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Autore: Jailer    16/10/2015    3 recensioni
Il passato di Manigoldo, dalla prima volta in cui vide un'anima al suo incontro con Sage, da Messina ad Atene, passando per la solitudine, i sogni, il fato, la morte, l'amore.
La giovinezza del discolo destinato a diventare l'uomo che incatenò Thanatos è un valzer tra piccoli e grandi drammi, vissuti sempre con la leggerezza e l'ironia che lo contraddistinguono.
E anche l'incredulità per ciò che il fato scelse di riservargli.
"Ancora non ho capito quale concatenazione di fatti mi abbia portato alle soglie della Quarta Casa, né che cosa ci faccia io qui.
Come per ogni cosa, però, ne prendo atto.
A volte prendo in giro la mia armatura: mi ci siedo davanti a gambe incrociate, e le chiedo: “Ma a te, chi ti ha voluta?”
Penso che lei mi sorrida in qualche modo, ma non so che espressione sia, se di benevolenza o di beffa.
Le sorrido anche io, di gratitudine o imbarazzo. Ma non posso fare a meno di pensare quanto cara mi sia costata."
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer Manigoldo, Cancer Sage, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VIII

Le vent se lève...
(II faut tenter de vivre!)
*



*”Si alza il vento...
Bisogna osare vivere!”,
Paul Valery,
da Il cimitero marino


Nella vita di un uomo ci sono cose, le quali, per quanto se ne sia già lungamente parlato, meritano un capitolo a parte.
Blanca fu esattamente il crocevia di un'esistenza: all'indomani della sua morte, solo un burrone – tutte le strade dovevano cambiare o sprofondare.
Ero rimasto solo, non avevo nulla da perdere e quindi tutto mi era possibile.
Se è aperta ogni possibilità, significa che nulla in questa vita ha poi un grande peso, e, se anche lo avesse, non ci si può fare nulla.
La vita è un atteggiamento, non un evento.
Accettai di diventare Saint perché, se i fatti non contano, percorrere la strada più incompatibile con il mio modo di immaginarmi, sarebbe stato un ottimo modo di prendere la vita.
Devo dire anche questo, dacché ormai siamo in vena di confessioni: speravo in una qualche oscura forma di Resurrezione, una muta spirituale che mi concedesse di dimenticare tutto nel nome di quell'ideale asettico che è il nome di un dio.
Chiaramente non avvenne nulla del genere: era sempre vero il motto latino Nomen omen*, e io continuo a chiamarmi Manigoldo.


*Proverbio latino: il nome è destino


*


Vidi sfiorire Blanca lentamente, e inesorabilmente allontanarsi da me.
Avevo pensato, durante la nostra epoca d'oro, di essere lo slancio di libertà a cui tendeva e tutto ciò di cui avrebbe sempre avuto bisogno. Credevo che, al mio fianco, non le sarebbe mai importato nulla del luogo in cui fossimo, che tutte le altre assenze sarebbero divenute insignificanti.
Ero solo un presuntuoso, ma, all'inizio, non avevo nemmeno così tanto torto a pensarlo.
Poi, un giorno l'avevo portata in una terra troppo lontana dall'uomo che tanto la affascinava e dall'unico posto in cui la sua anima avrebbe potuto trovare riposo.
Imperdonabile, questo sibilavano i suoi occhi quando mi aveva davanti.

I nostri contatti piano, piano diminuirono.
Non c'è nulla di più doloroso e umiliante del vedere un amore o un'amicizia che ti muore fra le dita, quando è impossibile scappare, di dire basta davanti a tutto ciò.
Ero sempre io a iniziare o rubare un bacio; lei si distaccava in fretta, e, se mi restava aggrappata alle labbra, lo faceva in un certo modo insofferente e addolorato. Sembrava una persona che cerca di nascondere una zoppia troppo evidente.

Non dimenticherò mai quando mi trattenne in un bacio lunghissimo solo per impedirmi di vederla piangere. Ricordo bene le sue lacrime sulle mie dita, cercavo di scostarle via, ma continuavano a cadere.
Come puoi asciugare un pianto di cui sei tu il responsabile? Non c'è risarcimento per il dolore.
Tu mi hai ridotta così.*, ecco la sua irrimediabile sentenza. Se anche l'avessi riportata indietro, nulla ci avrebbe salvato.
Non ero la sua salvezza, ma la pietra che l'aveva trascinata sul fondo.
Poi, un giorno, smisi anche di baciarla - non mi sembrava giusto.
Lei, da parte sua, non mi cercò più.


*U. Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis


Un giorno, davanti alle sue lacrime, giurai per l'ennesima volta che l'avrei riportata indietro.
Mi arrabbiai, le urlai addosso di imparare a vivere, di smettere di piangere e di farsene una malattia – le urlavo? Bugiardo: la supplicavo con tutta la disperazione che avevo in corpo.
Eravamo in ginocchio l'uno davanti all'altra, stringevo le sue mani fra le mie per farle male.
Sentivo i suoi polsi tremare, si liberò dalla mia presa e mi tirò uno schiaffo che mi costrinse a voltare il capo.
Un ceffone così non l'ho mai ricevuto da nessuno – un simile affronto, d'altra parte, nessun altro avrebbe potuto infliggermelo.

Il tempo di non avere il coraggio di lasciarti qui.

Fu allora che la guardai di nuovo negli occhi dopo tanto tempo – fu un secondo schiaffo, più forte.
Dal giorno in cui l'avevo trascinata con me su quella nave, ero stato divorato dal tarlo del senso di colpa nei suoi confronti.
Tuttavia rimanevo comunque un essere umano, e, per quanto fossero sinceri i miei sentimenti, non mi sarei fatto una malattia per aver stravolto completamente l'esistenza altrui.
Il dolore altrui non si può pagare con il proprio, ed è per questo che la legge del taglione è così profondamente errata alle fondamenta. Ora lo so.
È questa la verità: a me quella vita così casuale, quella prospettiva di un futuro indecifrabile, piacevano.
Mi dispiaceva che lei soffrisse, ma non di essere in quella terra, di aver lasciato tutto alle spalle.
Io ero, se non felice, soddisfatto. D'altra parte, un futuro mi atteva.
Lei, no, il suo rancore lo aveva nutrito giorno per giorno, ed era diventato la bestia ferocissima che le ululava dagli occhi.

“Tu mi odi”, sussurrai senza fiato, lasciai cadere anche l'altra sua mano che avevo continuato a trattenere. Fu come sciogliere un patto di sangue.
E ci mancherebbe altro.”
Non era riuscita a tradirmi, ma non ero abbastanza per tutto quello che la stavo costringendo a vivere.

Da parte sua, il rapporto con me subì il tracollo definitivo.
Smise progressivamente di parlarmi, ma non per presa di posizione: non avevamo più nulla da dirci.
“Tu mi odi”, ecco la nostra verità ultima.
Restammo assieme per sopravvivere e ci ritrovammo in tre: lei, io e il mio senso di colpa.

Sai, Blanca, da quando te ne sei andata, quell'amico che mi hai lasciato è ancora con me.
Ti odio anche io,
sempre tuo
Manigoldo.


*

Il primo temporale di fine estate ne portò con sé molti altri.
Fino ad allora ce l'eravamo cavati bene dormendo all'aperto; anzi, mi piaceva parecchio non avere delle mura attorno.
Le notti divennero progressivamente più fredde, gli scrosci d'acqua più frequenti e prolungati: quando ci pioveva addosso erano dolori ad asciugarsi.

Il primo preoccupante colpo di tosse che Blanca batté, squassò l'aria in una bellissima giornata di sole.
Lo ricordo bene, perché, se già da qualche giorno era stata presa da una febbre strisciante e da una tossetta particolarmente fastidiosa, se da altro tempo perdeva costantemente peso e impallidiva, quel giorno le uscì un rantolo che sembrò provenire dall'inferno. Lo ricordo perché anche a me mancò il fiato.
Non sembrava nemmeno possibile che fosse quel suo torace minuto a produrre un suono tanto cavernoso.

Da quel giorno non smise più di tossire.
Bruciava e sudava di febbre.
“Che diamine ti sta succedendo?”
Una domanda banale, la pronunciai con un ringhio, come se fosse colpa sua.
Io ricordo il suo sguardo. Lo ricordo anche meglio del suo odio.
Il totale smarrimento di un essere umano, il volto stravolto di chi cova in sé la sua fine.
“Non lo so. Non lo so.”

Spaventato da quei fatti, mi impegnai a cercare un rifugio.
La lasciai febbricitante in un angolo di una piazzetta dimenticata, con la promessa di non muoversi.
“Non mi muovo, ma torna presto.”
Torna presto, l'unica e ultima supplica che mi rivolse in vita sua. Ricordo una greve felicità.


*

Mi dovetti portare poco fuori da Atene, in un paesetto nei suoi immediati dintorni. Si chiamava Rodorio, ed era ai piedi della scarpata su cui dominava il Santuario.
Erano tempi duri anche lì: si parlava di continue sparizioni ed uccisioni, di cadaveri ritrovati dilaniati buttati nei fossati, di incursioni.
Ma io questo di certo non lo potevo sapere, perché non capivo il greco. Se anche lo avessi capito, immagino che non sarebbe cambiato granché, comunque.

Piuttosto lontano dal centro, sul limitare di un bosco, c'era una casa che era stata abbandonata. Aggiungerei depredata: la porta era stata forzata, alcune finestre erano rotte e la facciata presentava alcune tracce annerite – bruciature.
Decisi comunque di entrare, ormai tutto ciò era passato.
Tutti i cassetti erano stati aperti e in terra vi erano stoviglie e ceramiche rotte; tuttavia, lo strato di polvere era sottile: si trattava di avvenimenti recenti, non più di due settimane.
Che la casa fosse stata assaltata o abbandonata, comunque, mi importava poco, era ciò che faceva al caso mio.
Vivevo nella beata convinzione secondo la quale un posto in cui è appena successo qualcosa di terribile ha già detto e dato tutto – per cui non può succedere più nulla di brutto per un lungo periodo di tempo.

Mi convinsi che non vi era neppure nulla di strano nei visi tirati e da larva degli abitanti, nulla di losco nascosto dietro alle loro occhiate gravi e tormentate rivolte a qualunque angolo buio.
Erano i tempi duri di sempre, mi dissi.
No, cari miei: era la guerra che già incombeva. E sarebbe stata anche la mia.
Entravo già nel mio futuro: una casa disastrata, una nuvola di fumo, la sensazione di un'inevitabile caduta. Il Santuario là in alto, proprio sopra alla mia testa.
Benvenuto.


*


Io avevo un unico nemico: si chiamava polmonite ed era annidato nel corpo di Blanca.
Non mi importava nulla né delle crisi fra gli Stati, né degli assalti dei pirati musulmani; non mi turbavano la Riforma, la Controriforma, i francesi che decidevano che era ora che basta. Non che in Lombardia arrivassero gli Austriaci, né che il Sud facesse la muffa per i secoli di malgoverno.
Al massimo mi seccava che il Mediterraneo venisse trascurato dai traffici economici, ma a quello avrebbe potuto avviare un pescatore un poco più intraprendente – invece niente di niente.
Non conoscevo, né credevo, né mi sarei fatto turbare da storie di dissidi tra divinità greche litigiose.
E, tra tutte le cose assurde che accaddero in quegli anni, proprio quella mi fregò.
Le divinità greche.


*


Con fatica, portai Blanca in spalla fino a Rodorio. La febbre continuava a divorarla durante la notte, sulle mie spalle era così debole da sembrare un tappeto.
Non pesava più nulla, l'ultimo ricordo che ho del suo corpo sono le sue costole contro la mia schiena.

Durò una settimana.
Di giorno scorrazzavo per la città a cercare di ottenere qualunque cosa potesse esserle utile – e anche il superfluo, perché esso è una gran cura per ogni male.
Ero riuscito a prendere anche un bel cappotto lungo, beige. Dal giorno in cui avevo rubato a Messina per la prima volta erano cambiate tante cose.
Lo portai via senza fatica.
Quel vecchio giorno in Sicilia, alle porte dell'inverno, chi stava per morire a causa dei polmoni ero io, e preparavamo un nuovo inizio.
Adesso mi preparavo ad osservare il finale di quella storia – un finale così amaro che nessuno avrebbe mai potuto immaginarlo.

Tutto ciò che riuscivo a trovare da mangiare lo lasciai a lei, sebbene a malapena lo assaggiasse. Toccavo cibo solo quando i crampi allo stomaco erano eccessivi e rischiavo di non reggermi in piedi per continuare il mio lavoro.
Passavo le notte insonni a cercare di tenerle caldo, ma lei era rovente di febbre ed io mi riducevo ad un bagno di sudore, con la schiena gelata dall'aria circostante.
Era la mia espiazione, pensavo che un giorno sarebbe bastato.

Ricordo la nenia del vento là fuori e il suo trascinarsi indifferente tra le fronde.
Furore fuori dalle finestre, la corsa furente dell'aria che preparava la Storia.
Accanto a me, la tosse angosciante di Blanca squarciava l'ombra.
I muri sembravano schiacciarmisi addosso, il buio diveniva una massa che mi avviluppava e toglieva l'aria.

Talvolta vedevo l'anima di qualche animaletto che ci crepava attorno. Tornai ai pensieri crepuscolari degli anni in cui correvo per i cimiteri – mi scoprii a rimpiangerli.
L'ultima di quelle notti mi chiesi come sarebbe stato guardare la mia lapide.
Come guardare quella di Blanca: un dolore inaccettabile,
mi sfuggì proprio quel pensiero trattenuto con disperazione in un angolo della mia testa.
Sarebbe tutto finito entro la sera successiva.



   
 
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