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Autore: DARKOS    18/10/2015    1 recensioni
L’entrata sul retro della Fortezza Oscura non veniva usata da quei giorni di caos e conflitto: li avevano avvertiti che era tutto in rovina e che pericolose creature si celavano tra le ombre, ma questo era servito solo a infiammare l’animo di Mizumi e la sua convinzione di voler visitare assolutamente quel posto. E naturalmente lui l’aveva seguita per evitare che si cacciasse in un qualche guaio, come al solito.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Oggi presento una fic creata per un evento riguardante artwork e ambientazioni, difatti l'ho realizzata per descrivere le emozioni che mi pervadono ogni volta che arrivo alla Fortezza Oscura. Spero vi piaccia!

SLEEPING HOLLOW

L’acqua scorreva  placidamente verso l’alto, mentre emergevano dai suoi flutti bolle misteriose che galleggiavano a mezz’aria. Pezzi di roccia granitica fluttuavano spostandosi grazie a chissà quale potere ormai sconosciuto, mentre il castello era pervaso da una misteriosa foschia.
I due fratelli sostavano sul blocco più grande, vicino a una specie di fontana a forma di stella. Kazeshi si guardava attorno con timore reverenziale, mentre Mizumi  teneva gli occhi fissi sulla fortezza.
“Andiamo avanti” Disse lei, risoluta, e attivò l’ascensore. Kazeshi sospirò e si preparò a seguire la sorella.
L’entrata sul retro della Fortezza Oscura non veniva usata da quei giorni di caos e conflitto: li avevano avvertiti che era tutto in rovina e che pericolose creature si celavano tra le ombre, ma questo era servito solo a infiammare l’animo di Mizumi e la sua convinzione di voler visitare assolutamente quel posto. E naturalmente lui l’aveva seguita per evitare che si cacciasse in un qualche guaio, come al solito.
L’ascensore arrivò a destinazione e Kazeshi osservò meglio quel luogo maestoso. Le proporzioni erano enormi, come se fossero state pensate per accogliere numerosi visitatori. Le mura erano altissime, le pareti massicce e solide. Enormi vetrate conferivano al castello un aspetto quasi sacrale, nonostante i folli esperimenti perpetrati in esso. Il ragazzo dovette chinare il capo in segno di rispetto, e persino Mizumi si mostrò impressionata. Il gigantesco portone d’ingresso era però bloccato.
“Non si apre, e non ha una serratura da poter influenzare. Forse dovremmo tornare indietro.” Tentò debolmente Kazeshi, ma la sorella non si lasciava scoraggiare da così poco.
“Ci sarà un’altra strada, cerchiamo meglio.”
Scelsero una strada secondaria che a un certo punto li portò al piano più basso, nei sotterranei. Lì sotto era un dedalo di pareti crollate e tubature scoppiate, il tutto muovendosi con i piedi immersi nell’acqua in stretti cunicoli. Il ragazzo odiava i luoghi chiusi e opprimenti come quello, Mizumi invece ne era attratta: per lei era il culmine dell’ignoto, e l’ignoto significava misteri e avventura.
Per lo sconforto di Kazeshi trovarono l’interruttore per aprire il portone ancora intatto e funzionante, e dovettero tornare subito all’entrata per proseguire. Aveva sperato la loro spedizione fosse finita, e invece non era ancora incominciata.

Entrarono nel salone principale, e per la terza volta in poco tempo videro un nuovo ambiente: prima la visione delle rocce e della cascata inversa, un connubio tra scienza e natura, poi il dualismo sacro/profano della fortezza esterna, e ora una costruzione più moderna delle altre, chiaramente posteriore alla realizzazione degli esterni. Non era certo all’avanguardia, ma doveva essere stata molto avanzata per l’epoca: era come gli elementi dei sotterranei ma conservata meglio.
Lampi di elettricità e globi energetici si alternavano a bracieri e gargoyles in pietra, ascensori e porte automatiche a iscrizioni e scaffali di libri: anche qui era presente una doppia tematica che riallacciava due opposti, il classico e l’innovativo.
Una porta a sinistra conduceva in una biblioteca di dimensioni modeste ma con una vasta scelta di materiale, quasi ancora perfettamente preservata e ben due scrivanie con ancora un tomo poggiato sopra: un ambiente che spingeva alla lettura e alla sete di ricerca.
Completando il giro, scoprirono che la biblioteca portava la piano superiore del salone.
“È… è qui che avvenne, no? La cerimonia del passaggio?”
“Risparmiami simili paroloni da libri di testo. Riku aveva riottenuto il Keyblade, per poi perderlo di nuovo in uno slancio di arroganza. Tutto qui. Sbrighiamoci: il tempo stringe, e sono altri i posti che voglio visitare.”
Mizumi era un’allieva brillante e capace, ma celava quello che pensava dietro a una voce dura e dal tono aspro. I fratelli proseguirono, entrando nell’intricato ma affascinante sistema arterioso di quel complesso: la Funivia.

Interno. Esterno. Interno.
La scalata del bastione prevedeva un continuo passaggio da un ambiente all’altro, e Kazeshi non poté fare a meno di pensare che ormai il dualismo regnava sovrano in ogni angolo. Gli stessi veicoli della Funivia avevano due posizioni, a seconda delle due luci che animavano le loro centraline di controllo.
Di nuovo all’esterno, davanti a una gigantesca piattaforma che una volta attivata prese a spostarsi lentamente verso sinistra. Mizumi camminava avanti e indietro impaziente, Kazeshi ammirava senza fiato il paesaggio in lontananza, nubi rosate dal tramonto su un mare di cristallo azzurro.
“È magnifico… un panorama unico nel suo genere.”
Mizumi sbuffò: a differenza sua, non amava gli spazi sconfinati. “Non dovrebbe esserci il borgo da quella parte? Non pensavo fossimo così lontani.”
“Non esattamente: il borgo si trova precisamente dalla parte opposta dell’entrata sul retro, noi ora siamo girati di tre quarti.”
Lei non replicò, si fidava dell’orientamento del fratello.
Scesero dalla piattaforma, tornarono brevemente all’interno per salire di un livello e uscirono di nuovo.
Si trovarono vicino al gigantesco stemma degli Emblemi scolpito sulla parete che avevano visto prima dal gigantesco veicolo. Anche se “scolpito” non era il termine ideale: lo era solo per metà, l’altra parte era un meccanismo simile a quello di un orologio da torre. Ennesima bipartizione tra scultura e costruzione.
Usando un corridoio interno della Funivia attivarono dei giganteschi pilastri –due anche questi– per arrivare al piano più alto. Il tutto ignorando le varie porte segrete che incontrarono durante il tragitto su richiesta di Kazeshi, che reputava la strada principale abbastanza misteriosa di per sé. Fu però difficile convincere Mizumi quando notò che ce n’era una nascosta sotto agli stessi pilastri: il ragazzo dovette quasi trascinarla via per impedirle di buttarsi.
Entrarono alfine nel Santuario.

Fin da bambini avevano sentito storie su quel luogo, il punto di ritrovo di Malefica e i suoi alleati, un baluardo delle forze del male in quei lontani giorni di terrore. Potevano quasi vedere le sagome dei malvagi e sentire i loro bisbigli e complotti che avevano elaborato, echi intrappolati nelle pareti di roccia.
Ma per loro specialmente era anche il teatro della lotta di Sora contro la strega stessa, accompagnato dai suoi intrepidi amici e dalla Bestia, che a suo tempo  si era guadagnato la reputazione del Più Forte Alleato.
Arrivati all’altare, Mizumi evocò il Keyblade e aprì uno squarcio nell’aria, o meglio rese visibile una frattura che già era presente.
“Non tentare di distogliermi da questa deviazione.”
“Non lo farò.” Anche Kazeshi voleva recarsi lì prima di proseguire.
Varcarono il portale ed entrarono in una spoglia sala circolare, priva di arredi e finestre. Eppure quel luogo spoglio diceva a loro più di quanto avesse fatto l’intero castello: la comparsa di Ansem, la battaglia finale contro Malefica Drago che portò alla sua Prima Morte, l’assalto di Xemnas e la creazione di Xion. Tutto in quella misera stanzetta.
Kazeshi era a disagio: il silenzio di quell’area era minaccioso, sembrava quasi come se un ignoto nemico potesse apparire dal nulla e attaccare anche loro. O se lo stesso Xemnas o la dragonessa si potessero risvegliare, fantasmi di un’altra epoca, e ingaggiare un nuovo duello mortale. Anche Mizumi era tesa: si guardarono e tornarono indietro senza dire una parola.

Non era rimasto che un luogo da visitare per porre fine all’esplorazione. Il sancta sanctorum, il cuore malato di quell’immensa fortezza. Dopo un ultimo, breve tratto della Funivia, i due fratelli entrarono infine nel Grande Salone.
Un grande arazzo steso per terra mostrava l’ormai familiare Emblema, mentre alle pareti sei capsule vuote mostravano gli alloggi delle Principesse del Cuore. Due scalinate portavano alla seconda parte del Salone e al suo tesoro: il Portale.
Il misterioso Portale che conduceva originariamente alla Serratura del Mondo, poi mutato in cancello per la Grande Oscurità dal folle Xehanort. Ora però era solo una forma nella roccia e nel metallo, ormai inattivo da decenni. Eppure, proprio lì si svolsero eventi che avrebbero cambiato l’Universo intero.
Kazeshi e Mizumi misero piede sulla piattaforma e videro Sora e Ansem nel corpo di Riku levare i Keyblade e affrontarsi in combattimento.
Stavolta non era solo un’impressione: li vedevano davvero. Spettri delle memorie evocati forse dai loro cuori o addirittura dal Cuore del Mondo stesso, che voleva trasmettere ai posteri la battaglia che lì si era svolta. Sotto lo sguardo del Portale, Sora aveva ingaggiato uno scontro con il suo più grande avversario fino a quel momento, in un duello senza esclusione di colpi. Per infine respingerlo, liberare Kairi completando la Serratura, svanire nell’Oscurità… e creare Roxas. Tutti eventi importantissimi, ormai imparati a memoria nei libri di storia e nei cuori di ogni Custode del Keyblade. La sconfitta di Malefica e del suo piano, ma al tempo stesso il principio di un’avventura e di un pericolo di gran lunga maggiori.
“L’inizio della fine.” Mormorò Kazeshi.
“Ma anche la fine dell’inizio.” Rispose Mizumi.
E lì il dualismo si rivelò in tutta la sua potenza. Scienza e Natura. Sacro e Profano. Classico e Moderno. Sopra e Sotto. Keyblade e Heartless. Inizio e Fine. Luce e Oscurità. Kazeshi e Mizumi.
Kazeshi sentiva infatti che anche loro erano entrati a far parte di questo schema, e che forse non era nemmeno un caso che entrambi fossero lì in quel preciso momento. Per la prima volta era davvero felice di essere arrivato sin lì.
Si chinò e rese omaggio, imitato da Mizumi. Non pregarono niente e nessuno di preciso, omaggiarono il castello, tutto ciò che conteneva e gli eventi che si erano verificati al suo interno.
Il ragazzo guardò sua sorella, le sorrise e chiese: “Andiamo a casa?”
Lei ricambiò il sorriso e per la prima volta si fece guidare senza obiettare.
   
 
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