V
RASSEGNAZIONE
Abbandonato
contro la morbida pelle del sedile della sua auto, Danny tamburellava
le dita sul volante, immerso nei propri pensieri.
Non riusciva a togliersi dalla testa ciò che si erano detti
lui e Chin Ho a pranzo da Kamekona, il giorno dopo aver catturato Lo
Spazzino.
«Non l’hai sentito, vero?».
«No, lui... non risponde alle telefonate».
«Preoccupato?».
«Un po’», scosse le spalle per fingere
noncuranza, tenendo le mani intrecciate sul tavolo, mentre cercava di
trovare qualcos’altro di abbastanza “alla
Danny” da dire.
Era già stato sufficientemente difficile ridurre il suo
livello di ansia a quelle due parole e per una volta era profondamente
grato al sole accecante delle Hawaii che, costringendolo a tenere gli
occhi stretti in due fessure, aveva impedito al collega di leggervi
riflessa la verità.
Alla fine arricciò gli angoli della bocca in un piccolissimo
sorriso e aggiunse: «Come un padre al primo ballo della
figlia».
«Beh, ovunque sia, McGarrett vuole cavarsela da solo.
Altrimenti avrebbe chiesto il nostro aiuto», dedusse Chin con
la sua solita calma.
Danny non era d’accordo, in parte perché conosceva
il suo pollo e in parte perché quella notte, a causa
dell’incubo che gli aveva impedito di riaddormentarsi, aveva
avuto un sacco di tempo per pensarci su.
Dondolò la testa e si concesse un respiro profondo prima di
condividere la propria illuminazione: «Vuole proteggerci. Non
vuole che corriamo dei rischi».
Steve aveva tanti difetti – il totale rifiuto delle
regole civili, l'imprevedibilità, la monotonia nel vestire e
il pessimo gusto nel cibo – ma non ci si poteva assolutamente
lamentare della sua lealtà. Per le persone a cui teneva si
sarebbe gettato pure nel fuoco, e Danny odiava quel lato del suo
carattere tanto quanto lo stimava.
Odiava che avesse preferito tenerlo al sicuro piuttosto che al suo
fianco e allo stesso tempo gli era debitore, perché non
avrebbe mai sopportato di rendere orfana di padre la sua scimmietta.
Steve lo sapeva e Danny per questo si sentiva in colpa,
perciò lo odiava. Era un maledetto circolo vizioso, con lui.
Stava giusto per allungare la mano verso il cruscotto per recuperare il
cellulare e fare l’ennesimo tentativo, quando la campanella
della scuola trillò e tutti i genitori si avvicinarono alla
scalinata in pietra per attendere la mandria di bambini che di
lì a poco sarebbe corsa fuori dall’edificio.
Anche Danny scese dalla Camaro per appoggiarsi al cofano ormai tiepido
e decise di non pensarci più: voleva occuparsi solo della
sua Grace, godere di ogni attimo della sua compagnia prima che partisse
per il continente, e farle credere che andasse tutto bene.
«Ehi, scimmietta!».
La figlia lo avvistò dall’altro lato della strada
e scese di corsa la scalinata per raggiungerlo nel più breve
tempo possibile, quindi gli gettò le braccia al collo e si
fece sollevare da terra per fare un mezzo girotondo insieme.
«Mi sei mancata tanto», le sussurrò
Danny nell’orecchio, prima di posarle un bacio sulla tempia.
«Anche tu. Dove andiamo?».
«Dove vuoi».
«In spiaggia?», gli chiese con gli occhioni
spalancati per l’eccitazione.
Il biondo le aprì la portiera al lato del passeggero e le
rivolse un mezzo inchino prima di farla salire sull’auto.
«Ogni suo desiderio è un ordine,
principessa».
La bambina sorrise contenta e una volta agganciata al sedile
aspettò che il suo papà facesse di nuovo il giro
per mettersi al volante.
Aveva appena acceso il motore, quando esclamò:
«È da un po’ che non vedo lo zio Steve,
gli chiedi se vuole venire con noi?».
La sorpresa fu tanta che nel giro di tre secondi rivisse nuovamente
tutto ciò che aveva provato il giorno in cui – una
settimana prima, ormai – aveva scoperto che Steve se
n’era andato. Lo shock, la rabbia, la delusione, la
paura… Tutte quelle sensazioni lo travolsero con la stessa
potenza devastante di un’onda anomala, impedendogli di
rispondere prontamente a sua figlia. Dovette sforzarsi per recuperare
il controllo di sé, per ristabilire quel precario equilibrio
che aveva impiegato giorni a trovare.
«No piccola», rispose alla fine, schiarendosi la
gola. «Steve è partito».
«È andato in vacanza?».
Aveva immaginato mille possibili scenari, chiedendosi cosa stesse
facendo, quali strade stesse percorrendo, quale brezza gli stesse
scompigliando i capelli corti, e mai, mai gli era venuto in mente di
raccontarsi una bugia simile. Forse perché conosceva troppo
bene Steve ed era sicuro al cento percento che il marinaio non sapesse
nemmeno il significato del termine “vacanza”. Non
si sarebbe stupito affatto se per lui gli addestramenti sulle navi, le
missioni sotto copertura e gli accampamenti nel deserto fossero
sinonimi di vacanza, e di lusso per giunta.
L’idea di Grace era così bella e normale
che vi si aggrappò con tutte le sue forze, cercando di
auto-convincersene. I risultati non furono dei migliori, ma perlomeno
riuscì a stirare un sorriso e a rispondere: «Una
specie».
Passarono all’appartamento di Danny solo per lasciare
giù lo zainetto di scuola ed infilarsi i costumi da bagno,
poi parcheggiarono l’auto vicino al furgone giallo di
Kamekona e mano nella mano raggiunsero il gigante hawaiano per un
saluto.
«Haloa, fratello!», lo
salutò quest’ultimo, posandosi le mani sui vasti
fianchi.
«Kamekona», ricambiò con un cenno del
capo. «Tutto bene con il furgone? Hai imparato la
lezione?».
«Sì, grazie tante haole».
Gli diede una pacca sulla schiena con cui quasi gli fece sputare un
polmone e poi si piegò un poco verso Grace per sorriderle e
far danzare le proprie sopracciglia: «La vuoi una granita al
gusto gamberi?».
La bambina, di solito molto posata e gentile con tutti, non
riuscì a nascondere una smorfia di disgusto e
sollevò lo sguardo implorante verso il padre, il quale aveva
già allungato una mano verso l’hawaiano per
tenerlo lontano dalla sua piccolina.
«Cos’è, hai per caso intenzione di
avvelenarla?».
«È una nuova specialità!».
«Non la prenderemmo nemmeno se fosse gratis, Kamekona. Roba
da matti».
Danny alzò gli occhi al cielo e fece cenno a Grace di
andare, ma il venditore ambulante lo trattenne, chiedendogli senza giri
di parole: «Ancora nessuna notizia di McGarrett?».
Con le labbra strette tra loro, il detective si limitò a
scuotere la testa in segno di diniego.
«Sono sicura che zio Steve sta bene»,
esclamò Grace, stringendo più forte la sua mano.
Danny sorrise e le accarezzò la testa, aggiungendo:
«Sì, probabilmente si sta divertendo
così tanto che si è dimenticato di chiamare. Gli
faremo una bella ramanzina quando tornerà, sei
d’accordo?».
Grace annuì ricambiando il sorriso e poi salutò
Kamekona per trascinare suo padre verso la spiaggia, affollata come
sempre da centinaia di bagnanti tra turisti e surfisti con le loro
tavole dai mille colori.
Quel
pomeriggio costruirono il più brutto e triste castello di
sabbia che avesse mai visto, fecero un bagno a riva e raccolsero un
sacchetto di conchiglie da portare ai nonni materni di Grace.
Era riuscito a distrarsi con la figlia accanto, perciò
quando gli chiese se poteva andare a giocare con delle sue compagne di
scuola esitò prima di lasciarla andare, certo che la
malinconia sarebbe caduta di nuovo su di lui come una coperta bagnata.
Grace era solo a qualche metro di distanza, che rideva spensierata con
le sue amichette mentre cercavano di imitare i sensuali movimento di
bacino di una qualche popstar a lui sconosciuta ma che da quel giorno
in poi avrebbe odiato a morte per ovvie ragioni, e la spiaggia era
così affollata che bisognava essere atleti di un certo
livello per crearsi un varco verso il mare, eppure si sentiva solo al
mondo, senza alcuno scopo. E lo sapeva che aveva promesso di non
pensarci almeno per un po’, di dedicare ogni neurone del suo
cervello e ogni fibra del suo corpo a Grace, ma non poté
fare a meno di ripescare il cellulare dalla tasca dei pantaloni per
portarselo all’orecchio e immaginare Steve
dall’altra parte, pronto ad accogliere ogni suo sfogo con il
suo irritante sorrisino sul volto.
«Ehi, senti, lo so che non è il tuo primo ballo,
okay? Anche se non ne vuoi parlare, lo so che come SEAL hai preso parte
a missioni più pericolose e che hai sfidato la morte
centinaia di volte, ma la verità è che sono
preoccupato per te. Non sei Terminator! Anche se ti piacerebbe.
«Ho capito che ci hai tenuto fuori da questa storia
perché vuoi tenerci al sicuro, perché credi che
noi abbiamo molto più da perdere di te. Ti ringrazio per il
pensiero, ma come al solito ti sbagli. Tu... tu non sei solo, Steve,
né sei sacrificabile per la causa. Hai tua sorella, Chin,
Kono... hai me. E Grace».
Come se lo avesse sentito, la bambina si voltò verso di lui
ed interruppe il proprio balletto per salutarlo con una mano. Danny
ricambiò, abbozzando un sorriso.
«Mi ha chiesto di te oggi, lo sai? Voleva che venissi con noi
in spiaggia. E anche io». Respirò profondamente,
tirandosi indietro una ciocca di capelli ancora umidi che gli era
scivolata sul volto, e concluse la telefonata: «So
già che non cambierai idea, cocciuto come sei, ma almeno
richiamami. Per favore, richiamami».
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Ormai
ci siamo quasi... questo è il penultimo capitolo! Spero vi
sia piaciuto ;)
Grazie a chi ha letto e a Red
lady che assidua continua a commentare! Grazie infinite *^*
A domani sera per l'ultima parte!
Vostra,
_Pulse_