Capitolo 6
Senza neanche
togliermi i vestiti mi butto
letteralmente sul letto con il braccio appoggiato alla fronte. Ho
accompagnato
Chanel a casa, sorbendomi un estenuante interrogatorio da parte dei
genitori,
non che non avessero ragione, però è stata
un’esperienza che non vorrei
ripetere. Per fortuna la ragazza mi ha aiutato ad inventare una storia
verosimile a cui hanno creduto, altrimenti non so come sarebbe andata a
finire,
e adesso non ho più energie.
Sospiro esausto, mentre le immagini di questa
allucinante giornata mi scorrono davanti agli occhi, susseguendosi sul
soffitto
come se fosse lo schermo di un videoproiettore: Le case, la gente con
il loro
vociare, la fuga, i teppisti e tutto il resto, poi la ragazza (quella
pazza
furiosa). C’è mancato poco che arrivasse alle
mani, ma che problemi ha?
“Non odia
te in particolare”, mi ha detto il ragazzo biondo
Kid, alla biforcazione
nei tunnel “odia solo il posto da
cui
provieni e quello che quel luogo implica… Senti lo so,
è una situazione strana,
ma April ne ha passate tante perciò non ti chiedo di
capirla, ma almeno di ignorarla
finché puoi”.
Perché covare un odio così profondo? Cosa le
sarà mai capitato?! Mah! Poi che mi importa di
un’estranea? Non la rivedrò più!...
e allora perché ho fatto quella foto alla mappa dei tunnel?
Fisso rapito il display del palmare come se, guardando
quello specchio nero, le risposte che mi servono possano saltar fuori
come
nelle sfere magiche. Non sarà mai così facile,
rifletto amareggiato.
I colpi sulla porta infrangono i miei pensieri e
mi affretto a sedermi composto, acquisendo un atteggiamento formale.
<< Ed, sei tu!>> dico sollevato,
rilassando i muscoli e sciogliendo le spalle <<
… pensavo fosse mio
padre.>>
<< No signorino, i suoi genitori non sono
ancora rientrati. Le hanno lasciato un messaggio: torneranno tardi
poiché sono
fuori a cena. Vuole che gli riferisca della telefonata
dell’istituto?>>
Edward ha capito al volo la situazione, come
sempre.
<< No, grazie. Lo scopriranno comunque,
anche se spero di poter gestire tutta la faccenda prima che
ciò avvenga. Perciò
non preoccuparti mi prenderò io tutta la
responsabilità se dovessero venire a
sapere che non sono stati avvisati >> sospiro.
<< Come vuole. Le ho portato le
medicazioni che mi ha chiesto, le serve
qualcos’altro?>> appoggia la
cassetta bianca con la croce rossa sul letto. È ancora nuova
di zecca con i
colori sgargianti e tutto il resto, si vede proprio che qui non succede
mai
nulla per la quale ci si debba medicare, eppure noi abbiamo gli
ospedali con
tutte le attrezzature, mentre la gente là fuori no, curioso.
<< Bastano queste, grazie. Ah, Ed! ha
chiamato qualcun altro oltre la direzione?>> aggiungo.
<< Sì, ha telefonato il signorino Spike,
ha detto che sarebbe passato stasera e che vuole sapere tutto di
oggi>>
termina lanciandomi un’occhiata curiosa e severa allo stesso
tempo.
Seccato, mi lascio sfuggire grugnito appoggiando
le braccia sulle ginocchia << Immagino di doverglielo,
d’altronde è stato
lui a tirarmi furi dall’impiccio>>
<< Suppongo di sì. Vengo a chiamarla per
la cena?>> mi chiede.
<< No grazie, scendo tra poco. Potresti
farmi preparare qualcosa di leggero per favore? Non ho molta
fame>> dichiaro
apatico, mentre lo stomaco si ripiega su se stesso al solo sentire la
parola “ cibo”.
Non posso non cenare, altrimenti la servitù potrebbe pensare
male ed adesso è
meglio evitare pettegolezzi.
Cosa
ho combinato ancora, rimugino passandomi una mano nei capelli, con un
gesto troppo rude per sembrare casuale agli occhi di Ed. Il maggiordomo
fa un cenno di assenso con la
testa per poi sparire chiudendosi la porta alle spalle. Mi lascio
sfuggire un
altro sospiro, stavolta di rassegnazione.
La sala da pranzo è come l’ho lasciata
stamattina: squallidamente deserta. Trascino di malavoglia i piedi fino
al
posto apparecchiato aspettando che la cena venga servita ed intanto il
mio
stomaco si annoda sempre di più per la tensione e le domande
ancora irrisolte
che si stanno accumulata dopo “l’evasione dalla
scuola”(così Chanel l’ha
descritto in un tragico soliloquio una volta al sicuro e sulla strada
de ritorno).
Ormai hanno preparato il pasto e non posso rifiutarla,
perciò sbocconcello un
po’ di pasta e ben presto anche quel poco di fame che ho se
ne va miseramente.
Prendo il piatto e mi trascino fino alla cucina, fortunatamente i
cuochi si
sono già ritirati nelle loro camere e rimane solo il vecchio
Ed a controllare
le ultime faccende, così mi intrufolo buttando gli avanzi
nel tritarifiuti,
guardandoli scendere verso la rete fognaria. Chissà se sbucheranno in una
delle gallerie che ho
attraversato oggi? Quando anche l’ultimo pezzo scompare
inghiottito dalle fauci
metalliche ed il piatto è pulito, mi avvio nello studicciolo
vicino alla porta
sul retro ad aspettare l’arrivo di Spike, come da tempo
immemore siamo soliti
fare.
Sono quasi le undici, il coprifuoco è ormai
passato da un pezzo, quando mio cugino bussa con due pugni brevi e uno
secco
dato con il palmo sull’assito. Apro la serratura magnetica,
lasciando uno
spiraglio. Poco dopo compare la nera e ordinata massa dei capelli di
Spike, il
suo occhio celeste luccica ferino nella fioca luce
dell’ingresso di servizio.
<< ’Sera cugino!>> bisbiglia
abbastanza forte per farsi sentire da me che sono a diversi passi di
distanza
per controllare i corridoi. Alzo
una
mano e lo invito a seguirmi, quando Ed si dirige verso la sua camera
facendomi
l’occhiolino per indicare il via libera: non
c’è più nessuno alzato.
Attraversiamo silenziosamente i corridoi bui fino alla mia stanza, solo
allora
abbandoniamo la cautela e ci rilassiamo.
<< Non la smetteremo mia con le vecchie
abitudini>> scherza Spike malinconico, sedendosi a
cavalcioni sulla sedia
della scrivania.
<< L’infanzia non si dimentica>>
ribatto con lo stesso tono però irritato. Parlare del
passato mi mette sempre
in uno stato di indisposizione, oltre a lasciare un sapore acido di
fiele in
bocca. Eppure non possiamo fare a meno di ritornare a quei tempi, come
si dice:
il passato ci ha fatto diventare ciò che siamo. Mai fu detta
cosa più vera, infatti
questa complicità e tutti i gesti appena eseguiti li abbiamo
messi in pratica
diverse volte da bambini quando c’erano questioni importanti
da discutere
lontano dai grandi o semplicemente per parlare e sfogarci delle
ingiustizie
della giornata. Ciò nonostante a distanza di anni non
abbiamo smesso e, per
quanto mi ostini a dire come non lo sopporti, Spike è il
migliore amico che
abbia mai avuto e credo sia lo stesso anche per lui.
<< Allora fuggitivo! Non si è parlato
d’altro nella scuola. Spero ne sia valsa la pena!
… e i lividi mi urlano: certo
che sì amico! Hai pestato qualche cencioso dei
Sobborghi?>>
<< Qualcosa del genere>> rispondo
vagamente, prima di raccontargli di malavoglia, per filo e per segno
cos’è
accaduto da quando ho lasciato l’aula magna…
<< Ma va all’inferno>> erompo
spazientito tuttavia lui ridacchia divertito << Non eri
lì, non hai visto
quella gente, Spike! È completamente diversa da
…tutti noi.>>
<< Ne sei sicuro? >> la domanda, unita
al suo sguardo serio, mi spiazza. È troppo greve per un tipo
come lui. Mi nasconde
qualcosa, ma continuo incapace di riflettere con calma.
<< Se ne son sicuro?!? Certo, che
domande!>> sbotto stizzito e confuso, lasciando che
queste emozioni
guidino le mie parole.
<< Sei sicuro che sia questo il punto: la
nostra e la loro diversità?>>
<< Ma guardaci Spike! In confronto a loro
sembriamo degli alieni di un altro pianeta>>
però le mie stesse parole
non mi convincono, ho la sensazione che in qualche modo siano sbagliate.
Tuttavia, dopo questa dichiarazione, non posso
evitare di confrontarmi fisicamente con il ragazzo Kid: lui
così magro e
normale; io che non ho mai sopportato la diversità dei miei
occhi o il pallore
dei miei capelli, spettralmente in contrasto con la carnagione. Cosa
buffa la
genetica, anche spaventosamente crudele sotto certi aspetti.
“ Ma non dovremmo
far parte della stessa condizione? Siamo esseri umani alla
fine” mi ritrovo a
pensare amareggiato … poi qualcosa si sblocca, come un
interruttore che viene
premuto portando alla luce un’idea che da tempo mi chiedeva
di essere scoperta.
Finalmente posso dare un senso al perché della fotografia
della mappa dei
tunnel, a quella sensazione che ci fosse qualcosa di errato nel modo in
cui
ragionavo prima.
<< Sì, il punto è questo. Non siamo
poi così
diversi giusto? Siamo sempre persone … però ci
preoccupiamo che questa
differenza tra noi e loro venga marcata!>> espongo con
fervore, Spike mi
sorride complice, insinuandomi il sospetto in una domanda che esprimo
subito
<< Tu ci eri già arrivato vero?>>
<< Da un po’>> fa spallucce con
fare
indifferente, come se fosse normale riflettere in quel modo.
Dannato psicopatico! Ecco cosa celava dietro a
quegli indizi velati.
<< E adesso che pensi di fare?>> mi
chiede oscillando sulla sedia.
Cosa penso di fare, io?! … Ho causato una marea
di guai oggi che mai avrei pensato di combinare e nonostante tutto non
mi pento
di aver visto com’è là fuori, anzi sono
ancora più curioso, poiché ormai so che
quello che accade intorno a me non mi va più bene; sono
consapevole che tutto
quello che ci hanno detto, mostrato nei corsi sul senso civico e tutte
le altre
chiacchiere erano soltanto balle! Nulla è vero di quello che
ci hanno
insegnato, nulla, NULLA! Se non il messaggio sott’inteso che
ci vogliono tenere
separati. Ma perché? Perché comportarsi
così con un intera popolazione.
È questo il primo nodo da sciogliere oltre a
trovare il capo da cui partire per le mie indagini. Una cosa
è certa, non qui:
a casa, dove tutto è strettamente controllato, né
a scuola o dovunque nel
Centro; sarebbe troppo sospetto fare domande in giro, per non parlare
del fatto
che informazioni di questo tipo saranno di sicuro inaccessibili. Mi
rimane solo
un’alternativa, cioè tornare nei Sobborghi.
Tuttavia prima di comunicare la mia
nuova decisione ad uno Spike trepidante d’attesa, gli chiedo
cosa lui abbia
fatto quando è giunto alla stessa conclusione.
<< Lo ammetto, quasi nulla … non potevo
fare molto essendo l’unico ad aver capito che le cose
facevano schifo. Perciò
ho aspettato il momento che anche tu ci arrivassi da solo. Ho
seriamente
pensato di non vedere mai questo giorno! Stavo per spifferarti tutto,
ma alla
fine ne è valsa la pena. In due è molto meglio ed
infatti sei mooooolto bravo
nell’evadere. Oggi ne è la prova! Hai
letteralmente fatto perdere le tue tracce
hahahahahaha>> sembra intrigato dalla cosa.
<< Ci mancherebbe! Ho passato anni a
nascondermi da qualcuno!>> sibilo un po’
soddisfatto dell’abilità
sviluppata che ora potrà tornarmi molto utile.
<< Muhahahahahaha! Era tutto
premeditato>> gongola.
<< Sei un bastardo sociopatico!>> ci
spanciamo tutt’e due dal ridere.
<< Ho deciso cosa farò>>
dichiaro ad
un tratto, attirando la sua attenzione. << Voglio
scoprire il perché di
tutto questo. La cupola, i Funzionari con i reparti segreti e tutto il
resto.
Sono stufo di vivere in una prigione dove ogni mia mossa è
registrata dalle
telecamere ed analizzata da esperti del comportamento per vedere se ho
qualche
mania rivoluzionaria>>
Adesso che so cosa voglio fare, so anche da cosa
o meglio da chi partire: la ragazza sospettosa dei sobborghi. Se ha una
bestia
nera, ovvero l’odio per il Centro che la perseguita a causa
di un passato
burrascoso, dovuto proprio al luogo da cui provengo, allora
è la “complice”
numero una da avere dalla nostra parte. Inoltre il suo lavoro come
corriere
copre tutta la città e sarebbe perfetto come espediente di
raccolta
d’informazioni.
<< Ben detto cugino! Siamo una squadra
adesso!>> mi batte una pacca sulla spalla. Poi il viso
gli si illumina di
un sorriso malizioso << Allora rivedrai la moretta?!
Sembra proprio il
mio tipo! Forte, coraggiosa e contorta! La conoscerai e poi me la
presenterai
vero? Vero?! Dai, dai, dai, dai, dai…>>
<< Spike abbiamo appena deciso di
infrangere una marea di divieti per capire cosa diavolo sta succedendo
e tu
pensi a quella tipa?! Abbiamo cose più importanti a cui
prestare
attenzione>> dico indignato.
<< Ma questa è una cosa
importante?!>> piagnucola.
<< Sei scemo o cosa! Dobbiamo ancora
stabilire i compiti e …>>
<< Frena! I compiti sono già stabiliti: io
farò la talpa nelle file interne, mentre tu sarai la spia
infiltrata tra gli
esterni visto che già “conosci” un paio
di persone; quindi non ci sono altre
cose da concordare, visto! Tornando alla
ragazza…>>
mima con le dita delle virgolette.
Sono esasperato. Crede davvero che
sia tutto così semplice? Basterebbe un
errore o una distrazione per finire i nostri giorni in carcere o peggio
nelle
segrete della quartier generale dei Funzionari?! … anzi,
probabilmente lo sa,
ma non gliene frega niente perché ha la testa marcia e piena
di mosche! Ma
gliela rimetto a posto io alla vecchia maniera, ne ho abbastanza del
suo
straparlare per oggi. E
si inizia con le
prese di lotta libera che mi ha insegnato proprio lui. Lo sorprendo
alle spalle
con una presa per togliergli il fiato, ma non stringo troppo, non
vorrei
sbagliare i tempi e lasciarlo diciamo… un po’
morto.
<< Credi ancora che non ci sia niente da
concordare? È in gioco la nostra vita >> dico
di getto.
<< Va bene, ho capito … lasciami! N-non
respiro>> arranca.
<< Sicuro?>> chiedo scettico e lui scuote
il capo per assentire.
Lo lascio andare perché ha un leggero colorito
rossastro tendente al blu, decisamente poco normale.
<< Però, hai imparato bene!>>
appoggia un ginocchio a terra per riprendere fiato << ma
… mai abbassare
la guardia!>> con un movimento rapido mi tira un calcio
sulla gamba
malandata. Il dolore si ripresenta violentemente come nel pomeriggio,
facendomi
barcollare all’indietro.
<< È un colpo basso!
Schifoso…>>
ringhio, ma la nuova fitta di dolore mi toglie le parole.
<< Lo so, sono un bastardo nato, me lo
dicono spesso>> sorride trionfante.
Mi rimetto in piedi a fatica, imprecando
mentalmente per non urlare e svegliare gli inservienti.
<< Tu ...>> lo guardo in cagnesco,
ma sorrido anch’io un po’ divertito, ma decisamente
incavolato.
Spike stende un braccio e con l’indice fa segno
di farmi sotto. Non me lo faccio ripetere due volte e mi scaglio contro
di lui.
Ci scambiamo colpi e parate, pugni e calci finché non siamo
sfiniti e
collassiamo sul pavimento come due bambini.
<< Bastaaaaaaaaaaaaaa! Pietà, non ce la
faccio più>> si lamenta.
<< Sei una schiappa… per essere… il
capitano del club>> ansimo.
<< ha ha ha ha … allora è
deciso?>> chiede
tra un respiro e l’altro, alludendo all’altra
questione.
<< Sì>> sputo fuori in un soffio
a
corto di fiato.
Ma ho compreso appieno quello in cui mi sto
cacciando? No, ma voglio farlo comunque, ho bisogno di farlo. A questo
punto la
questione ha troppi buchi aperti per lasciarla così ed il
mio stesso senso
pratico nel risolvere i problemi, mi impedisce di lasciare correre.
Devo
riempire quei vuoti di informazioni e trovare una risposta alla
classificazione
della nostra società o non troverò mai pace.
È quasi una questione di
principio.
<< Da adesso le cose di fanno
interessanti>> Spike si sdraia sulla moquette a pancia in
su, guardando
il soffitto, tracciando cerchi invisibili nell’aria.
<< Si fa anche tutto più
incasinato>> ribatto appoggiando la schiena contro il
muro e piegando il
ginocchio della gamba sana contro il petto per appoggiarvi il braccio.
<< Non lo era già?>> bofonchia
infastidito lui.
Su questo non posso dargli torto.
***
Le sirene
dell’erogazione si sono appena spente,
segno che i rubinetti sono stati chiusi e per oggi ho perso la mia
occasione di
lavarmi. Che giornata di merda e giustappunto non è ancora
finita. La sala
d’attesa dello studio del dottore Rosenberg è
vuota al momento, fatta eccezione
per un piccolo orsacchiotto di peluche che ammicca dalla sedia
difronte. È un
po’ troppo sfacciato per essere un orsetto, tuttavia non
resisto alla
tentazione di coccolarlo. Guardandolo da vicino, gli manca un occhio,
ha il
farfallino celeste storto ed un braccio più corto, ma tutto
sommato è meglio di
niente come consolatore. Gli arruffo il pelo sintetico, appoggiando i
gomiti
sulle ginocchia, aspettando che il dottore abbia finito di raccogliere
l’acqua
e possa ricevermi. Per lui non sarà certo una
novità vedermi, ormai posso dire
che la clinica sia la mia seconda casa viste le innumerevoli volte che
gli
faccio visita. Meno male che il posto è così
familiare che quasi riesco a
rilassarmi e far sbollire il nervosismo provocato da Kid e quei due
rampolli
impomatati del centro, bleah! Al solo pensarci vorrei strangolare
qualcuno e
sfortunatamente il malcapitato di turno è il pupazzetto che
affretto a
sistemare. Non voglio ripensarci, non adesso che la tempia ha ripreso a
farmi
un male cane. Appoggio la schiena contro lo schienale di plastica e la
testa
sul freddo e ruvido muro, poi, allungando le gambe, stringo Mr. Boo, (
così ho
ribattezzato l’orso) sperando di riprendermi un po’
per non sembrare un rudere.
<<
Cos’hai combinato stavolta?>> mi
chiede una voce graffiata da anni di sigarette.
<<
Niente dottore!>> rispondo alzandomi dal sedile e
raggiungendo l’uomo.
Ha ancora
l’asciugamano sulle spalle ed i lunghi
capelli scuri sono umidi, deve aver appena finito di lavarsi. Peccato,
credo di
avergli rovinato l’unico momento in cui la clinica
è tranquilla e silenziosa.
<< Certo
e io sono al fatina dei denti.
Entra>> mi dice mantenendo la porta aperta per farmi
passare.
Non posso fare a meno
di immaginarlo in gonnella
azzurra e bacchetta alla mano, scoppiando a ridere per il prodotto
partorito
dalla mia fervida fantasia, ma il karma mi rimette in riga con una
fitta
terribile al sopracciglio.
<< Fammi
indovinare perché hai una garza
attaccata alla fronte… magari una rissa con una banda di
teppisti? E potrei
azzardare si tratti dei Demon’s. Ho
indovinato?>> mi incalza, mentre
indossa il camice e si lega i capelli in un corto codino dietro la nuca.
<< Non
le si può nascondere nulla dottore.
Nonostante abbia superato la quarantina, la memoria le funziona ancora
bene!>>
ribatto sedendomi sul lettino e posizionando Mr. Boo al mio fianco.
Purtroppo ho
constatato che il mio malumore non è svanito e rischio di
prendermela anche con
il dottore.
<<
Sarcasmo intatto, quindi non hai subito
danni al cervello, almeno sembra. Starei attento fossi in te al
possibile
trauma cranico. Problema serio quello>>
<< Che
razza di dottore direbbe mai una
cosa del genere ad un suo paziente?!>> scherzo, per
addolcire la
battutaccia di prima.
<<
Quello che rimprovera una sua aiutante
scavezzacollo che, se vuole essere curata per evitare una ramanzina,
farà
meglio a dirmi il motivo di questa>>
<< Ahi!
>> urlo, quando il dottore
Ian Rosenberg, preme con molta malagrazia nell’esatto punto
della ferita.
<< Per il suo bene è meglio che non lo
sappia>> aggiungo secca.
<< Io
invece credo, per il TUO bene, che
lo debba sapere>> insiste, puntando i suoi
arrabbiati occhi nocciola nei miei. Se non
fosse per gli occhiali da vista che schermano un po’, temerei
un incenerimento con lo sguardo.
<< E va
bene!>> cedo alla fine,
regalando la vittoria a Ian << io e Kid abbiamo tolto dei
forestieri
dalle grinfie di Marcus & co e questa è la mia
ricompensa>>
<<
Centriani?!?! Che diavolo … dove sono
adesso?>>
Davvero non gli si
può nascondere nulla?!
<< Io
sto bene, davvero grazie per l’interessamento!
… Sono tornati a casa>> rispondo concisa,
preferirei lasciare incompiuto
il discorso. Magari la botta in testa avesse cancellato una parte di
memoria!
Il mio interlocutore coglie al volo l’indisposizione nel
parlarne e non torna più
sull’argomento. Inizia a svolgere la fasciatura sulla testa,
sospirando poi
alla vista della taglio.
<<
Cavolo April … è molto profondo ci
vorranno dei punti>>
<<
Punti?! O signore, no! Chi li spiega
poi a Catherine>> pensando alla nuova sfuriata di
mia zia. Adesso sono io quella che sospira,
di frustrazione però.
<<
Già bel problema, ma se non li mettiamo
rischierai di prendere infezione e perdere altro sangue eeeee visto il
tuo
fantastico colorito smorto, direi che ne hai perso abbastanza per il
momento.>>
Non posso oppormi, il
medico è lui. Così gli do
il via libera alla sutura del sopracciglio, mentre i suoi fantastici
zoccoletti
sanitari picchiettano sulle mattonelle dello studio. Sfortunatamente
gli
anestetici sono un bene di lusso e, quei pochi e sacri in possesso del
dottore,
vanno usati per i casi più gravi. Non il mio, ovviamente.
Perciò stringo i
denti e trattengo le lacrime quando Rosenberg fa il primo passaggio con
filo e
ago, sterilizzato su fiamma. Il dolore è bruciante e impreco
mentalmente come
se fossi il camionista della peggiore specie. Devo inoltre stringere a
più non
posso il bordo del lettino, altrimenti rischio di: 1- svenire, 2-
allontanare
con uno spintone il dottore, il che non
mi sembra molto carino. Così digrigno ni denti e penso alla
punizione
che riserverò al mio amico domani.
Quando finalmente il
supplizio finisce, la
fronte che scotta e ho le lacrime agli occhi per averli serrati troppo
forte.
<< Brava
bimba, ti meriti questo>>
mi prende in giro il medico, regalandomi un lecca-lecca scarlatto ed
una
carezza sulla testa.
Una caramella! Erano
secoli che non la mangiavo;
di solito quelle che ci sono alla clinica sono per i bimbi e
perciò devo regalarle ai mocciosi, invidiandoli nel vedere
la loro soddisfazione nel succhiare gli zuccherini.
Un sorriso tirato e
stanco, mi distende le labbra. È
bello ricevere un premio ogni tanto. Scarto l'involucro piena di
aspettative e lascio
che lo sciroppo, un po’ troppo dolce, indori la bile che ho
ingoiato fin'ora.
Solo dopo che ho
finito il globo di zucchero,
scopro il dottore seduto sulla sua sedia girevole, intento ad
osservarmi
concentrata tra una boccata e l’altra della sua sigaretta
preferita.
<<
Qualcosa non va?>>
<<
Niente di che, stavo solo pensando. Ad ogni
modo, il pagamento per le cure è la tua prossima giornata di
riposo, da mettere al
servizio dello studio. E visto che sono immensamente buono ti permetto
di
restare qui a dormire, così potrai rimandare almeno di un
po’ la ramanzina che ti aspetta. Affare
fatto?>>
<<
Affare fatto>> concordo. Mi sento
leggermente sfruttata, ma le condizioni sono troppo allettanti per
essere
rifiutate.
<< Ah!
Inoltre dovrai darmi una mano se
stanotte ci saranno dei pazienti. Eloise è in malattia e non
ho una degna
sostituta>> si lamenta.
<<
Brutto doppiogiochista!>>
inveisco. Adesso si che mi ha fregato ed in segno di scuse il dottore
mi scocca
un ghigno furbesco. << E va bene! Sei peggio di uno
strozzino>>
Rosenberg scoppia a
ridere. Mi affretto a
scegliere una branda libera ad un capo dell’infermeria e tiro
la tenda per
riposarmi prima che arrivi gente, scegliendo Mr. Boo come compagno di
letto. Stesa
sul fianco ascolto il dottore comporre un numero ed annunciare a mia
zia che
resterò lì a dargli una mano, poi scivolo
nell’incoscienza non pronta ad
affrontare una nottata quasi insonne.