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Autore: Mary P_Stark    23/10/2015    3 recensioni
Lithar mac Lir, gemella di Rohnyn, porta con sé da millenni un misterioso segreto, di cui solo Muath e poche altre persone sono al corrente. Complice la sua innata irruenza, scopre finalmente parte di alcune tessere del puzzle di cui è composta la sua esistenza, ma questo la porta a fuggire dall'unica casa - e famiglia - che lei abbia mai avuto. Lontana dai fratelli tanto amati, Lithar cercherà di venire a patti con ciò che ha scoperto e, complice l'aiuto di Rey Doherty - Guardiano di un Santuario di mannari - aprirà le porte ai suoi ricordi e alla sua genia. Poiché vi è molto da scoprire, in lei, oltre alla sua discendenza fomoriana e di creatura millenaria, e solo assieme a Rey, Lithar potrà scoprire chi realmente è. - 4^ PARTE DELLA SERIE 'SAGA DEI FOMORIANI' - Riferimenti alla storia nei racconti precedenti
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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4.
 
 
 
 
Mani che non conoscevo mi stavano carezzando.

Potevo percepire amore, in quel tocco sconosciuto, ma una strana sensazione di viscidume mi mise in allarme.

Guardai meglio verso me stessa, cercando al tempo stesso di focalizzare un volto che non riuscivo a scorgere...e fu così che vidi il sangue.

Grondava dal mio viso, sul mio corpo, dalla donna che tentava di ghermirmi.

Gridai per allontanarla da me e ridestandomi di colpo, il viso coperto da un sottile strato di sudore, mi ritrovai a emettere lo stesso grido del sogno.

Ansante, accesi la abat-jour accanto al letto e, qualche attimo dopo, la porta della mia stanza si aprì, lasciando trapelare la luce del corridoio.

Un trafelato Rey si avvicinò di corsa al letto, i capelli scarmigliati e l'aria assonnata quanto preoccupata.

Io lo guardai a occhi sgranati, confondendo realtà e finzione e, quando mi toccò le spalle nude, in corrispondenza dei miei glifi arabescati, sibilai.

Nuovi flash mi perforarono la mente e, d'istinto, lo allontanai da me, mandandolo lungo riverso a terra.

Mi strinsi tra le braccia, tremando e, nuovamente, Rey tornò all'attacco.

Stavolta, però, non mi toccò.

“Litha... ehi... che succede?” mormorò con tono pacato, sicuramente tentando di non farmi innervosire ulteriormente.

I suoi occhi scuri mi scrutarono ansiosi, ma colmi di una sicurezza che gli invidiai.

Ansai, sentendo il mio cuore martellare contro il petto, quasi volesse squarciarlo.

Sbattendo più volte le palpebre, lo fissai spiacente, gracchiando: “Scusami. Non so cosa mi sia preso.”

“Un brutto sogno, sicuramente. Hai urlato come se ti stessero squartando” ipotizzò lui, sorridendo a mezzo.

“Rey, tu non capisci. Io non ho mai sognato in vita mia!” esalai, turbata dai flash che continuavano a mitragliarmi la mente anche da sveglia.

Lui aggrottò la fronte, a quella notizia, ma non disse nulla. Si limitò a guardare le mie braccia nude con aria turbata.

Per dormire, avevo indossato una canottiera e i leggeri pantaloni di una tuta da ginnastica, essendo sprovvista di un pigiama.

Avevo optato per quella soluzione di comodo perché, a essere onesti, non avevo proprio pensato al fattore ‘letto’.

Seguii il suo sguardo, procedendo verso le mie spalle. Immaginai fosse incuriosito dai segni scuri che si trovavano sulla mia pelle chiara.

Vedendoli però pulsare, ansai spaventata e, sobbalzando sul letto, fissai sgomenta gli arabeschi brillare vividamente, neanche fossero stati lucciole.

“Dalla tua reazione, direi che neppure tu hai la più pallida idea di quel che ti sta succedendo” mormorò Rey, guardandomi con espressione turbata.

Scossi il capo, esalando contrariata quanto spaventata: “I fomoriani possono avere una reazione fisiologica simile, chiamata parvhein, quando toccano la donna destinata a loro per la vita... ma io non sono un uomo!”

“Su questo, non ho dubbi” ironizzò allora lui, portandomi a volgere lo sguardo verso Rey.

Stava sorridendo con il chiaro intento di farmi calmare, ma non trovai nulla, in me, capace di rispondere al suo tentativo di chetarmi.

Mi passai le mani sulle braccia, massaggiandomele come a voler cancellare quel bagliore insistente e misterioso.

“Cosa sono, con esattezza? Sono diversi dalla stella che hai sul collo” mi domandò, cercando a quel punto di portare la mia mente su un piano più razionale.

Su qualcosa che potessi spiegargli, che riuscissi in qualche modo a comprendere.

Presi fiato, tentando di chetare il battito frenetico del cuore e, tirando fuori un piede dalle coltri, glieli mostrai.  

Non era consuetudine essere così sfacciati con gli estranei ma, visto che neppure sapevo di preciso cos’ero, perché starci tanto a pensare?

“Li ho su piedi, fianchi, spalle e schiena. L'ultimo a essere comparso,  è quello sulla schiena. Appaiono nuovi glifi ogni mille anni circa, ma non ho idea di cosa siano, o cosa vogliano dire.”

“Possono appartenere al tuo retaggio divino, alla tua metà Tuatha” ipotizzò Rey, allungando un dito per sfiorare delicatamente il glifo sul piede.

Non appena lo toccò, nuovi flash mi bombardarono la mente, e il viso della donna insanguinata del mio sogno si fece più chiaro.

Scostai la sua mano, stavolta con maggiore delicatezza, e ansai: “Vedo delle immagini molto evidenti, quando mi tocchi. Come... flash di un evento.”

“Cosa scorgi, di preciso?” si informò, afferrando la coperta patchwork sopra il letto per drappeggiarmela sulle spalle.

Lo ringraziai con un piccolo sorriso, per quella gentilezza inattesa.

Non ero mai stata avvezza a essere coccolata, ma quel gesto giunse al momento giusto, dandomi la forza di parlare.

“Una donna... penso stia morendo, perché è ricoperta di sangue. E... anche io sono coperta di sangue, del suo sangue. Non mi vedo, ma lo so.”

“Cristo santo!” brontolò, passandosi una mano tra i capelli neri, disordinati e arricciati sulle punte.

Fischiò un attimo dopo, come era solito fare quando non sapeva che dire, e mi guardò turbato, privo di risposte, per una volta.

“Scusami. Ti ho svegliato di soprassalto e, sicuramente, ho disturbato anche nonnina” mormorai contrita.

Lui scosse il capo in risposta, dandomi una pacca leggera sul braccio, stando ben attento a non toccare i glifi.

“Non mi preoccuperei, per nonnina. Non la svegliano neppure le cannonate. Quanto a me... ero sveglio.”

“Oh. E come mai?” esalai, facendo tanto d’occhi.

“Pensavo se chiedere aiuto, o meno, al capobranco del clan di Cork. Forse, potrebbe avere delle risposte alle tue domande. Sono sicuramente più addentro alla mitologia di me che, a conti fatti, posso esserti di ben poco aiuto.”

Sgranai gli occhi, terrorizzata, e afferrai con forza una sua mano.

“No, ti prego! Non dirglielo!”

“Perché, scusa?” esalò, confuso.

Sospirai e, nel sistemarmi le ciocche disordinate dei capelli, che avvertivo scivolare sconclusionate dalla mia testa, mormorai accorata: “Se... se i miei fratelli mi stanno cercando, chiederanno sicuramente aiuto ai lupi. Sono amici, e potrebbero decidere di chiedere il loro intervento. Ma io non voglio essere trovata.”

“Hai ancora le idee piuttosto confuse, eh?” ipotizzò, stringendo le mani con cui lo avevo afferrato.

Annuii, trovando piacevole e confortante confidarmi con lui.

Non mi ero mai aperta a quel modo neppure con i miei fratelli, o con Muath, nel corso dei secoli, eppure parlare con Rey mi riusciva facile.

Forse, perché lui era più avvezzo di me ad ascoltare storie strane, o aiutare persone con dei problemi più o meno curiosi.

“Pensi che non ti vogliano più, perché non sei davvero la loro sorellina?” mi domandò a sorpresa, sorridendomi cordiale e comprensivo.

“Non... non credo. Non so lo. Stheta, Krilash e Rohnyn sono sempre stati dei bravi fratelli. Io e Rohnyn siamo stati allevati assieme, abbiamo bevuto il latte di nostra... di Muath, sua madre, e...”

Sospirai, afflosciandomi su un lato per crollare contro il cuscino, e aggiunsi: “... e abbiamo imparato assieme a difenderci per non morire.”

“Ho idea che tu non abbia avuto una vita molto semplice, tra i fomoriani” chiosò, levandosi dal letto.

Mi sollevò i piedi, solerte nel non toccare gli arabeschi e, dopo averli sistemati sotto le coltri, mi coprì bene fin sotto il mento.

Sorrise con le sue labbra morbide e carnose e, con una comprensione che mi fece venire voglia di piangere, mormorò: “Cerca di riposare, Litha. Vedrai che la situazione, domani, ti sembrerà un po' meno brutta.”

“Sei anche troppo buono, con me. Neanche mi conosci.”

“Te l'ho detto. Sono abituato a trattare con creature ferite” ironizzò, dandomi un buffetto sul naso prima di uscire dalla stanza.

Ristetti a lungo a guardare la porta chiusa, ascoltando i suoni della casa, i suoi passi sul pavimento di parquet e, quasi senza accorgermene, mi assopii.

Stavolta, non sognai nulla.
 
***

Il sonoro sbadiglio di Rey fu seguito da un suo brusco bloccarsi su due piedi e io, nel volgermi verso di lui, sorrisi contrita e dissi: “Buongiorno.”

Sulle prime, la mia idea di preparare la colazione per Rey, era stata dettata dal mio bisogno di ringraziarlo.

Ma, quando mi ero ritrovata davanti a tutti gli attrezzi moderni della sua cucina, mi ero soffermata a domandarmi come funzionasse ogni oggetto.

Non ero mai entrata nelle cucine di palazzo, ma dubitavo avessero quegli affari – noi non avevamo la corrente elettrica – e, di sicuro, non avevo la minima idea di come si accendesse il gas.

Non avevo prestato attenzione, a casa di Sheridan, e questo lo pagavo con la più totale inesperienza sul campo.

Certo, sapevo come catturare una preda e come cucinarla su un trespolo, cuocendola tramite la magia, ma lì era tutt'altra cosa.

Così, mi ero messa d'impegno per sistemare, per lo meno, ciò che non andava cucinato.

Trovare ciò che serviva, però, non si era dimostrato così semplice, e ora il tavolo della cucina era ingombro di scatole di ogni genere e forma.

Passandosi una mano tra i capelli, Rey esalò: “Ma che è successo, qui dentro?”

“Volevo rendermi utile, ma credo di aver commesso qualche errore.”

Il solo ammetterlo, mi fece fremere di rabbia. Io non commettevo mai errori!

Lui rise sommessamente, afferrando alcune scatole per riporle e, nel guardarmi da sopra la spalla, celiò: “Ho idea che tu non sia abituata a perdere. O a fare qualcosa che non sei in grado di compiere, se non alla perfezione.”

Storsi la bocca, limitandomi a stare zitta, e lui rise con maggiore convinzione.

“Litha, guarda che non ti ammazza nessuno, qui, se anche fai un errore... o metti in disordine.”

“Sono abituata a ben altro.”

Tornò serio, a quel mio commento aspro, e assentì grave. “Ne dai l'idea.”

“Volevo solo... insomma...”

Sbuffai, intrecciando le braccia sotto i seni con espressione torva, e Rey assentì di nuovo.

“Litha, ascolta. Ho detto che puoi restare qui quanto vuoi, e che puoi aiutarmi con la fattoria. Non c'è bisogno che ti improvvisi cuoca, e solo perché stanotte hai dato un po' di matto.”

La sua calma piatta mi irritò ancora di più.

Ma come diavolo faceva a stare perennemente così calmo? Non c'era niente che lo smuovesse appena un po'?

Lo guardai accigliata, rendendomi conto solo in quel momento del suo pigiama … e dei suoi piedi scalzi.

Ma non aveva freddo?

Lui seguì il mio sguardo, rise sommessamente e ammise: “Temo di aver perso le mie pantofole ieri sera, in camera tua, quando sono ruzzolato a terra. E non avevo voglia di svegliarti per venire a riprenderle.”

Quell'accenno mi fece arrossire e, desiderosa di non mostrargli il mio imbarazzo, mi volsi verso il lavandino e riempii una brocca d'acqua fresca.

“Avresti potuto. Non ci sarebbero stati problemi.”

Lo ascoltai sistemare ciò che io avevo messo in disordine e, trovando il coraggio di volgere lo sguardo, ammirai i suoi capelli, neri come miei.

Se i miei erano lisci come fusi, i suoi, inumiditi dall'acqua, si arricciavano sulle punte, e avevano lievi riflessi bruni.

Chissà se, tra i suoi avi, vi erano stati dei miei parenti?

Sorrisi scioccamente, dandomi della stupida. Più semplicemente, poteva essere il bis-bis nipote di un antico ceppo di romani o ispanici, stabilitisi in Irlanda.

O chissà cos’altro!

Persa in quelle stupide meditazioni, mi trovò così, in contemplazione, e sorrise appena.

“Tutto bene?”

Annuii, scrollando le spalle, e dissi: “Sono sempre stata l'unica, in famiglia, ad avere i capelli neri. Avrei dovuto capirlo anche da questo, che qualcosa non quadrava. Sia i miei fratelli, che i miei genitori, li hanno bruno-rossastri. E hanno gli occhi color acquamarina.”

“Mentre i tuoi occhi sono come ametiste sfaccettate” replicò Rey, avvicinandosi per prendere dalle mie mani la brocca piena d’acqua fresca. “Che reputo molto belli, tra l'altro.”

“Oh” esalai, deglutendo a fatica. “Grazie.”

Lui mi fissò vagamente divertito e, nel poggiare la brocca sul tavolo, esalò: “Non mi dire che nessuno ti ha mai fatto un complimento del genere! Dove hanno gli occhi, i fomoriani? Sotto le suole delle scarpe?”

“Non indossano scarpe, ma calzari” borbottai, prima di comprendere la battuta e ritrovarmi a sorridere divertita.

Mi invitò a sedermi al tavolo e, nell'offrirmi un po' di marmellata e del pane, si mise a preparare delle uova strapazzate.

Io, allora, mi volsi a guardarlo e Rey, curioso, mi domandò: “Vuoi imparare?”

“Mi insegneresti?” esalai, speranzosa.

Lui mi strizzò l'occhio, invitandomi a raggiungerlo e io, con un balzo, fui da Rey.

Presi il suo posto accanto alla padella e, seguendo le sue istruzioni, imburrai la superficie antiaderente e ruppi le uova.

Le feci saltare con la forchetta, schizzando un po' i bordi, ma lui non vi fece caso.

Con competenza, mise una mano sulla mia, guidandola per rendere più delicati e fluidi i miei movimenti, e io mi ritrovai a rilassarmi come mai prima.

Perché, questo umano, riusciva laddove nessun altro era mai riuscito?

Terminammo senza fare danni e, dopo aver servito a entrambi le mie prime uova strapazzate, sorrisi tutta contenta a Rey.

Lui rispose con un sorriso altrettanto lieto, e fu lì che compresi.

Rey profumava di pace. Profumava di serenità e, nella mia vita caotica fatta di guerre e lotte, non avevo mai provato simili aromi.
 
***

Ascia alla mano, osservai ghignante la catasta di legna dinanzi a cui mi aveva condotta Rey.

Pensava davvero che mi sarei spaventata? O voleva solo testare la mia forza?

A ogni modo, era un buon modo per scaricare tensione e rabbia.

Iniziai di buona lena, menando fendenti unici che, con precisione, ruppero in due i ciocchi di legna.

Uno dopo l'altro, accatastai ordinatamente i pezzi, formando una struttura lignea solida e a prova di caduta.

Fu l'arrivo di un camion al cancello, che mi fermò.

In quel momento, Rey era alle prese con la mungitura, così mi incaricai di persona di andare ad aprire.

Lasciando la mia ascia piantata nel ceppo, corsi al cancello e, fatto segno al mezzo di raggiungere il centro del cortile, attesi che l'autista scendesse.

Quando quest’ultimo balzò a terra con grazia ferina, gli sorrisi cordiale e amichevole, ma il suo sguardo sbalordito mi mise subito in allarme.

Non era il semplice sguardo di un uomo che vede una bella donna.

Mi accigliai, allontanandomi di un passo, ma lui levò subito una mano per tranquillizzarmi.

Dalla sua mente giunsero mille pensieri diversi, l’ululare di un lupo e gli ordini perentori di un capobranco. Era un licantropo, dunque.

“Sei Lisa O'Sea, per caso?” mi domandò, facendomi sobbalzare.

Indietreggiai ancora, ma l'uomo mi sorrise quieto, afferrando alla svelta qualcosa dalla tasca posteriore dei suoi jeans.

Me la mostrò, e io rimasi di stucco.

Quella era una foto risalente al matrimonio di Sheridan e Rohnyn.

Apparivo fiera e sorridente, al braccio di Cormac, e niente sembrava turbarmi.

Pareva essere passato un secolo, da quel lieto evento.

“Come... come hai la mia foto? E perché conosci il mio nome tra gli umani?” mormorai, turbata.

Gli restituii la foto, torva in viso, e lui si limitò a dirmi: “Abbiamo ricevuto queste foto dal clan di Dublino, con la richiesta di tenere gli occhi aperti, in caso ti avessimo vista. Da quel che ci hanno detto, i tuoi fratelli ti stanno cercando per mari e per monti.”

Mi morsi il labbro inferiore, colpita da quella notizia, e mormorai: “Dici... sul serio?”

A quel punto, l'uomo abbozzò un sorriso.

“Non posso dirti quel che non so ma, se hanno mosso tutti e sette i clan d'Irlanda per cercarti, qualcosa vorrà dire.”

Annuii, non sapendo bene cosa dire.

Mi strinsi le mani sulle braccia, massaggiandole, e tornai a guardare l'uomo dinanzi a me.

“Sei obbligato a dire che mi hai trovata?”

L'uomo si guardò intorno, scosse il capo, e replicò candidamente: “Sei in un Santuario, perciò sei al sicuro, finché rimani qui.”

Fu il mio turno di apparire scioccata. “Un... santuario?”

“Non lo sapevi?” mi irrise bonariamente, sorridendomi cordiale.

Scossi il capo, chiedendomi cosa volesse dire.

“Rey Doherty sa chi sei?”

Al mio assenso, lui allora proseguì.

“Devi sapere che, da sempre, la famiglia Doherty si occupa di noi, in caso di necessità. Tutti i licantropi d'Irlanda sanno che, in caso di bisogno, ci sono famiglie di umani che conoscono il nostro segreto, e possono aiutarci a uscire dai guai. I Doherty sono una di loro.”

Ripensai a ciò che mi aveva detto Rey, a quel che aveva accennato sul suo aiuto ai licantropi, ma niente di quel che mi aveva detto era paragonabile a quel che il lupo aveva appena ammesso.

Come sempre, Rey aveva sminuito la sua opera.

“Da quel che so, però, i genitori e il fratello di Rey non ne sono a conoscenza” gli feci notare.

Ora, l'ansia era scemata, sostituita dalla curiosità di conoscere qualcosa di più sul mio ospite così misterioso.

“Infatti. E, come puoi ben vedere, non sono rimasti qui.”

Lo disse con un sorrisino ironico, e io ebbi la vaga impressione che li stesse debitamente prendendo in giro. O vi fosse un vago sentore di disprezzo, nelle sue parole.

D'altra parte, abbandonare un figlio a se stesso per non doversi sobbarcare il peso di un'azienda agricola, e di una donna anziana, era superficiale e insensibile.

Non me la sentii di essere in disaccordo con il licantropo. Per niente.

“Se preferisci, posso riferire soltanto che stai bene, ma che desideri non essere rintracciata... per il momento” mi consigliò l'uomo, sorridendo complice.

Accennai un sorrisino di ringraziamento, annuendo, e dissi: “Mi faresti un enorme favore. Di' pure loro che sto bene, e sono al sicuro. E che, quando me la sentirò, li contatterò io.”

Lui annuì, prima di levare una mano a salutare qualcuno.

Mi volsi a mezzo, vedendo giungere Rey, con la sua andatura placida e sicura.

Quell'uomo era pacifico come una giornata di bonaccia in primavera inoltrata. Ma come faceva?

Avrei tanto voluto imparare, così da non inalberarmi, o perdere la calma, a ogni piè sospinto.

“Buongiorno, Fergus. Vedo che hai già incontrato la mia nuova aiutante. Hai portato i contenitori per il latte?”

“Tutto di prima scelta, come sempre.” Poi, ammiccando al mio indirizzo, aggiunse: “Hai ospiti illustri, in questo periodo, vedo.”

Rey si accigliò immediatamente, a quelle parole, mostrando un lato di sé che, fino a quel momento, non aveva ancora dato adito di avere.

Mi parve... territoriale come un mastino a protezione dei suoi cuccioli.

Fergus rise di quel comportamento e, levando le mani in segno di resa, esalò: “Ehi, ehi, rinfodera gli artigli, Guardiano, non ho intenzione di mettere nei guai la tua ospite. Conosco molto bene le regole. Ci siamo già presentati, più o meno, e ho messo al corrente la signorina che la sua famiglia la sta cercando.”

“E tu sai che, chi si trova qui, è protetto dai Trattati, vero? Anche se non mette su pelo come te” brontolò Rey, facendolo ridere ancora di più.

Io mi ritrovai a sorridere un po' scioccamente, di fronte a una difesa così strenua, e mi sentii in dovere di togliere Fergus dai guai.

“Va tutto bene, Rey. Mi ha fatto un favore, dicendomi dei miei fratelli, e mi ha già rassicurato che non dirà loro dove mi trovo.”

“Mmh. Bene.”

“Arruffa le piume come un gallo nel pollaio, ma è buono come il pane. A volte, fin troppo” lo prese bonariamente in giro Fergus, dandogli un pugno sulla spalla.

Rey replicò con un gesto simile e, assieme, si diressero verso il retro del mezzo per scaricare il materiale.

Mi accodai, desiderosa di aiutarli e loro, lasciandomi fare, mi caricarono le braccia con i contenitori in acciaio lucido.

Ghignai, quando riuscii a prenderne in mano quattro e, tutta baldanzosa, me ne andai verso la sala mungitura, orgogliosa di me e divertita del loro stupore.

Impiegammo poco a scaricare il mezzo, in tre e, quando Fergus fu pronto per ripartire, lo ringraziai per la sua gentilezza.

Lui scosse le spalle noncurante, e mi augurò di trovare ciò che stavo cercando.

Con un'abile manovra, uscì dalla proprietà e, in piedi accanto a Rey, lo osservai allontanarsi lungo la stretta via innevata.

Il cielo scelse quel momento per riversare su di noi una nuova nevicata e, nel lasciar depositare un fiocco sulla mia mano protesa, mormorai: “Mi stanno cercando...”

“Il che depone a loro favore, mi pare” ammiccò Rey, avvolgendomi con naturalezza la vita con un braccio per ricondurmi sotto la tettoia della legna.

Il suo tocco non mi spiacque, così come la gentilezza con cui tenne la mano solo lievemente poggiata sul mio maglione.

“Direi di sì” assentii, allontanandomi da lui solo quando ripresi in mano l'ascia, che deposi su una spalla. “Ma ancora non so cosa voglio veramente.”

Lui guardò me, la legna che avevo già tagliato e, ridacchiando, esalò: “Io so che tagli più legna di me in un giorno, mentre tu ci hai messo sì e no un'ora.”

Risi con lui e, quando mi fui completamente rilassata, Rey tornò serio e disse: “Immagino che, quel chiacchierone di Fergus, ti abbia detto tutto.”

Annuii, e lo fissai divertita.

“Sì... Guardiano. Perché non mi hai detto che questo posto è molto più di un semplice ricovero d'emergenza?”

“Magari, non volevo vantarmi con te” ironizzò, scrollando le spalle.

Io allora lo guardai con estremo divertimento, misto a una buona dose di ammirazione.

“Ti dai da fare per sembrare il più banale e modesto possibile, Rey Doherty, ma dubito seriamente che tu sia così.”

“Molto semplicemente, non penso di fare nulla di speciale.”

Avvertii così tanta sincerità disarmante, nella sua voce, che me ne sorpresi.

Da cosa veniva, questa sua volontà di denigrare a questo modo se stesso? Di non dare il minimo peso alla sua generosità, al suo buon cuore, al suo impegno verso gli altri?

“Vuoi che ti dia una mano con le pecore, o preferisci che vada avanti qui?” gli domandai, preferendo non insistere sull'argomento.

Ma lui non mi rispose, gli occhi puntati su una porta del capannone dei mezzi da lavoro.

Mi guardò dubbioso, l'accenno di un barlume di paura nello sguardo, e mi domandò: “Vuoi vedere dove … dove li ospito?”

“Certo” assentii con entusiasmo, tornando a poggiare l'ascia nel ceppo.

Questa, affondò di diverse dita nel legno e Rey, ammiccando al mio indirizzo, esalò: “Uno di questi giorni, mi mostrerai cosa sai fare con un coltello. Credo che potrei trovarlo... terrificante. Ma anche molto affascinante, dopotutto.”

“Non ne hai neppure un'idea” ghignai, mettendomi al suo fianco.

In fretta, corremmo verso il vicino capannone per non bagnarci con la neve e lì, dopo aver digitato un codice a sei cifre su un tastierino, aprì il battente.

Alcune luci al neon si accesero lungo una scala disadorna e Rey, sempre con aria insicura, mi invitò a salire.

Perché era così incerto, così poco fiducioso?

Raggiungemmo il piano superiore, che si trovava proprio sopra il disimpegno dei mezzi e lì, nell'accendere le luci, Rey mormorò: “Qui li curiamo e, se necessario, li operiamo.”

Sgranai gli occhi, di fronte a quel moderno e funzionale pronto soccorso.

I letti erano ordinai in due file distinte, sui lati dell'enorme piano. Ne contai otto.

Ognuno aveva una tenda azzurra come divisorio, e ogni postazione era dotata di un impianto per la ventilazione e l'ossigenazione.

Sul fondo dell'enorme stanza, si trovavano due porte, ove Rey mi portò.

“La sala operatoria, e il post-operatorio” mi spiegò, le mani infilate nelle tasche posteriori dei jeans e l'aria persa, chiusa a ogni emozione.

Perché aveva quell’atteggiamento difensivo?

“E' tutto bellissimo, Rey” esalai entusiasta, sorridendogli.

Un attimo dopo, un dubbio mi percorse e, tornando a fissare i letti dietro di noi, esalai: “Esistono… esistono altri Santuari, a Cork?”

“No, perché?” mi domandò, sorpreso dalla mia domanda.

A quel punto sorrisi orgogliosa e, senza alcun dubbio, dichiarai: “Aiutasti Eithe, vero? Sì, insomma, tuo nonno e tua nonna, giusto?”

Lui sgranò leggermente gli occhi color cioccolato, nel sentire quel nome, e io ebbi una conferma ai miei dubbi.

“Una ragazza di nove anni giunse qui da Dublino, più di un ventennio fa…” mormorò lui, fattosi di colpo pensieroso. “… e si chiamava Eithe. Perché sai di lei?”

“Ci raccontò della sua vicenda, di come il cugino quasi la uccise con un colpo di artiglio. Di come venne curata e accudita in un Santuario di Cork” gli spiegai, sorridendo con sempre maggiore entusiasmo.

Rey, per contro, mi parve sempre più a disagio.

Annuì, mordendosi leggermente il labbro inferiore, e ammise: “Eravamo più o meno d’età. Era terrorizzata, e giustamente preoccupata di poter perdere la gamba. Aveva una ferita terribile. So che il nonno impiegò ore, per ricucirla.”

Avevo visto solo una volta lo squarcio che, il cugino di Eithe, le aveva procurato sulla gamba.

Non faticai a comprendere perché, all’epoca, lei avesse avuto così terrore di perdere l’arto… o morire.

“Le tenni la mano per tutto il tempo, raccontandole favole o dicendo le prime idiozie che mi vennero in mente” sorrise mestamente Rey, tornando a guardarmi. “Feci davvero poco, per lei.”

Rimasi basita, di fronte a quella confessione. Cosa mai pensava di poter fare, a nove anni?

“Così, come sta Eithe?” mi domandò, volendo assolutamente cambiare argomento.

“Bene” mormorai, restia mio malgrado ad abbandonare il sentiero in cui mi ero infilata. “E’ fidanzata con il Freki del suo branco, al momento.”

Lui accennò un sorrisino, ma questo non raggiunse mai gli scuri occhi di cioccolato.

“Rey Doherty... perché non sei orgoglioso di tutto questo?” gli domandai a quel punto, poggiando una mano sulla sua spalla. “Di ciò che tu facesti allora?”

Scosse il capo, quasi irridendosi, e mormorò: “Neanche so perché ti ho fatto vedere questo posto.”

Ciò detto, si allontanò da me con passo quasi strascicato, ma io lo bloccai a un braccio, forzandolo a girarsi.

Rigida, gli dissi: “Ora mi spiegherai perché non sei orgoglioso di tutto questo.”

“Magari sono affari miei, ti pare?” ironizzò, pur se con tono piuttosto piccato.

Sbuffai, irritata dalla sua improvvisa chiusura, e mi domandai chi – o cosa – avesse scatenato una tale reazione.

Lui riprese la sua fuga lenta e metodica, ma io non mi diedi per vinta.

Lo raggiunsi, bloccandogli la strada e dichiarai perentoria: “Non ti permetterò di uscire... e tu sai che sono abbastanza forte da farlo.”

Poi, con maggiore gentilezza, aggiunsi: “Rey Doherty, tu mi stai aiutando in modi che neanche immagini. Perché non posso fare lo stesso anch'io, con te?”

“Non è così che funziona, Litha. Io aiuto, voi vi fate aiutare. E ora, con permesso, devo tornare alle mie pecore.”

Lo lasciai andare, non sentendomela di infierire e, da sola, rimasi a osservare il suo complesso perfetto, ma che non sembrava dargli alcuna soddisfazione.
 
***

Stavo servendo la minestra calda a nonnina, quando trovai il coraggio di domandarle lumi su quanto successo quella mattina.

“Rey mi ha mostrato la clinica e mi ha raccontato di una mia amica che, anni fa, venne operata qui. Eppure, non mi sembra... contento. Sì, insomma, soddisfatto di ciò che rappresenta qui, per i licantropi.”

La donna sospirò, scuotendo il capo con aria esasperata, e asserì: “Quel ragazzo non ha ancora capito che non può pretendere ciò che non otterrà mai.”

“E cioè?” esalai, sorpresa.

“La comprensione e l’apprezzamento dei genitori” asserì Gwendolin, sbuffando. “Rey studiò alacremente sia medicina che veterinaria, così da essere pronto a qualsiasi evenienza sanitaria qui al Santuario. Ma i genitori non capirono. Lo denigrarono, dicendo che stava sprecando soldi e tempo, qui all'azienda, mentre avrebbe potuto diventare ricco, facendo il medico in un ospedale.”

“Oh” mormorai contrita, iniziando a capire. “Loro non sanno, vero?”

“No, né mai sapranno” dichiarò perentoria Gwendolin, pur se con sguardo triste e rassegnato.

Ovvio che il Santuario facesse sorgere in lui tristi sentimenti, e che si fosse sentito in imbarazzo a mostrarmelo.

Se i suoi genitori consideravano il suo impegno, qui alla fattoria, una mera perdita di tempo, cosa avrebbe potuto pensare un'estranea?

Certo, la sua famiglia non conosceva tutta la verità, ma dubitavo che avrebbe fatto qualche differenza, per loro.

Anzi, forse avrebbe solo peggiorato le cose.

“Ho cercato di farglielo capire, ma Rey ha un cuore troppo generoso e tenero.”

“E' un peccato che nessuno possa sapere cosa fa per gli altri” mormorai, imboccandola con gentilezza. “Meriterebbe degli attestati di merito, non la più totale apatia da parte della sua famiglia.”

“A lui basta sapere che le persone che escono di qui sono più felici, o anche solo vive. A volte, abbiamo perso dei pazienti. Non abbiamo potuto far nulla per salvarli, e questo lo ha fatto sempre sentire impotente. Ogni volta.”

Annuii, non sapendo cosa dire.

Rey era sempre sorridente e gentile. Era ovvio quanto cercasse di mascherare i dolenti dubbi che lo assalivano, ma io non potevo criticarlo per questo.

Non tutti sono fatti per sbottare a ogni alito di vento.

Ritirai il piatto, quando Gwendolin terminò la minestra e, nell'alzarmi in piedi, mormorai: “Con me, è stato molto gentile.”

“Rey non è suo fratello, questo è sicuro” asserì torva la donna.

Non le chiesi spiegazioni in merito e, quando tornai in cucina con i resti della cena, inserii tutto nella lavastoviglie, come mi aveva mostrato Rey.

Fatto ciò, mi diressi in salotto, dove la stufa in maiolica era accesa e, in televisione, trasmettevano un programma canoro.

Un attimo dopo, Rey cambiò canale e, per alcuni minuti, non fece altro, passando da un programma all’altro senza sosta.

Mi accomodai silenziosa su una poltrona, attendendo che scegliesse un canale ma, alla fine, lui spense e si lasciò andare a un lungo sospiro infastidito.

“Scusami” mormorò di colpo, facendomi sobbalzare.

Sbattei le palpebre, confusa.

“E di che, scusa?”

Rey si volse a guardarmi, lasciando dondolare il whisky che teneva in un bicchiere panciuto e pieno di ghiaccio.

Fuori, la nevicata era terminata, sostituita da una notte fredda e priva di nubi.

La luce diafana della luna illuminava la campagna, dando all’ambiente un aspetto lunare, quasi ultraterreno.

“Per oggi. Sono stato scortese, e tu non hai bisogno di sobbarcarti anche i miei problemi.”

“Oh, cielo!” esalai, fissandolo esasperata. “Rey Doherty, ho passato cento anni della mia adolescenza in un recinto pieno di gente che, nel migliore dei casi, voleva farmi capire cosa volesse dire la paura, e nel peggiore... beh, mi hanno fatto finire su un letto d'infermeria più di una volta, quindi...”

Lui mi fissò confuso, forse spaventato dal mio dire, e io mi rilassai un po'.

“Ci addestrano per diventare forti e invincibili, e chi appartiene alla famiglia reale subisce l'addestramento più duro” mormorai, allungando una mano perché potesse vedere bene il mio polso destro.

Rey guardò la bianca cicatrice che solcava di netto l'attaccatura della mano e, con le dita, la sfiorò, quasi volesse cancellare il dolore che avevo patito all’epoca.

Quel contatto mi fece rabbrividire, e desiderai per un istante che continuasse con quella carezza.

Gli dèi solo sapevano quanto avessi bisogno di un po’ di conforto, ma non ero in grado di chiederlo.

E forse, neppure lo avrei accettato, pur desiderandolo.

“Cercarono di troncarmi una mano, durante una lotta particolarmente cruenta.  Il nostro insegnante intervenne appena in tempo. Fermò il mio aggressore, ma la cosa finì lì. Non sono previste... punizioni. Bisogna solo cercare di non ammazzarsi … di proposito. Cosa che, invece, cercarono di fare con l'attuale moglie di mio fratello maggiore.”

“Perché me lo stai dicendo?” mormorò roco, scrutandomi con i suoi profondi occhi scuri, colmi di domande.

“Nessuno ha la famiglia che sogna di avere, e quei pochi ad averla, forse, neppure si rendono conto della fortuna che hanno.”

“Nonnina ha spifferato, eh?” si lagnò, pur senza acredine nella voce.

Annuii, levandomi in piedi per inginocchiarmi dinanzi a lui.

Mi mossi impacciata, non abituata a certe esternazioni dei miei sentimenti e, nel prendere le sue mani tra le mie, dissi: “Per quanto possa valere, io penso che tu stia facendo una cosa importante, qui, e che il tuo impegno andrebbe premiato.”

Strinsi con più forza le mie mani sulle sue e, ridendo impacciata, aggiunsi: “Scusa. Non sono molto brava, in queste cose. Non ci insegnano a esprimere quel che pensiamo.”

“Non ve... lo... insegnano?” esalò, confuso e sorpreso.

Scossi il capo, lasciandogli andare le mani, rimanendo così accucciata dinanzi a lui, le dita rattrappite sulle cosce.

“Un guerriero fomoriano deve essere impassibile, incorruttibile, inattaccabile in nessun modo, specialmente sul piano sentimentale. Mostrare i propri sentimenti rende deboli, e le debolezze possono essere sfruttate per distruggerci.”

“E a voi è sempre stato bene così?”

Le sue parole mostrarono ampiamente tutta la sua incredulità e, per un attimo, mi parve di vedere Eithe.

Anche a lei era parso strano, sentirci parlare a quel modo.

Stheta aveva imparato per primo sulla sua pelle, cosa volesse dire dar voce al proprio cuore.

Nel bene e nel male.

“Mio … beh, Stheta sta cambiando le cose... e anche Krilash. Rohnyn se n’è addirittura andato, per sposare una donna umana.”

Sospirai, sedendomi in terra per intrecciare le gambe e poggiare le mani sulle ginocchia.

“Krilash dovette sopportare di veder portata via sua figlia adottiva, il giorno stesso in cui portò lei e la sua attuale compagna a Mag Mell. Dopo averle presentate ai reali, fecero scortare Faélán ai recinti delle senturion, senza neppure dare il tempo a sua madre di salutarla.”

Gli spiegai cosa fosse riuscito a scoprire, come avesse allenato la giovane Fay – oltre a sua madre Rachel – e di come Tethra si fosse dimostrato insensibile.

“Non dubito che Fay potrà fare grandi cose, visto da chi è stata allenata prima di giungere a Mag Mell ma, per Rachel e Krilash, deve essere stata durissima.”

Rey fischiò per la sorpresa e, rilassatosi contro la poltrona, esalò: “Le discendenti di Oísín! Questo, forse, è ancor più sorprendente di te! Scusa tanto…”

Risi un poco, di fronte alla sua espressione costernata e, tra me, mi sentii assurdamente fiera per averlo in qualche modo scosso.

Era così difficile sorprenderlo!

“Quindi… sì, insomma, Krilash ha visto la loro… come hai detto che si chiama?” mi domandò lui, eccitato e ancora sorpreso.

“La rihall…” gli spiegai, indicando la mia, sul collo. “Ogni famiglia ne ha una specifica e quella di Niamh mac Lir, la moglie di Oísín, era una stella a cinque punte ricurve. La stessa dei miei fratelli. Avendo però avuto dei figli da un umano, la rihall è mutata, divenendo una stella tre punte. Il sangue umano non è abbastanza forte, perché riesca a sopportare il potere di una rihall.

“Quindi, visto che Rohnyn ha avuto un figlio da un’umana, anche quella è mutata?”

Assentii, rammentando il piccolo arabesco sulla spalla di Kevin. Una splendida stellina a tre punte, del tutto diversa da quella di Fay e Rachel.

“Non esisteranno mai rihall uguali, in un caso come questo. Con i DNA ricombinati, si creano nuove stirpi e, anche se Kevin è di diritto un mac Lir e l’erede di Rohnyn, non potrà portare questo cognome, se mai decidesse di scendere a Mag Mell. Nel suo caso, prenderebbe il cognome della madre, e sarebbe un mac Connell, creando di fatto un nuovo clan.”

Sorrisi mesta, a quel pensiero. Non avrei mai voluto che il piccolo Kevin patisse i patimenti del padre. O i miei.

“Ergo, i figli di Oísín sono divenuti dei mac Cumhaill perché la loro rihall è mutata” borbottò Rey, pensieroso.

“Anche. Di solito, se la coppia è fomoriana, la rihall di un nascituro appartiene alla famiglia del padre, non a quella della madre ma, quando la coppia è mista, le cose variano da caso a caso.”

“Quindi, tu sai che la tua appartiene a tuo padre. Immagino che il sangue divino dei Tuatha fosse abbastanza forte per reggere il confronto con quello di un fomoriano” mormorò, sorridendomi gentilmente.

Assentii, passando un dito distratto sulla mia rihall. La rihall del mio vero padre. Avrei mai scoperto a chi era appartenuta?

La sua carezza giunse a sorpresa, e mi fece sobbalzare.

Mi sfiorò la guancia col dorso della mano e, senza neppure accorgermene, avvampai in viso e lo fissai stranita, senza sapere che fare.

Lui sorrise a mezzo, ritirando la mano e, in qualche modo, mi sentii defraudata di qualcosa di bellissimo.

“E' proprio vero che non siete avvezzi alle premure.”

“No di certo” esalai, mordendomi il labbro inferiore.

“E sei convinta di non essere capace di esprimere le tue emozioni” aggiunse, intrecciando gli avambracci sulle cosce.

Il suo sguardo era fisso su di me, e io deglutii a fatica.

Sentii il mio cuore battere più in fretta, sotto quello sguardo attento e indagatore e, per un momento, desiderai che mi carezzasse ancora.

O, paradossalmente, la smettesse di guardarmi a quel modo, come se potesse leggere tutto di me, pur non potendo realmente.

“Eppure, prima, hai detto cose bellissime, e mi hai confortato” replicò, tornando a poggiare la schiena contro la poltrona.

“Ah... beh, non so se un umano avrebbe fatto qualcos'altro. O se avrebbe detto cose diverse. Vado un po' a tentativi” esalai, sbattendo frenetica le palpebre.

Lui, allora, si ritrovò a sorridermi complice, e questo mi confortò. Forse, si sentiva davvero meglio.

Con una certa ironia, allora, mi disse: “Beh, una donna particolarmente intraprendente, avrebbe potuto sedersi sul bracciolo della mia poltrona poi, con fare delicato e innocente, avrebbe potuto passarmi le mani tra i capelli, carezzarmi il viso e darmi un bacio consolatorio.”

Storsi naso e bocca, borbottando incredula: “E perché, scusa?”

A quel punto, Rey rise di tutto gusto, si passò una mano sul viso nuovamente sereno ed esalò: “Oh, cielo, Litha! Se non lo sai, vuole davvero dire che umani e fomoriani sono diversissimi, su alcune cose!”

Mi accigliai per un attimo ma, nel sentirlo ridere così spensierato, lasciai correre l'apparente insulto.

Aveva davvero una bellissima risata.








  
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