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Autore: Midnight the mad    24/10/2015    1 recensioni
Jimmy. 20 anni, un fallito. Questo è tutto ciò che c'è da sapere di lui. Almeno fino a quando non decide di andare via dalla città dove ha sempre abitato alla ricerca di... cosa? Neanche lui lo sa.
Ma quello che trova non se lo sarebbe mai aspettato: una periferia piena di parole, una ragazza con lo stesso nome della marjuana e soprattutto una persona senza nome, senza storia, senza vita.
"– Com’è che l’hai chiamata? –
Lei sorride. – Beh, non dice a nessuno il suo nome, tutti se lo chiedono. Dopo un po’, è diventato un soprannome. La cara, stronza, vecchia Whatsername. –"
". – Tu mi guardi e vedi un mistero. Vero? Vedi qualcuno senza storia, senza vita, senza nome. E pensi: “Oh, cavolo, c’è una ragazza capace di nascondere così tanto di se stessa. Stupefacente. Mi piacerebbe tanto capire quali sono la sua vera storia, la sua vera vita, il suo vero nome.” E invece sbagli. Perché c’è una cosa che non ti è mai passata per la testa, ed è che forse non c’è nessuna storia, Jimmy. Non c’è nessuna vita, e non c’è nessun nome. Per questo non riesci a vederli. Perché non esistono. –"
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jesus of Suburbia, St. Jimmy, Whatsername
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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King of the forty thieves and I’m here to represent the needle in the vein of the establishment.  

 
E’ Another brick in the wall a svegliarmi, chissà quanto tempo dopo. Batto le palpebre e capisco che proviene dallo stereo appoggiato per terra. Whatsername non c’è e i cocci della bottiglia sono spariti, ma non le macchie di liquore sul muro. Sono quasi felice per questo; almeno ho una conferma che è tutto successo veramente. Sembra tutto così irreale che quasi non riesco a crederci.
Mi metto seduto e prendo un respiro. L’aria odora di liquore, vomito e sudore. Non è la prima volta che mi sveglio in una situazione del genere, ma decisamente è la prima volta che mi sveglio con un ricordo del genere. Whatsername. E tutto quello che diceva. Cosa avrà voluto dire?
E poi la vedo. Enorme e inquietante. Fisso la scritta sul muro, in inchiostro nero, che risalta come un pugno in un occhio sopra tutte le altre.
No matter what we breed,
we still are made of greed;
this is my kingdom come
THIS IS MY KINGDOM COME.
Faccio un passo indietro. E’ impazzita? E’ mai stata meno pazza di così? Non mi do il tempo di provare a rispondermi. Corro fuori dalla camera e mi avvicino alla porta d’ingresso. Voglio andarmene da qui. Devo andarmene da qui.
Ma poi, eccolo. Un biglietto, attaccato alla porta con lo scotch.
Sul tetto. dice. Vorrei avere il coraggio di chiederti di non venire.
Mi blocco, deglutisco. Perché è estremamente stupido salire sul tetto. E’ stato stupido anche solo venire qui.
Però l’ho fatto.
E sono un idiota.
Non ci metto troppo a trovare la scala. E’ in cucina e arriva a un buco nel soffitto. Fuori c’è vento e il sole manda una luce così forte da far sembrare tutto irreale.
Whatsername e seduta sul bordo del tetto. Non può avermi visto, perciò per un secondo resto immobile. Posso ancora tornare indietro. Andare via, sparire. Tornare a casa mia, in qualche modo. Dimenticare questo posto. Dimenticare lei.
Ma lo so già che non riuscirò a farlo. Perciò la chiamo.
Lei si gira a guardarmi da dietro la spalla. – Ehi. – dice. E’ pallida, ha gli occhi arrossati e i capelli sono un disastro. Non li ha neanche lavati dopo ieri notte (o almeno, credo che fosse ieri notte e che ora sia mattina. Ma mi sento come se la pera me la fossi fatta io, non lei. Mi sembra di non capire più assolutamente niente).
- Hai intenzione di spiegarmi? – chiedo. La voce mi esce strana, quasi seccata. Come se mi avesse costretto a venire qui, cosa che in effetti ha fatto. Lo sa che mi ha costretto, con quel biglietto. Con quella specie di promessa sottintesa.
- Esatto. – risponde. Batte una mano sul cemento accanto a sé, come per invitarmi a sedermi, e io lo faccio. Che altro dovrei fare?
Lei resta in silenzio così tanto che sono tentato varie volte di andarmene. Quando finalmente parla quasi sobbalzo.
- A volte vengo qui. – dice. – Guardo giù, e penso che potrei buttarmi. Mi dico, non sarebbe poi una gran caduta. Probabilmente morirei sul colpo. Oppure no. Resterei agonizzante e paralizzata a terra, e morirei dopo un po’. Sinceramente non so quale delle due opzioni mi piaccia di più. Insomma, credo che in un certo senso uno dovrebbe godersela la propria morte, e il dolore non mi spaventa, ma... Tu hai mai letto I fratelli Cuor di Leone? –
Mi limito a fissarla. Che senso ha questo cambio di discorso?
- Finisce in un modo stupendo, secondo me. Quando lo lessi per la prima volta avevo nove anni e mi misi a piangere. In pratica, questi due fratelli devono morire per finire in un posto migliore, ma il maggiore è paralizzato, e così il più piccolo lo prende sulle spalle e si buttano insieme in un crepaccio, ed è una caduta nel buio, nel vuoto, e poi il fratello minore dice: La luce, Jonathan! Vedo la luce! Un salto nel vuoto verso chissà cosa, verso chissà dove, un battito di ciglia, il buio e ci sei. Anche se in realtà non penso di credere nell’aldilà, ma comunque... – Sospira. – Sai perché non lo faccio mai? –
- No. – rispondo. – Sbrigati, cazzo. –
Lei scoppia a ridere. – Ehi, è la prima volta che lo racconto a qualcuno. Dammi tempo. –
- Non stai raccontando niente. Stai facendo discorsi assurdi e giri di parole come sempre, e alla fine non significano nulla! Tu non significhi nulla! – Sto quasi urlando, ma mi blocco quando la vedo ridere di nuovo.
- L’hai capito. – dice. – Erano secoli che volevo che lo capissi. Che non sono nulla, che non significo nulla. Ma comunque... beh, una storia. Non posso dire di averla ancora. L’ho buttata via un bel po’ di tempo fa, ma se frugo bene magari qualcosa trovo. Comunque non ho ancora finito la mia introduzione. –
Beh, direi che con questo mi ha chiuso la bocca, perciò sto zitto.
- Allora, dicevo. Non lo faccio mai. Potrei. Non ci sarebbe nessuno a fermarmi. Neanche tu mi fermeresti, se lo facessi adesso. – Dondola pigramente i piedi nel vuoto. – Il virus si curerebbe da solo, i martiri andrebbero a puttane e sarebbe tutto ok. Però non lo faccio. Prova a indovinare perché. –
Esito e lei non mi lascia il tempo di rispondere.
- La città. La città che muore. Pensi che se non ci fossi io loro sarebbero ancora tutti vivi, starebbero ancora tutti bene? No, ovviamente no. Quella che gli do io è una possibilità di vita diversa. Ed è folle, è sbagliata, è pericolosa, ma è diversa, e la diversità è quello di cui hanno bisogno per sopravvivere. Se muoio io, tutto questo si sgretola. E per qualche motivo non ho il coraggio di lasciarglielo fare. In realtà... non so perché mi importi. Ma sono... sono la regina dei quaranta ladroni, in un certo senso. Senza di me loro non hanno niente e non sono nessuno, solo io conosco la parola magica per la grotta del tesoro, sono io la parola magica per la grotta del tesoro. Loro sono la mia forza e io sono la loro. Eppure... eppure non è tutto qui, e questo è quello che mi da più problemi, Jimmy. Perché questo non è soltanto un gioco né un modo di vivere. Il virus c’è, e uccide quando trova qualcuno senza abbastanza difese. Lui non le aveva, e inizio a pensare che neanche tu le abbia. –
- Lui chi? – chiedo, ma lei mi ignora.
- Io, caro Jimmy, sono l’ago nella vena dello spacciatore. –
  
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