Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: keska    19/02/2009    10 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mi guardai allo specchio copertina

Capitolo riveduto e corretto.

 

Osservai la mia immagine riflessa nello specchio, trovandoci un volto spento e pallido che mi fissava in trepida apprensione. Sentivo la gola stretta dall’ansia. Volevo ignorare quel dolore sordo e pulsante alla schiena, che però continuava a farsi presente, perturbando la mia mente.

Presi un respiro, e mi sembrò di non riuscire a respirare fino in fondo.

Non farti prendere dal panico, Bella. É tutto apposto.

Agitai le braccia, provando a quantificare l’entità del danno. Ci riuscivo facilmente. Leggermente risollevata tentai di muovere le gambe. Lievi fitte di dolore mi attraversarono il dorso e il petto, ma riuscii nella mia impresa.

Sospirai, e una fitta mi attraversò il petto. Strinsi gli occhi, portandomi una mano alla bocca e concentrandomi per mantenere un respiro regolare. Potevo farcela, pensai.

Mi osservai ancora, tristemente. Non potevo dirgli la verità. Per nessun motivo gli averi rivelato il vero motivo della visita di Jacob. Volevo… mi portai le mani fra i capelli… volevo che fosse come se non fosse mai successo. Non potevo permettermi altri errori, non ancora. Non potevo permettermi di farlo soffrire, ancora. Avrei stoicamente sopportato il dolore per un paio di settimane, evitando accuratamente di farmi scoprire. Questo si meritava Edward.

Questo, e la bugia che stavo per raccontargli.

E’ venuto per dirmi addio. Peccato che l’avesse già fatto, diverse settimane addietro, determinando la finale rottura del nostro rapporto.

E’ venuto per dirmi che mi dà il suo benestare. Avrebbe certamente funzionato, se non fosse stato che sforzarmi di dimostrare la felicità che in quel caso avrei dovuto avere sarebbe stato impossibile.

Mi morsi un labbro, angosciata. Avevo bisogno di dirgli qualcosa neutro, né triste, né felice. E che fosse credibile. E’ venuto per vedermi e basta, aveva nostalgia di me. Annuii a me stessa, poco soddisfatta della mia persona, ma convinta della necessità di mentirgli. Per il suo bene. Sperai solo di essere veramente capace di farlo.

Presi un debole fiato, non senza un certo sforzo, e portai una mano tremante all’orlo della maglietta. Pavida. Chiusi gli occhi e la sollevai lentamente. Non è niente Bella, non è niente, mi ripetei affannosamente. Vedrai, è una sciocchezza.

Ma quando aprii gli occhi ad attendermi c’era uno spettacolo mostruoso. Sulle costole si espandevano due grosse macchie viola, così scure, in due punti, che si avvicinavano al nero. Tremando violentemente mi volsi appena per scorgere uno spettacolo simile lungo la schiena. Annaspai, tenendomi con entrambe le mani al lavandino, la testa che mi girava.

Avevo paura. Temevo per me stessa e temevo per Edward, per paura di non poterglielo tenere nascosto. Il respiro si fece subito affannoso. E se fosse stato davvero così grave come sembrava? Gli occhi si inumidirono immediatamente. Avrei forse dovuto raccontargli tutto?

Sentii un suono, come un fruscio dietro la porta.

Mi portai immediatamente una mano alle labbra, sgranando gli occhi. No. Non potevo, e non dovevo, dirgli la verità. Non volevo continuare a sentire la preoccupazione nella voce, leggere la paura negli occhi. E sapere di essere stata io, solo io, a causargliela.

Un pensiero mi agghiacciò: Alice.

Sperai che mi stesse riservando la mia privacy.

Mi risollevai in fretta, schivando con un’occhiata il mio riflesso mostruoso. Mi affrettai a ricoprirmi, concentrata su ogni gesto. Una canottiera, viola. Non occasionalmente scelta. Una maglietta a maniche lunghe per nascondere il livido che Jacob mi aveva lasciato sul polso, strattonandomi.

Osservai ancora una volta la mia immagine. Era estate, e io ero un po’ troppo coperta per il periodo. Fremetti, sperando che lo spirito di osservazione di Edward fosse davvero molto, molto basso, quella mattina.

Mi aspettava, con un sereno e disteso sorriso celestiale, seduto sulla sedia a dondolo. La vista del suo volto sereno non fece altro che persuadermi, sempre più, a non dirgli una sola sillaba di verità.

Fui quasi presa dall’impulso di corrergli fra le braccia, salvo fermarmi, memore del fatto che non sarebbe stata affatto una buona idea. Mi avvicinai lentamente, misurando il fiato e ogni passo, finché non mi accoccolai, con cautela, fra le sue braccia. Il posto in cui avrei passato ogni istante.

Scostò una ciocca di capelli che mi era ricaduta sulla fronte e la portò dietro l’orecchio. Osservandomi, alzò un sopracciglio, perplesso. «Perché ti sei vestita così? Io non me ne intendo, ma fa piuttosto caldo…».

Arrossii, incapace di controllare le mie reazioni, e il ritmo del respiro aumentò impercettibilmente. Controlla le tue reazioni, ti prego! Scrollai le spalle, ostentando un’indifferenza che non avevo. «Avevo freddo» mentii, sperando di risultare convincente.

Continuò a fissarmi per un istante, poi annuì, facendo rilassare contemporaneamente tutti i muscoli del mio corpo. «Vuoi» cominciò, con tono vago «parlarmi dell’incontro di ieri?».

Sentii il cuore accelerare i battiti e veloce mi tesi per poggiare le mie labbra sulle sue, in un gesto che doveva apparire tenero, atto a rassicurare Edward circa la natura delle mie pulsazioni veloci. Rimase per un attimo interdetto prima di rispondere, dolcemente, al mio bacio.

Dopo pochi istanti si separò da me, fissandomi negli occhi. Mi accarezzò il viso, lasciandomi riprendere fiato. Fiato che sempre più e sempre più velocemente sfuggiva al mio controllo. «Allora?» chiese ancora, gli occhi corrosi dal bruciante desiderio di sapere. E come potevo biasimarlo?

Sospirai, ignorando ogni genere di dolore. Come un bambino che si prepara per la sua prima battuta alla recita scolastica, così feci io. «E’ venuto per vedermi e basta, aveva nostalgia di me». Peccato che, sin da bambina, durante le recite scolastiche ero sempre relegata al ruolo della pianta. Ferma e zitta sul palco. Abbassai gli occhi, incapace di sostenere i suoi.

Temporeggiò un istante prima di parlare. «Tutto bene?» mi chiese, apprensivo. Alzai il viso, per leggere la preoccupazione nel suo sguardo. Pensava stessi male per Jacob… Oh, Edward. Non sai quanto ti sbagli, questa volta. Non sai quanto.

Mi lasciai trasportare nel suo abbraccio. «Si… va tutto bene Edward» sussurrai contro il suo petto, chiudendo gli occhi e pregando. Che fosse per sempre tutto finito così.

«Bella?» mi chiamò perplesso Edward, leggermente preoccupato.

«Cosa?» ansimai, scattando seduta ritta sulle sue ginocchia.

Mi osservò in silenzio, concentrato. «Hai la tosse?».

Sollevai le sopracciglia. «La tosse?».

«Sì, la tosse. Hai appena tossito. E hai un respiro strano, corto. Ti sei raffreddata?» chiese, muovendo le mani per posarle sulla gola, in corrispondenza dei linfonodi.

Sgranai gli occhi, sollevandomi velocemente e allontanandomi di un passo, defilandomi dalla sua presa. «Ma no, Edward. Non ho niente. Mi si sarà bloccato un attimo il fiato, davvero».

Corrugò le sopracciglia, osservandomi. «Forse sarebbe meglio farti visitare da Carlisle…».

Gemetti a bassa voce. «E dai, Edward. Non essere paranoico» tentai di persuaderlo, «ti ho detto che non ho niente» ribadii, la paura che dilagava dentro di me, «fidati, per favore» dissi, con un tono che sembrava una supplica. Non osavo immaginare la sua reazione alla vista dei grossi lividi che portavo sul torace.

Sospirò, irrigidendo la mascella e annuendo seccamente. «Come vuoi. Ma, ti prego…».

«Sì» lo zittii, posandogli una mano sulle labbra, e sentendomi intanto morire dentro. «Te lo dirò».

 

Scendemmo giù in cucina, alla ricerca di qualcosa con cui potessi fare colazione. Prima che potessi muovermi, mi aveva bloccato il passaggio.

«Vuoi fare qualcosa, oggi?» mi chiese dolcemente, traendomi a sé.

Strofinai la guancia sul suo petto, scuotendo il capo. «Solo» feci, sollevando il capo per guardarlo negli occhi, «almeno oggi, ferma tua sorella. Non…» sospirai afflitta «oggi avevamo un’altra prova del vestito, ma proprio io…» mormorai tremante, rabbrividendo. Non poteva vedermi. Non poteva vedere quello che era del mio corpo.

Mi accarezzò una guancia. «Certo» disse subito, infilando una mano fra i miei capelli, «te l’ho detto, Bella. Non devi fare per forza come ti dice. Secondo me ti stai sacrificando anche troppo. A volte penso che tu non sia abbastanza felice, che tu non pensi affatto a te stessa» i suoi occhi si velarono di tristezza e ansia.

Posai entrambi i palmi sul suo petto. «Edward. Questo non è affatto un sacrificio. Non mi importa niente di ciò che tua sorella vuole fare, di quello che vuole organizzare. Io ho te. Anche se fossi la persona più sfortunata al mondo,-».

«Non lo escludo» fece, sarcastico.

«-sarei comunque felice perché ho te» continuai, ignorando le sue parole.

Sospirò, sfiorando il naso contro il mio. «Te l’ho già detto che ti amo?» mi sussurrò ad un orecchio.

«Si, ma ogni volta che lo dici è ben accetto» dissi con un filo di voce. Specialmente ora, pensai, che ho bisogno di una forza che non sono sicura di possedere.

«Ti amo» alitò, lasciando che le mie guance s’imporporassero di rosso. Rimasi ancor più istupidita e confusa, quando si aprì in un sorriso. «Respira».

E in quel momento suonò il telefono. Driin, driin.

Mi staccai da lui, allontanandomi di un passo per riprendere fiato. Mi voltai velocemente, sollevando la cornetta.

«Oh Bella! Non puoi farmi questo, accidenti! Voi due, non avete idea dello sforzo che sto impiegando in tutto questo! Come potete farmi una cosa del genere, boicottarmi in questo modo, avete solo la minima e recondita idea di quanto io ci stia mettendo…». Alice.

Lanciai un’occhiata implorante a Edward, ritto accanto a me.

«Non provare a farti aiutare da Edward!» mi minacciò dall’altro capo del telefono.

«Passamela» disse lui sorridendomi. Scossi il capo assente sentendo la voce irata di Alice. La lasciai inveire e sfogare, ma, visto che le sue visioni sul progetto del pomeriggio non mutavano, capì bene che non avevo intenzione di cambiare idea. Ero irremovibile.

Sospirò, e la sua voce cambiò di tono, diventando dolce e persuasiva. «Almeno vai da Esme a assaggiare le torte. Così, per colazione… Non ti chiedo un grande sforzo, ma il minimo dell’impegno. E su, Bella».

Non feci in tempo a prendere un respiro che la sua voce tornò a squillare nella cornetta, esultante. Dopo pochi secondi, un beep continuo. Sospirai, riagganciando la cornetta, notando disorientata che non ero riuscita neppure ad aprire bocca dorante tutta la conversazione.

Osservai Edward, fermo ad osservarmi lui stesso.

Intrecciò le sue dita alle mie, perplesso e dispiaciuto. «Non sei obbligata».

Sorrisi appena. «Non credo che Alice sia d’accordo con te» dichiarai sarcastica, «e comunque, credo che sopravvivrò ben bene ad una colazione con le torte di Esme!» esclamai, tentando di mostrare il mio entusiasmo. Nonostante un lieve senso di spossatezza e fiacchezza mi stesse scuotendo, restare ferma e seduta a mangiare mi sembrava una perfetta attività, in quel momento, per il mio corpo dolorante.

Edward si morse un labbro, come se stesse trattenendo una risata. «Non credo dirai la stessa cosa una volta arrivata a casa» mormorò sottovoce.

A casa Cullen trovai il salotto completamente ricoperto di torte a tre piani, le più piccole. Ce n’erano di così tanti tipi e colori che sembrava di stare in una pasticceria. Una pasticceria immensa. Mi ero preparata a qualcosa di simile, abituata alle manie di esagerazione dei Cullen. Esme poteva aver passato ore intere, notte compresa, a prepararle tutte.

L’odore delizioso ebbe un duplice effetto: stimolò il mio appetito, e m’inebriò, facendomi sentire un senso di vertigine. Respirai - un po’ difficoltosamente, mi resi conto, e non senza sentire un’ennesima fitta.

«Non sei obbligata a entrare in sala da pranzo» si scusò Edward, fraintendendo la natura della mia smorfia.

«Sorellina!» tuonò la voce possente di Emmett. In un attimo si era materializzato ai piedi delle scale. «Lo devo a te se ogni oncia della mia casa puzza terribilmente?!» mi accusò, sciabolando le sopracciglia.

«Scusa Emmett…» feci affranta, provando a immaginare che tortura dovesse essere per loro quell’odore che a me appariva sublime.

Lui rise. Io arrossii.

Esme entrò in salotto, prendendomi una mano e sorridendomi. «Bella, tesoro. Spero che tu non abbia fatto colazione stamattina» sussurrò, con quello che mi pareva un tono di scusa. «Alice mi ha detto dell’assaggio. Da quale vuoi cominciare?».

Le sorrisi di rimando, accomodandomi sulla sedia che mi aveva indicato, mentre Edward rimaneva accanto a me, una mano sulla mia spalla. Il mio corpo trovò subito un poco di sollievo. «Quella che preferisci».

«Va bene, cominciamo da questa». Prese una torta ricoperta da melassa gialla che stava poggiata su un tavolino accanto al divano. Ne mise una fetta su un piattino, offrendomela. Era al limone, ma aveva un giusto equilibrio fra vaniglia e delicatezza del pan di spagna.

Esme mi fissava, in trepidante attesa.

«Oh Esme, è deliziosa!» esclamai esaltata; ma, quando feci per prenderne un’altra forchettata, mi bloccò, sottraendomi il piattino dalle mani.

«Oh Bella, no. Non così. Devi assaggiarle tutte, se le mangi non riuscirai mai a finire».

Tutte? «Ma-» non feci in tempo a formulare una frase o esprimere il mio disappunto che già l’aveva rimpiazzato con un’altra torta, alle mele. Sospirai, arrendendomi e prendendone un morso. «Mmm squisita».

«Ti piace?» mi chiese, contenta.

Annuii, masticando un altro po’ di torta che ero riuscita a prendere con la forchetta prima che mi togliesse anche questa piattino dalle mani.

Mi fissò intensamente, piazzandosi dinanzi a me. «Ora, ti piace più questa o quella di prima?».

Inorridii, non riuscendo a nascondere la smorfia che comparve sul mio viso. Ecco dov’era la fregatura. Mi guardai, sconsolata, attorno, conscia del mio destino.

Quando incontrai il viso di Edward mi rivolse un’occhiata contrita. Sollevai gli occhi al cielo. Avrebbe potuto avvisarmi tempestivamente.

La mattinata fu impegnata solo da quello. Assaggiare torte. Quello che avevo creduto una svago e un motivo per passare il tempo ignorando i miei problemi, ignorando ogni dolore, si stava rivelando una lenta tortura. E, quando all’ennesima torta mi rifiutai di mangiare ancora, personalmente Alice venne ad imboccarmi, scatenando una lite con Edward.

Sconfitta e preoccupata mi arresi ancora, non incline in nessun modo a perturbare l’equilibrio della casa.

«Mangia!» ordinò, infilandomi direttamente una forchettata in bocca con un gesto fulmineo. Emmett se ne stava seduto sulle scale e rideva a crepapelle.

«Anlicie!» borbottai con la bocca piena.

«Mi dispiace, tesoro» si scusò Esme con tono contrito.

Mi lasciai andare contro lo schienale della sedia. «Esme! Se mangio ancorna nom mi entferà più i vesfito!».

«Alice…» ringhiò Edward dietro di me.

Strinse i pugni lungo i fianchi, sollevandosi sulle punte dei piedi per fronteggiarlo. «No, Edward! La devi smettere di fare il bastian contrario, come se la stessi torturando, come se le stessi facendo del male! Non puoi sempre mettermi i bastoni fra le ruote! Ti ricordo che sto preparando il vostro matrimonio».

«Nessuno te l’ha chiesto» la fronteggiò lui di rimando.

Alice ringhiò forte.

Mi presi la testa fra le mani, posando i gomiti sul tavolo. La sentivo fluttuare, leggera, e il respiro mi risultava pesante e forzato.

«Ragazzi, adesso basta» li interruppe Esme, con un tono che non ammetteva repliche, «Alice, apprezziamo il tuo sforzo. E anche Edward e Bella, saranno entusiasti della cerimonia, malgrado tuo fratello non te lo dimostri spesso. Ma, non esagerare. Basta ora. Su», la rimbrottò, facendola scomparire, imbronciata, al piano di sopra. «Bella, tesoro, ti prendo qualcosa da bere» aggiunse poi con voce soffice, volendo via verso la cucina.

Edward posò entrambe le mani sulle mie spalle, continuando a tenere lo sguardo puntato in direzione delle scale, verso dove era scomparsa la sorella. «Vuoi uscire un po’?» mi chiese asciutto.

«E dai, Edward!» protestò Emmett, affrettandosi a venire al mio fianco, «lasciami un po’ con questo curioso animaletto! La vuoi monopolizzare?».

Un altro ringhio si levò dal petto di Edward. «Forse non vi è chiaro, a tutti quanti. Ma quello che la deve sposare sono io, qui» sbottò acido.

Sospirai, stanca. Il respiro mi si bloccò in gola e automaticamente tossii, portandomi entrambe le meni alla bocca. Delle fitte continue mi scossero il petto. Rabbrividii impercettibilmente, chiudendo gli occhi.

«Bella?» fece Edward, chinandosi al mio fianco.

Presi velocemente fiato, stordita, sollevando il viso. «Sto bene!» sbottai, tentando di controllare il lieve affanno.

I suoi occhi mi fissarono lungamente, apprensivi. Alzai i miei al cielo, ostentando una sicurezza che non mi sentivo di giustificare o possedere, in quel momento. «Non essere paranoico» lo ripresi, ansiosa e acida, mordendomi il labbro. L’agitazione che sentivo per me stessa si stava trasformando rapidamente in nervosismo, mentre prendevo atto delle mie condizioni, che di secondo in secondo mi parevano peggiorare.

«Ma-».

«Oh, Dio, sì! Mi sento male! Sto per morire!» esclamai sarcastica, stendendomi tragicamente lungo il tavolo e completando la mia pantomima.

«Bella?!» esclamò, un reale accenno di paura nella voce.

Non volevo, assolutamente, immaginare la sua reazione se davvero fosse venuto a conoscenza della realtà. «Edward!» esclamai con tono isterico.

Emmett se la rideva di gusto. Anche Esme, che nel frattempo era entrata nella stanza, sghignazzava, cercando di contenere una risata vera e propria.

«Stavo scherzando» dissi, mostrandogli l’ovvietà della cosa.

«Oh» mormorò, imbronciato. Si tirò in piedi, in un movimento fluido. «Ti sembrano scherzi da farsi, questi?» fece, con quella che, non potevo nasconderlo, ma pareva una voce offesa.

Sbuffai, passandomi una mano sulla fronte. «Guarda che non l’hai capito solo tu» dissi, indicando con un eloquente cenno del capo Esme e Emmett. «Ti prego. Non essere così… così» feci, con un gesto esasperato.

«Se è così, allora» si chinò sulle ginocchia, osservandomi. Sulle sue labbra era comparso un ghigno sfacciatamente burlesco.

Prima che me ne potessi rendere conto, mi caricò sulle spalle, sfrecciando via su per le scale.

   
 
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: keska