Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: ChiaraBJ    22/10/2015    2 recensioni
….la piccola tolse le mani dalla ferita, strinse in un ultimo abbraccio Ben e chiuse gli occhi, il suo amico se ne era andato per salvare lei; triste pensò che, se non lo avesse conosciuto, lui sarebbe ancora vivo e questo la fece stare ancora peggio. L’aveva protetta fino all’ultimo, ma non era servito a niente. Niente. Poi un’arma sparò.
Consigliata, ma non indispensabile la lettura de “la stanza dei specchi”
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Jager, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Legami speciali ed indissolubili'
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Spie e rapimento

Nicholas Postdam era un uomo sulla settantina, nato a Mosca dove tutt’ora abitava.
Aveva lavorato per anni come agente segreto presso il KGB, e adesso, dopo anni di onorato servizio si sentiva stanco e vecchio soprattutto per le operazioni d’azione.
Ormai si considerava quasi in pensione, visto e considerato che le sue missioni o incarichi erano sempre più rari. Non avendo una famiglia o parenti  Postdam si dedicava ai suoi hobbies sempre con più dedizione.
Coltivava orchidee come Nero Wolf, amava leggere autori russi e ascoltare la musica classica dei suoi compatrioti. Amava anche giocare a scacchi, e una volta aveva anche sfidato  Kasparov purtroppo perdendo.
Ma quel mattino i suoi superiori lo avevano convocato d’urgenza perché volevano affidargli un nuovo incarico.
“L’ultimo” avevano assicurato.
L’ex agente del KGB, anche se ormai non era più molto giovane, era tuttavia considerato il migliore agente che l’Agenzia russa avesse mai avuto. Stancamente Postdam si diresse con un taxi verso quello che era stato il Quartier Generale dei servizi segreti russi.
Per tutto il tragitto tra l’altro non molto lungo l’anziano agente si chiese che cosa potesse essere accaduto da volerlo immediatamente a rapporto dai suoi superiori.
Che lo aspettasse una missione delicata era lampante, ma di cosa si trattasse questo neanche lontanamente lo immaginava.
Postdam scese dal taxi davanti a un imponente edificio di mattoni rossi e gialli e, come sempre quando vedeva quell’edificio, la sua mente ripercorreva le sue passate missioni.
“Bei tempi” si ritrovò a pensare divertito “Il pericolo era il mio mestiere…ero il James Bond dell’Est…intrighi, donne, caviale e vodka”
L’uomo entrò nell’ elegante edificio e dopo essersi presentato, una graziosa segretaria lo fece accomodare nell’ufficio del suo diretto superiore, un giovane ‘sbarbatello’ lo avrebbe apostrofato Postdam, uno che hai tempi della Guerra Fredda sicuramente andava ancora alle elementari.

Nello stesso momento a centinaia di chilometri di distanza Ben e Semir uscirono dai laboratori della polizia scientifica e dopo aver telefonato a Susanne si diressero verso il centro di Colonia.
L’uomo, vittima dell’incidente in autostrada abitava in un elegante quartiere della città.

Contemporaneamente Anastasiya Karpov stava riordinando la cucina dopo aver pranzato con il marito e la figlia che ora se ne stava sotto il portico a suonare la chitarra che le aveva prestato Ben.
La signora Karpov dopo aver lavato ed asciugato alcuni piatti, si stava dirigendo verso una credenza quando la sua attenzione fu catturata dalla voce di una giornalista che stava parlando alla tv.
“…un spaventoso incidente verificatosi stamattina sull’ autostrada A4. La vittima si chiamava Rafail Popov …”
Appena la donna sentì quel nome i piatti che aveva  in mano caddero a terra frantumandosi in mille pezzi.
“Ana…” accorse il marito richiamato dal fragore “Che è successo?”
“D’javol” singhiozzò lei terrorizzata “E’ lui, l’aveva promesso… è tornato…ci ucciderà tutti”
A sentir quel nome il marito ebbe subito l’impulso di abbracciare la donna “Non ci accadrà niente…te lo prometto…”
Ma in cuor suo il primo a non credere a ciò che diceva alla moglie era proprio lui.

Intanto nel Quartier Generale dei servizi segreti a Mosca Nicholas Postdam si preparava ad incontrare i suoi superiori.
“Salve Agente Postdam” disse Jurij Andropov, un distinto uomo che stava seduto dietro ad un’enorme scrivania.
“Ci dispiace molto averla ‘ risvegliata’, ma la faccenda è molto delicata e lei è l’unico che pensiamo possa risolverla” dopo di che si alzò e andò verso Postdam porgendogli la mano.
“Direttore Andropov venga subito al sodo…lo sa che i convenevoli non fanno per me…” disse ossequioso Postdam, anche se riteneva un bamboccio in doppiopetto l’uomo che aveva davanti e lo stesso pensava di un altro giovanotto, poco più che quarantenne che sedeva su una sedia vicino all’enorme porta finestra presente nella stanza.
“Deve partire immediatamente…destinazione Germania e precisamente Colonia” disse perentoriamente Andropov.
“Quando arriverà a Colonia, avrà più di qualcuno alle calcagna, e non mi riferisco solo ai servizi segreti tedeschi, ma anche alla polizia locale” disse l’uomo seduto sulla sedia, che si alzò e andò a stringere la mano a Postdam.
“Agente Postdam lasci che le presenti Igor Vlad, sarà il suo contatto tra noi e lei” li presentò il direttore Andropov.
Postdam lo guardò come si guarda un insetto. Insignificante, questo era Vlad per lui.
“A quanto pare laggiù c’è chi sta eliminando tutti i nostri contatti, questo potrebbe sollevare interrogativi e un polverone con conseguenze inimmaginabili per la nostra sicurezza…capisce cosa intendo vero?”
“Giovanotto” rispose l’anziano agente “Io mi infiltravo nell’area dell’Ovest, molto prima che lei nascesse…”
Ma Postdam non poté continuare la ramanzina perché fu interrotto da Andropov.
“In Germania abbiamo ancora molti contatti, dopo la caduta del Muro, molti di loro sono restati laggiù, si sono ricostruiti una vita, ma uno è diventato una specie di vendicatore solitario”
“State parlando di ‘D’javol’?” chiese per niente stupito Postdam.
“Sì” fu la laconica risposta di Vlad.
“Quindi ‘Il Diavolo’ è tornato” replicò secco Postdam.
 
Semir e Ben parcheggiarono la loro auto vicino ad un elegante palazzo situato al centro di Colonia e poco dopo furono all’interno dell’appartamento di Popov.
“Bell'appartamento…” disse Semir entrando e dando una veloce occhiata alle stanze.
“Sì, direi…che lavoro hai detto che faceva?” chiese Ben.
“Susanne mi ha detto che lavorava in una fabbrica dove producono la Kölsch” ribatté il piccolo ispettore.
“Se ci lavorassi io…un posto dove producono la nostra birra locale…sarei sempre brillo…” ragionò Ben mentre si dirigeva verso una scrivania dove in bella mostra c’era un computer portatile.
Il giovane lo accese.
“Ma che fortuna “  esclamò “Nessuna password”
“Si vede che non aveva niente da nascondere “ replicò il piccolo ispettore mentre apriva credenze e rovistava nei cassetti e infatti Ben non vi trovò niente d’ interessante.
Nell’appartamento i due ispettori visionarono diverso materiale come la posta, numerose foto, libri, documenti , ma nulla che potesse dar loro qualche suggerimento, indizio o movente sul perché qualcuno avesse voluto uccidere Popov. Nemmeno  Susanne, cercando informazioni sull’uomo  era stata di grande aiuto.
La vittima aveva la fedina penale immacolata, nemmeno una multa per eccesso di velocità o sosta vietata.
Alcune ore dopo i due ispettori uscirono dall’appartamento e risalirono in auto, il loro turno di lavoro era finito da un pezzo e si stava facendo quasi sera. Durante il sopraluogo Semir notò che il suo giovane collega non era tanto incline al dialogo e questo, si disse,  era una novità.
Si chiedeva se quel suo silenzio era dovuto al non essere riuscito a salvare Popov. Non era la prima volta che succedeva una cosa del genere, ma questa volta sembrava che la cosa fosse più dura da superare.
 “Ehi socio ti andrebbe di venire stasera a cena da noi? Così tanto per fare una chiacchierata tra amici, una birra, niente di serio…” chiese Semir avviando l’auto.
“No grazie Semir…ho in programma altro…vorrei andare in sala prove…sto finendo di arrangiare un pezzo…così mi rilasso e mi distraggo da questa giornata…” e il ragazzo volutamente lasciò cadere il discorso, Semir capì al volo, in quelle occasioni Ben voleva e desiderava stare da solo.
“Va bene, come vuoi” disse un po’ rammaricato Semir.

Fu così che Ben si fece accompagnare dall’amico al capannone dove provava con la sua band. All’interno non c’era nessuno, quella sera non erano in programma nessun tipo di prove.
Una volta entrato il giovane poliziotto si sfilò la fondina dalla cintura dei jeans, l’appoggiò sopra ad un tavolo, si tolse la camicia e la mise sopra la pistola. Anche se restò in canottiera , il caldo all’interno del capanno era quasi soffocante.
Accese tutti i ventilatori,  prese una birra dal frigobar e dopo averne bevuto alcuni sorsi, si adoperò per riparare la chitarra di Livyana; l’arrangiamento della nuova canzone avrebbe dovuto aspettare non si sentiva molto ‘creativo’ in quel momento e aveva bisogno di occupare la mente e distoglierla da tristi pensieri.
Ben aveva lasciato il portone aperto, l’aria che entrava era fresca, si stava alzando il vento e in lontananza si sentiva il fragore dei tuoni del temporale che si stava avvicinando.
“Allora vediamo un po’…chiavette da sostituire, il ponticello e poi una muta nuova di corde” elencò Ben.
Si mise a canticchiare mentre riparava lo strumento e questo lo rilassò molto, nemmeno si accorse che sulla soglia del portone c’era Livyana che lo stava guardando con ammirazione.
Passarono diversi minuti poi la piccola attirò la sua attenzione “Permesso…ciao Ben, posso entrare?” chiese educatamente la bambina.
“Certo accomodati, entra” rispose il giovane alzando gli occhi dal suo lavoro di riparazione e subito aggiunse “I tuoi…” ma fu interrotto dalla piccola.
“Ho lasciato un biglietto sopra il tavolino d’entrata caso mai rientrassero prima di me…ma non penso, sono fuori per lavoro”
“Ma i tuoi ti lasciano a casa da sola?” chiese serio Ben.
“Guarda che ho undici anni…mica sono una poppante” disse con un tono un po’ offeso.
“Certo, certo” rispose alzando le mani Ben quasi in segno di resa.
Livyana si avvicinò al tavolo dove stava lavorando Ben.
“Wow, sei riuscito ad attaccare il ponticello…e le chiavette…appena sarà asciutta la colla sistemiamo le corde…” La piccola era euforica.
 “Ehi, ma per chi mi hai preso?” disse sogghignando Ben un po’ facendole il verso.
I due si guardarono dritti negl’occhi, seri, poi scoppiarono a ridere. Livyana era al settimo cielo e senza pensarci su due volte lo abbracciò stretto. E fu così che il ragazzo si trovò stampato sulla guancia un tenerissimo e affettuoso bacio.
“Quanti anni avevi quando hai cominciato a suonare?" chiese curiosa la ragazzina mentre Ben continuava il suo lavoro.
Il giovane ispettore non rispose, anzi fece quasi finta di non aver sentito la domanda, non era nel suo carattere raccontare fatti personali riguardanti il suo passato. Solo una persona poteva dire di conoscerlo a fondo, e quella persona era il suo socio.
Livyana se ne accorse subito “Non fa niente Ben…anzi scusa non sono fatti miei…”si affrettò a dire  mentre lo  guardava con aria tenera.
“No è che…” tergiversò il giovane, ma dopo aver fatto un profondo respiro come per farsi coraggio continuò il discorso interrotto.
In fondo Livyana aveva fatto una semplice e innocente domanda. Immediatamente si era resa conto  che tale domanda aveva per un attimo offuscato il sorriso del suo amico. Ben non amava parlare della madre deceduta. Il ricordo lo rattristava sempre, ma decise di risponderle si sentiva a suo agio con la piccola anche se non sapeva spiegarsene bene il perché.
 “Mia madre suonava il piano era molto brava e io per starle vicino il più possibile decisi di imparare a suonarlo. Avevo sei anni, ma alla musica classica preferivo il rock, quindi imparai anche a suonare la chitarra che divenne la mia ancora di salvezza quando due anni dopo mia madre morì” raccontò il giovane senza alzare mai gli occhi dalla chitarra che stava riparando.
“Mi dispiace Ben, non volevo farti intristire… tu… lei …vi volevate molto bene, si vede da come ne parli, posso solo immaginare come sia stato…” e istintivamente abbassò lo sguardo guardandosi i piedi.
Ben si girò verso di lei e le mise un dito sotto il mento, le alzò il viso e sfoderando uno dei suoi magnifici sorrisi dolcemente disse:
“Non ti preoccupare…e tu? Come hai iniziato a suonare?”
La ragazzina s’illuminò e cominciò il suo racconto, gli occhi divennero luccicanti.
“Un paio d’anni fa passai di qui, e fui attratta dalla musica che proveniva dal capannone, c’era il portone aperto, ti vidi con la chitarra,  stavi suonando una canzone stupenda, era dolcissima e mi innamorai…” disse arrossendo,  fermandosi un attimo col discorso mentre diceva quest’ultima parola e Ben le sorrise con tenerezza.
 “Comunque stavo dicendo che mi innamorai del suono e della magia che diffondevano quelle note, ovvio…quindi corsi a casa e chiesi ai miei se potevano regalarmi una chitarra. Imparai da sola…con l’aiuto di internet, ma adesso che ho di nuovo la chitarra aggiustata convincerò i miei ad iscrivermi ad una scuola dove ci sia l’indirizzo musicale o quantomeno dei laboratori pomeridiani di musica…per non esserti troppo di disturbo, anche se con te, mi trovo bene, sei bravo, e poi sei gentile con me… “ e di nuovo la bimba arrossì.
“Comunque  sei molto brava e caspiterina…autodidatta…”  replicò esterrefatto Ben.
“Ti va di suonare?” chiese poi Livyana.
“Certo hai qualche preferenza?”
“Certo lo sai che mi piace moltissimo seguirti con la chitarra mentre canti la mia canzone preferita accompagnato dal piano, ma è una canzone triste…e prima ti osservavo, anche prima del racconto riguardante la tua mamma…sei un po’ giù di corda o sbaglio?”
Ben restò a guardare per un momento la ragazzina.
Era perspicace ed aveva spirito d’osservazione, non era la prima volta che Livyana riusciva a leggere lo stato d’animo del poliziotto, era difficile nasconderle le cose o forse era lui che era diventato ‘un libro aperto’. Una volta riusciva a non lasciar trapelare i propri sentimenti, ma dopo quella maledetta operazione sotto copertura che gli era quasi costata la fiducia e l’amicizia con Semir e soprattutto la vita, ciò gli era diventato difficile se non impossibile.
“No, non ti preoccupare, so che ‘Almost you’ di Tom Beck è la tua canzone preferita, quindi vada per quella, poi suoneremo qualcosa di più ritmato” propose Ben.
Livyana s’illuminò e prese la chitarra che le aveva prestato il ragazzo e si mise in posizione…pochi istanti dopo si diffusero per il capanno i primi accordi della canzone.
Passò un’ora e  la piccola chiese un po’ imbarazzata “Ben?”
“Dimmi Livy”
“Posso andare in bagno?”
“Ma certo… è la porta che vedi laggiù” rispose indicandole il posto.
La bambina si alzò dal divano, appoggiò delicatamente la chitarra e si affrettò verso il bagno.
Ben la seguì con lo sguardo, si ritrovò a guardarla con tenerezza e per un attimo ebbe un po’ di invidia nei confronti di Semir…essere genitori doveva essere una cosa stupenda.
Il giovane a sua volta si alzò dal divano e si diresse verso il frigobar. Una volta aperto trovò  parecchie bottiglie di birra, un paio d’acqua e due lattine di coca cola “ Dovrò fare in modo che dentro ci sia qualcosa di più a portata di bambina” disse divertito tra sé e sé “Magari qualche succo di frutta”
Si stava affezionando a Livyana e la bambina si stava affezionando a lui.

Il ragazzo ritornò verso il divano e appoggiò sul tavolino due lattine di coca cola quando sull’uscio del portone comparve un uomo.
Era in controluce, ma Ben poté vedere che era alto e di corporatura robusta.
L’uomo entrò e così Ben lo vide in faccia: capello corto brizzolato, occhi neri, sulla sessantina e dai tratti dedusse che poteva venire da qualche paese dell’Est Europa.
Il poliziotto andandogli incontro disse “Mi scusi, ma questa è proprietà privata e …”
Ma l’uomo non lo lasciò finire estrasse una pistola e gliela puntò contro.
Ben d’istinto alzò le mani.
“Senta, non so cosa vuole, ma se è qui per cercare soldi o altro…” cercò di negoziare il ragazzo.
Ma fu interrotto dall’uomo.
“Dov’è la ragazzina?”
Ben a quella richiesta rimase scioccato.
Quell’uomo era venuto per Livyana?
Ben cercò di mantenere il controllo e nello stesso tempo sperò che la piccola si accorgesse del pericolo e restasse barricata in bagno.
“Quale ragazzina? Qui a parte me non c’è nessuno” rispose con aria sicura Ben.
L’uomo si avvicinò a Ben e gli diede un violento pugno allo stomaco.
Il ragazzo cadde in ginocchio tenendosi le mani sullo stomaco, l’uomo prendendolo per i capelli e tirandogli indietro la testa riformulò la domanda.
“DIMMI DOV’E’ LA RAGAZZINA !!!” ribadì scandendo ogni singola sillaba e appoggiò la canna della pistola sulla fronte di Ben tirando indietro il grilletto.
“E io glielo ripeto, non so di cosa stia parlando” replicò a tono Ben, sapeva che stava rischiando la propria vita, ma in quel momento gli premeva molto di più l’incolumità di Livyana.
Per qualche secondo i due si guardarono dritti negl’occhi, poi l’uomo col calcio della pistola colpì in pieno volto Ben che cadde disteso a terra.
Il ragazzo si portò una mano alla bocca, il colpo gli aveva fatto sanguinare un labbro. Il poliziotto stava per rialzarsi, ma l’uomo gli assestò un violento calcio alle costole e Ben finì di nuovo disteso a terra.
“Glielo ripeto e richiedo per l’ultima volta…non mi costringa a spararle…potrei farla soffrire e parecchio…” disse l’uomo e Ben sentì sulla nuca la fredda canna della pistola.
“Sono qui, lo lasci stare, la prego non gli faccia del male…” disse Livyana uscendo dal bagno in lacrime e andando verso l’uomo.
Ben riuscì  a fatica a mettersi a carponi nonostante fosse intontito dai colpi presi e i suoi occhi incrociarono quelli della piccola.
“Livy… no…” disse con un filo di voce Ben scuotendo leggermente il capo.
La ragazzina con le lacrime agli occhi guardò il suo giovane amico, lo stava per raggiungere, voleva abbracciarlo e rassicurarlo, ma purtroppo Livyana dovette assistere ad un altro calcio violento che assestò l’uomo alle costole di Ben.
Il ragazzo quindi stramazzò al suolo svenuto.
“BEN!!!...” urlò disperata la bambina e poco prima che potesse inginocchiarsi vicino al giovane, l’uomo l’afferrò per un braccio.
“Mi lasci …” e la piccola assestò un calcio ad uno stinco dell’uomo.
Stava per colpirlo ancora quando l’individuo le puntò la pistola contro.
“E’ meglio che tu mi segua senza fiatare, altrimenti sparerò al tuo amico e poi anche a te”
La bambina ancora in lacrime annuì con la testa dopo di che uscì dal capanno assieme all’uomo. Non prima di aver rivolto un ultimo dolce, tenero sguardo a Ben.


Angolino musicale e note dell’autrice Vorrei fin da ora ringraziare i miei stupendi e affezionatissimi recensori, chi ha inserito la  storia tra le preferite, ricordate, seguite e ‘ dulcis in fundo’ la mia BETA.
30 seconds to Mars ‘from yesterday’ (da ieri).
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=kzQWupZEpOU
Lui è uno straniero per alcuni e una visione per nessuno non ne ha mai abbastanza mai abbastanza di nessuno per fortuna se n'è andato ma è difficile ammettere come inizia e finisce sul suo viso c'è una mappa del mondo da ieri, sta arrivando! da ieri, la paura! da ieri, lo chiama ma lui non vuole leggere il messaggio qui se ne sta seduto su una montagna non una montagna d'oro ma di peccato può imparare attraverso il sangue vedere la vita che gira dal consiglio di uno deciderà quando avrà finito con gli innocenti......
 
 
  
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