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Autore: WhileMyGuitarGentlyWeeps    14/10/2015    1 recensioni
Joan Cameron si trasferisce a New York dopo aver capito che la vita che credeva perfetta era in realtà una gabbia dorata. Arriva al 4D in una fredda mattina di febbraio e la sua porta non si apre.
Accorre in suo aiuto, come un principe su un cavallo bianco, quello che sarà poi il suo vicino, aprendo la porta di casa sua. Lui di fiabesco non ha nulla. E’ un’anima tormentata, svuotata.
Da quel freddo giorno di febbraio le loro vite si incrociano e si scontrano in una danza in cui non ci sono né vincitori né vinti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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16.
 
"There’s a game that I played
There are rules I had to break
There’s mistake that are made"
 


“Ragazzina non dovresti vestirti in quel modo, non vorrei essere il poveraccio che ti scambia per una cameriera…”

Joan si voltò di scatto, seria. E fu quasi folgorata. Non riusciva ad abituarsi alla sua bellezza, non c’era niente da fare…
Ma comunque cercò di darsi un contegno.

“Si dà il caso che io sono una cameriera del Morning Glory!” Disse lei fiera.

Cult scoppiò a ridere così forte che Joan temette cadesse per terra.

Oddio, quant’era odioso!!

“Sono felice di farti divertire così tanto!” 

Cult si bloccò di colpo.

“Stai dicendo che non era una battuta?!”

Joan scosse la testa, scocciata, mentre Cult la fissava, incredulo.

“Sai com’è, non sono fortunata come te che hai mille lavori”.

“Uh, sei nervosetta oggi…”

“Sono sempre nervosa quando sei nei paraggi”.

Sembravano tornati all’inizio, dove tutto era cominciato. Su quel pianerottolo a metà febbraio. Sembrava passata una vita.

“Quindi ora sarebbe colpa mia…Non è che sei in crisi d’astinenza da rapporti sessuali?”

Ma che diavolo?!

Joan, scioccata, rimase a bocca aperta. Ma poi la rabbia ebbe il sopravvento. L’immagine del suo letto sfatto, dei suoi occhi lucidi di sesso pervasero la sua mente.

“Sì beh, sai com’è, io ho altro a cui pensare, non come qualcuno…”

“Che fai ragazzina, mi spii?”

Le si avvicinò pericolosamente, inondandola col suo profumo.

“No, mio caro, ma o hai il sonno molto irrequieto o ci hai dato dentro su quel letto…” Inchiodò gli occhi a quelli di lui, spavalda. “Buon per te, comunque!”

Illusione di trasparenza. Primo anno, esame di psicologia sociale col professor Cohen. Illusione che i nostri sentimenti nascosti siano più visibili di quanto in realtà siano.

Ecco, lei invece si trovava nella situazione opposta. Sapeva di essere brava a celare i suoi sentimenti, in fondo l’aveva fatto con David per molto, ma con Cult tutto sembrava essere messo in discussione.  L’illusione di trasparenza l’aveva sempre protetta. Ogni volta che era preoccupata si diceva ‘tranquilla, loro non lo capiranno’.

Ora non sapeva più nulla. Aveva paura che Cult percepisse la sua gelosia, la rabbia.

Ma se anche lui si accorse di qualcosa, non le disse nulla.

“Devo rientrare”. E scappò, scappò da quelle pozze ghiacciate.

 
La nottata proseguì tranquilla, fino alle due passate, quando entrò un uomo strano, un tizio sulla cinquantina, i capelli leggermente lunghi e un ghigno per nulla promettente sul viso.

Si sedette a un tavolo appartato con tre uomini, tra i venticinque e i trent’anni. Joan si diresse al loro tavolo, non sentendo Steve che le diceva di lasciar fare a lui.

“Buona sera, cosa posso portarvi?”

L’uomo, quello sulla cinquantina, le rivolse un sorriso viscido e fastidioso.

“Sbaglio o non ti ho mai vista prima?”

“Sì, infatti, sono nuova. Avete già deciso cosa prendere o vi lascio ancora qualche minuto?”

“Un Bourbon liscio per me e tre birre medie chiare per i miei ragazzi”.

Non si toglieva quel sorriso fastidiosissimo dalla faccia e Joan si sentì a disagio. “Arrivano subito”.

“Steve, un bourbon liscio e tre media chiare”.

Steve preparò quello che Joan gli aveva chiesto, tenendo un occhi sui bicchieri e uno sull’uomo seduto al tavolo.

“Perché li guardi in quel modo, Steve? Non piacciono nemmeno a me, ma così dai nell’occhio”. Rise, ma Steve era serio.

“Non dargli troppo confidenza, ok?”

“Ok, ma…Li conosci?”

“Più o meno, tu stagli il più lontano possibile, J”.

Lei annuì, poco convinta, con le ordinazioni sul vassoio. Quando arrivò al tavolo aveva quattro paia d’occhi addosso.

“Ecco le vostre ordinazioni. Il Bourbon”. E quell’uomo la squadrò da capo a piedi, senza togliersi quel sorrisetto dalle labbra. “E le birre”.

Due dei ragazzi si somigliavano abbastanza. Avevano entrambi i lineamenti marcati, gli occhi chiari e i capelli castani. Il terzo aveva lo sguardo perso, gli occhi azzurro cielo e i capelli chiari. Aveva un occhio nero, che probabilmente si era fatto di recente.

“Non ti ho mai visto qui”. L’uomo sorseggiò il bourbon.

“Gliel’ho detto, ho iniziato a lavorare da poco”. E se ne andò.

Quell’uomo di sicuro non le piaceva. Le faceva scorrere brividi gelati lungo il corpo e non le tolse gli occhi di dosso un attimo.

Rimasero lì fino alla chiusura. Ordinarono un secondo giro, che Joan portò defilandosi in fretta.

Scorse Cult all’entrata, ma i loro occhi non si incrociarono mai.

Erano le tre passate e l’unico tavolo a cui era rimasto qualcuno era quello con lo strano uomo e i tre ragazzi, che lei dedusse essere i suoi scagnozzi, o almeno ne
avevano tutta l’aria.

Era ora di chiudere e quei quattro non sembravano volersene andare.

“Angela, quando qualcuno si ferma oltre l’orario di chiusura, voi cosa fate?”

La ragazza alzò gli occhi dal tavolo che stava pulendo.

“Solitamente gli chiediamo di andare via perché stiamo chiudendo, ma forse è meglio che lasci fare a Steve o Cult, o Marcus”.

Ma lei da indipendente qual’era, doveva fare da sola come sempre.

“Oh, non disturbiamoli, penso di potercela fare da sola”.

Angela, non convinta, rimase a guardare mentre Joan si allontanava, pronta a chiamare Steve nel caso ne avesse avuto bisogno.

“Signori, mi dispiace ma stiamo per chiudere, devo chiedervi di andarvene”.

Sorrise, cercando di sembrare il più gentile possibile.

“Perché non ti siedi con noi?”

“Guardi, mi dispiace davvero molto insistere, ma dobbiamo chiudere”.

“Solo cinque minuti, avanti, cinque minuti non  cambiano nulla, o sbaglio?” L’uomo si massaggiò il mento pensieroso. “Mi sfugge il tuo nome…”

Joan sospirò, ma cercò di mantenere la calma.

“Mi scusi ma la sua insistenza sta diventando un po’ fastidiosa, per favore, lasci il locale. Dobbiamo chiudere”.

In quello stesso istante Steve e Cult entrarono nel locale, avvicinandosi al tavolo.

E i tre ragazzi risposero alzandosi di scatto.

“Dai ragazzi, non esageriamo, ok? Il locale deve chiudere e voi dovete andarvene”.

Steve era calmo ma la vena sul collo pulsava. Cult era alle sue spalle, i pugni chiusi.

“Steve, ho sempre ammirato il tuo autocontrollo, tipico del bravo ragazzo, padre di famiglia”.

“Senti, non so perché tu e i tuoi scagnozzi siate qui, ma vi chiedo gentilmente di andarvene”.

“Altrimenti cosa fate tu e il tuo amichetto?” Era stato uno dei due mori a parlare, con voce sprezzante.

“Senti, non vogliamo problemi”. Steve cercava di trattenere Cult, che moriva dalla voglia di tirargli un pugno e si vedeva.

Joan si trovava in mezzo a quella situazione non sapendo cosa fare o dire.

Il ragazzo moro fece il giro del tavolo, arrivando vicino a Cult.

“Parlano tanto di te, ma non capisco cos’hai di speciale…”

“Cult si è solo un po’ rammollito”. Era l’altro moro a parlare.

Joan non capiva, era confusa e le tempie le pulsavano.

Cult si fece più vicino al ragazzo.

“Io quelli come te li mettevo al tappeto in cinque minuti, ecco perché parlano di me! E ora sparisci!”

Stava facendo di tutto per trattenersi. Le nocche erano bianche e le vene sulle braccia fremevano e sembravano voler uscire.

Prima che chiunque potesse rendersene conto lo sconosciuto, quello che aveva provocato Cult, sferrò un pugno colpendolo allo zigomo.
Joan tremò, spaventata. Non aveva mai assistito a una rissa e quello aveva tutta l’aria di essere l’inizio di un incontro di pugilato senza ring.
Cult incassò il colpo senza batter ciglio e fece per avventarsi si di lui, ma Steve lo trattenne.

“Non ne vale la pena Cult”. Era stata Joan a parlare, con un filo di voce.

“Ma sì, ascoltala, che magari poi ti ricompensa per aver fatto il bravo ragazzo…” Quella battuta fece ridere l’altro moro, mentre il biondo restava in piedi, ma immobile e serio.

Cult si slacciò dalla presa di Steve e gli assestò un pugno allo stomaco, seguito da uno al fianco. L’altro rispose con un colpo al labbro, che gli fece fuoriuscire del sangue.

“Ora basta!” Ordinò con freddezza quello che ormai Joan aveva identificato come il capo.

Si voltò verso la ragazza, con un gran sorriso sulle labbra.

“Mi dispiace per il suo comportamento, lo hanno allevato i lupi!” Lasciò una banconota da cinquanta dollari sul tavolo. “Tieni pure il resto”.

Si alzò lentamente, facendo un cenno ai ragazzi che erano con lui.

“Steve mi scuso anche con te penserai che non conosciamo le buone maniere”. Era gentile, ma si capiva che lo faceva apposta, che non era sincero. “E per quanto riguarda te, Cult, hai ancora dei riflessi niente male, se ti va di ricordare i vecchi tempi sai dove trovarmi!”

 
“Prima serata movimentata, eh?!”

Steve le circondò le spalle con un braccio.  Lei annuì.

“Bè, considerati assunta”.

Joan sorrise, illuminandosi. “Davvero?”

“Sì, sei stata bravissima. Veloce, ordinazioni giuste al tavolo giusto, nessun bicchiere rotto…Ma non entusiasmarti troppo, la paga non è un granchè”.

“Va bene così, Steve, …e grazie, davvero!”

“Ci vediamo domani”. La salutò andando alla macchina, mentre lei raggiungeva la sua.

Cult era sparito chissà dove. Avrebbe voluto chiedergli come stava, perché conosceva quel tizio.

Arrivò a casa in fretta, ormai aveva imparato le scorciatoie per arrivare a casa prima e quando arrivò sul pianerottolo vi trovò Cult, intento ad aprire la porta.

“Stai bene?” Chiese lui, ancora di spalle.

“Non dovrei essere io a chiederlo a te?”

Finalmente si voltò rivelandole quel viso bellissimo anche con un livido sotto l’occhio e con un labbro gonfio.

“Io ci sono abituato, tu non sembri tipo da rissa…”

“E infatti odio la violenza, preferisco le parole, possono fare più male dei pugni”.

Cult colse una frecciatina, ma forse era solo la sua immaginazione.

“L’hai già disinfettato?” Chiese lei indicando il labbro.

“Oh, non ce n’è bisogno, me la sono vista peggio”.

“Ne sono sicura, ma se vuoi posso aiutarti io…”

Lui accettò, senza fiatare, accostandosi a lei mentre apriva la porta. Abbandonò tutto sul divano e prese disinfettante e cotone.

Iniziò a passargli il batuffolo di cotone imbevuto sulla piccola ferita, togliendo il sangue raggrumato.

“Sembra che noi due siamo capaci solo di litigare e medicarci le ferite…”

Sembrava più una considerazione tra sé e sé quella di Cult, che una vera e propria affermazione, ma le arrivò dritta al cuore.

“Bè tu non hai certo una vita noiosa”.

Lui si strinse nelle spalle, passando la lingua sul labbro superiore, provocando in Joan una vampata al basso ventre. Ma che diavolo le succedeva? Nemmeno una quindicenne avrebbe avuto quella reazione.

Si distrasse andando a buttare il cotone e riuscendo a respirare.

Prese una busta di surgelati e gliela posò delicatamente sullo zigomo livido scusandosi per il fatto che non avesse del ghiaccio vero e proprio e lo fece sedere sul divano. Si sedette anche lei, ma a debita distanza, onde evitare l’autocombustione.

“Com’è che conoscevi quei tizi?”

“Li conosco e basta”.

“Ah, già dimenticavo che tu non parli della tua vita, o del tuo lavoro, o di qualsiasi cosa ti riguardi”.

Sbuffò sonoramente facendolo sorridere. Era adorabile quando faceva così, e lei nemmeno se ne rendeva conto.

“Ma possibile che mi trovi così divertente?!”

“Mi piace quando sei innervosita!”

“Ottimo, perché tu hai il potere di farmi innervosire come nessuno prima d’ora”. Solo dopo aver detto quella frase si rese conto del significato delle sue parole.

Come nessuno prima d’ora.

Quell’affermazione sembrò farlo vacillare, ma fu solo un attimo.

“Prima di arruolarmi ero un ragazzino senza soldi e l’unica cosa che sapevo fare era picchiare”.

Joan stette in silenzio, aspettando che proseguisse, impaziente di scucirgli il maggior numero di informazioni possibili.

“Una sera un tizio mi ha parlato di quest’uomo che organizzava incontri clandestini e mi ha detto che si poteva guadagnare bene, così sono andato dove mi aveva indicato e quello è stato il giorno che ho incontrato il Vecchio”.

“Il Vecchio è quello strano tizio del locale?”

Lui annuì, facendo una smorfia perché lo zigomo faceva male.

“E’ per quello che eri famoso?”

“Te l’ho detto era l’unica cosa che sapessi fare”. Ci pensò su. “Bè quello e conquistare la ragazze, ma fare il gigolò non faceva per un ragazzino rissoso e privo di qualsiasi classe”.

Joan era assorta, sarebbe rimasta ore ad ascoltarlo. Si passò una mano tra i capelli, avvicinandosi leggermente, bisognosa della sua vicinanza.

“E poi?”

“E poi cosa, ragazzina?”

“Eri un navy seal, non penso tu lo sia diventato dalla notte alla mattina..”

Cult ridacchiò, cacciando la testa indietro e fissando il soffitto.

“Una sera un marine mi ha messo al tappeto. Ero ridotto male e lui mi ha detto che avevo la stoffa per diventare qualcosa di meglio di un pugile clandestino”. Inspirò forte, mentre Joan tratteneva il respiro, terrorizzata che, se solo si fosse lasciata sfuggire un suono, lui avrebbe smesso di raccontare. “Così ha messo una buona parola per me e mi sono arruolato in marina. Ero bravo e mi hanno notato, così sono entrato nei Seal. Tutto qui…”

Finalmente tornò a posare gli occhi su di lei. Due fiumi in piena che niente e nessuno è in grado di contenere.

“Ma poi sei tornato”.

“Quattro anni fa”. Sospirò stanco, ma non era una stanchezza fisica e chiunque se ne sarebbe accorto.

“Come mai sei tornato se eri così bravo?”

Lui alzò le spalle, e una strana ombra gli velò gli occhi. “Non è tutto oro quel che luccica”.

Joan sembrava non capire.

“Hai presente il film ‘L’avvocato del diavolo’?”

Lei annuì, confusa.

“Lui ha tutto, ma vende la sua anima al diavolo”. Spiegò con calma, il viso rilassato. “Ti danno una carriera, medaglie, ti fanno notare quanto sei valoroso, ma tu devi dare qualcosa in cambio”.

Le sembrava di percepire a sua sofferenza, il suo dolore inespresso.

Quando aveva deciso di fare la psicologa temeva che non sarebbe stata brava a causa della sua scarsa capacità empatica. Quando qualcuno soffriva, piangeva, lei era in imbarazzo, incapace di fare qualsiasi cosa.

In quel momento le sembrava di soffrire come soffriva lui. Sentiva il vuoto dentro.

Voleva sapere di più, volevo chiedere, ma aveva paura di allontanarlo.

“Vedo le rotelline girare, ragazzina. Cosa vuoi sapere?”

“Niente”. Lei si chiuse nelle spalle.

“Non raccontarmi le bugie, ragazzina! Sputa il rospo!”

Lei scosse la testa.

“Non mi dire che una psicologa ha paura delle risposte che potrebbe ottenere…”

“Parlano dei navy seal come di persone senza scrupoli…”

“Vuoi sapere se sono un uomo spietato?” La guardava con un’intensità tale da farla avvampare.

Non sapeva cosa rispondere. Ogni volta che aveva una conversazione con lui non sapeva mai che piega avrebbe preso il discorso, sa avrebbe finito per mandarlo al diavolo o per affezionarsi a lui ancora di più.

“Pensi che lo sia?”

Lei scosse la testa. “No, nonostante quello che vuoi far credere. Mi hai salvato la vita quando non era tuo compito farlo, mi hai aiutato quando neanche mi conoscevi. Una persona spietata non fa queste cose”.

Cult era colpito e ammise, almeno a sé stesso, che sentirle dire quelle parole lo faceva sentire vivo come non gli succedeva da tempo.

“…Comunque non ti dirò quello che ho fatto o come l’ho fatto, devi farti bastare quello che mi hai scucito”.

“Perché?”

“Non sono cose di cui vado fiero”.

“Pensi che ti giudicherei?”

“Non lo so, ma meglio evitare l’evitabile, no?”

“Ora salvi vite..Hai qualcosa da farti perdonare?”

Lui scosse la testa. “E’ solo un lavoro come un altro…”. La fissò, lo sguardo assottigliato. “Ora vai a dormire, altrimenti mi incolperai per le tue occhiaie domani”.
 
Ma buonasera! 
Questo capitolo è stato un parto gemellare...No, davvero! Mi era preso il blocco dello scrittore e mi è passato solo pochi giorni fa, quindi eccomi qui!
Che ne dite? Cosa ne pensate di questo Vecchio? E del nuovo lavoro di Joan? 
Chissà che questo vento di ispirazione (che sembra il nome di una soap brasiliana di quart'ordine) non porti con se altri capitoli.
Grazie per aver letto e alla prossima!

xx

 
  
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