scomparendo oltre le mura del tumulo di Runnevål.
 
“Ci servono solo alcune erbe che non abbiamo in magazzino.” Nella testa del giovane Vögelson le parole del Mentore si ripetevano costantemente, incrementando i suoi dubbi su quel semplice incarico che mano a mano che si avvicinava alla piccola comunità, si tramutava in qualcosa di più sinistro. “Deve avere qualche seconda intenzione il Gran Maestro.” Fece spallucce, preferendo rasserenarsi nel frattempo, cercando di avvicinarsi quanto più possibile al crine della bellissima puledra che lo teneva in sella, riscaldandosi col mansueto respiro di quella meraviglia della natura.
I sentieri dello Swealand erano fiumi di bianco che serpeggiavano nelle interminabili foreste nel più religioso silenzio della natura. L'unico impercettibile suono era quello della neve che si posava con poesia sui rami dei faggi o tra gli aghi dei pini sempreverdi. Accompagnato così dallo scalpitare veloce di Mysost, Havik Vögelson raggiunse la familiare area limitrofa di Tingvalla.
La vita nel villaggio appariva come sempre, assopita nei suoi cicli giornalieri, esternamente tranquilla e rassicurante, ogni tanto capace di strappare un sorriso di fronte a scene di gioia infantile, come un gruppo di bambini che correvano dietro a un carro o si dilettavano costruendo fortini di ghiaccio dietro ai quali ripararsi in battaglie a palle di neve. Una cosa nuova notò Havik: anche lui faceva parte di quei particolari momenti di novità nella routine quotidiana di Tingvalla.  Molta gente si radunò di fianco al suo cavallo, a scrutarlo indispettita o curiosa. Certo di Assassini se n'erano già visti da quelle parti, ma questo era nuovo, questo era inaspettato. E nessuno lo riconobbe, nessuno seppe dire: “Ehi, è Havik, il figlio di Vögel!” Semplicemente passò inosservato, per quanto limitatamente all'inconsueta presenza di uno della Fratellanza in giro per la comunità. Ma a parte questo, Havik ora era un nessuno.
“La bottega di Halfsten.” Havik la riconobbe. Era la casa del guaritore che anni prima aveva cercato di salvare la vita a suo padre. Sentì un amaro ricordo, ma nessuna fitta al cuore. Entrò come se nulla fosse imponendosi di dimenticare quel passato.
«Buongiorno Halfsten.»
Il guaritore uscì dal retrobottega asciugandosi le mani. «Buondì a voi.» Si arrestò per un momento. «Forestiero...»
«Ho una lista di piante medicamentose da acquistare, mastro guaritore.»
«Sì, hm... da quella parte. Entrate nella bottega attigua, si tratta della drogheria. Mia figlia vi servirà. Potete darmi già il compenso, se mi mostrate quella lista...»
Senza esitazioni il figlio di Vögel gliela pose in mano. Halfsten fece il calcolo a mente e poi si fece consegnare l'equivalente in monete di rame. «Così può bastare.»
Havik passò all'ambiente attiguo, una catapecchia dalle eguali modeste dimensioni. Un semplice bancone, una fila di scaffali alle spalle, con piccoli scomparti quadrati riempiti ognuno con barattoli o contenitori di terracotta dai quali straripavano gambi verdi o fiori secchi. Sul fianco della casupola si apriva una finestrella rettangolare che dava su uno dei mulini lungo il fiume. In estate e in primavera doveva essere una veduta davvero rilassante, mentre ora, con tutto coperto di neve, era piuttosto triste e monotono. Dal mulino immobile, come un'immagine ferma nel tempo, non facevano che colare infiniti ghiaccioli trasparenti di acqua luccicante.
«Buongiorno!» squillò la voce di una giovane ragazza riportandolo alla realtà.
«Buongiorno» si voltò Havik. Lei era la figlia del guaritore, una ragazza di non più di diciassette anni, dai capelli corvini raccolti in due trecce simmetriche chiuse da nastrini blu. Era di fisico pieno e curvilineo, molto genuina e procace, pur contenuta in un corpetto di cuoio al di sopra di un grazioso abito cobalto e avorio. Havik rimase incantato di fronte alla dolcezza di quell'apparizione e per un attimo perse la maschera dell'assassino che aveva portato sin d'ora. Per un attimo tornò ad essere Havik, dimenticando che aveva davanti solo l'erborista e non la dea Gerðr in persona.
«Ehi? Ci siete?» ridacchiò la fanciulla. Il suo sorriso si aprì tra due vivide e mielose labbra. E anche gli occhi parevano sorridergli. Le guance poi erano una festività di lentiggini appena visibili.
«Uh? Oh, sì. Scusami. Sono qua per delle erbe... ho qui l'elenco...» Timidamente allungò i nomi delle piante che doveva ritirare. E lei, efficientemente, passò da un vano all’altro, recuperando tutto il necessario. In pochi minuti preparò tre sacchettini colmi del necessario. «Ecco a te» disse infine, poggiandoli sul banco, sempre con un persistente e sincero sorriso.
«Grazie mille...» esitò Havik cercando invano un nome.
«Ylva» lo aiutò lei.
«Grazie mille, Ylva. Spero... spero di rivederti un giorno.» Finalmente riuscì a ricambiare degnamente quel sorriso e dopo aver raccattato i tre borselli uscì dalla bottega, nuovamente diretto a Runnevål.
 
La cavalcata di ritorno svanì dietro di lui, più rapidamente di quanto non fosse stata quella per raggiungere Tingvalla. “Mi sono lasciato la mia famiglia di nuovo alle spalle. Senza un senso di colpa, senza un tentativo di rivederli.” Voleva bene loro, ma tuttavia sentiva di non appartenere più a quel mondo. Forse tenerli lontani equivaleva a tenere lontano il ricordo di suo padre, forse dal giorno in cui aveva inseguito Ingra era scattato qualcosa dentro il suo animo che aveva richiesto un netto distacco, un’immersione totale nel suo nuovo Credo. Non sapeva definirlo, eppure tre anni non erano pochi, in tre anni poteva essere successa qualunque cosa a sua madre o a sua sorella.
Tirò le briglie. Il cavallo frenò obbediente, strisciando gli zoccoli nella neve sporca. Havik si accasciò un attimo su di esso, sentì il suo respiro affannato, il petto dell’animale gonfiarsi e svuotarsi ritmicamente in maniera del tutto rilassante. I brontolii e gli sbuffi di Mysost erano l’unico suono nel silenzio invernale. Eppure la testa del novizio era colma delle voci della sua famiglia. «Dovrei...» azzardò. “Dovrei tornare indietro. Abbracciare Yrr e Jorunn.” Sottili lacrime gli scorsero calde lungo le guance puntinate di rosso per il freddo. Quei fiumi si congelarono rapidamente e volle rimuoverseli dalla faccia con un gesto secco. “Non puoi. Sei un Assassino ora. Hai la tua missione e ti aspetta alla fine... alla fine di questa strada.” Guardò la foresta allungarsi nel suo tunnel di tronchi e rami. Sembrava infinita.
«Ci sarà un giorno... ci sarà un giorno in cui tornerò.» Si fece quella promessa e stranamente, questa volta il suo pensiero gli mostrò anche l’immagine di Ylva, la ragazza che lo aveva servito poche ore prima nella bottega di Halfsten. Anche se aveva intrapreso il cammino del Credo, in cuor suo sognava di poter tornare a Tingvalla, sposare una fanciulla come Ylva e diventare il primo cacciatore dei karl. Stare di fianco alle sue donne e mettere al mondo almeno cinque eredi, maschi vigorosi che sarebbero diventati cacciatori, marinai e taglialegna. Era un bel sogno, ma la vita, forse, sarebbe stata ancora più affascinante. Gettò uno sguardo di sfuggita alle sue spalle, dando un’avida aspirata all’aria frizzante. Calciò con i tacchi nei lombi del destriero e ripartì.
 
«Bravo Havik, sei stato veloce!» si complimentò Arvid accarezzando il collo di Mysost. «Ora però dovete ripartire subito. Accampatevi per la notte, fai riposare il cavallo e domani ancora cavalcherete verso Est.»
Ingra era già in sella, distratta mentre accarezzava il crine del suo cavallo bianco pezzato di grigi sbuffi. «A metà strada si unirà a voi un altro dei nostri che era già in missione.»
«Oh sì, come se ne avessimo bisogno» ironizzò sardonica Ingra, ricevendo l’occhiataccia bieca del Gran Maestro.
«Taci, Ingra. Non è un incarico da sottovalutare questo e tu stai portando con te un apprendista assassino. Preferisco avere lì due teste e mezzo, piuttosto che una e mezzo.»
«Oh, ma Havik se la cava già bene. Può valere come una.»
«Infatti non stavo parlando di lui, sei tu che hai messo in dubbio la mia fiducia.»
L’assassina di tutta risposta strinse le labbra e gettò lo sguardo in un angolino altrove, incassando la critica com’era solita subire nei battibecchi con il suo Mentore.
«Ora andate, o perderete il vostro incontro con l’altro fratello.»
Li congedò rientrando nel rifugio affiancato da altri due novizi.
Havik guardò Ingra con la sua solita compassione, azzardò un sorriso e disse: «Ebbene, eccoci qua, di nuovo noi du-...»
La ragazza partì urlando un comando al suo destriero, lasciando nient’altro che uno spruzzo di neve sulla sua scia. Havik, colto impreparato cercò di recuperare il distacco. Una stivalata nelle reni di Mysost e si mise all’inseguimento della sorella assassina, proprio com’era stata la prima volta.
   
 
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