Oliver Smith - il numero 19
Giorni brevi. Lunghi sogni rimpiazzano la realtà, sempre più vivida e violenta.
Ricordi taglienti e impregnati del mio sangue.
La mia dormiveglia perenne compromette ogni mia azione
ogni mio pensiero
sempre più incattivito da tutti gli altri.
Tu sei solo.
IO NON SONO SOLO!
Mi sveglio urlando. La schiena sudata, fredda.
Vuoto
Solo vuoto per alcuni istanti.
Vuoto per alcuni minuti.
Vuoto per ore, perso.
Sentivo la mia vita che scivolava via da me.
Proseguiva per inerzia.
Il respiro interrotto, singhiozzante. Provo ad alzarmi, e mi siedo sul materasso. Fuori è buio, e casa è deserta. Luci spente, un uniforme nero che aleggiava per la casa. Scendo dal letto e tento di stare in piedi, piedi traditori ed instabili, che a malapena reggevano il mio corpo. Nell’oscurità della casa e nella confusione della mia mente mi faccio strada tra i mobili, d’istinto, avendo sfocato ogni altro senso. Dal frigo, prendo una bottiglia d’acqua. Inizio a tracannare finchè non soffoco quasi, sputando dell’acqua e quasi rigettando il resto. Prendo delle merendine dalla dispensa, e mi lascio sul divano. Gli occhi socchiusi, nel buio generale, sono persi, e rimango a trangugiare le merendine prese poco prima. Non riesco a pensare. C’è solo vuoto, un vuoto ingombrante e pesante.
E rannicchiato, sul divano, riesco solo a chiudere nuovamente le palpebre.
Mi lascio agli artigli del buio, lascio che i suoi sussurri mi raccontino una nuova storia.
Una storia che però
conosco troppo bene.