La prima ad arrivare nel
palazzo, con la sua chiave gialla, fu Reishefy, la principessa del
regno
dell’Elettricità. Impaziente, era giunta fino a
lì con largo anticipo. Illuminò
il proprio lato con le scosse che passavano sulla sua pelle ed
esplorò quella
parte, segnata e delimitata chiaramente sul pavimento, dedicata
all’Elettricità. Quel palazzo non aveva le logge
rialzate come dal Signore
dell’Est ma era totalmente vuoto. Subito dopo
l’entrata vi era una piccola
sporgenza, come una tettoia, di cui Reishefy non ne capì
l’utilità. Era curiosa
di sapere chi fosse entrato dalle altre porte e faceva supposizioni su
chi
fosse stato il prossimo. Dall’interno tutte le pareti erano
identiche, fra
finestre e forme. Solo i colori mutavano, in spicchi, sul pavimento
colorato in
corrispondenza dei diversi regni. Sotto la ragazza c’era il
giallo e provava un
timore quasi reverenziale all’idea di sfiorare una
colorazione differente. Si
avvicinò verso il centro, sorpassando la fascia con
più luce grazie alla grande
finestra, ed osservò tutte le altre zone.
Saltellò sul posto, annoiandosi. Con
i capelli bianchi a riflessi dorati che guizzavano, cominciò
a canticchiare per
ingannare il tempo sedendosi e tenendosi i piedi. Ridacchiò
al rimbombo della
sua voce.
Sentì chiaramente una
porta
aprirsi, dopo diverse ore di attesa. Subito scattò in piedi,
sorridendo.
“Ciao!”
urlò.
L’eco le
rimbalzò all’orecchio
per diverse volte.
“Ciao! Io sono Reishefy,
principessa del regno dell’Elettricità!”.
Nessuno le rispose ma la
ragazza vide muoversi una figura nella penombra non molti spicchi alla
sua
destra. Tornò, trotterellando, verso il centro e
ricominciò a presentarsi.
Finalmente la persona appena entrata si mosse verso la luce della
finestra.
“Ciao!”
ripeté Reishefy.
“Ho capito!”
sbottò la figura
“Ciao anche a te…”.
“Come ti
chiami?”.
“Thuwey…”.
Il signore del Metallo era
alquanto perplesso. Il comportamento della ragazza lo stupiva. Si
avvicinò al
centro, dove lei si era messa porgendogli la mano. Lui, con un rumore
di ferro
e catene che sbattono, la fissò lievemente accigliato.
L’Elettricità non
abbassò la mano ed attese, con un ampio sorriso, di farsela
stringere.
“Non ti mordo
mica!” sbottò la
ragazza.
“Non ne dubito,
ma…”.
“Ed allora la buona
educazione
vuole che ci si stringa la mano quando ci si conosce! Oppure per la tua
razza è
differente? Allora…piacere, io sono Reishefy!”.
“L’ho
capito…sono Thuwey…”.
Si strinsero la mano e
l’abitante del Metallo la ritrasse all’istante,
bestemmiando. Gli aveva dato la
scossa. Lei parve davvero mortificata.
“Non mi era mai
successo…scusa!” mormorò, tenendosi la
punta delle dita sulle labbra.
“Bah…non fa
niente, và!”
brontolò Thuwey, stringendosi la mano dolorante e sentendo
ancora la scossa che
gli attraversava ogni parte del corpo.
“Sembra
divertente…” parlò una
terza voce.
“Per
niente…” sibilò Thuwey.
“Posso provare? Io sono
Mattehedike”.
La Roccia non ebbe la stessa
reazione quando gli fu stretta la mano, anzi ridacchiò per
il solletico. Il
Metallo fissò entrambi, ritornando alla sua solita
espressione lievemente
minacciosa. Aherektess, principe del regno dell’Aria,
entrò dalla finestra ed
atterrò dolcemente sul pavimento azzurro chiaro. Si
sistemò le piume con cura,
guardando solo di striscio le altre persone nella sala. Uno dietro
l’altro,
entrarono nel palazzo senza dare tempo a Reishefy di salutarli e farsi
salutare
come voleva. Arrivò Idisi per il regno della Terra, che si
fermò a metà del suo
spicchio, senza dare troppa confidenza. Enki, spaventata dalla
situazione, non
si mosse dal porticato che stava sull’ingresso. Kassihell,
rappresentante del
Fuoco, guardò tutti di sottecchi, senza parlare. Stessa cosa
fece l’abitante
del ghiaccio, avvolto in un pesante mantello con cappuccio ricoperto
della neve
del suo mondo. Efrehem, appena entrato, salutò educatamente
e si mosse verso la
luce della finestra, fermandosi in quel punto, con le mani dietro la
schiena.
“Manca solo il
rappresentante
dell’Oscurità…”
mormorò, rincuorato dall’idea di non essere
l’ultimo arrivato,
e per interrompere il silenzio.
“Veramente io sono
già qui…”
parlò una voce.
Lo spicchio
dell’Oscurità non
aveva luce, non potendo entrare nessun tipo d’illuminazione
dalla finestra.
Lehelin, essendo del tutto fatta di ombra, non si poteva vedere ma,
avvicinandosi al centro, rifletté con gli occhi argento la
poca luce che la
colpì. Si fermò, per non riceverne altra.
“Allora ci siamo
tutti…” disse
la Luce.
“Tranne il padrone di
casa”
aggiunse Kassihell.
E proprio in quel momento,
come se fosse stato chiamato, il centro della stanza si alzò
ed iniziò ad
apparire il Signore dell’Ovest, sempre tutt’uno con
il pavimento come il
gemello dell’Est.
“Che bello! Sembra una
grossa
gelatina!” esclamò Reishefy.
Tutti la fissarono più
che
sconcertati da quella frase, compreso il Signore dell’Ovest.
“Sei
bellissimo…posso
toccarti?” continuò la ragazza.
Il padrone di casa rimase per
un attimo immobile, senza rispondere, ma poi annuì, quasi
sorridendo.La
principessa dell’Elettricità allungò le
mani e si mise a ridere, soddisfatta.
“Sembra davvero una grossa
gelatina! Un’enorme caramella gommosa! È una
sensazione stupenda! Toccatelo
anche voi!”.
Ritrasse le mani quando
notò
gli sguardi di rimprovero degli altri. Le incrociò dietro la
schiena e sussurrò
uno “scusatemi” imbarazzato. Il Signore
dell’Ovest ridacchiò divertito e si
guardò attorno.
“Venite tutti quanti
vicino a
me” ordinò, notando come Enki e
l’Oscurità fossero rimaste piuttosto indietro
rispetto al resto del gruppo.
Lehelin si mosse, stringendo
leggermente gli enormi occhi per adattarsi alla luce. Enki ci mise un
po’ di
più, spaventata com’era, ma alla fine raggiunse la
sua postazione.
“Sedetevi”
continuò l’Ovest.
“Per terra?”
domandò Efrehem,
stupito da quel comando.
“Sì.
Sedetevi” fu la risposta.
Tutti si sedettero, notando
come le distanze fra loro fossero piuttosto ridotte.
Il Signore li fissò,
ruotando
solo la parte superiore del suo corpo informe. Era identico al suo
gemello,
l’Est, con gli occhi che variavano continuamente di colore e
luminosità, tranne
per il fatto che l’Ovest era a spicchi colorati come il
pavimento da cui
emergeva.
“Sono lieto di vedervi.
Siete
stati puntuali, questo è importante…”
iniziò, con voce bassa e vibrante
“…come
importante è la missione che vi apprestate a compiere. Prima
di spiegarvi ogni
cosa, vorrei che ognuno di voi si presentasse. Dovrete passare diverso
tempo assieme
e credo che il modo migliore per iniziare sia proprio imparare a
conoscersi.
Chi vuole iniziare?”.
Kassihell stava per obiettare.
Solo l’idea di perdere tempo con giochetti idioti ed
infantili lo irritava.
“Io! Inizio io!”
si propose
Reishefy, alzando la mano.
“Non avevo dubbi al
proposito…” borbottò Thuwey.
“Prego…”
acconsentì il Signore
dell’Ovest, con un lieve cenno del capo traballante.
“Beh…ciao a
tutti, io sono
Reishefy. Sono la…non so…credo la ventesima
figlia di Taranis, il re
dell’Elettricità…”.
A quelle parole più di
qualcuno si guardò con strani sorrisetti ed ammiccate, come
a dire “si dà da
fare il caro Taranis…”.
Reishefy non notò quelle
facce
e continuò il suo racconto. Si era alzata in piedi, con le
mani dietro la
schiena e la coda arricciata, attenta ad incrociare lo sguardo di tutti
per
verificare se le prestavano ascolto ed attenzione.
“…ho sedici
anni e sono stata
scelta per questo viaggio perché sono la più
forte”.
“La più forte
in cosa?”
ridacchiò Aherektess.
“Se vuoi ti tiro una
scossa
nel culo e poi me lo dici tu…” sibilò
lei, di risposta.
La principessa, sicura delle
sue capacità, non aveva portato con sé
alcun’arma. Le bastava la sua energia.
Appoggiò le mani lungo i fianchi e sorrise, mostrando a
tutti l’elettricità che
scorreva fra i capelli bianco-dorati e la pelle nera. L’abito
che indossava,
dello stesso colore di capelli e unghie, era composto da ritagli di
stoffa
zigzagati e cuciti assieme. Era in due pezzi, con la gonnellina che le
arrivava
al ginocchio, con guanti coordinati che però lei aveva
tolto. La ragazzina era
molto minuta, quasi del tutto priva di forme femminili, scalza ma,
assicurò,
con le scarpe nello zaino.
Il Signore dell’Ovest le
fece
segno di sedersi e guardò Aherektess, sullo spicchio a
fianco. Seduto a gambe
incrociate sul suo colore azzurro, si alzò di malavoglia.
Lehelin lo osservava
con una strana espressione che nessuno volle interpretare, diversa
dall’odio
totale che trasmetteva Kassihell.
Vestito quasi del tutto di blu
scuro, in tinta con i suoi capelli, una canottiera aderente e decorata
con
piccole fasce argento abbinata alle scarpe con suole alte e brillanti,
guardò
tutti con gli occhi rossi piuttosto accigliati. Mise le mani nelle
tasche dei
pantaloni neri, che avevano una specie di strascico che partiva dalla
cintura.
Una sorta di coda artificiale, forse per volare più
agevolmente.
“Io sono Aherektess,
gemello
del regnante dell’Aria e figlio del defunto
Denerìs. Gli amici mi chiamo Arek,
per facilitare le cose. Darò io l’eventuale
permesso a voi di fare lo stesso.
Ho trentun anni e sono qui per mia scelta. Mio fratello Zameknenit non
ha
potuto obbiettare”.
Nessuno volle approfondire
quella frase, notando l’espressione non proprio amichevole
sul suo viso dalle
guance scavate.
“Mi avevano detto che eri
in
coma…” parlò Thuwey.
“È
così. Lo ero. Ma ora sono
sveglio, e non ne voglio parlare” accompagnò
quella frase con un’occhiataccia
malvagia verso Kassihell, che contraccambiò.
“Voli?”
squittì Reishefy.
“Come, scusa?”
si stupì il
principe.
“Puoi volare con quelle
braccia?”.
“Sì. Sono
entrato volando…”.
“Scusa…non
l’avevo notato.
Sono molto belle le tue piume” sorrise lei e lui
azzardò un “grazie”
borbottato, tipico di chi non si aspetta di sentirsi dire una frase del
genere.
“Interessanti le tue
armi…”
notò, invece, l’abitante del regno del Metallo.
Il principe dell’Aria
portava
due spade identiche, leggermente ricurve, fissate sulla schiena da due
fasce in
cuoio scuro, i cui pomoli brillavano di luce azzurrina. Aherektess
apprezzò
molto quel commento e sorrise sinceramente al suo futuro compagno di
viaggio.
L’alto rappresentante dell’Aria si sedette e subito
si alzò l’abitante del
Ghiaccio.
Tolse il cappuccio e tutti i
maschi presenti rimasero piacevolmente stupiti. La slanciata figura
incappucciata era una bellissima ragazza bionda, con grandi occhi
azzurri e
forme prosperose.
“Salve a tutti”
disse,
sorridendo “Io sono Hanjuly, potete chiamarmi Han, o July,
principessa del
regno del Ghiaccio. Ho venticinque anni e sono qui perché
mio fratello, Igorhay,
il prescelto per questa missione, al momento della partenza ha fatto
cambio di
nascosto con me. Volevo davvero partire e poco mi importa se i miei
genitori
disapprovano”.
Con le mani infilate in
candidi guanti di velluto, stringeva il largo colletto di pelo del
lungo
mantello bianco, come bianco ero lo spicchio in cui stava e gli alti
stivali,
anch’essi con risvolto in pelo, che calzava. Non era molto
vestita sotto quella
coltre pelosa, che le ampliava le spalle con lunghi ciuffi candidi.
Indossava
pantaloni corti azzurro pastello, col pelo bianco ai bordi, e una
canottierina
semitrasparente che lasciava intravedere un top bianco con decori
lucidi. I
capelli biondi, raccolti in una lunga treccia, le ricadevano sulle
spalle
morbidi, lungo tutta la schiena. Sorrise, con le labbra dipinte di una
tonalità
pallida di azzurro, lasciando andare la collanina con la pietra scura
che
indossava, e mise le mani nello zaino chiaro, senza guardare. Ne
estrasse un
bastone non molto lungo, che lei strinse con entrambe le mani. Chiuse
gli occhi
e lo girò sopra la testa, come una majorette, e ne
spuntarono due lame
trasparenti, a formare una sorta di cerchio.
“Questa è la
mia arma” spiegò
lei, con orgoglio “Ha la lama simile al ghiaccio. Roteando
fra le mie mani, ti
taglia in due!”.
Lo mosse rapidamente, facendo
sobbalzare dallo spavento la rappresentante dell’Acqua che
stava sullo spicchio
accanto al suo. Hanjuly, dopo quella piccola dimostrazione, richiuse la
sua
arma semplicemente schiacciando un bottone senza colore e la ripose
nello
zaino. Sbatté i tacchi degli stivali fra di loro, con fare
militare, e lasciò
la parola a colei che stava sullo spicchio blu confinante al suo,
quello
dell’Acqua. Enki, vedendo che tutti gli occhi erano su di
lei, arrossì dalla
testa ai piedi e si rannicchiò, chinando la testa.
“Non avere
paura!” tentò di
rassicurarla il Signore dell’Ovest “Presentati.
Come ti chiami?”.
“Io…io sono
Enki” balbettò.
Stringeva le mani palmate fra
loro, con nervosismo. La pelle, che sfumava verso il blu, quasi si
perdeva
sullo spicchio. Non aveva il coraggio di reggersi in piedi, consapevole
di
essere piccina anche se ritta in tutta la sua altezza.
Continuò a guardarsi i
piedi scalzi, anch’essi palmati, con la cresta rivolta
all’indietro. Era
vestita di verde smeraldo, con un abito brillante lungo fino a terra, a
scaglie
lucenti come la pelle di chi lo indossava, allacciato sulla spalla
sinistra.
Sulla destra aveva una tracolla in tinta con il vestito. Respirava a
fondo,
tentando inutilmente di non agitarsi troppo.
“Sono
Enki…” riprese, dopo
qualche minuto di silenzio “…e sono la principessa
del regno dell’Acqua. Ho
diciotto anni e…non so perché sono qui. Non
volevo. Ma i miei genitori non
hanno voluto sentire ragioni e
perciò…eccomi”.
“Qual è la tua
arma?” domandò
Reishefy.
“Io…io non ho
un’arma. Non so
assolutamente combattere. Ma sono brava ad usare la magia del mio
elemento. Mi
arrangerò con quella…”.
“Dobbiamo farti da guardie
del
corpo?” sbottò Kassihell, arricciando il naso.
Lei non rispose. Gli occhi
azzurri, tondi, leggermente sporgenti, da pesce, fissarono
l’abitante del mondo
del Fuoco quasi con supplica. Nessuno disse più nulla e si
voltarono verso la
rappresentante dell’Oscurità. Questa, seduta con i
piedi dai tratti incerti
rivolti verso il punto di principio del suo spicchio nero, mosse solo
leggermente i grandissimi occhi argento. Era pura ombra, piccola e
minuta,
senza contorni chiari, con lunghissimi capelli fumosi ed in continuo
mutamento,
come nebbia. Accanto a lei si intravedeva uno zaino monospalla di
colore nero,
piuttosto piccolo rispetto a tutti i bagagli degli altri. Con le
braccia che la
sorreggevano e la schiena leggermente rivolta all’indietro,
non si alzò in
piedi ma si rizzò, incrociando gambe e braccia.
“Io sono
Lehelin” parlò “Ho
ventitré anni e sono la figlia di Ozymandias. Direi che non
mi serve aggiungere
altro”.
“Perché sei
stata scelta tu?”
incitò a proseguire il padrone di casa.
“Lo devo ancora capire. Ma
l’idea di partire mi piace”.
“Tu non hai armi. Immagino
che
le doti di incantatrice, di cui tanto si favoleggia sul tuo popolo,
siano il
tuo aiuto…” azzardò Thuwey.
“Direi di sì.
Non solo quelle.
Avrai modo di vedere come combatto, ad ogni modo. Mi
diverte…”.
A parlare, poi, fu
l’abitante
del regno della Roccia. Si alzò, divaricando leggermente le
gambe e tenendo le
braccia muscolose incrociate. Non era molto alto ma piuttosto
massiccio. La sua
pelle era, a tratti, dello stesso marrone dello spicchio in cui si
trovava.
Questo perché si era ingrossato leggermente, forse per
auto-incoraggiarsi, ed
ora braccia e petto, coperto solo da un piccolo gilet con motivi
scozzesi come
i pantaloni, presentavano tratti con spuntoni ed aree di roccia di
colore
sfumato fra il grigio e il marrone. Anche lui scalzo, sorrideva
orgoglioso,
mentre Lehelin gli fissava, incuriosita, il codino moro e le corna
rivolte
all’indietro. Disse di avere la stessa età della
principessa dell’Oscurità ma
fu interrotto quando affermò di essere il
“campione scelto dal re”.
“Un campione?”
si stupì
Kassihell “Intendi dire che non fai parte della famiglia
reale?”.
“No. Sono un guerriero del
mio
regno, non un principe” confermò Mattehedike.
“Finalmente! Mi sentivo
fuori
posto circondato da soli principini viziati e principesse da
proteggere!”
esclamò Thuwey, sorridendo.
“Ma come sarebbe a
dire?!”
riprese il principe del Fuoco“A me è stato detto
che solo un componente della
famiglia reale poteva prendere parte a questa missione!”.
“Beh…evidentemente
ti han
preso per il culo!” lo sfotté Aherektess,
gongolando.
“Maledetto bastardo
traditore!
Mi sentirà quando tornerò a casa!”.
“Sicuro di non essere
stato tu
a capire male? Si sa che voi di Fuoco brillate di fiamma ma non di
intelligenza…” ghignò il principe
dell’Aria.
“Senti un po’,
piumino
ambulante, vuoi che ti spiumi?”.
“Provaci, fiammifero
spettinato!”.
Kassihell scattò verso il
suo
avversario, ed Aherektess era pronto a contrattaccare ma il Signore
dell’Ovest
aumentò di dimensioni e mostrò tutto il suo
disappunto, facendoli tornare ai
loro posti.
“Tornando a
noi…” sbottò, poi,
il padrone di casa “…dove eravamo? Credo tocchi a
lei, gentildonna della Terra.
Si presenti, e perdoni questa interruzione imprevista. Questo se
Mattehedike
non ha altro da aggiungere…”.
“Con cosa
combatti?” parlò
Hanjuly, senza aspettare la fine del discorso.
“Con questi”
rispose il
rappresentante della Roccia, stringendo i pugni.
“Interessante…”
commentò la
principessa del Ghiaccio, apprezzandone la muscolatura e fissandolo
negli occhi
scuri con aria maliziosa.
“Ora posso
presentarmi?”
sorrise la Terra, notando il silenzio.
“Prego, madama. Non ho
altro
da aggiungere” la Roccia le fece un lieve inchino e
passò il turno.
Lei si alzò, staccandosi
dal
suo spicchio verde brillante. Era alta, anche se non come Hanjuly, e
guardò
tutti con grandi occhi giallo paglierino.
L’Oscurità non la guardò, infastidita
dal riverbero dell’abito dorato e piumato che portava. I
lunghi capelli verde
scuro li aveva decorati con una piccola coroncina di fiori, che non
appassiva
grazie alla vena di linfa che scorreva lungo la schiena della donna.
L’abito in
oro, con pietre e piume variopinte, era abbinato a polsini di uguale
fattura ed
un paio di sandali alti a lacci incrociati. Accentuava le sue forme
già
piuttosto evidenti.
“Io sono Idisi”
si presentò
“Ho trentaquattro anni, sono la maga di fiducia dei reali
della Terra. Non sono
qui per mia volontà ma perché il destino mi ha
scelto. Vedremo cosa avrà in
serbo per me…”.
Fra le mani verde chiaro
stringeva una sorta di grosso remo in legno.
“Questa è la
mia arma” spiegò,
prima di sentirsi rivolgere qualsiasi domanda “E vi assicuro
che fa molto male
se sbattuto contro uno dei vostri testoni”.
Guardava soprattutto i maschi
della compagnia, in particolare quelli che stavano per picchiarsi.
Tornò a sedersi senza
aggiungere altro, sorridendo con le sue labbra dello stesso colore dei
capelli.
Aherektess non ebbe il coraggio di chiederle quale bestia avesse
spiumato per
farsi il vestito, temendo di sentirsi rispondere che provenivano dalle
braccia
del suo popolo alato.
“Bene, bene,
bene…a quanto
pare tocca a me!”.
Il rappresentante del Metallo
stava seduto in modo decisamente scomposto e si rizzò in
piedi lentamente,
quasi controvoglia. I capelli neri, lunghi fino al ginocchio,
frusciarono sullo
spicchio argento mentre il loro padrone si alzava, accompagnato da un
forte
rumore di catene. Portava un cappotto lungo fino ai piedi, nero, che
scopriva
in parte petto e spalle, permettendo di vedere l’aderente
maglia a collo alto
che portava sotto, anch’essa di colore nero. Il cappotto,
stretto in vita da
un’ampia cintura e con larghe maniche, era pieno di catene ed
anelli di
metallo. Ovviamente aveva tutti gli spazi necessari per lasciare
scoperti gli
spuntoni metallici del corpo dell’uomo. Le gambe erano
interamente protette da
un’armatura argento, la stessa che ricopriva gli stretti e
lunghi piedi del suo
padrone, terminante a punta. Era il più alto del gruppo,
probabilmente sfiorava
i due metri d’altezza. Pareva quasi una statua, con quella
pelle grigia.
“Io sono Thuwey”
ghignò,
alzando il colletto del cappotto ed agitando leggermente le lunghe
orecchie a
punta “Farò trent’anni fra non molto e
sono il capitano delle guardie della
regina del Metallo. Sono un orfano, a differenza della maggior parte di
voi che
è nato e cresciuto ben coccolato, e quindi sono pronto ad
affrontare ogni
situazione. Ho dovuto lottare per ottenere qualsiasi cosa nella mia
vita e non
avrò certo problemi a farmi un giretto per Asteria, anche se
i miei compagni di
viaggio sarete voi”.
Mattehedike non disse nulla,
pur sentendosi leggermente offeso, avendo avuto anche lui
un’infanzia per nulla
semplice. Kassihell lo fissò con odio ma non
parlò, ripetendosi che era suo
alleato.
“Le tue armi?”
si limitò a
commentare Lehelin.
“Se avrò modo
di usarle, ne
rimarrete piacevolmente stupita, damigella d’Ombra”.
Si sorrisero, con cenni
d’intesa, apprezzandosi gli stili a vicenda.
“Mio alleato…a
te la favella!”
concluse il Metallo, guardandolo con occhi ramati e tornando a sedersi
in modo
decisamente poco elegante e senza grazia, fra un forte rumore di catene
e
ferro.
“Io sono Kassihell. Non
appioppatemi nomignoli scemi, tipo Kassy o Helly, perché mi
fan andare in
bestia” iniziò il Fuoco, rimanendo inginocchiato
sul suo spicchio rosso.
Non era molto alto, alla pari
della Roccia, e nemmeno grosso. Il suo sguardo, però, era
sicuro, minaccioso ed
incuteva rispetto, oltre che timore. Di certo era estremamente sicuro
di sé e
delle sue capacità, non a torto.
“Sono sposato”
continuò “Ho
tre bambini, due maschi ed una femmina. Sono un trentaseienne e sono
qui perché
mi ci hanno costretto. Non avrei mai voluto allontanarmi dalla mia
famiglia”.
“Questa è una
cosa
interessante…” parlò Efrehem.
“Cosa? Cosa è
interessante?”
domandò il Fuoco, senza capire.
“Non collegavo, fino ad
ora,
l’elemento che rappresenti all’amore per la
famiglia…”.
“Non so dove tu voglia
arrivare, piccoletto, ma ti consiglio di dosare per bene le parole.
Tipiche del
mio elemento sono di certo l’aggressività,
l’irascibilità e tutto il
resto…”.
“Non siamo qui per
litigare!”
mise le mani avanti l’abitante della Luce e Kassihell si
rilassò leggermente,
pur rimanendo perennemente accigliato.
Era vestito in rosso, con una
maglia semplice, grezza, a maniche larghe, aperta a V mostrando alcuni
guizzi
delle fiamme tatuate su tutto il corpo del suo proprietario. Un laccio
della
stessa tonalità, ma più scura, la chiudeva,
incrociandosi. Lunga fino alle
ginocchia, la maglia era stretta in vita da una cinta ampia, in stoffa,
di
colore nero al quale era agganciata una splendida Katana con elsa e
fodero
rosse e oro. Il Metallo guardava quella spada come un bambino ammira il
giocattolo nuovo ma non disse una parola. Kassihell, però,
notò quello sguardo
e la sfoderò, permettendogli di venerarla. Thuwey
gongolò, facendo
apprezzamenti sulla fattura della lama.
“Belli i
pantaloni” commentò
Reishefy.
“Grazie. Li ha fatti mia
moglie” rispose il Fuoco.
Erano neri, con ampie tasche,
e dal ginocchio in giù portavano decori fiammeggianti che
sfumavano dal
giallo-oro al rosso cupo. Erano molto larghi e coprivano quasi tutti i
piccoli
piedi di Kassihell, infilati in sandali ad infradito di colore scuro.
“Certo che potevi anche
pettinarti…” sibilò l’Aria.
“E tu potevi anche stare a
casa. Tanto sei inutile…e fastidioso!”.
“Mai quanto te!”.
“Potete evitare di
ricominciare?!”
interruppe l’Ovest “Lasciate che l’ultimo
di voi si presenti”.
L’ultimo rimasto era
Efrehem,
sul suo spazio dorato, che si alzò inchinandosi con profondo
rispetto.
“Sono Efrehem. Ho da poco
compiuto ventiquattro anni. Mio nonno è Friedrik, il re del
regno della Luce.
Come Enki, non sono un guerriero. Sono un principe, un principino. Sono
stato
scelto perché, oltre ad un ottimo uso delle arti magiche
legate al mio
elemento, rappresento ciò che di più importante
è legato al mio mondo: la
sapienza. Verune possono sembrare le mie parole, vacue. Ma vi posso
assicurare
che ho tentato di approfondire ogni aspetto possibile della Grande
Madre
Asteria. Ammetto e confesso di non aver mai messo piede fuori dal mio
palazzo
prima del giorno in cui incominciò il viaggio che mi ha
condotto qui. Non
saprei da che parte iniziare se qualcuno di voi mi ordinasse di
impugnare una
qualsiasi arma ed usarla ma vi posso assicurare che in tutto il reame
della
Luce non c’è maggior rappresentante di
quell’elemento di me. La Luce non è solo
quella della stella del giorno. La Luce che io possiedo è
quella della
conoscenza e…”.
“Abbiamo capito! Quanto
parli!” lo interruppe Kassihell, ridacchiando.
“Sì, infatti.
Abbiamo capito…”
aggiunse Thuwey “…sei un topo di biblioteca! Sai a
memoria libri su libri, cose
su cose, ma non sapresti difenderti nemmeno da un animale
insignificante ed
innocuo come quello che fa le uova per la mia colazione!”.
“Bella questa!”
rise
Kassihell, ed i due uomini si sorrisero, prima di darsi il cinque
reciprocamente.
Efrehem non rispose a quella
provocazione. Strinse i pugni. Sapeva di non poter spaventare nessuno
con la
sua corporatura gracilina e la bassa statura. Per non parlare degli
enormi
occhi arcobaleno, di cui in quel momento prevaleva il verde.
“Certo che…se
sapevo che mi
toccava fare da babysitter, nemmeno mi muovevo da casa!”
protestò il Fuoco,
notando con fastidio di essere il più vecchio del gruppo.
“Se sei vecchio di certo
non
puoi farcene una colpa!” sbottò Aherektess.
“Tu oggi le prendi,
sai?” gli
ringhiò contro Kassihell.
“Sicuro di farcela? Magari
i
reumatismi…” rimbeccò l’Aria.
“Basta…”
sospirò il Signore
dell’Ovest.
Tutti fecero silenzio e poi il
padrone di casa sorrise, soddisfatto.
“Ora che vi siete
presentati,
posso illustrarvi nei dettagli la vostra missione” disse, con
impeto.
†††
Tutti seduti in cerchio,
più o
meno composti, i rappresentanti dei vari regni ascoltarono le parole
del
Signore dell’Ovest, alzando la testa verso l’alto
perché questi si era
notevolmente ingrandito, forse per darsi maggiore enfasi.
“Chi di voi usa
regolarmente
la magia, si sarà accorto che qualcosa è
cambiato. Non è più come un tempo. Più
debole, meno gestibile e con un prezzo sempre più alto da
dare in cambio, la
magia si sta contaminando, mutando, liberandosi dal nostro
controllo” parlò
l’Ovest.
Molti dei presenti annuirono.
“La magia è
strettamente
legata ad Asteria ed a tutti i suoi abitanti. È un pianeta
delicato,
equilibrato ma fragile. Malato dall’interno. Dato che
è il mondo su cui
viviamo, è di estrema importanza guarirlo al più
presto”.
“Bene! Come si
fa?” esclamò
Kassihell, impaziente come sempre.
“Purtroppo né
io né il mio
fratello dell’Est abbiamo la risposta esatta a questa
domanda. Ma sappiamo come
farci guidare”.
“Faremo il necessario. Si
era
parlato di un viaggio per Asteria…” si intromise
Reishefy.
“Le tue informazioni sono
esatte, principessina elettrica. L’unico modo per farci dare
il giusto
suggerimento per salvare Asteria, è raggiungere tutti i
luoghi proibiti del
pianeta. Lì sono custoditi degli oggetti fondamentali per
l’evocazione”.
“I luoghi
proibiti?!” si
allarmò Enki “Ma non sono pericolosi?
Insomma…saranno proibiti per un
motivo…oppure no?”.
“E,
soprattutto…” sbottò il
Fuoco“…non può ognuno andare nel
proprio regno, prendersi l’oggetto proibito e
venire qua? Staremmo molto di meno
così…”.
“Fosse così
semplice, figlio
delle fiamme, avrei incaricato i vostri sovrani di farvi giungere qua
già con
gli oggetti fra le mani. Ma non è di certo così.
Ogni luogo proibito necessita
la presenza di creature di altri regni, estranee a quello in cui
risiede. Non
sono in grado di dirvi molto di più, sono proibiti anche per
me ed il mio
gemello”.
“Ed in base a cosa
potremmo
entrarci noi??!!” esclamò Thuwey.
“Una profezia”
rispose
l’Ovest, guardando Efrehem “Una profezia, scritta
secoli e secoli fa, dice che
i maggiori rappresentanti magici dei vari regni possono accedervi.
È evidente
che un gruppo come il vostro si viene a creare solo in casi
d’emergenza”.
“Cosa otteniamo con questi
oggetti? Evochiamo cosa?” si informò Idisi.
“Una volta raccolti tutti
gli
oggetti, potrete evocare la Grande Madre Creatrice, colei che ha
generato
Asteria Ere fa. Solo lei saprà dirci come
aiutarci”.
“La mia regina mi ha
spiegato
che, forse, la colpa è delle creature di sanguemisto nate
dall’unione di
abitanti di regni diversi…” parlò di
nuovo Idisi.
“Non possiamo esserne
certi,
ma con molta probabilità è così.
Questi esseri usano l’energia di Asteria in
modo diverso, impuro. E questo comporta notevoli sconvolgimenti nel
delicato
equilibrio del pianeta in cui viviamo”.
“E non basterebbe
eliminarli?”
sbottò Kassihell.
“Se non sbaglio, Taranis
aveva
proposto la stessa cosa e ti risponderò allo stesso modo:
no! Innanzi tutto
perché non sono sicuro che sia del tutto colpa loro. E poi
alla Creatrice non
piacerebbe di certo. Inoltre, se queste creature sono molto forti come
temo,
uccidendole creeremmo solo un ulteriore squilibrio. Meglio andare sul
sicuro,
se mi permettete il termine”.
“Cosa dobbiamo aspettarci
all’interno delle zone proibite?” si
informò Aherektess, ricordandosi tutte le
storie spaventose che gli raccontavano da piccolo su quei luoghi.
“Non ve lo so dire. Di
certo
non sarà una passeggiata la vostra…siete stati
scelti per questo! Siete i più
forti, i più preparati, i migliori del pianeta. Se
riuscirete a viaggiare
assieme in modo produttivo, senza uccidervi a vicenda per
intenderci…” e guardò
Fuoco e Aria “…allora sono sicuro che tutto
andrà per il meglio”.
“Sì ma se la
Creatrice ci
affida, poi, altro da fare? Tipo andare a sacrificare
l’unicorno magico o il
folletto dispettoso?” azzardò Kassihell.
“Noto una certa ironia
nelle
tue parole…” borbottò il Signore
dell’Ovest, alzandosi ulteriormente e
ripiegandosi sopra il rappresentante del Fuoco fino quasi a sfiorarlo.
“Certo che
c’è dell’ironia”
sbottò il Fuoco, con una smorfia “Io non ho mai
usato la magia, ho sempre
combattuto e vissuto con le mie forze e le armi. In quanto agli
Dèi…non ho mai
fatto particolare affidamento su di loro”.
“Quindi cosa proponi? Di
stare
lì fermo a guardare?” si stupì Efrehem,
trovando inconcepibile l’idea di non
usare la magia.
“Piuttosto che questo
teatrino
di santi e maghi…”.
“Io, secondo te, da cosa
sono
composto?” domandò il Signore dell’Ovest.
“Gelatina, forse, come
disse
Reishefy. Energia, aria colorata…non lo
so…”.
“Magia! Io vivo grazie
alla
magia stessa del pianeta!”.
“E tu stai bene, quindi
sta
bene anche il resto del Mondo!”.
Erano quasi tutti sconcertati
da quei discorsi.
“Dici, forse, che la magia
non
esiste?” continuò il padrone di casa.
“Dico che, forse, ne posso
fare anche a meno!”.
“E come credi di
sopravvivere
al Fuoco del tuo regno?”.
“Non ha niente a che fare
quello con la magia. Si chiama evoluzione…ed il sapiente
nanerottolo della Luce
dovrebbe saperlo meglio di me. Il mio corpo, e quello degli abitanti
del mio
regno, si è adattato per vivere nel suo elemento. Magia o
non magia. Come
quello dell’Aria ha sviluppato le ali, quello
dell’Elettricità la capacità di
sopportare le scosse che gli danno energia
eccetera…”.
Efrehem non poté fare a
meno
di annuire, concordando con la tesi del Fuoco.
“Tuttavia…”
volle aggiungere
l’abitante della Luce “…non posso non
sentire il forte legame che ho con
Asteria e la forza che lei mi dà. Ed ho percepito
l’indebolimento di questa
forza. Se poi tu non la usi è un’altra faccenda.
Questo pianeta vive grazie
agli equilibri della magia e quindi, se questi venissero a mancare,
lentamente
morirebbe”.
“Io ho notato che il
Ghiaccio
è più debole, più
fragile…non è che per caso hai notato che anche
il Fuoco ha
dei problemi?” suggerì Hanjuly.
Kassihell rimase in silenzio,
per qualche istante, pensando alla più grande montagna del
suo regno le cui
eruzioni non erano da tempo quelle di una volta. Annuì, con
scarso impegno.
“Quindi siamo
d’accordo tutti
quanti che dobbiamo fare qualche cosa. Tutto il pianeta è in
pericolo e prima
partite meglio è!” tuonò
l’Ovest, gonfiandosi, stanco delle chiacchiere.
“Quindi, se ho capito
bene,
dobbiamo partire, raggiungere ogni singolo luogo proibito di Asteria,
uno per
regno, raccogliere l’oggetto in esso custodito e poi evocare
la Creatrice?”.
“Esatto. Lei ci
dirà cosa fare
e, qualunque cosa sia, la faremo per salvare Asteria”.
“Wow…dobbiamo
salvare il
Mondo!” ironizzò Thuwey, tentando di far sorridere
i presenti, preoccupati da
ciò che avrebbero dovuto affrontare.
“Scusi ma…come
possiamo tutti
noi andare per i regni assieme? Io, ad esempio, abitante del Ghiaccio,
come
posso entrare nel mondo del Fuoco?”.
“Siete un gruppo. Vi
aiuterete
a vicenda. Ricordate che, alla fine, dovrete esserci tutti quanti,
tutti e
dieci, per portare a buon fine l’evocazione.
Perciò vi conviene sopravvivere e
far sopravvivere gli altri! Tentate di fare le persone
adulte!”.
Il tono di voce dell’Ovest
era
decisamente infastidito, stufo e non abituato alla gente.
“Ma come? Saremo noi a
fare
l’evocazione? Pensavo ci pensaste voi
fratelli…” si stupì Efrehem.
“No. Ci penserete voi. Qui
c’è
scritto tutto ciò che vi serve. Buona fortuna”.
Il padrone di casa tagliò
corto. Sparì, rientrando nel terreno, ed al suo posto, al
centro della stanza
dove si incrociavano tutti gli spicchi, apparve un grosso libro dalla
copertina
sciupata.
†††
Gli sguardi dei presenti si
rivolsero tutti verso Efrehem, rappresentante della Luce.
“Che
c’è?” sbottò il ragazzo
“Voi non sapete leggere?”.
“Hai detto tu di essere il
saggio ed il sapiente. Fai il tuo lavoro!” rispose Aherektess.
Efrehem prese quel grosso
libro fra le mani e lo aprì, cautamente. Aveva notato quanto
fosse antico e
temeva di rovinarlo. Sospirò. La lingua in cui era scritto
era molto vecchia e
complicata. Borbottò qualche parola nella lingua delle
creature della Luce ed
abbozzò una traduzione.
“Non mi sembra molto
chiaro,
come libro…”.
“Dice da quale elemento
deve
partire il viaggio?” domandò Idisi ed Efrehem
scosse il capo.
“Parla per
enigmi” spiegò “Ed
è piuttosto complicato da tradurre…come potete
vedere è scritto nel linguaggio
antico, quello che ha dato vita alla lingua universale di Asteria che
tutti noi
parliamo”.
“Per fortuna! Altrimenti,
se
ognuno parlava solo la lingua del suo popolo, come ne
uscivamo?” constatò
Hanjuly, con il suo accento duro sulle occlusive.
“Concordo. Ma, ad ogni
modo,
se ci è stato dato quel libro sarà per una
ragione, no? Oppure è solo
decorativo?” disse Mattehedike, incrociando gli occhi davanti
alla strana
scrittura sui fogli.
La Luce lesse fra sé
alcune
pagine e tentò di riassumerne il contenuto.
“Illustra alcuni passaggi,
come una specie di avvertimento su ciò che potremmo
scatenare se rompiamo
l’equilibrio. È piuttosto
catastrofico…ma riguardo alla nostra missione non
dice praticamente nulla se non che servono dieci elementi per evocare
la
Creatrice”.
“Fantastico! Un libro
inutile!
Se possiamo partire da dove ci pare, allora partiamo! Cosa stiamo
aspettando?”
sbottò Kassihell.
“Ci vuole un po’
di criterio,
non trovi?” lo bloccò Idisi.
Il Fuoco sbuffò, Reishefy
con
lui, ed incitò tutti quanti a darsi una mossa.
“Per prima cosa direi che
bisogna stabilire una rotta” iniziò Efrehem
“Avete tutti una piantina del
vostro regno?”.
Tutti annuirono e la
estrassero.
“Molto bene”
continuò Efrehem
“Potremmo iniziare dal punto proibito più vicino e
poi procedere per ordine…che
ne dite?”.
“E chi stabilisce qual
è il
più vicino? Queste piantine son tutte in scale
diverse” fece notare Thuwey.
“Io ho
un’idea!” esclamò
Idisi, sorridendo “Io sono una maga e porto sempre con me le
carte. Ho un mazzo
in cui ci sono tutti gli elementi qui presenti, rappresentati ciascuno
da un
colore diverso. Posso mescolarle, lanciarle in aria e vedere quale
carta sarà
quella in cima, quella non coperta da nessun’altra.
Così facendo sarà il
destino a decidere…”.
“Non è un
metodo molto logico
ma…può andare” acconsentì
Efrehem e gli altri annuirono.
La Terra iniziò a
mescolare le
carte, dopo aver mostrato a tutti di averne una per elemento, e le
lanciò in
aria. Ricaddero dolcemente, quasi cullate da una forza sconosciuta.
Alcune si
sparsero lontane rispetto alle altre, la maggior parte rimase coperta,
rivolgendo il lato neutro ai presenti. Non ci furono dubbi su quale
fosse
l’elemento prescelto. La carta più in alto,
scoperta e predominante, era quella
nera dell’Oscurità.
Lehelin non si mosse,
infastidita dall’idea di tornare già da dove era
scappata, mentre Idisi
riponeva le carte con cura, legandole.
“E che Oscurità
sia!” confermò
Reishefy, felice nel vedere che le cose andavano avanti, ansiosa di
partire e
muoversi.
“Un momento!”
fermò tutti
quanti la Luce, notando che più di qualcuno già
si alzava dal proprio spicchio
“Non sarebbe il caso di nominare un leader? Un capo,
insomma…l’apri fila!”.
“Giusto”
concordò Kassihell “E
dal momento che sono il più vecchio, direi che il capo sono
io!”.
“Non se ne parla! Se
comandi
tu, io torno a casa!” protestò Aherektess.
“Infatti! Chi lo dice che
devono sempre comandare i più vecchi? Io sono giovane,
dinamica e piena di
energia. Tutte qualità che deve avere un leader!”
squittì Reishefy.
“Ma se sei nata
ieri?!” la
derise Mattehedike “Un capo dev essere paziente, calmo, forte
e determinato.
Tutte cose in cui io sono il campione, come rappresentante della
Roccia!”.
“Mi permetto di
dissentire”
interruppe Idisi “In quanto a pazienza e calma, noi della
Terra vi battiamo di
sicuro, mi spiace”.
“Una donna non
può fare il
capo!” rise Aherektess.
“E questo chi
l’ha stabilito,
piccione dipinto?” si arrabbiò Hanjuly, alzandosi
ed incrociando le braccia,
offesa.
“Se volete il migliore a
combattere, di sicuro quello sono io” affermò
Thuwey, rimanendo seduto,
apparentemente tranquillo.
“Non farmi
ridere!” sibilò
Mattehedike ed il Metallo si alzò, punto
nell’orgoglio, quasi ringhiando. Enki
notò, allarmata, che stava mutando d’aspetto,
aumentando la superficie
metallica su di sé.
Efrehem sospirò. Si
pentì di
aver pronunciato la frase che aveva scatenato tutto quel caos, ma era
necessario avere un capo. Guardò Lehelin, rimasta seduta con
l’espressione di
chi ha la testa altrove, ed ebbe un’idea.
“E se ci dessimo i
turni?”
propose.
Tutti si fermarono, smettendo
di urlarsi contro od insultarsi, e lo fissarono con aria interrogativa.
“Il primo regno in cui
andremo
sarà l’Oscurità, perciò
sarà Lehelin a guidarci. Sarà lei il capo. Nel
dominio
successivo, sarà il rappresentante di quel regno a fare il
leader. Che ne
dite?”.
“Mi sembra
un’idea sensata”
annuì Idisi, dopo alcuni attimi di silenzio, senza aver
perso la sua
proverbiale calma nemmeno per un istante.
“Allora è
deciso. Principessa
Lehelin, a lei il comando. Il viaggio comincia!”.
Con un inchino, Efrehem
parlò,
dopo un profondo respiro per prepararsi all’assenza totale
del suo elemento, ed
i dieci si portarono sullo spicchio nero. Lehelin si alzò
lentamente,
controvoglia, e fece strada. Spalancò la porta del suo regno
ed il buio avvolse
il gruppo.