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Autore: Elisa Ristori    22/10/2015    0 recensioni
E possa la fortuna essere sempre a vostro favore!
Nascere a Panem non è una fortuna. Lo sa bene Diana Castro 16 anni, Distretto 11. Chi nasce a Panem si trova a dover fare i conti con la fame, la povertà, i lavoro duro e le angherie dei Pacificatori. Ma la peggiore di tutte le sfortune per gli abitanti dei Distretti sono gli Hunger Games, i giochi della fame, un reality all'ultimo sangue. Compiuti i 12 anni la sua vita è stata condannata, la morte che alita sul collo come se fosse una vecchia amica. E prima o poi la vita torna a chiedere il conto e lo fa nel peggiore dei modi.
Tributo nella 75* edizione dei Giochi, Diana si trova a far i conti con la morte per la prima volta nella sua giovane vita, ma determinata e coraggiosa ce la metterà tutta pur di non soccombere e sopravvivere. Al suo fianco James, compagno di sventura, e due mentori speciali: Peeta Mellark e Katniss Everdeen.
Riusciranno ad uscire illesi dall'Arena mortale? O Panem l'avrà vinta ancora una volta? Beh non vi resta che leggerlo e scoprirlo da voi.
P.s Riposto con qualche modifica.
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Cinna, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Otherverse | Avvertimenti: Incompiuta
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La Mietitura, quel giorno tanto odiato è arrivato!

Ormai erano 4 anni che quella storia si ripeteva, da quando ho compiuto 12 anni il mio destino è stato segnato per sempre. E’ questa la sfortuna se vivi a Panem, sai che non puoi sottrarti, sai che il tuo destino è segnato fin dalla tua nascita. Sono giorni che nella piazza della città davanti al palazzo di giustizia i Pacificatori guardano a vista operai del nostro distretto, costretti a costruire il palco, issare bandiere con lo stemma di Capital City, montare i megaschermi soliti da cui proietteranno i giochi una volta iniziati. Perché anche volendo, anche se non viene sorteggiato sei costretto a guardare quei poveri ragazzi ammazzarsi l’uno con l’altro, con la scusa di dover sostenere i tributi del proprio distretto. La fanno passare quasi come una festa, come il più grande degli eventi, ma in realtà lo è solo per i frivoli abitanti della città, per noi li dentro non c’è niente di divertente, solo morte e dolore. Per anni ho visto tornare al distretto i corpi dei nostri ragazzi chiusi in quelle bare di legno, ho visto la disperazione nei volti dei genitori e ho sempre pensato con paura che avrei potuto esserci io. Pensavo che non era assolutamente giusto, odiavo Capital City per tutto quello che ci faceva subire, per strapparci cosi giovani alle braccia dei genitori. Ogni volta che passo per la piazza una morsa mi stringe lo stomaco, ad ogni colpo di martello sento il cuore perdere un battito e lo stomaco fare un capitombolo indietro. Mi stringo la giacca al petto e aumento il passo correndo verso casa quando entro mi chiudo la porta alle spalle tirando un sospiro di sollievo. Ormai fuori è buio e un’altra giornata sta finendo, ma io penso già a domani ed ho paura, come ogni anno, tremo al solo pensiero che da quella boccia possa uscire il mio nome. Il caso ha voluto che per 4 anni di seguito l’estratta non fossi io, mia mamma ogni volta diceva che era una fortuna, che dovevo essere grata per questo, ma io mi sentivo solo miracolata per quella volta.

 

Non riesco a dormire, mi giro e mi rigiro nel letto senza riuscire a prendere sonno cosi alla fine decido di alzarmi. Scosto le coperte, tiro su la trapunta e me l’avvolgo intorno cammino un po’ per la stanza: è piccolina, lo spazio che basta per un letto, un vecchio armadio, un tavolino, una sedia sotto la finestra e una piccola libreria a muro che ospita i miei pochi libri, i miei tesori. Cammino per un po’ per la stanza cercando di mettere in ordine i miei pensieri, ma stanotte a farmi compagnia ci sono solo le mie paure, l’angoscia per quello che potrebbe accadermi. Mi fermo davanti alla finestra guardando fuori, il distretto è immerso nel buio e nel silenzio, le luci delle case sono tutte spente e la gente è tutta a dormire cercando di dimenticare forse quello che gli aspetta domani. Non so per quanto tempo sono rimasta li ferma a guardare fuori, forse passano ore perché mi sento le gambe intorpidite e la testa pesante, cosi decido di andare a letto, mi stendo e chiudo gli occhi piano piano il sonno prende il sopravvento. Quando mamma viene a svegliarmi mi sembra di essermi addormentata da appena due minuti e invece ormai il sole è sorto ed è tempo di alzarsi e affrontare la giornata. Vorrei poter rimanere li ad occhi chiusi, facendo finta che tutto quello sia solo un sogno, ma purtroppo la realtà mi chiama e non posso fare a meno di presentarmi. Mi alzo di malavoglia dal letto e vado a farmi un bagno sperando che possa rilassarmi e calmare un po’ quella stretta allo stomaco che ho da ieri sera. Mamma ha già riempito la tinozza che abbiamo come vasca, è cosi vecchia che ho paura che cada a pezzi mentre ci sono dentro ed è pure troppo piccola per me nonostante io sia piccolina e minuta di fisico, ma è tutto quello che possiamo permetterci in casa. Mamma mi ha lasciato una brocca di acqua che ha bollito per riscaldarla perché purtroppo non abbiamo neanche l’acqua calda in casa, ma ormai è diventata fredda anche quella e mi devo accontentare, per questo faccio in fretta prima che mi si paralizzino tutti i muscoli. Quando torno in camera per vestirmi vedo che la mamma mi ha preparato sul letto il “vestito buono”, un semplice vestitino di mussola azzurrino chiaro e pois bianchi, con il colletto di pizzo. Era suo lo ha cucito a mano la nonna anche lei lo indossava durante le sue mietiture e se è ancora li, dice lei, vuol dire che le ha portato fortuna e per questo vuole che lo indossi anche io. Sono pronta, mi lego in capelli in una treccia laterale lasciandola cadere morbidamente sulla spalla, liscio il vestito con le mani e mi guardo nel piccolo specchio dell’armadio, il meglio che posso ottenere è questo. Scendo di sotto raggiungendo i miei genitori che sono già a tavola per la colazione e prendo posto sulla sedia accanto a mio padre, mamma mi porge un bicchiere di latte e qualche fettina di mela. La guardo e lei accenna un sorriso bonario, non ho molta voglia di mangiare stamattina, ho lo stomaco chiuso e sento che se metto qualcosa in bocca potrei vomitarlo all’istante, però non voglio far preoccupare ulteriormente mamma, è una giornata difficile per tutti. Bevo il mio latte e sbocconcello la mela in silenzio, nessuno di noi ha molta voglia di parlare stamattina la paura e la tensione per oggi si è impossessata di noi anche se stiamo facendo di tutto per nascondercelo a vicenda, ma ogni volta che incontro i loro occhi, soprattutto quelli di mamma, li vedo che sono persi nel vuoto. Il tempo sembra esserci quasi sfuggito di mano perché ad un certo punto mamma ci fa segno che è ora, eccola di nuovo quella morsa che mi stringe lo stomaco, devo stringere i denti e respirare piano, mentre mi alzo dal tavolo e mi appresto ad uscire di casa, sento che la mia misera colazione sta per tornarmi su. L’aria fredda e pungente del mattino mi da un sollievo immediato tanto che per un secondo chiudo gli occhi e tiro indietro la testa espirando profondamente cosi che il senso di nausea passi del tutto. La strada è gremita di gente, una folla silenziosa composta di ragazzi e bambini che, come me, si avviano verso la piazza a testa bassa, gli sguardi schivi ed li che mi accodo anche io lasciando i miei indietro e dando loro il tempo di raggiungere la piazza. Una volta arrivata li devo mettermi in fila con le altre ragazze davanti ad un Pacificatore che senza troppe cerimonie mi tira la mano pungendomi il dito e prendendosi un po’ del mio sangue. Lo guardo in maniera fredda per poi allontanarmi all’istante e raggiungere il posto in mezzo ad altre ragazze. Mi scambio un sorriso veloce e tirato con le mie vicine o meglio rispondo un po’ forzatamente al loro sorriso, quasi che servisse a darci un po’ di coraggio. Poco dopo sentiamo dei passi, un ticchettio di tacchi che pestano sul legno del palco e alzo la testa, sapendo già chi mi troverò di fronte: Glenda, la donna mandata da Capital City che ogni anno viene a decretare la morte di due di noi. E’ ancora più stravagante che gli altri anni, una faccia eccessivamente truccata di un turchese scintillante che si abbina al resto dell’abbigliamento, turchese anche esso e anche esso coperto da un fastidioso scintillio. Con le dita ossute e le unghia perfettamente smaltate richiama la nostra attenzione, picchiettando sul microfono: << Benvenuti…..Benvenuti alla 75° edizione degli Hunger Games. Come tutti sapete gli Hunger Games hanno origine dalla ribellione dei tredici distretti contro Capitol City. Il tredicesimo venne definitivamente distrutto e ogni anno, per distretto, un giovane ragazzo e una giovane donna vengono estratti per poter partecipare a questi meravigliosi giochi. Ma prima di passare all’estrazione ecco a voi un bellissimo film direttamente da Capital City>> esordisce con il suo tono squillante e fintamente allegro, indicando poi gli schermi posti al suo lato.

Il silenzio regna sovrano in tutta la piazza tra noi ragazzi alita solo la paura che da quella maledetta boccia esca il bigliettino con il nostro nome, mentre sugli schermi scorrono le immagini abilmente montante da Capital City, che riassumo la ribellione dei distretti, la loro sconfitta e la successiva nascita degli Hunger Games come prezzo che tutti i distretti dovevano pagare per la ribellione. << Un applauso al nostro presidente!>> irrompe la voce squillante di Glenda alla fine del filmato, ma nella piazza continua a regnare il silenzio, nessuno di noi ha intenzione di applaudire all’artefice di tutto ciò, al presidente Snow che per noi è come il diavolo in personeGlenda si rende conto di essere la sola ad applaudire e risultare anche un po’ ridicola cosi riprende in mano la situazione stampandosi in volto l’ennesimo sorrido finto allegro. << E ora passiamo a sorteggiare il giovane uomo e la giovane donna che rappresenteranno il Distretto 11 ai 75° Hunger Games. Come sempre prima le donne...>> dice ticchettando ad ogni passo con i tacchi traballanti sul palco. Durante tutto il discorso e il filmato non avevo prestato attenzione a nulla di quello che era successo, mi ero di nuovo chiusa nella mia bolla protettiva lontano miliardi di anni luce dal pericolo imminente, per questo la voce di Glende e il suo “Prima le ragazze” mi fa quasi sobbalzare e tornare alla realtà. Vedo le mano ossuta entrare nella boccia, le sue unghia smaltate mescolare tra i mille biglietti li dentro contenuti e solo dopo vari secondo prenderne uno e tirarlo su. Sento i corpi delle compagne accanto a me irrigidirsi dalla paura, mentre Glenda ritorna al centro del palco davanti al microfono srotolando il bigliettino per leggere il nome della sfortunata. Per una di noi ormai il destino è segnato! << La giovane donna che rappresenterà il Distetto 11 agli Hunger Games è: Diana Castro!>>

  
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