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Autore: piccolo_uragano_    19/10/2015    2 recensioni
"Ma tu lo avresti mai detto, Ben?"
"Che cosa?"
"Che saremmo finiti con l'amarci sul serio."
Lui sorride, e io, nonostante tutto, non riesco a smettere di stupirmi.
[CROSSOVER GREY'S ANATOMY/ BEN BARNES]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Girasoli nella tempesta – capitolo cinque: forse non volevo crescere.
“Papà?”
“Sì, tesoro?”
“Che intendi quando dici che la mamma ‘ha del carattere’?”

“Cosa guardi, Jack?”
“Mi stavo solo chiedendo perché stai lasciando il paese senza dare una spiegazione alla tua donna.”
Guardo l’aeroporto Seattle sparire sotto al finestrino dell’aereo. Il cielo è dello stesso colore della maglia di Julie che sta posata in bagno da settimane. Jack finge di non sentire il dolore alla pancia, mentre Iris mi tiene il broncio. Sono loro la mia famiglia. Come ho fatto a pensare che potesse essere diverso?
“Perché ha voglia di commettere il più grande errore della sua vita.” Grugnisce Iris.
“Pensavo che non mi rivolgessi la parola.” Rispondo io.
“Infatti non sto parlando con te, dannato egocentrico.”
Jack mi guarda, come se stesse guardando un vecchio quadro sbiadito per cui è dispiaciuto. “Smettila.” Gli dico. “Sto bene.”
“Le hai detto che la ami tre ore fa e ora stai lasciando il Paese, cazzo, non stai bene.”
“Allora perché mi stai seguendo?!”
“Perché sono tuo fratello. Sono biologicamente obbligato a rimanerti accanto anche quando fai stronzate come questa, per ricordarti che sei un cretino di dimensioni abissali, e ...”
“Credo possano bastare gli insulti, Jack.”
“Oh, ti ringrazio, Iris.”
“No, no, intendevo che poi ti devo insultare io.”
“Ah.” Rispondo. “Quando arriva ‘poi’, fammi un fischio.”
“Quando ne avrò trovati di adatti.”
“Sei una vera amica, Iris.”
Lei sorride a trentadue denti e io la riconosco. “Lo so.”

Londra è sempre uguale. Ecco perché la adoro. Perché non cambia mai. Ci saranno sempre le stesse panchine, le stesse persone, le stesse insegne luminose, gli stessi libri nella libreria, e fuori da casa mia ci sarà sempre quel lampione che funziona a scatti, il primo gradino sarà sempre più alto degli altri due e la maniglia cigolerà sempre. La mia valigia non pesa mai troppo e Jack abita poco lontano. Tre numeri più in là, in effetti.
Apro la porta, trovando tutto esattamente come era, e forse un po’ mi dispiace. Forse un po’ speravo di aprire la porta e ritrovarmi in quella casetta mobile.
Butto il borsone sul divano, lo apro e tiro fuori la foto che ho fatto sviluppare. Julie che fuma con addosso la mia maglietta, mentre guarda fuori dalla finestra con i capelli raccolti a metà, al centro della casetta mobile, in mezzo a quel disordine che la rappresentava tanto. In mezzo a tutto ciò da cui sono scappato.
Bellissima idea dire di amare una ragazza con cui stai da due settimane, e con cui hai appena litigato, che ha giurato di non avere mai più storie. Oh, si Ben, idea meravigliosa.
Mi getto sull’altro divano, senza avere il coraggio di salire al piano di sopra e trovare il mio lettone vuoto. “Sei un cretino, Benjamin Barnes.” Mi dico.
“Ben?” sento, dopo un po’.
“Cinque minuti.” Brontolo.
“Oh, andiamo, non fare la femminuccia!”
Apro un occhio e mi rendo conto di essere ancora sul divano. “Jack?” chiedo, incerto.
“Oh, no, sono la fata turchina!” strilla Iris, aprendo le finestre. “Cazzo, Ben, c’è odore di chiuso, tu sembravi morto e hai dormito ventiquattro ore!”
“Sto affrontando il get lag.” Improvviso, mentre lui si accorge della foto di Julie che tengo nella mano.
“Insomma, Ben, che ti prende? L’hai lasciata tu!”
“Sai che ti dico? Jack non sarebbe dovuto cadere da quel dannato tetto.” Rispondo alzandomi.
“Certo, ora è colpa di Jack. Tu hai trovato la donna della tua vita, avete giocato a fare la coppia felice per dieci giorni, poi si è accorta che vivete ai poli opposti, avete litigato, lei ti ha chiesto di starle vicino, tu le hai detto che la ami e poi sei scappato. Ma certo, è colpa di Jack che è caduto dal tetto!” posa due pesanti borse sul tavolo della cucina. “Ti ho portato da mangiare, idiota.”
“Grazie.” Dico, mentre afferro il borsone.
“Vatti a fare una doccia e poi vai a trovare i tuoi.”
“Sì, mamma.” Rispondo, salendo la scala dietro la cucina.
“BEEEEEN!” strilla lei.
Io torno di sotto. “Sì, Iris?”
“Hai di nuovo gli occhi vuoti.”

Mia madre ha i capelli grigi, lunghi, e ci tiene moltissimo. I capelli di mia madre sono la seconda cosa che vedo, dopo il suo sorriso, quando mi apre la porta di casa. La abbraccio, mentre lei si lamenta che la mia barba incolta sul viso le pizzica, io guardo dietro di lei il salotto in cui sono cresciuto, e mi vengono in mente tutti i giochi con Jack, ogni momento passato qui prima di Julie. La mia vita prima di Julie Martin era tutta qui.
“Ciao, mamma.” Le dico. “Mi sei mancata.”
“Oh, Benjamin! Bentornato a casa!”
E chissà perché, ma alla parola ‘casa’ io collego gli occhi azzurri di Julie.

Da bambino amavo sdraiarmi per terra, a pancia in giù, per giocare con le macchinine. Andavo ovunque, negli angoli più remoti della casa, pur di non permettere alla macchinina di mio fratello di vincere. Non avevo mai provato a stendermi a terra ed ammirare il soffitto di vecchie travi.
Forse questo significa crescere. Smettere di guardare la linea del pavimento, e stendersi dall’altra parte per guardare le cose che stanno più in alto di te.
Forse non volevo crescere. Forse sarebbe stato meglio fermarsi a quando la cosa più triste, fosse che Jack mi battesse con le macchinine.
Forse sarebbe stato meglio rimanere bambini. Forse ho sbagliato a voler crescere. Forse era meglio non conoscere certi dolori.
Il campanello suona. “Vai al diavolo, Iris.” Dico, alzandomi. Stavo così bene quando giocavo con le macchinine. “Iris, ci siamo visti ieri, e non …”
Davanti a me non c’è Iris, la donna folletto con i capelli sparati in aria. Iris ha le chiavi.
I capelli che ho davanti sono biondo miele, ma sono legati in una coda. È bella, quando si fa la coda, si vede di più il viso a forma di cuore. Ha gli occhi gonfi e arrossati, indossa un vecchio giubbotto, e sembra davvero triste, ma non importa. Ciò che importa è chi è. Ed è Julie.
Prima che io possa dire qualcosa, lei dice tre parole che non mi sarei mai voluto sentire dire. Forse mi aspettavo ‘ti amo anche io’, ‘mi dispiace’, ‘perdonami’. Ma le parole che è venuta a dirmi solo altre. E fanno male.
“Danny è morto.”
Istintivamente, irrigidisco il braccio e con la mano ancora dolorante per il pungo alla finestra, tiro un pugno al muro. Non dico niente, anche se vorrei urlare, bestemmiare, sedermi per terra e smettere di esistere.
Danny è morto.
Lei continua a guardarmi, e interpreto le sue occhiaie e la sua coda fatta male. Vorrei rispondere. Male. Vorrei dirle di tornare a Seattle, vorrei dirle che per noi non c’è futuro, vorrei dirle che mi dispiace per Danny, ma solo per lui e non per noi, vorrei dirle che la amo e che la odio, vorrei dirle che era meglio quando giocavo con le macchinine, che il mondo fa schifo di nuovo ed è anche colpa sua, ma lei mi batte sul tempo.
“E ti sei scordato la maglia per correre nelle cose da lavare.”
“E hai attraversato il pianeta per restituirmela?” chiedo, scettico.
Lei fa per dire qualcosa, ma richiude subito la bocca. Scuote la testa, e fa per andarsene, ma io mi rendo conto che no, così non vale, e le afferro il braccio.
“Okay, okay, ritiro l’ultima frase.” Ammetto.
“Hai detto che mi ami.” Mi ricorda lei.
“Sì, e …”
“E non mi hai lasciata parlare. So che sei rimasto lì parecchi secondi in attesa che ti dicessi qualcosa, ma sono dannatamente lenta in certe cose, quindi sono qui per rispondere.”
“Per rispondere?” domando, senza capire. “Che c’è da rispondere?”
“Una persona normale direbbe ‘anche io’, ma sfortunatamente non rientro nella categoria.”
Inizio a sentire male alla mano. Danny è morto. “Non devi dirlo perché l’ho detto io.”
“Tu non lo pensi?”
“Io dico sempre ciò che penso.”
“Bene.” Si osserva velocemente i piedi. “Posso rispondere, ora?”
“Ti sei preparata un discorso?”
“No.” mi risponde. “No, immagino che dovrò improvvisare.”
Allargo leggermente le braccia come per farle segno di parlare.
“Non lo so dire, io, quello che mi hai detto tu. Non l’ho mai detto a nessuno, a mio marito dicevo ‘anche io’, che di per sé non è un ‘ti amo’. Non te lo saprò mai dire, che credo sia di sentire la stessa cosa anche io, e vorrei che tu cercassi di capirlo.”
“Julie, non …”
“Zitto.” Mi dice subito lei. “Sono un rubinetto stappato, ora, e non hai il diritto di dire niente.” Respira profondamente. “C’era un ballo, in ospedale, organizzato per una ragazza malata di cancro alle ovaie che non era potuta andare al ballo della sua scuola. Il primario ha ordinato che ci fossimo tutti, nessuno escluso. Io ero … ero a guardare la gente ballare, dalla passerella, e ti giuro che solo un mese fa non mi sarebbe affatto pesata l’idea di non avere un cavaliere, non mi sarebbe pesata per niente. Ma tu … tu mi mancavi, Ben. Ti avrei voluto accanto a me. Ho chiamato Adam, e lui mi ha detto … che dovevo correre da te, perché era la cosa giusta da fare. Sono corsa da Danny, e … Olivia mi ha detto che era morto da dieci minuti.”
Poso il braccio sulla porta e ci appoggio la testa. Danny è morto.
“Però, vedi, io e lui avevamo fatto un patto, giusto un paio di ore prima. Lui mi aveva chiesto per quale motivo non fossi su un aereo per Londra, e io gli ho detto che non mi sarei mossa da Seattle fino a quando non lo avrei visto lasciare l’ospedale camminando sulle sue gambe.”
Chiudo gli occhi. Danny è morto.
“Però … ero seduta sul pavimento della stanza, con Izzie che abbracciava Danny, urlando che non potevano portarlo in obitorio, e … mi sono resa conto che la sola persona che voglio avere accanto, da qui fino a quando non sarò un corpo freddo da portare in obitorio … quella persona sei tu, Benjamin Thomas Barnes.”
Non ci penso, non più di un attimo. Corro verso di lei, in tuta, la abbraccio, la stringo, mi riempio del suo odore, mentre la sollevo da terra con la solita facilità e lei ride, stringendomi con le sue braccia. La bacio, con passione, lei gioca con la mia lingua e mentre sento il suo sapore sulle labbra mi rendo conto che non desidero altro che lei, lei e noi.

“Oh, Benjamin!” esclama Julie. “A Londra non mangiate mai?”
Io la raggiungo in salotto, notando che ha aperto il frigo. E lo ha trovato vuoto.
“No.” rispondo, sinceramente. A pranzo ieri sono andato da mia madre, quindi non ho fatto la spesa.”
“E la cena di ieri?”
“Sono stato con Jack in un pub.” Non riesco nemmeno a fingere di non essere al settimo cielo per averla di nuovo. Non riesco a non sorridere come un cretino guardandola cercare da mangiare in casa mia, non riesco a non rimanere impressionato dal suo essere così perfetta. Il mio telefono suona, e io sogghigno quando vedo sul display il nome di Jack. “Ehi, fratello.”
“Hai finito la maratona del sesso? O non avete risolto?” domanda.
Io rimango perplesso. “Che dici, Jack?” Julie si volta verso di me e sorride. “Oh, parli di Julie. Come sai che è qui?”
“Secondo te se l’è sognato di notte l’indirizzo di casa tua?” Scoppio a ridere e Julie, con passi silenziosi, si avvicina a me e mi bacia la guancia. “Non ringraziarmi, eh.”
“Grazie, Jack.” Sbuffo.
“In realtà, non ti ho chiamato per essere ringraziato. Mi ha appena telefonato il portavoce di Emergency.” Io mi lascio cadere sul divano. Ecco che Jack ricomincia con gli eventi di beneficenza. Ecco che torna tutto come prima. “C’è una cena, con annessa conferenza, servizio fotografico, strette di mano, interviste, e …”
“Sono con Julie.” Rispondo.
“E perché questo dovrebbe essere un vincolo? Sai quanto ci mangia la gente, sul gossip?”
Chiudo gli occhi, mentre ascolto Jack che veste di nuovo i panni del manager e bla bla bla. E io che pensavo che avrei passeggiato mano nella mano con Julie per Londra.
“Julie non si metterà mai l’abito lungo.” Lo dico più a me che a lui, rendendomi conto di quanto ami la comodità e odi chi vuole solo apparire.
“Oh, beh, Julie mi ha salvato la vita e non può mettersi un vestito?”
“Non credo nemmeno ne abbia. Scusa, poi non ho mai portato nessuna con me … al massimo Iris.”
“Iris ha ripreso a lavorare, altrimenti avrebbe accompagnato me. Ad ogni modo, ho già parlato con il tuo agente. Ha detto che se ti presentassi con una donna faresti un figurone, saresti al centro dell’attenzione, facendo una perfetta pubblicità a te, al film e all’associazione.”
Io sbuffo. “Va bene, dottor Barnes. Vedrò che posso fare.” Lo saluto e chiudo la telefonata, seguendo il rumore della voce di Julie, respirando l’odore di questa casa che ora è piena di noi. È seduta sulla poltrona dello studio, dietro la scrivania, e guarda la vita di Londra sotto la finestra.
“Jack si occupa di eventi benefici.” Esordisco.
Lei si volta a guardarmi. “Si, me lo aveva accennato.” Replica, seria.
“Ha organizzato una cena domani sera, con fotografi, giornalisti, e tutto il resto, e…”
“E tu ci devi andare.” Mi precede.
“Veramente vorrei chiederti di venire con me.” Butto lì.  
“Alla cena di beneficenza cono fotografi giornalisti e tutto il resto?”
Io annuisco.
Lei sembra pensarci su e poi storce il naso. “Non ho un vestito.”
“Ci pensa Iris.”
Iris?” chiede.
Iris, il folletto pazzo che girava per l’ospedale insultando me e Jack, è una stilista.”
Julie sorride, e io non posso che rispondere al sorriso. “Mi piace il rapporto che c’è tra di voi.”
“Stai sviando l’argomento.” Contesto.
Julie abbassa la testa. “Iris mi odierà dopo aver cercato di mettermi un vestito. E Nicole mi odierà perché mi sono fatta vestire da qualcuno che non sia lei.”
Io sogghigno. “Potresti invitare anche lei. Jack vorrebbe conoscerla.”
“Non metterò mia sorella nelle mani di quel donnaiolo di Jack.” Replica lei.
“Oh, certo, Nicole gioca ancora con le bambole, per te, giusto?” ironizzo, avvicinandomi.
“Nicole è solo una ragazzina.”
“Nicole è una piccola donna di diciannove anni molto molto carina.”
“BENJAMIN THOMAS BARNES!” strilla lei.
Io scoppio a ridere. “Scusa, davvero, non ho resistito.”
“A cosa?!” strilla lei, con la faccia da medico cattivo.
Io le poso l’indice sul naso. “A questa faccia.”
Lei sbuffa e poi incrocia le braccia sul petto. “Oh, contaci, che verrò con te alla cena.” Scende la scale verso il salotto. “Contaci, Benjamin!”
Io non riesco a smettere di ridere, la rincorro e la prendo da dietro. “Tanto non sei davvero arrabbiata.” Mormoro, con la testa nei suoi capelli.
“Certo, certo.” borbotta lei. “Mi lasci andare o no?”
“No. Dove dovresti andare, poi?”
“In camera.”
“A fare cosa?”
“A prendere il computer.”
“Ne ho uno anche di sotto.”
“Devo chiamare Nicole.”
Io sorrido ancora. “Chiedile di venire qui.”
“Ha la scuola.”
“Ci sono le vacanze di Natale.”
“Ha degli amici e degli impegni.” Riprova lei.
“E una sorella che non vede da due anni.”  Lei sa che io so che il vero problema è il fatto che ci sia io, che lei stia da me, e che questo renda tutto maledettamente ufficiale. “Dopo la cena lo sapranno tutti comunque, bionda.”
Lei si volta, senza spostare la mia presa dai suoi fianchi, posando le sue mani graziose sul mio collo. Mi bacia dolcemente. “Allora teniamocelo per noi il più possibile.”
“Tua sorella sa già di noi.” Ritento.
Lei mette il broncio. “Okay, Benjamin, chiederò a Nicole se le va di passare le feste da me. Ma ti giuro che se Jack la sfiora anche solo con un dito, ti giuro che la caduta dal tetto sarà stata solo una passeggiata.”

“Ehi, ma quello non è Ben Barnes?” le ragazzine impazzite in aeroporto mi fanno sorridere. Julie fa per girarsi a dire qualcosa, ma io approfitto del fatto che ci stessimo tenendo per mano per impedirle di muoversi.
“Lasciale stare.” Le dico.
Ovviamente, Nicole è stata più che entusiasta di accettare l’invito. Ha detto che sarebbe un onore conoscermi e venire con noi alla cena di beneficienza, mentre Julie le raccomandava di ‘stare lontana dal piccolo Barnes’. Ma non è questo che ha incupito Julie. È stata una telefonata con i genitori. Parlava in un francese stretto, misto a qualche parola di italiano, e sono riuscito a capire solo ‘ecco, questo è il motivo per cui me ne sono andata!’, ‘per favore, non stiamo parlando di me, del mio lavoro o della mia vita, ma di Nicole’ e ‘non puoi pretendere di avere ancora il controllo sulla mia vita’. Stavo per sentirmi in colpa per essermi ritrovato ad origliare fuori dallo studio, ma poi mi sono resa conto che Julie non mi ha mai raccontato dei suoi genitori. Sempre e solo Nicole, Nicole, e Nicole. Qualche volta, qualche accenno a Isabelle e a suo marito, ma i rapporti con i due non dovevano essere buoni. Ma mai una sola parola per i loro genitori.
Nell’istante in cui Nicole appare, davanti a noi, io rimango colpito da quanto assomigli a Julie. È più giovane, e si vede, più bassa, ha i capelli neri, ma il viso, gli occhi, il sorriso, la luce nell’espressione. È anche il suo abbraccio con Julie che mi toglie il fiato. Avevo intuito il bene che si volessero, e che la grande differenza d’età era complice di un rapporto strano, unico e meraviglioso. Ma Julie stringe quella ragazza come se ne andasse della sua stessa vita, mentre le due ridono con la stessa risata dolce.
Solo nel momento in cui le due si allontanando, tenendosi comunque la mano, mi guardano con gli occhi pieni di gioia.
Nicole mi guarda come per ringraziarmi, mentre si avvicina con aria imbarazzata. “Ciao, Ben Barnes.” La sua pelle è leggermente più scura rispetto a quella di Julie, e il suo sguardo è puro e giovane.
“Ciao, Nicole Martin.” Rispondo, sorridendo. “Fatto buon viaggio?”
“Perfetto.”
Mi sorride, e mentre penso che potremmo diventare quasi amici, mi suona il telefono. Jack.

“E quindi, Jack che ha detto?” mi domanda Julie.
“Che sarebbe meglio che lei avesse un accompagnatore.” Ammetto, posando l’hamburger sul tavolo.
“E lui ha una dama?” domanda Nicole.
“No.” rispondo, sedendomi sullo sgabello del fast-food.
“Come no?” chiede Julie, con la testa immersa nel panino. “E Iris?”
“Iris ha un altro evento, domani sera.”
Le sorelle si guardano. “Oh, che inglesi impegnati.” Scherza Julie.
“Strafottente inglese prevedibile.” Preciso.
Nicole sorride. “Perché non posso fare da dama al fratello di Ben?” chiede, con naturalezza.
“Perché ti ha definita solo una ragazzina.” Preciso io.
Nicole si finge offesa. “So badare a me stessa, Julie!”
“No, no, Jack no.”
“Non devo per forza innamorarmi anche io di un Barnes.”
“Ho detto di no.”
“Sono grande, vaccinata, responsabile …”
“Piccola, innocente, e vergine.”
“No.” replica lei. “No, non lo sono. Nessuno dei tre.”
A Julie va di traverso il panino. Io le picchietto la mano sulla schiena mentre lei impallidisce e prova a dire qualcosa. “Respira.” Le dico, mentre le passo un bicchiere d’acqua.
“Perché diamine non me ne hai parlato?!” ringhia.
“Sono stata con Mirko per cinque mesi. Pensavo avessi letto tra le righe.” Risponde lei.
“Nicole, ti adoro già.” Annuncio, affondando la faccia nel panino per non far vedere a Julie che sto ridendo.
Lei mi sorride. “Pure io. E giuro che tuo fratello non lo noterò nemmeno, ma sarebbe bellissimo fare prendere un fantastico infarto a Isabelle.”
“Nicole!” la richiama Julie. “Isabelle è tua sorella!”
“Anche la tua, se non  ricordo male.”
Julie fa una smorfia, e a me va di traverso il panino, ma perché sto ridendo troppo.

Maledette sorelle Martin. Mi hanno guardato come se fossi un alieno quando ho detto loro di non sapere pattinare, e poi mi hanno trascinato in questa pista deserta. Sto attaccato alla ringhiera mentre questi maledetti pattini scivolano più di quanto io gradisca. “Julie!” chiamo.
Lei entra in pista e si avvicina a me con grazia, pattinando con le mani dietro la schiena. “Ha bisogno di aiuto, signor Barnes?” chiede, sforzandosi di non ridere.
“Secondo te?” chiedo, alzando leggermente la voce.
“Se ti calmi, ti spiego come fare.” Mi risponde tranquilla.
Io faccio un respiro profondo. “Sono calmo.”
“Le ginocchia vanno piegate leggermente, e i piedi devono rimanere paralleli. Avvicini le punte solo per frenare. Sposti il peso a destra e a sinistra …” piega le ginocchia e pattina all’indietro. Poi, lentamente, si avvicina a me di nuovo. “Per partire, metti i piedi a L, tenendo dietro la sinistra. Metti la forza sul destro e parti.”
“Sembra semplice.” Borbotto. Provo a mettere i piedi a L, mentre lei ride.
“Ehi, Barnes!” esclama la voce di Nicole, che sta sfrecciando sulla pista come se fosse nata sui pattini. “Devi staccarti dalla ringhiera, per partire.” Mi ricorda.
Io le faccio una linguaccia e, lentamente stacco le mani dalla ringhiera, mentre Julie mi mostra i suoi palmi pallidi.
“Sai andare a cavallo, suonare la chitarra, scappare da Seattle, e non sai pattinare?” domanda Julie, ridendo.
Io afferro le sue mani e cerco di non cadere. “Destra e sinistra, destra e sinistra.” Mi ricorda lei, iniziando a pattinare all’indietro.
Io ci provo, giuro che ci provo, ma finisco subito con il sedere sul ghiaccio. Nicole scoppia a ridere, mentre Julie incrocia le braccia e scuote la testa, sorridendo. “Ho trovato qualcosa in cui non riesci, Benjamin. Mi sento realizzata.”
Si sente un telefonino suonare, e Julie avvicina immediatamente il suo Samsung all’orecchio dicendo. “Buonasera, Barnes due.”
“Non dirgli che non so pattinare.” L’avverto.
“Siamo alla pista di pattinaggio e tuo fratello è già col culo per terra.” Sorride, mentre si allontana.
Nicole riesce a smettere di ridere e poi mi tende le mani. “Forza, Barnes uno. È più facile di quanto sembri.”
Afferro la mano di Nicole mentre le sorrido. “Grazie.”
“Tu mi stai simpatico, Ben Barnes, e la rendi felice. Ma falla cadere di nuovo, e ti giuro che ti cambio i connotati.”
Prima che io possa rispondere, o avere paura, mi si accende una lampadina. “Nicole, posso chiederti una cosa?”
Lei annuisce, mentre mi afferra le mani e mi fa segno di piegare le ginocchia e di spostare il peso.
“Stamattina mi sono reso conto che … non l’ho mai sentita parlare dei vostri genitori.”
Nicole alza lo sguardo dai miei piedi per scrutarmi, con una ciocca nera che le ricade sul naso, dolcemente. “I rapporti tra i miei e mia sorella si sono incrinati quando loro hanno scoperto che Manuel era morto di overdose, circa sei mesi dopo la sua effettiva morte. Loro sono molto cattolici, sai. Quindi per loro il fatto che Julie abbia divorziato da Damiano è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Credo che non l’abbiano chiamata nemmeno per il suo compleanno, da quando è partita.”
Prima che io possa riuscire ad assimilare un ennesimo tasto dolente della vita di Julie, la bionda si avvicina a noi con estrema facilità, mentre parla ancora al telefono. “No, Jack, non la tengo sotto una campana di vetro, anzi.” Contesta.
Nicole la guarda allontanarsi di nuovo prima di parlare. “La grande differenza d’età tra di noi, ha fatto in modo che lei potesse farmi anche un po’ da mamma. E io da piccola, potendo scegliere tra lei e Isabelle, sceglievo sempre lei. E Isabelle questo non me lo ha mai perdonato.”
Io faccio del mio meglio per non cadere. “Julie ci tiene davvero a te, Nicole. Parla sempre benissimo di quello che voi due siete.”
Nicole mi sorride, mentre Julie, imprecando, sfreccia verso di noi. “Sta arrivando Jack.”
Io rido. “No, tesoro, non voglio che mi veda così.”
“Ha detto che non sa pattinare nemmeno lui. Così siete pari.”
Io scruto Julie. Maledetto Jack! Mio fratello sa pattinare benissimo, dannazione. Quando ero piccolo, lui e mio padre si divertivano moltissimo ad andare a pattinare, mentre io rimanevo sempre attaccato alla ringhiera. “Oh, davvero?” dico, sorridendo. “E tu gli hai creduto?”
Julie alza le spalle. “Perché non dovrei fidarmi di tuo fratello?”
Perché è un arrogante sciupa femmine, vorrei rispondere, ma mi mordo la lingua. “Niente, bionda, niente.” Le sorrido. “Sarà divertente.”
Nicole, lentamente, le passa le mie mani, come se fossi un bambino che attende di imparare a camminare.
E, alla fine, un po’ è vero. Sono solo un uomo, che stringe le mani di una donna, mentre entrambi imparano ad amarsi.

Jack arriva venti minuti dopo, volteggiando in pista. Io lo vedo, mentre Julie gli dà le spalle. Mi sta raccomandando di spostare il peso, quando Jack le afferra i fianchi. Lei strilla, mentre io e mio fratello ridiamo.
“Ciao, sweetheart.”
Julie gli tira un pugno sul braccio. “Tu sai pattinare, razza di stronzo!”
Jack in un primo momento ride, poi le indica la mano fasciata. “Che ti sei fatta?”
Io guardo Julie con aria allarmata. La benda è color carne, e io non l’avevo notata. “Male.” risponde Julie. “Mi sono fatta male.”
“E come ti sei fatta male, Julie?” domando, scrutandola.
Lei mi trafigge con i suoi occhi azzurri. Ha capito che non me ne ero accorto. “Oh, chi è il medico qui?” ironizza.
“Io!” esclama la voce di Nicole, che sfreccia verso di noi. “Cioè, no, ma potrebbe essere.” Aggiunge. Passa lo sguardo da me a Julie, e poi pare rimanere folgorata da Jack. “Oh, ciao.” Dice. “Io sono Nicole.”
Jack la osserva, sorridendo, e poi guarda me. “Non è la sorellina sacra e intoccabile di Julie, vero?” ringhia.
Io annuisco. “Avevo detto che sarebbe stato meglio non conoscerla.”
“La prossima volta ti mando la sorella stronza, se ti va.” Replica Nicole.
Nicole Elisa Martin!”esclama Julie. “Non parlare così di Isabelle!”
Il suo tono da mamma severa mi fa ridere. Poi la guardo. “Tu hai un secondo nome?”
“Che c’entra?” strilla lei.
Alzo le spalle. “Tu sai il mio.”
Lei allarga le braccia. “Il tuo nome completo sta su Wikipedia!”
Jack ride, alzando il dito indice della mano sinistra e formando un cerchio con indice e pollice della mano destra. Uno a zero.
“Oh, questo è un colpo basso!” esclamo, di rimando, mentre Jack rotea sui pattini per avvicinarsi a Nicole e Julie sfreccia all’indietro.
“Benjamin?” mi chiama lei.
“Sì?”
“Voglio darti un bacio.”
Io allargo le braccia. “Non aspetto altro, baby.”
Lei ride, mentre io faccio del mio meglio per non perdere l’equilibrio. “Vieni a prendertelo.” Risponde, chinandosi in avanti con un piede dietro l’altro come se fosse davanti alla regina.
“Forza, Ben.” Mi incita Nicole dietro di me. “Piedi a L. Ginocchia piegate, peso a destra e poi a sinistra.”
“Stai giocando sporco, Martin!” rispondo, cercando di mettere i piedi nella posizione di partenza.
“E secondo te, da chi ho imparato?”
Io scoppio a ridere mentre Jack urla: “Tu hai del carattere, Julie!”
 
Eeeeeh, salve! Mi scuso con le persone che leggono, perchè, questo capitolo, proprio non mi convince, ma vorrei proprio sapere come la mia sistah vivis_ reagirà a tutto questo. E no, non sarà sempre così semplice per loro, risolvere le cose.
   
 
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