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Autore: vivis_    06/10/2015    5 recensioni
Sentii il suo pollice ridisegnare delicatamente la dolce curva del mio zigomo.
«Perché sorridi?» mi chiese a fior di labbra.
«Prima di venire qui avrei scommesso anche la mia casa sul fatto di essere la persona meno capace di un coinvolgimento emotivo su questa terra. Credevo di possedere una corazza abbastanza rigida ed impermeabile da riuscire a farmi scivolare addosso i sentimenti provenienti dall’esterno. Poi arrivi tu e… guardami: sono qui a sorridere senza motivo al cospetto di due occhi neri illuminati dal chiaro di luna, manca solo Iris dei Goo Goo Dolls in sottofondo e potrei seriamente pensare di essere finita in un film tratto da un romanzo di Nicholas Sparks» spiegai con una punta di autoironia.
Sentii una leggera risata vibrare nel suo petto a contatto con il mio. Quel sorriso. Se anche il mio cervello fosse stato fisicamente in grado di dimenticare, quel sorriso non lo avrei scordato mai.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II
BEN

 
«Più di un secolo dopo l’ultimo omicidio di Jack lo squartatore, un nuovo serial killer torna a terrorizzare il quartiere di Whitechapel. Il Modus Operandi…» la voce seria e misurata della giornalista riempiva l’ampio salotto in cui stavo camminando distrattamente, senza prestare alcuna attenzione al notiziario.
Pigiai il tastino rosso in cima al telecomando e il maxi schermo da troppi pollici diventò nero di colpo. Trascinai annoiato i piedi fino alla grossa finestra e la aprii leggermente. Mi appoggia con gli avambracci al davanzale e inspirai profondamente, non curandomi del vento gelido che, affilato come la lama di una sciabola, mi tagliava le guance.
Aveva un profumo particolare, la foschia londinese. Odorava di pioggia, di gente, di vita, ma soprattutto sapeva di casa.
“Quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita” diceva il buon Samuel Johnson e quanta ragione aveva. Certo, ogni singolo giorno ringraziavo Dio per avermi permesso di fare un lavoro che mi permettesse di visitare il mondo, ma ogni giorno lo ringraziavo anche per avermi dato, ogni volta, l’opportunità di tornare a casa.
Affilai lo sguardo riconoscendo la sagoma della cupola della Cattedrale di St. Paul, resa sfocata dalla pioggia che instancabile cadeva, lei, ormai così affezionata ai tetti della capitale.
«Capisco che il freddo mantenga giovani, e capisco anche che tu da buon One Man Show, sia affezionato alla tua immagine. Però tra poco inizieranno a uscire stormi di pinguini dalla credenza se non chiudi quella finestra.» una vivace voce interruppe il flusso dei miei pensieri.
«Mio caro giovane fratellino, dubito che i pinguini si misurino in stormi.» risposi senza distogliere lo sguardo, mentre a stento trattenevo una risata. «Al massimo in colonie.» conclusi voltandomi.
«Ma i pinguini non sono uccelli?» obbiettò Jack alzando un sopracciglio.
«Sì, ma sono quasi sicuro che National Geographic abbia detto “una colonia di pinguini” l’ultima volta che l’ho guardato.» risposi soddisfatto, pregustando quella che credevo sarebbe stata la mia imminente vittoria in quel dibattito.
«Mio Dio Benjamin, non so se sia  più preoccupante il fatto che tu guardi National Geographic o il fatto che stiamo sul serio avendo questo genere conversazione.»
Entrambi ci fissammo negli occhi per qualche secondo per poi scoppiare all’unisono in una sonora risata.
 «Ti ricordi? Da piccolo mi chiamavi Benjamin solo quando mi dovevi chiedere dei favori» ricordai mentre le risa iniziavano a disperdersi per i corridoi dell’appartamento.
«Oh, beh… in effetti quello sarebbe il mio scopo…»
«E cosa dovresti chiedermi?» sospirai incrociando le braccia.
«Di chiudere quella dannata finestra prima che ci raggiunga anche un colonia di lupi artici!» esclamo puntando il dito minaccioso verso di me.
«Branco.» lo corressi con l’indice puntato verso l’alto con un’espressione soddisfatta.
Mi voltai dando un ultima veloce occhiata al grigio skyline. Accolsi nei miei polmoni un’ultima boccata di aria gelida e profumata e chiusi la finestra facendo scattare rumorosamente la serratura, a mo’ di protesta.
Egli sospirò. «Ti odio.»
«Nah, io non credo.»
«Hai ragione» constatò.
Non ebbi nemmeno il tempo di sbattere le ciglia, in un nano secondo Jack  si lanciò verso di me saltandomi al collo, ricordandomi quando, da bambini, giocavamo a fare la lotta con la differenza che, a quel tempo, ero io quello che le dava.
«Mi sei mancato Benlywood!» ammise mentre sfregava il suo pugno tra i miei capelli dopo che, ovviamente, il suo dolce fare aveva trasformato il suo tentativo di abbraccio fraterno in una rovinosa caduta.
Ebbene sì, mi era mancato anche lui, in realtà mi era mancata casa mia. Trasferirmi negli Stati uniti era stata indubbiamente la scelta più logica e sensata, in quanto mi permetteva di seguire la mia carriera da più vicino, ma avrei mentito se avessi detto che amavo alla follia quel posto. Infatti, ero solito tornare a casa dopo aver girato un film, mi aiutava a ricaricare le batterie dopo essere stato completamente assorbito da quel tour de force che erano le riprese. E così era stato anche quella volta.
Non protestai nemmeno per l’assurdo soprannome che mi aveva appioppato fin troppe volte, e sempre contro la mia volontà. Se lo inventò dopo lo straordinario successo di “Le cronache di Narnia: il Principe Caspian” e doveva essere la somma del mio nome e della parola “Hollywood”, un’idea assurdamente pessima che, oltre ad essere totalmente ridicola, aveva anche un suono decisamente atroce e innaturale.
«Beh quindi dopo questa dichiarazione d’amore, come minimo il mio famoso fratellone mi dovrà offrire una birra, cosa dici?» disse una volta tiratosi in piedi.
Sospirai alzando gli occhi al cielo. Non si sceglie la famiglia, giusto?
«Va bene, dai. Vado a prendere il cappotto» acconsentii.
Mi diressi verso il guardaroba, mentre con la coda dell’occhio vedevo Jack saltellare felice e soddisfatto come un bambino che aveva appena convinto il papà a portarlo fuori a prendere un gelato. Non riuscii a non farmi scappare un sorriso.
«Ah, Jack?»
«Dimmi.»
«Mi sei mancato.» ammisi.
 
Nel piccolo pub, incastrato in una viuzzola poco lontano da Piccadilly Circus, volteggiavano le note di un pezzo di Phil Collins. Tamburellai le dita sul bicchiere umido di condensa, seguendo il ritmo dell’assolo di batteria. Adoravo quel genere di atmosfera: così semplice da sembrare quasi famigliare, mi aiutava a mantenere una specie di stato di equilibro, disintossicandomi  dal lusso che faceva da padrone nel mio ambiente lavorativo.
Passai la lingua sul labbro superiore ripulendolo dalla schiuma della birra e alzai il viso incontrando lo sguardo perplesso di mio fratello, che in quel momento mi stava fissando come se stessi bevendo col naso.
«Che hai?» chiesi sollevando un sopracciglio.
«Allora» esordì unendo le mani portandole sotto il mento. «Hai girato un film in cui il tuo personaggio si innamorava e sposava un’americana, poi decidi di interpretare uno dei fautori della rivoluzione americana e, dulcis in fundo, usciamo a bere una e tu ordini una Guinness… com’è che non ho ancora trovato un ordine di esilio firmato da nonna Elizabeth nella casella della posta?» mi chiese con aria seria affilando lo sguardo.
«Tu sei un cretino.» scandii dopo un inutile tentativo di trattenere le risate che, ormai, erano diventate una constante dello stare in sua compagnia.
«Dico solo che se ci tieni tanto a rinnegare la tua nazionalità potresti farlo in maniera un po’ più discreta. Ma, a proposito di nonna Eli…» Jack allungò il braccio per afferrare una copia del The Times abbandonata sul tavolino affianco al nostro. « chissà cosa ne pensa del fatto che Scotland Yard non sappia prendere da sola i criminali propri criminali.» disse mostrandomi la prima pagina del giornale macchiata da un cerchio umido nell’angolo destro, probabilmente dovuto a qualche lettore distratto che vi aveva appoggiato sopra il proprio bicchiere. Mi sporsi in avanti mettendo a fuoco le parole stampate.
Ero atterrato da circa 36 ore, per cui ben poco sapevo di ciò che stava accadendo nel Regno Unito e meno ancora di quel serial killer che, a quanto diceva l’articolo, aveva mietuto la sua terza vittima nel giro di un mese.
«Un consulente esterno? Deve essere davvero un rompicapo come caso.» commentai sbattendo le palpebre, sinceramente impressionato. Era quel genere di notizia-paradosso di cui si chiacchiera a tavola con lo stesso tono con cui si parlerebbe di una partita di tennis, come se quei fatti raccapriccianti stessero accadendo dall’altra parte del mondo. Quel genere di notizia troppo grande per essere considerata un pericolo imminente, perché troppo lontana dalla realtà di tutti i giorni.
Tornai ad appoggiarmi allo schienale della sedia liquidando il più in fretta possibile quella sgradevole sensazione che si faceva strada da un remoto angolo della mia coscienza. 





Buondì belle persone,
Eccomi qui, non ho voluto far trascorrere troppo tempo tra il primo e il secondo capitolo perchè volevo che aveste una presentazione, un pilot, come si dice nel gergo delle serie TV, di entrambi i personaggi principali. Spero non vi deluda la mia "preliminare" versione di Ben. 
Ringrazio tantissimo SusanTheGentle (che ha vinto il fantastico premio "Primo Recensore Award 2015", macchestodicendo?!), skyler9, piccolo_uragano_ (la mi sforna-citazioni preferita) e Joy Barnes per le recensioni dello scorso capitolo, siete meravigliosi. 
Dopo tutta questa sviolinata, vi saluto sperando che il capitolo vi sia piaciuto.
Un mega bacio, a presto.
S.
   
 
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