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Autore: Mary P_Stark    16/10/2015    2 recensioni
Lithar mac Lir, gemella di Rohnyn, porta con sé da millenni un misterioso segreto, di cui solo Muath e poche altre persone sono al corrente. Complice la sua innata irruenza, scopre finalmente parte di alcune tessere del puzzle di cui è composta la sua esistenza, ma questo la porta a fuggire dall'unica casa - e famiglia - che lei abbia mai avuto. Lontana dai fratelli tanto amati, Lithar cercherà di venire a patti con ciò che ha scoperto e, complice l'aiuto di Rey Doherty - Guardiano di un Santuario di mannari - aprirà le porte ai suoi ricordi e alla sua genia. Poiché vi è molto da scoprire, in lei, oltre alla sua discendenza fomoriana e di creatura millenaria, e solo assieme a Rey, Lithar potrà scoprire chi realmente è. - 4^ PARTE DELLA SERIE 'SAGA DEI FOMORIANI' - Riferimenti alla storia nei racconti precedenti
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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3.
 
 
 
 
 
Sbadigliai, risvegliandomi da un lungo sonno privo di sogni.

Gli occhi sondarono l'ambiente in ombra attorno a me e, subito, i miei sensi si allertarono, in ansia.

Dov'erano le alte colonne di corallo, i fregi arabescati alle pareti, le specchiere di madreperla e la mia toeletta di marmo bianco?

Fu un attimo, ma infine rammentai la verità.

Questa si riversò su di me come la carica di un branco di squali martello, tramortendomi.

Mi lasciai perciò andare sul materasso di lana su cui ero sdraiata, stordita dalla realtà nuda e cruda che era tornata a ossessionarmi.

Annusai i profumi nell'aria, riconoscendo il profumo alla lavanda usato per le lenzuola e, più discreta, un'essenza di ambra proveniente dal mobilio.

Che fosse qualche prodotto utile a renderli lucidi e splendenti? Forse.

Non me ne intendevo molto, di queste cose.

Volsi il capo sul cuscino di piume, e i miei occhi sfiorarono la finestra dalle imposte accostate, le sue tende di batista bianca e, poco sotto, una cassa panca coperta da cuscini fiorati.

Alla sua destra, notai un tavolino corredato di sedia, un mobile a due ante e, sul lato opposto della stanza, una specchiera da muro.

Mi levai a sedere, lasciando fuoriuscire i piedi dal calore delle coltri profumate e, accigliata, osservai la mia pelle.

In sé, gli arabeschi fiorati che, ogni mille anni, spuntavano sulle sue carni, non erano brutti a vedersi.

Tendevano dal bruno-rossastro al nero, distribuendosi in mille tinte disuniformi che creavano tridimensionalità al disegno.

Quello che me li aveva sempre fatti odiare, però, era stata l'assoluta mancanza di un simile corrispettivo negli altri fomoriani.

Ora, forse, ne avevo capito i motivi, ma accettarli era tuttora difficile.

Gli arabeschi che stavo osservando in quel momento risalivano lungo i piedi, sfiorando le caviglie sottili e gli stinchi.

Ne avevo altri, e molto più grandi, più estesi.

L'ultimo a comparire era giunto pochi mesi addietro, poco prima di aver compiuto quattromila anni.

A ben pensare, ora sapevo almeno il perché. L’approssimarsi del mio vero onomastico, scatenava il cambiamento, la venuta dei glifi.

La schiena aveva pulsato tremendamente e, nel guardarmi allo specchio, avevo notato con sgomento quel nuovo segno distintivo della mia diversità.

Ne avevo parlato lungamente con Muath, che mi aveva rassicurata con inconsueta gentilezza e, poco per volta, il disagio era scemato come al solito.

“Che sia il mio sangue di Tuatha, che lotta contro la mia parte fomoriana?” mormorai tra me, levandomi infine in piedi.

Qualcuno bussò alla porta.

Espandendo i miei sensi, avvertii il tocco mentale di Rey e, nell'aprire la porta, dissi sommessamente: “Buongiorno.”

“Buongiorno a te, Litha. Dormito bene?” mi domandò, lanciando un'occhiata incuriosita ai miei piedi prima di tornare a guardarmi in viso.

Era alto poco più di me, perciò non fu difficile incrociare il suo sguardo.

Piuttosto, mi domandai se la mia altezza lo mettesse a disagio.

Non era insolito che gli uomini si sentissero insicuri, o addirittura indispettiti, di fronte a donne alte come lo ero io.

Anche tra i fomoriani.

Tornai verso il letto per infilare calze e scarpe e Rey, stando sulla porta, si appoggiò allo stipite e disse: “Volevo scusarmi per mia nonna. Ormai, non ha più la delicatezza di un tempo, così spesso dice quello che pensa senza pensare alla reazione della gente.”

Mi bloccai un momento, guardandolo con rinnovata curiosità, e gli domandai: “Non mi sembri sorpreso da quello che hai sentito ieri pomeriggio e, anche a cena, mi sei parso piuttosto tranquillo. Hai qualche squilibrio mentale?”

Lui scoppiò a ridere di gusto, battendosi una mano sui jeans consunti e schiariti, che indossava assieme a un maglione a collo alto.

Quel mattino, era nero, con un piccolo ricamo in corrispondenza del cuore. Le sue iniziali.

“Oddio, no davvero! Anche se in famiglia, forse, qualcuno potrebbe dirlo, di me e nonnina.”

“So da fonti certe che non tutti reagiscono con così tanta flemma a notizie del genere” gli feci notare, infilandomi le scarpe da ginnastica.

Una mezza giornata passata dinanzi alla stufa era bastata ad asciugarle.

Mi lasciò uscire dalla stanza, e io mi accodai a lui per raggiungere la cucina.

Lì, trovai la tavola già pronta per la colazione, ma non la presenza di Gwendolin, la nonna di Rey.

Come leggendomi nel pensiero, pur sapendo che non era questo il caso, mi disse: “E' a letto. Di solito, non si sveglia prima delle dieci.”

Accomodatami a un cenno del padrone di casa, mi servii del caffè bollente, mormorando pensosa: “Chi sei veramente? Chi siete entrambi voi?”

Mi sorrise, passando il coltello imburrato sopra un panino fresco e profumato.

Il solo aroma del pane bastò a farmi brontolare lo stomaco.

“Hai accennato ai licantropi, quindi immagino che tu ne conosca qualcuno” replicò lui, studiandomi da sotto le lunghe ciglia scure.

Al mio assenso, proseguì.

“Non so quanto sai della loro cultura, ma la nonna è una völva, una veggente e, per lungo tempo, è stata la guida spirituale del branco di Cork.”

“Ma è umana” mormorai, confusa.

Se avessi passato più tempo con Eithe, forse, avrei conosciuto maggiormente la sua gente ma, tra le ronde a Fay e il resto, non ve n’era stato il tempo.

“Oh, sì, al cento percento. Esattamente come me, o gli altri componenti della mia famiglia” assentì, sempre sorridendo con quel suo modo tranquillo e affabile, come se nulla potesse sorprenderlo, o preoccuparlo.

“Quindi, come può essere una veggente legata ai mannari?”

“Il suo è una sorta di potere medianico che si ha indipendentemente dal sangue mannaro. O così mi ha spiegato nonnina.”

Sorrise maggiormente, nel dirlo.

Era chiaro anche a me che non li conoscevo, che Rey le voleva molto bene.

“E tu come sai dei mannari?” gli domandai a quel punto, sempre più curiosa.

Lui scrollò le spalle come se fosse un argomento noioso e, senza rispondermi subito, diede un morso al suo panino.

Io lo imitai, intingendo un biscotto nel caffè per poi portarlo alla bocca.

L'atmosfera era rilassata, tranquilla e, pur trovandomi in compagnia di un estraneo, mi sentii a mio agio.

Ma in fondo, non ero stata con estranei per quattromila anni, e senza saperlo?

“Cominciai a notare qualcosa verso gli otto, nove anni. Nonna era solita intrattenersi per ore con un uomo che non era della famiglia e, tutte le volte che questo tipo andava via, la omaggiava con un inchino o un baciamano. Il nonno non ha mai avuto nulla da obiettare.”

Annuii, e lui sorseggiò un po' di caffè prima di proseguire.

“Chiesi lumi alla nonna, e lei mi disse che mi avrebbe spiegato ogni cosa, ma solo se avessi mantenuto il segreto con mio fratello Conner, oltre che con i miei genitori.”

“Hai un fratello?” esalai, sorpresa.

Assentendo con un risolino vagamente sarcastico, dichiarò: “Abita a Cork, esattamente come i miei genitori. E' un avvocato di grido, o qualcosa del genere.”

“Qualcosa... del genere? Non ti interessi molto di quel che fa” ironizzai, e lui assentì con un ghigno.

“C'era un motivo, se nonnina mi disse di non aprire bocca con lui. Io e Conner non siamo esattamente … compatibili. Lui ha sempre amato gli agi e il lusso, e disprezzava la vita in campagna e il dover lavorare nei campi, piuttosto che con le pecore.”

“Quindi, appena ha potuto, ha cambiato vita? E i tuoi genitori?”

“Idem per loro. L'azienda agricola era del nonno, che la passò a me alla sua morte. I miei genitori colsero al volo l'occasione per partire per altri lidi, utilizzando parte dell'eredità che il nonno lasciò loro. Presero un appartamentino a Cork, e lì mio padre iniziò a lavorare presso una società di catering. E' un cuoco.”

Sbocconcellai un biscotto, interessata mio malgrado da quella strana famiglia.

“Conner, naturalmente, partì con loro e si iscrisse a giurisprudenza. Conn è più piccolo di me di tre anni” mi spiegò Rey, gesticolando con una mano con fare divertito.

“E tu, hai quanti anni? Mi è difficile capire l'età degli umani.”

Senza dare adito di aver trovato strana la mia domanda, mi disse: “Trentaquattro anni. Lavoro qui in azienda da sempre, ma è diventata mia quando ho compiuto ventun anni.”

Strabuzzai gli occhi e, guardandolo sconvolta, esalai: “I tuoi genitori... ti hanno lasciato qui da solo a gestire tutto... a ventun anni?”

“Non ero solo. C'era nonnina, e all'epoca era ancora operosa e forte. Inoltre, grazie al contributo dato ai licantropi, ho sempre avuto manovalanza in abbondanza, ad aiutarmi” replicò, sorridendomi.

“E questo ci riporta sul canale principale. Che c'entri tu, con i licantropi?”

“Nonna mi parlò di loro, dicendomi che ero degno di conoscere il segreto. Che avevo una mente abbastanza aperta per capire. Ovviamente, a nove anni, trovai tutto molto divertente e magico, e l'idea di avere un segreto con nonnina fu di per sé la parte più affascinante.”

Lanciò uno sguardo verso la porta della stanza della nonna, e sorrise malinconico.

“Quando diventai grande, iniziai a capire che, pur se di magia si trattava, c'erano anche angoli oscuri, e crudeltà. Non c'era solo il lato bello e avventuroso.”

Annuii, rammentando più che bene le vicissitudini di Eithe.

“Crebbi conoscendo questo mondo parallelo, sapendo che noi umani non siamo i soli a bazzicare per questa terra” chiosò, sorridendomi divertito.

“E la cosa non ti ha traumatizzato. Tua nonna diceva bene, parlando di te come di una mente aperta” mormorai, ammirata.

“Oh... mi abituai gioco forza. L'azienda è sempre stata una specie di rifugio, per loro. A volte, mi ritrovai anche con quattro, cinque licantropi bisognosi di cure sotto questo stesso tetto. Anni addietro, vi fu una brutta disputa tra i mannari locali e un gruppo di Cacciatori piuttosto agguerriti.”

Ammiccò, e aggiunse: “Come potrai immaginare, i licantropi non possono andare in ospedale per farsi curare.”

Scossi il capo, comprendendo alla perfezione.

“Capisci bene che, o impazzivo, o mi adeguavo. Inoltre, nonnina voleva davvero bene ai membri del branco, essendo la loro guida spirituale, perciò anch'io ho finito con l'affezionarmi a loro.”

Lo disse con semplicità, come se non avesse fatto nulla di speciale in tutti quegli anni.

“Hai fatto una cosa molto coraggiosa” mormorai, terminando di bere il mio caffè. “Per questo, dunque, non ti sei sconvolto più di tanto, venendo a conoscenza del mio segreto.”

“Per la verità, un po' incuriosito lo sono. Non è da tutti avere sotto il tetto di casa una divinità” ammiccò al mio indirizzo, sorridendo a mezzo.

Mi ritrovai a sorridere a mia volta, divertita mio malgrado da quella stramba situazione.

Mi ritrovavo sotto il tetto dell'unica persona, nel raggio di mille miglia, probabilmente, ad avere più dimestichezza di me con le creature soprannaturali.

Avrei dovuto ringraziare Bryan per il suo aiuto, poco ma sicuro. Se avessi preso in direzione di Dublino, non avrei mai trovato Rey e sua nonna.

“Mi spiace doverti dire che, del mio lato 'divino', so ben poco. L'ho scoperto solo due giorni fa” mormorai, facendo spallucce.

“Non sapevi di esserlo, eh?”

“Come fomoriana, avrei comunque beneficiato di lunga vita, perciò non ho mai pensato che a quello. Che, verso i dodicimila, tredicimila anni, avrei cominciato a invecchiare. Né più, né meno.”

Rey fischiò, e io risi sommessamente.

Era ormai chiaro che, quando qualcosa lo sorprendeva, fischiare era il suo modo per stemperare la tensione.

“Sì, immagino che, per un umano, queste cifre siano piuttosto ingombranti.”

“Più che sì. E tu, quanti anni avresti, ora? Non dimostri più di venticinque, ventisei anni.”

“Quattromila, compiuti qualche mese fa. Anche se, a questo punto, dovrei pensare al mio compleanno come al ventun giugno, giusto?”

Il mio tono di voce fu più amaro di quanto avrei voluto e Rey, nel sorridermi comprensivo, mi batté una mano sul braccio, asserendo: “Io penso che, per il momento, puoi passare il tuo tempo a capire cosa vuoi fare. I compleanni possono aspettare.”

“Ma non ti scoccia fare il buon samaritano?” gli domandai, incuriosita da questa sua gentilezza innata.

Fu il suo turno di apparire amaro.

“Quando tutti ti credono matto da legare, finisci con lo stare solo con le persone che gli altri considerano matte. E acquisisci un nuovo modo di vedere le cose.”

“Credo di sì” assentii, alzandomi da tavola. “Allora... cosa fai di solito, Rey Doherty?”

“Sicura di volermi dare una mano? Il lavoro in un'azienda agricola è piuttosto pesante. Anche in inverno.”

Levai le maniche della felpa fino ai gomiti e, sogghignando, dichiarai: “Non avrò la forza di un licantropo, ma non sono sprovvista di mezzi.”

 
***

Il capannone dietro casa, dove erano contenute ordinatamente grandi balle di paglia rettangolari, era profumato e asciutto.

Un gatto grigio a macchie bianche trotterellò sulle sue zampette, si fece fare un grattino dietro le orecchie dal suo padrone e, curioso, venne verso di me.

Io allora allungai una mano, lasciai che me la leccasse e, a quel punto, il micio cominciò a fare le fusa, strusciandosi contro le mie gambe.

Ridacchiai sorpresa e Rey, guardandomi con aria curiosa, mi domandò: “Mai visto un gatto?”

“Non da vicino. So come sono fatti, ma...”

Risi più forte, quando il micio decise di voler incrementare la nostra amicizia, poggiando le sue zampine pelose sulle mie brache.

Lo sollevai dubbiosa, tenendolo davanti a me senza sapere bene cosa farne.

Rey, allora, venne in mio soccorso e, forse divertito dai miei modi impacciati, mi disse: “Portalo al seno, e coccolalo come faresti con un bambino.”

Quell'accenno mi fece tornare alla mente Kevin e Sheridan e, turbata, mi domandai come stessero.

Il mio nipotino... anche se non ero veramente sua zia.

Mordendomi il labbro inferiore per non cedere alla tristezza, carezzai il gatto, che ora emetteva un ron-ron così sonoro da essere più che udibile.

Rey ridacchiò.

“A quanto pare, Parcifal si è innamorato di te. Non so se Vivianne sarà contenta, però. Sono un po' in competizione, quei due.”

“Vivianne? E chi è?”

“Il cane. E' un bovaro bernese e, se non mi sbaglio...” cominciò col dire, prima di ridere sommessamente, quando un mastodontico cane nero comparve dalle porte aperte. “... ah, ecco. Dove c'è uno, di solito, c'è anche l'altro.”

“Cane e gatto... vanno d'accordo?

“Lo credo! Vivianne ha svezzato Parsifal” mi sorrise, scrollando le spalle come se tutto fosse normale.

Io lo fissai basita e lui, per tutta risposta, dichiarò: “Siamo una famiglia strana, lo so.”

“Già” ansai, rimettendo giù il gatto quando il bovaro si avvicinò per annusarmi.

Lasciai fare Vivianne che, da brava cagnona, non mi morse né fece l'atto di ringhiarmi contro.

Quando comprese che ero entrata, in qualche modo, a far parte di quello strano mondo, scodinzolò e mi diede un colpetto alla gamba col muso.

Un attimo dopo, se ne andò con Parsifal, e io non potei far altro che guardarli esterrefatta.

Rey mi strizzò l'occhio, complice, e disse: “Coraggio, vieni. Le pecore non aspettano e, dal loro belare, penso che abbiano molta fame, oltre che desiderose di liberarsi del latte.”

“Sì, andiamo pure.”

Afferrai lo strano attrezzo a tre punte che mi consegnò Rey, che lui chiamò forcone e, imitatolo, caricai un carretto con la paglia profumata di primavera.

Insieme, poi, ci dirigemmo verso la vicina stalla e lì, un po' alla volta, riempimmo le mangiatoie delle pecore.

All'incirca, ne contai un centinaio.

Meravigliata da quella marea di lanugine bianco latte, che belava con forza per richiamare l'attenzione, esalai: “Ne hai moltissime!”

“Nella media. C'è chi ne ha più di me. Più che altro, le tengo perché erano del nonno. Gli affari dell'azienda dipendono da altre cose” mi spiegò, armeggiando con il forcone con abilità acquisita nel tempo.

Il mio addestramento militare mi servì a ben poco, in quel caso, ma la mia preparazione fisica non mi fece minimamente percepire la fatica.

E, stranamente, quel lavorio fisico mi aiutò a schiarire la mente.

Quando terminammo, Rey mi fece vedere come usare la macchina per ricavare il latte, dopodiché mi spiegò la preparazione delle ricotte e dei formaggi stagionati.

Ammirata, assaggiai un pezzo del formaggio già pronto – che Rey aveva preso da una cella frigorifera – e, lappandomi le labbra, esalai: “E lo fai tu?”

“Ebbene sì. Vendo parte del latte e, con la rimanenza, ci faccio del formaggio che poi, man mano, porto ai mercati locali.”

“E ti basta per vivere?” domandai curiosa.

“Oh, no! Non basterebbe davvero!” ironizzò, scuotendo il capo.

Nell'uscire dal reparto caseario, ci ritrovammo sul retro della proprietà e lì, indicando verso est, mi mostrò un immenso boschetto.

“Vedi quel bosco? Bene, lì si trova un luogo molto speciale, per i licantropi. Nonna e nonno erano i depositari di quel segreto e, ora, me ne occupo io. Il branco mi paga l'affitto per i terreni che io non utilizzo per l'agricoltura, così loro non perdono il bosco, e io non perdo profitti.”

“Quindi, hai un'entrata fissa proveniente dal branco locale, più quello che guadagni dalle pecore, con latte, formaggi e, suppongo, lana. Anche carne?”

“A volte, sì. Ma preferisco tenerle per il loro latte. Finisco con l'affezionarmi a loro, dopo un po'” ammise con un sorrisino, scrollando le spalle.

Poggiai le mani sui fianchi, ammirando quel luogo tranquillo, quella natura pacifica e, annuendo tra me, dissi: “Beh, se me lo permetterai, Rey Doherty, rimarrò qui per un po' a darti una mano.”

Il suono di una campana impedì a Rey di rispondere e, accigliandosi un poco, lui mi spiegò: “E' nonna che ha bisogno. Scusami un momento.”

“Aspetta, vado io. Penso si sentirà più a suo agio, se è una donna ad aiutarla.”

“Ma potresti...”

“Aver bisogno di una mano?” lo irrisi bonariamente. “Rey Doherty, potrei sollevare te senza sforzo. Sarò perfettamente in grado di prendermi cura di lei.”

“Va bene. Io continuo il mio giro, allora” assentì a quel punto, facendo spallucce.

Lo ringraziai con un sorriso e, di corsa, raggiunsi la casa, in cui mi incuneai con rapidità.

Raggiunta la stanza di nonnina, la salutai gentilmente e lei, vedendomi, mormorò: “Oooh, vedo che gli occhi sono più limpidi, oggi. Non sono cupi come un giorno di pioggia come lo erano ieri.”

“Sto meglio, sì. Posso aiutarla, signora Gwendolin?”

“Chiamami nonnina come fa Rey, bambina. Mi chiamano tutti così” mi sorrise, allungando le mani perché la aiutassi ad alzarsi.

“Perché mi chiama sempre bambina, per curiosità?”

“Perché, cara, ora sei proprio come una bambina sperduta. Senza più un passato che ti appartiene, e con un futuro incerto. E ci si sente sempre come bambini, in questi casi.”

Non potei che darle ragione e, senza difficoltà alcuna, la presi in braccio per condurla in bagno.

Lei ridacchiò, dichiarandosi divertita all'idea di essere portata come una principessa alla sua età.

Mi ritrovai a ridere spensierata, quando la aiutai con le abluzioni mattutine.

Gwendolin sapeva ridere di se stessa e delle ingiurie del tempo ma, più di tutto, sapeva ridere della vita, senza che essa la schiacciasse.

Avrei tanto voluto saperlo fare a mia volta!








Note: Si comincia a scoprire cosa, nel corso dei millenni, ha tanto turbato Lithar, portandola a nascondersi, per così dire, dietro la figura di Muath, quando il suo essere diversa veniva alla luce. Naturalmente, parlerò ancora dei glifi che ricoprono in parte la pelle di Lithar, e di come abbia spiegato alle sue amiche (Ciara, Sheridan ed Eithe) la loro presenza sul suo corpo [quando si sono preparate per i vari matrimoni, erano assieme, perciò loro li hanno visti e, se vi ricordate, Lithar ha sempre scelto abiti per le damigelle che ricoprissero le spalle].
Si comprende anche qualcosa di più su Rey e il suo legame con i licantropi anche se, su di lui, non ho ancora detto tutto.
Per ora, grazie per avermi seguita fin qui e, se avete dei dubbi o delle riflessioni, dite pure!

  
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