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Autore: Osage_No_Onna    15/10/2015    2 recensioni
[Slash://]
Due ragazzi.
Un mese di vacanza.
Quattordici biglietti lasciati su un muro.
Quindici fiori ad accompagnarli, scelti accuratamente in base al loro significato.
L' evoluzione di un rapporto, dalla fredda indifferenza all' amore.
I sentimenti sono imprevedibili: cambiano in un batter di ciglia e non sempre si trova il modo adeguato per esprimerli appieno.
Ma le possibilità sono tante, quasi infinite.
Sta a noi sfruttarle al meglio.
E se il mezzo di comunicazione è decisamente desueto, la situazione si fa più intrigante...
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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04: Dewdrops of Happiness

 
I ciliegi di Toscana erano i soli testimoni e spettatori di uno spettacolo singolare nella sua frequenza. Era la loro bellezza effimera a renderlo unico, diverso dai mille casi simili che in quello stesso giorno erano già accaduti, si stavano svolgendo o sarebbero arrivati.
Sotto di loro non c’ erano salme di valorosi samurai morti coraggiosamente del cui sangue assumere il colore rosato, ma una semplice ragazzina esile e leggermente sottopeso che, con la schiena curva per i singhiozzi, piangeva.
Di gioia.
Erano lacrime determinate dalla consapevolezza di aver vissuto per un bel po’ in una prigione tutt’ altro che dorata senza aver mai fatto nulla per uscirne, sprecando giorni interi a veder passare ore e minuti che inesorabilmente scorrevano, quieti ed inutilizzati, verso la loro fine, e di aver finalmente trovato la chiave di platino per uscirne.
Probabilmente i sorrisi spezzati della ragazza non erano degni dei “pugnaloni” creati in onore del ciliegio che rifiorì ad Acquapendente[1], nel Lazio, ma se i tronchi di quegli alberi fiorentini avessero potuto percepire coscientemente la realtà attorno a loro avrebbero segnato quel momento nei loro annali vegetali.
La poverina si alzò sulle sue gambe tremanti e si risiedette, qualche metro più avanti, sulla riva di un fiumicello incredibilmente limpido, la cui riva erbosa era ancora punteggiata di gocce di rugiada.
Era uno dei suoi luoghi di meditazione preferiti: di mattina presto, quando i dintorni erano ancora deserti, vi andava spesso, ora per passeggiare, ora per sdraiarsi sull’ erba e dimenticare tutti i suoi guai e, quasi quell’ angolino di verde avesse in sé una qualche strana magia bianca, ne ritornava sempre, se non più serena, quantomeno rifrancata.
Laddove il flusso di persone ed auto s’ interrompeva, ponendo una breve fine al ciclo della caotica vita cittadina, prendeva vita il flusso dei suoi pensieri.
Sola, isolata, poteva abbandonarsi completamente a quella che da un po’ era la sua attività preferita.
Negli ultimi tempi si era sentita come la fata della canzone, alla quale avevano bruciato ali e trine del vestito[2]. Nonostante avesse voluto volare con tutta la sua anima non avrebbe più potuto farlo, per cui passava mesta il suo tempo a leggere giornali e a contare le ore… E proprio quando sembrava aver dimenticato tutto lo stropiccio dei moncherini bruciati che aveva sulla schiena la riportava alla tragica realtà.
Tuttavia c’era sempre un paio di braccia amiche pronto a consolarlo.
Ora, finalmente, lo aveva anche lei: braccia promettenti che sprizzavano simpatia, una certa dose di ironia e confortante calore umano. Eh sì che da lui non se lo sarebbe aspettato proprio! Eppure…
Cosa lo aveva spinto a fare tutto questo per lei?
Il desiderio di rendersi utile? Pietà? Benevolenza? Un certo interesse nei suoi confronti? Empatia?
Quel ragazzo, al contrario delle altre quattro simpaticissime new entries, continuava a rimanere un’ incognita.
La lasciava perplessa, talvolta la irritava, eppure lo trovava, in un certo qual senso, affascinante: la attiravano l’ inconsapevole disinvoltura con cui indossava i costumi popolari, le movenze fluide ed agili da gazzella, il sorriso spontaneo che sembrava quasi fiorire sulle labbra sottili, il modo in cui catturava i problemi semplicemente sfiorandoli senza che essi intaccassero il suo buonumore ed il suo spirito. E, inevitabilmente, i capelli castani che ricadevano poco sopra le spalle come una cascatella, le iridi azzurre incastonate negli occhi dal taglio allungato e nel viso orientale, il colorito dorato della sua pelle avevano riacceso qualcosa in lei.
Tra un po’ avrebbe capito come mai quei poeti e quelle poetesse tanto amati da suo padre descrivevano l’ amore come una bestia dolceamara, una scarica di fulmini, un fabbro crudele oppure un bambino capriccioso che gioca a dadi con i litigi[3].
Per ora si sentiva solo infinitamente grata verso quel ragazzo, dal quale mai si sarebbe aspettata anche solo un minimo segno di comprensione, per averlo liberata da quel macigno che da troppo tempo gravava su di lei.
Semplicemente ascoltandola.
Aveva dimenticato quanto conforto potesse recare un orecchio ben attento.
L’ aveva letteralmente spiazzata chiedendole di incontrarlo nella saletta in cui era solita sonnecchiare prima dell’ inizio del campus alle sei di mattina.
La cosa la seccava enormemente perché da un po’ soffriva d’ insonnia e talvolta, a quell’ orario, non aveva nemmeno chiuso occhio. Eppure, la sera prima, aveva dormito profondamente ed era riuscita a svegliarsi prima senza problemi.
Alle sei, puntuale come un orologio svizzero, era entrata nella stanza immersa nella semioscurità ed aveva trovato l’amico sorridente e fresco come una rosa.
Le guance di lui si erano leggermente imporporate quando era giunta e, dopo l’imbarazzo iniziale, le aveva posto titubante alcune domande.
Lei pensava che sarebbe stato molto difficile rispondergli, ma tutto era fluito dalle sue labbra con estrema facilità e, sotto la guida delle parole dell’ interlocutore, aveva raccontato tutto.
Di come s’ era sentita male sotto le continue provocazioni dei bulli, degli stupidi insulti (che si susseguivano, a varie riprese, dalle elementari) che talvolta degeneravano in violenza fisica, dell’ ansia dei familiari, dei loro sguardi che non riusciva più a sopportare, della sua decisione di tacere.
E, non appena ebbe finito di parlare, lui le aveva sorriso e le aveva detto: “È stata una scelta davvero stupida.”
Com’ era vero.
Si sentiva una stupida ad averlo realizzato solo allora.
Grazie…”sussurrò felice tra sé, volgendo i pensieri all’ amico.
La sua idea era stata… provvidenziale e piacevole, come la cascata di petali di scilla che aveva visto un volta a casa sua, in Giappone.
Sorrise all’ infiorescenza di maonia che aveva acquistato poco prima: era incredibile come, nel linguaggio dei fiori europeo, esprimessero concetti basilari ma tanto importanti. Al contrario di quanto era accaduto con i Sigilli di Salomone, quei piccoli fiori gialli le erano piaciuti subito… forse per la doppia serie di piccoli petali o per il colore acceso, che infondeva gioia solo a guardarli.
Quando aveva visto quell’ arbusto per la prima volta, dalla fioraia filiforme, era rimasta sinceramente impressionata: dal basso del suo metro e mezzo di statura e poco più era sentita davvero minuscola di fronte a quella pianta che la sovrastava, estendendosi cinquanta centimetri sopra di lei. In mezzo a tutti quei fiori che cercavano senza successo di sopravvivere facendo affidamento soltanto sull’ acqua le radici ben piantate nel terreno, pur trovandosi in un vaso, erano decisamente fuori posto e molto più belle.
Inoltre il colore grigiastro della corteccia era decisamente compensato dalle belle foglie verdi, che ai suoi occhi inesperti erano sembrate molto simili a quelle delle felci, e dal giallo delle tante infiorescenze.
Ridacchiò pensando a quel momento, risalente a nemmeno una settimana fa.
Ondeggiando lentamente nella gonna blu della divisa, arrivò al muretto di casa sua.
Vi lasciò fiore e biglietto, come da procedura, sperando che il ragazzo sarebbe passato di lì “per caso” come faceva sempre, altrimenti glielo avrebbe fatto capire lei.
Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e, respirando a pieni polmoni l’ aria frizzante del primo mattino, sorrise, per la prima volta dopo tanto tempo, al mondo.
 
 
“Questi fiori si riferiscono a quanto ho detto prima. A tutto.
Ma quel che ho dimenticato scioccamente di dire è GRAZIE.
Grazie davvero.
Scusami se non trovo altro da dire, ma mi hai consigliato di non forzare i miei sentimenti almeno durante le confidenze ed io ci sto provando.
Per cui, grazie ancora per tutto.
-Y”
 
 
 
[1]: Nel 1166 ad Acquapendente, nel Lazio, due contadini video rifiorire un ciliegio ormai secco. L’ evento fu considerato di buon auspicio e gli abitanti, armatisi di attrezzi da lavoro, insorsero contro il dominio di Federico Barbarossa e lo scacciarono. I “Pugnaloni” sono mosaici realizzati con foglie e fiori.
[2]: Riferimento alla canzone “La fée” di Zaz.
[3]: Le parole qui citate provengono dai frammenti di Saffo, Anacreonte e Mimnermo, poeti greci del periodo ionico (VII-VI secolo a.C.).


   
  



 






 
 
   
 
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