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Autore: vivis_    14/10/2015    4 recensioni
Sentii il suo pollice ridisegnare delicatamente la dolce curva del mio zigomo.
«Perché sorridi?» mi chiese a fior di labbra.
«Prima di venire qui avrei scommesso anche la mia casa sul fatto di essere la persona meno capace di un coinvolgimento emotivo su questa terra. Credevo di possedere una corazza abbastanza rigida ed impermeabile da riuscire a farmi scivolare addosso i sentimenti provenienti dall’esterno. Poi arrivi tu e… guardami: sono qui a sorridere senza motivo al cospetto di due occhi neri illuminati dal chiaro di luna, manca solo Iris dei Goo Goo Dolls in sottofondo e potrei seriamente pensare di essere finita in un film tratto da un romanzo di Nicholas Sparks» spiegai con una punta di autoironia.
Sentii una leggera risata vibrare nel suo petto a contatto con il mio. Quel sorriso. Se anche il mio cervello fosse stato fisicamente in grado di dimenticare, quel sorriso non lo avrei scordato mai.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo III
 VIRGINIA
 
«Un articolo… su di te?» chiese mentre riconoscevo una certa incredulità sul suo volto, nonostante l’immagine sgranata sullo schermo del PC.
«Te lo giuro! Non pensavo che il mio lavoro avesse così un’eco mondiale» risposi tentando si nascondere un sorrisetto soddisfatto.
«Ehi, ehi, detective Conan abbassa la cresta.» mi ammonì lanciando uno sguardo di rimprovero verso la webcam «E potresti gentilmente metterti almeno seduta? Vorrei guardarti negli occhi non nelle narici» disse protestando contro la mia posizione semisdraiata.
Mi trattenni del farle una linguaccia come fossi una bambina a cui avevano appena rubato un lecca-lecca.
«Mmh, sento una voce. Non sarà mica qualche parente che riesce a rompere le scatole anche con un intero continente di mezzo?» sospirai esasperata. Mi misi seduta e mi appoggia i il computer portatile sulle ginocchia.
A differenza mia, lei la linguaccia non la trattenne.
Era sempre stato così, io e mia sorella avevamo due caratteri pressoché identici: stessa propensione al cinismo, al sarcasmo e all’autoironia ed entrambe con una lingua parecchio affilata. Un tipo di atteggiamento unicamente nostro, inedito nella nostra famiglia. Talmente singolare che spesso, dopo qualche nostro battibecco all’insegna di brillanti ma avvelenate frecciatine verbali, i nostri genitori vi scherzavano sopra dicendo: “a volte ho la quasi certezza che entrambe siate state scambiate in ospedale”.
Eppure qualcosa avevamo ereditato dai nostri genitori: le nostre differenze. Infatti lei, mia sorella Diana, era più impulsiva quando si trattava di prendere delle decisioni, una caratteristica tipica di mia madre. Io invece avevo ereditato l’iper-razionalità di mio padre, dovevo pensare prima di agire, considerare ogni variante e ogni conseguenza prima di compiere qualsiasi azione. 
 
«Comunque senti qui!» attirai la sua attenzione mentre sfogliavo, per l’ennesima volta quella sera, quelle pagine patinate fino a riconoscere il fatidico trafiletto incorniciato da un bordino giallo, posto accanto a un report giornalistico che riguardava proprio il caso di cui mi sarei occupata durante quel periodo a Londra.
Iniziai a leggere.
«Virginia Sacchi, giovane criminologa appena 26enne, nata a Milano il 28 febbraio, atterrerà nella capitale nei prossimi giorni per intraprendere una collaborazione con Scotland Yard. Diplomatasi a soli 15 anni, la allora giovane studentessa, aveva già mostrato di avere tutti i requisiti per essere quello che si definisce “un piccolo genio”. Dopo aver conseguito in tempo record un laurea in scienze della sicurezza sociale e frequentato un master in criminologia, Virginia ha intrapreso un iter che l’ha portata a vincere il concorso pubblico di funzionario di polizia dello stato a soli 22 anni. La sua breve ma intensa carriera ebbe…» una risatina interruppe la mia lettura che, mi costrinsi ad ammettere, stavo condendo con una modesta dose di teatralità.
«Ma cosa ridi?!» mi lamentai, lasciandomi comunque contagiare dalla sua risata. Dovevo ammetterlo, per quanto mi rendesse orgogliosa essere finita su un giornale con non fosse una rivista medica che parlasse del mio “caso clinico prodigioso”, i complimenti che stavo leggendo suonavano esagerati anche alle mie orecchie.   
«Ti prego, questo è vero e proprio lecchinaggio, nemmeno alla regina avrebbero riservato questo trattamento.»
«Per forza, sono la migliore.» gonfiai il petto alzando lo sguardo verso un punto appena sopra la webcam.
«Ops, credo che la tua modestia mi abbia appena bucato lo schermo.» rispose sarcastica.
Lanciai un’occhiata inteneritrice dritta nella webcam e proseguii nella lettura.
«la sua breve ma intensa carriera ebbe un’impennata esponenziale 3 anni dopo quando, dopo un consistente numero di casi di omicidi risolti grazie alla sua presenza diretta o alle sue perizie (17, un numero impressionate se si considera la sua poca esperienza sul campo e la giovane età), lei accettò il posto offertole all’Interpol di Lione. Virginia diventò una dei più giovani ufficiali di collegamento che la polizia internazionale abbia visto. Sarà sufficiente il talento e la memoria eidetica della giovane anglo italiana per porre un stop definitivo alla serie di omicidi che sta terrorizzando Whitechaple come non capitava dal 1888? Sarà… no, okay ti do ragione, mi sta davvero venendo il diabete, potrei andare seriamente incontro ad uno shock glicemico se leggo un altro elogio nei miei confronti.» commentai richiudendo la rivista e poggiandola sul tappetino al lato del letto. Non avevo mai disdegnato i complimenti di nessuno, anzi. Razionalmente parlando, trovavo che non vi fosse nulla di male nell’alzarmi di venti centimetri quando qualcuno riconosceva i meriti che mi spettavano, ma nonostante ciò esiste un limite a tutto.
Diana trattenne una risata.
«Sei agitata per domani?» chiese tornando seria, riferendosi al fatto che l’indomani sarebbe stato i mio primo giorno di lavoro a Scotland Yard.
Una domanda a cui avrei tranquillamente fatto a meno di rispondere.
Sì, ero in ansia, stranamente in ansia. Era la terza volta che collaboravo con le forze di polizia estere ma quell’incarico mi angosciava particolarmente. Quando ricevetti la chiamata dagli alti ranghi, mi spiegarono che il motivo per cui la scelta era caduta su di me era il fatto che il caso del serial killer di Londra assomigliasse in maniera notevole a un caso al quale avevo lavorato in Italia. Da quel giorno cercai di dare a vedere solo il mio entusiasmo per il fatto di poter lavorare con un organo di polizia così importante come quello di Scotland Yard, cacciando in fondo a un remoto cassetto del mio cervello lo schiacciante senso soffocamento che mi provocava la responsabilità di cui ero appena stata investita. Era stato un mio caso, a rigor di logica avrei dovuto cavarmela in poco tempo ed era su questa mia presunta tempestività che tutti puntavano per togliere dalla circolazione un assassino nel minor tempo possibile.
«Il giusto» risposi vaga.
«Sicura? Non mi sembri troppo convinta»
La stanchezza del viaggio e il suo “conoscermi come le sue all-stars” dovevano aver ridotto ai minimi termini la mia capacità di dissimulazione, quella sera non avrei di certo ricevuto un Oscar.
«No, sono solo stanca» mentii senza però allontanarmi troppo dalla verità.
«Hai ragione Vivi, sarà anche il caso che ti lasci dormire. Domani è il gran giorno, vai a spaccare i culi di qualche assassino sociopatico» disse alzando il pugno al cielo.
Scossi la testa sorridendo, mi sarebbe mancata, come sempre.
La salutai e spensi il portatile riponendolo sulla piccola scrivania di fianco alla finestra. Mi appoggia ad essa con entrambe le mani ed inspirai profondamente, iniziai a fissarmi le punte dei piedi sperando che dal pavimento potesse materializzarsi Morfeo per avvolgermi nel suo caldo abbraccio fino alla mattina successiva, anche se, a dirla tutta, mi sarei accontentata anche di una pastiglia di melatonina.
Dovevo riuscire a dormire. Dovevo e basta. Non potevo permettermi di presentarmi al mio primo giorno di lavoro con un aspetto tale da far credere a tutto il personale di Scotland Yard di essere stato catapultato in una puntata di The Walking Dead.
Sciolsi la coda di cavallo lasciando che i mie capelli ridessero lisci sulle spalle in una dolce cascata di seta color ebano e mi infilai sotto le coperte. Il contatto con le gelide lenzuola accentuarono la rigidità dei miei muscoli dovuta a quell’ansia che, razionalmente parlando, non aveva alcun senso. Era un presentimento, molti lo chiamerebbero istinto, a suggerirmi che quella volta la strada verso la risoluzione del caso sarebbe stata più tortuosa del solito, nonostante le premesse avrebbero fatto pensare il contrario.
La mia coscienza fu scossa da uno spasmo d’orgoglio. Schiacciai il viso contro il cuscino stizzita.
Qualcuno mi spieghi l’intricato paradosso per cui io riesco ad inquadrare la personalità di un completo sconosciuto nel giro di 2 minuti e 15 secondi – ebbene sì, una volta mi avevano cronometrato – quando non riesco nemmeno a capire cosa frulla tra i miei neuroni iperattivi?
Mi rannicchiai di lato aggrappandomi ad un lembo del lenzuolo azzurro e lentamente mi abbandonai ad un sonno statico, freddo e senza sogni.





Ciao peoplez, come va?
Io ho appena ricominciato l'università, motivo per cui posterò con meno frequenza, probabilmente. Ahimè son già triste. 
Ma lasciamo  la tristezza da parte, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ringrazio davvero moltissimo piccolo_uragano_ e skyler9 per le recensioni dell'ultimo capitolo e Joy Barnes, SusanTheGentle e ancora la mia sister in anzzzia piccolo_uragano_ per avermi messo tra le seguite. 
Tons and tons di abbraccia, siete spettacolari.
Vostra,
S.

 
   
 
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