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Autore: Adeia Di Elferas    23/10/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Caterina era stata istruita a dovere su cosa scrivere a suo zio Ludovico Sforza, che a Milano stava prendendo sempre più potere.
 Sisto IV l'aveva spinta a professarsi fedele serva di Ludovico e aperta oppositrice del defunto Cicco Simonetta e dei suoi metodi.
 A differenza dell'ultima lettera mandata alla madre Bona, in cui Caterina si lasciava andare volentieri a cattive parole nei confronti dell'ex cancelliere, scrivere quel messaggio le costò molto.
 Non si sentiva dalla parte di suo zio Ludovico, soprattutto da quando aveva sentito dire che Bona era o sarebbe presto stata mandata in esilio al castello di Pavia, che per la ragazza rappresentava l'anticamera della morte. Anche sua nonna Bianca Maria era stata mandata a Pavia e nel giro di un anno aveva esalato l'ultimo respiro. Era comprensibile che avesse certi oscuri presentimenti...
 Il trenta ottobre di quel 1481, Caterina ebbe bisogno, per la terza volta in nemmeno tre anni dei servigi della levatrice.
 Come era ormai consuetudine, spedì Girolamo a badare al resto della prole, mentre lei restava sola con un paio di dame di compagnia, la levatrice e il medico.
 “Oh, mia signora...” disse la donna che aveva fatto nascere tutti i suoi figli: “Questa è finalmente una bellissima bambina!”
 Caterina, che era stata sicura fin da subito di aspettare un altro maschio, trasecolò. Se la fece mettere tra le braccia e osservò a lungo il visino schiacciato e arrossato per lo sforzo del venire al mondo. La piccola non aveva pianto molto e si stava adattando in fretta alla vita.
 Caterina le passò un dito sulla guancia liscia e ancora sporca: “Sei davvero bellissima...” le sussurrò e la piccola parve sorridere.
 “Vado a prepararla.” disse la levatrice, prendendo la bambina come fosse una porcellana preziosissima: “La riporto subito, non abbiate paura...” ridacchiò.
 Dopo poco la levatrice tornò assieme agli altri bambini, a Girolamo e alle balie. Tutta quella ressa avrebbe, di norma, indisposto Caterina, che invece quel giorno accolse tutti – perfino il marito – con buonagrazia.
 “Come la chiameremo?” chiese Girolamo, cauto.
 Caterina si fece rimettere la piccola in braccio e la guardò con intensità, chiedendosi se stesse scegliendo bene.
 Quella bambina era sopravvissuta a tutta la sua più o meno inconscia ostilità. Era rimasta viva e sana malgrado l'assenza di sonno, gli sforzi fisici, le cavalcate...
 'Questa bambina – pensò Caterina – ha corso con me la piazza di Forlì. Questa bambina è una guerriera.'
 Ormai la decisione era presa, e anche le ultime riserve erano state messe da parte. Poco importava se quello era anche il nome di Girolamo. Sarebbe stato un bene per le apparenze. I più ciechi avrebbero pensato che la bambina era stata chiamata come la nonna paterna e non come la bisnonna materna.
 “La chiameremo Bianca.” annunciò Caterina, sorridendo.
 Girolamo, che teneva in braccio il piccolo Cesare, mollò istantaneamente il bambino a una delle balie e quasi si gettò ad abbracciare la moglie. Si fermò appena prima che tutti capissero qual che voleva fare, mosso dall'istinto, che gli diceva che Caterina si sarebbe scostata facendogli fare una pessima figura.
 Girolamo era uno degli ottusi: pensò subito che la scelta di quel nome fosse un segno di riavvicinamento. Forse sua moglie, ora che aveva avuto una figlia, sarebbe diventata più dolce anche con lui, più arrendevole, e magari avrebbe anche finito per amarlo...
 
 Caterina non aveva potuto informare sua madre Bona della nascita della bambina, così si era limitata a parlarne con Lucrezia e a notificare la cosa come notizia ufficiale a Lorenzo.
 Sisto IV era stato indubbiamente felice della nascita di una nipotina, anche se non riusciva a condividere l'entusiasmo prorompente di Girolamo, che non faceva altro che riempirsi la bocca con 'Bianca ha fatto questo, Bianca ha fatto quello'... Come se una bimba di venti giorni potesse fare cose strabilianti!
 In più, poco dopo, il papa venne a sapere che il ventuno di novembre Cosma Orsini, detto Cosimo, era morto. Era uno dei suoi più fedeli, ordinato da lui stesso cardinale l'anno prima... Se n'era andato mentre era a Bracciano, facendo perdere un utile braccio destro a Sisto IV.
 Gli Orsini tutti si strinsero in cordoglio e il papa, con il suo umore mesto, parve schierarsi in modo definitivo a favore di quella famiglia.
 I Colonna, i più strenui oppositori degli Orsini, fecero invece del loro meglio per apparire insensibili alla notizia, non mancando di ricordare come morto un cardinale se ne possa fare un altro, permettendo al mondo di continuare a girare come nulla fosse.
 Girolamo, per non saper né leggere né scrivere, aveva cominciato, di nascosto sia dalla moglie sia dallo zio, a fomentare, come meglio riusciva, gli Orsini. Non trovavano, forse, che i Colonna fossero eccessivamente sfrontati e arroganti? Non credevano, forse, che fosse il momento di far capire loro qual era la famiglia più importante di Roma?
 Gli Orsini facevano orecchie da mercante e qualche loro esponente era arrivato anche a zittire il logorroico Girolamo, dicendogli che i tempi non erano maturi.
 Tuttavia Girolamo si era messo in testa di fare qualcosa di grande, qualcosa che anche suo zio avrebbe dovuto riconoscergli come merito. E così alimentava gli asti degli Orsini che nei confronti dei Della Rovere erano sempre stati così gentili e pieni di riguardo e che ora potevano essere la sua chiave per il successo.
 In quel momento delicato, con il papa sempre più anziano e il nipote preferito, Girolamo, sempre meno realista e sempre più perso nel suo mondo personale, la tensione tra le stanze vaticane era palpabile.
 Caterina si era accorta molto prima del papa stesso che qualcosa stava cambiando nell'aria e aveva convinto il Santo Padre a rafforzare il più possibile la guarnigione di Castel Sant'Angelo, di cui suo marito Girolamo era castellano.
 Giuliano Della Rovere, il nipote ecclesiasticamente più promettente del papa era ancora in Francia, e questo aveva permesso al suo più aperto oppositore, un certo Roderic, o Rodrigo, come si faceva chiamare da quando era in Italia, Borja, uno spagnolo, di farsi conoscere sempre di più.
 Caterina non nutriva nessuna simpatia per quel Borja, né lui pareva affascinato come gli altri da quella diciottenne milanese che amava passare le giornate dedicandosi alla caccia e alla politica.
 In quel clima sempre più teso e incerto, Roma sopportava le tasse sempre più gravose e le chiacchiere sugli eccessi che facevano da padrone tra i membri del clero vaticano e le braci dell'ira popolare cominciavano ad arroventarsi, celando sempre con più difficoltà il fuoco vivo che nascondevano ormai da anni.

 La messa di Natale era stata più elegante e sfarzosa del solito, e aveva lasciato il papa completamente a pezzi. Aveva voluto officiarne gran parte, più per stupire gli ospiti stranieri e impressionarli, che non perchè ci tenesse davvero, e così il giorno di Santo Stefano era rimasto ritirato quasi fino a sera, senza più farsi vedere da nessuno.
 L'aria era fredda, ma non portava con sé la rabbia degli inverni milanesi. Era più una brezza che faceva venire un brivido ogni tanto e Caterina si chiedeva se mai avrebbe rivisto la neve.
 Aveva lasciato i figli con le balie e il marito con due dei suoi amici di Savona. I piccoli erano intenti a sonnecchiare, mentre Girolamo vaneggiava, con un bicchiere di vino rosso in mano, su grandi affari di stato, che di certo avrebbe dimenticato quella sera stessa.
 Quel giorno, più che negli anni addietro, ripensava all'attentato in cui era morto suo padre, il Duca Galeazzo Maria Sforza.
 Roma era coperta da un lieve strato di nuvole che gettava ovunque una luce ovattata e cupa, ben diversa da quella limpida e splendente che aveva investito l'abito luccicante del Duca nel giorno in cui i congiurati lo avevano strappato alla vita...
 “Oggi il Santo Padre sembra essere particolarmente provato...” disse una voce un po' roca, dalla forte cadenza spagnola, alle spalle di Caterina.
 La ragazza si voltò e si trovò di fronte Rodrigo Borja, un uomo di quarant'anni, nel pieno del vigore, dall'espressione intelligente, ma losca e con uno spiccato gusto nel vestire.
 “Forse il nipote di Sua Santità gli dà qualche... Come si dice...” l'uomo borbottò qualcosa nella sua lingua madre, poi concluse: “Grattacapo.”
 Caterina non aveva nessuna voglia di intrattenersi con quel vizioso spagnolo che da troppo tempo stava comprando in modo più o meno lecito i favori di tutta la corte vaticana.
 “Assolutamente no, il papa, Sua Santità è sempre molto soddisfatto dai servigi offerti da mio marito.” ribatté Caterina, senza scomporsi.
 Rodrigo Borja si lasciò andare a un sorrisetto insinuante, a farle capire che non lo credeva affatto.
 “Al contrario, ho sentito il Santo Padre lamentarsi più volte di alcuni suoi cardinali. Non so bene chi, né perchè... Non mi viene detto tutto, in fondo sono solo una donna.” concluse Caterina, aggiungendo le ultime parole con un risolino frivolo che Borja non si bevette nemmeno per un istante.
 Caterina sapeva bene che quello spagnolo riteneva assurdo che lei avesse anche solo accesso alle stanze del papa. Figurarsi se la riteneva in grado di occuparsi degli affari del Vaticano o di quelli del marito!
 Tuttavia Rodrigo Borja non era uomo da prendere sottogamba un possibile nemico. Teneva a distanza Caterina Sforza, saggiandone di quando in quando il carattere e la prontezza e restandone sempre scottato.
 “Ho sentito che la vostra nuova bambina sta bene. Sono contento per voi. Una femmina... Così, finalmente, avrete qualcuno da istruire di persona senza dover ricorrere a istitutori...” disse Rodrigo, cercando di cambiare argomento.
 Quella frase, apparentemente innocente, fece andare su tutte le furie Caterina, che vi lesse dileggio e un tentativo infantile di sminuirla: “Vi ringrazio per l'interessamento, ma so di non essere l'unica ad avere un nuovo nato in casa... Mi è stato riferito che da poco la vostra amata Vannozza vi ha reso di nuovo padre... Sta bene il piccolo Goffredo?”
 Rodrigo Borja strinse il morso e i suoi occhi si fecero gelidi e distanti. Come osava quella ragazzina impertinente parlargli così liberamente?
 “Sta bene, grazie. E ora scusate.” si congedò improvvisamente il cardinale e a Caterina non sfuggì che mentre l'uomo si allontanava dando a ogni passo calci furiosi al gonnellone da prelato tra le scare mura del Vaticano venivano snocciolati, come grani di rosario, tutti i peggiori insulti che lingua spagnola avesse mai generato.

   
 
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