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Autore: cartacciabianca    20/02/2009    2 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Acri










Un raggio di sole le bruciava sul viso, ma sparì in fretta, oscurato ancora una volta dalle nuvole.
Elena aprì gli occhi stiracchiandosi, sollevò il busto e si guardò attorno.
La Dimora era avvolta da un venticello fresco che le passava sotto i vestiti facendola rabbrividire, mentre riacquistava il senso dello spazio perso nel sonno.
C’era il Rafik, nella stanza accanto, dietro il bancone al quale sedeva il giovane assassino.
Elena si alzò e andò in quella direzione.
-Su via, non puoi certo dire che sia andata tanto male!- rise l’uomo che scriveva su un vecchio libro.
-Lo so!- sbottò il ragazzo dal volto coperto. –Ma avresti dovuto esserci; mi ha tolto il lavoro!-.
Elena si sedette accanto al ragazzo, che la salutò con un cenno della mano. Lei ricambiò.
C’era un cesto di frutta sul tavolo, e pensò che dovesse essere quella la colazione.
L’assassino alla sua sinistra mordeva nervosamente una banana. –Non sopporto quando quelli più grossi fanno così. E da uno come lui non me l’aspettavo- curvò le spalle.
Il Rafik tirò fuori da un cassetto un coltello che poggiò davanti a lei; Elena l’afferrò e prese a sbucciare una mela col sorriso.
-Hai capito, Elena? Il testardo qui si sta lamentando perché Altair ha svolto l’incarico per lui, e non solo- le disse il Rafik appoggiandosi al tavolo.
L’assassino sbuffò. –Non è questo!- disse. –Avanti, quando Tharidl lo verrà a sapere, posso star certo che al grado superiore ci passo l’anno prossimo…- brontolò togliendosi il cappuccio.
Era molto giovane, constatò Elena, forse della sua età o poco meno. Il viso tondo e da bambino con una barba appena superficiale, la carnagione scura e gli occhi verdi.
Le vesti parlavano che quello della sera prima doveva trattarsi del suo primo omicidio, poiché dimostrassero la nomina di assassino appena ricevuta.
Elena tornò alla sua mela, staccandone uno spicchio sbucciato alla volta e mordicchiando lentamente.
-Allora c’è qualcosa che ti è sfuggito, caro- gioì il vecchio. –La tua memoria t’inganna: Altair si è offerto di cedere a te la gloria della missione; nonostante abbia ucciso lui la tua preda-.
Al giovane balenarono gli occhi. –Dite sul serio?- chiese col boccone pieno.
Elena soffocò una risata scuotendo la testa, e staccò un nuovo spicchio.
-Bene- sospirò il Rafik stirandosi la vecchia schiena. –Oggi ci sono molte cose da fare, parlo ad entrambi, quindi sbrigatevi a riempirvi lo stomaco- dicendo così sparì in uno stanzino dietro il bancone.
-Elena, giusto?- domandò l’assassino continuando a mangiare.
Lei annuì, ingoiando. –Sì, tanto piacere. E tu?-.
-Il mio nome è Hani, Elena di Acri- fece un leggero inchino con il capo.
-Hani- ripeté lei. –Di dove sei?-.
L’assassino sorrise. –La mia famiglia vive ad Alhepo, ma da quando sono nato ho passato la mia vita a Masyaf- disse.
Elena, tanto per far passare il tempo più piacevolmente chiese: -Come mai hai deciso di diventare un assassino?- spezzò lo spicchio di mela tra i denti.
Hani si strinse nelle spalle. –Non è stata affatto una mia scelta- mormorò. –è stato mio padre, lui l’ha voluto. I nostri avi più antichi aiutarono nella costruzione della fortezza di Masyaf, solo che fino ad allora non c’era stato nessun genito maschio da donare alla causa degli Ashash. Eh, be’, eccomi qui- realizzò con un sorriso forzato.
-E così- rise Elena. –Il mio maestro ha fatto tutto da solo?-.
-Già- proferì lui mentre una smorfia andava delinearsi sul suo volto. –Aspetta!- borbottò.
Elena lo guardò un istante, il tempo necessario perché cominciasse a fissarla in un modo assurdo. –Tuo… maestro?- quella volta fu lui a ridere.
-Non ci credi?-.
-Grande Mastro Altair tuo mentore? Be’, non me ne stupisco… chissà come ci sarà rimasto male Halef!- disse.
Elena rimase sorpresa. –Conosci Halef?-.
Lui annuì. –Ovviamente, abbiamo la stessa età, eravamo nello stesso gruppo finché lui non mi lasciò indietro aggiudicandosi uno dei posti liberi per gli itinerari di Altair. Dio, stavo pensando che ora ce l’avrà a morte con te!- sbottò indicandola.
-Non credo, insomma, è passato un po’ di tempo…- pensò ad alta voce la ragazza.
-Ah!- rise l’assassino. –Conoscendo Halef te la farà pagare. Sai quanti di noi sognano di prendere lezioni da uno come l’Aquila?-.
-Aquila?-.
-Sì, Altair significa Aquila, e tornando a noi… ti rendi conto dell’onore che hai ricevuto?-.
-Veramente- mormorò lei. –Pensavo che fosse un onore per lui- si girò nelle mani l’ultimo spicchio.
Hani scoppiò in una risata, appoggiandosi alla sua spalla. –certo, certo!-.
Elena lo guardò con rabbia, e il ragazzo arrestò il suo tutt’altro che quieto ridere.
-Il regno delle Dee è scaduto, in tutta sincerità ora vali quanto un novizio. Giusto, c’è da considerare che sei la figlia di Kalel, la grande leggenda… ma le assassine di un tempo si meritarono questo appellativo con la fatica, e se le voci corrono abbastanza, mi pare di capire che hai causato solo guai alla confraternita- disse serio.
Elena sbuffò. –Sto cercando di non pensarci- sibilò.
-È dura, posso capirlo. Se Tharidl ti ha messo al fianco di uno come Altair, lui per primo crede che tu posso risollevare il nome delle tue antenate. In questo ti capisco bene…- Hani distolse lo sguardo altrove, poggiando la buccia della banana da una parte.
Il Rafik ricomparve nella stanza; giusto in tempo, si disse lei. Pochi minuti ancora e sarebbe scoppiata in lacrime.
-Ecco qui, prendete- li disse il vecchio poggiando sul tavolo una custodia di cuoio arrotolata. La stese sul bancone, rivelando che al suo interno c’erano una ventina di coltelli da lancio.
Hani si alzò, recuperando il suo equipaggiamento nella stanza accanto.
-Avanti- le disse il Rafik, ed Elena si riscosse. –Prendi la tua roba e riempi gli astucci- aggiunse.
Elena si legò alla spalla la cinghia con la spada corta e, prendendo i coltellini dalla custodia sul tavolo, si rifornì di tutto punto.
Erano entrambi in piedi nel centro della camera quando il Rafik riavvolse la lunga custodia. –Hani, scortala da Altair. Elena, il tuo maestro ti attende vicino al porto, dove comincerete le indagini-.
La ragazza annuì, e seguì Hani sul tetto della Dimora.
Incredibile, si disse, Altair aveva ragione! Quella mattina fece una fatica dimezzata nell’arrampicarsi sulla fontana, emergendo scattante e pronta all’azione accanto al giovane.
-Tutto bene?- le chiese Hani calandosi il cappuccio sul volto, e lei fece altrettanto.
-Certo!- sorrise gioiosa.
-Ottimo, stammi dietro- e si avviarono.
Il Rafik gettò le bucce della frutta in un cesto nascosto sotto il bancone. –Perfetto!- sbuffò. –E ora chi butta l’immondizia?!- sbottò.

Hani era agile sui tetti, ed Elena riuscì a stargli dietro faticando anche meno di lui.
Si sentiva in un altro corpo, le gambe con le quali correva sui muri per raggiungerne il bordo non erano le stesse della sera prima. Nuovo vigore bruciava in lei, e sentiva quel tiepido tepore viaggiarle dentro il sangue.
Sopra di loro si stagliava il cielo grigio di Acri, e attorno le mille guglie della cittadella. Il caos cittadino li accompagnò per tutto il tragitto, fin quando non furono al confine con il distretto medio qual’era quello del porto.
Elena si sporse e lanciò un’occhiata alla strada.
L’ingresso al molo era attraversato da una marea infinita di gente ben vestita, assieme a carrucole e bestiame diretti alle imbarcazioni.
Soffiava un dolce venticello umido, scortato dal canto dei gabbiani.
La salsedine le pungeva il naso, ricordandole quelle giornate passate a comprare il pesce al mercato del molo assieme a suo padre. Quando Kalel la teneva per mano all’età di sei anni e lei gli camminava affianco trotterellando per tenere il passo. I capelli le ondeggiavano sul viso gioioso e il suo naso si arricciava per la forte puzza di pesce.
La ragazza sorrise, assaporando quei ricordi.
Hani le lanciò un’occhiata indagatrice. –Cos’è quella faccia?-.
Elena non gli rispose.
Quale tortura, pensò. Vedere Acri ancora e ancora le scottava al cuore, la bruciava dentro. Avvertiva un dolore immenso allo stomaco e alla mente solo guardando quei tetti, quella gente e quelle strade.
-Va bene, andiamo…- Hani si calò su una scaletta di legno e in breve fu tra la folla.
Elena lo seguì esitando, voltandosi alle spalle innumerevoli volte. Le sarebbe piaciuto passeggiare di nuovo per quelle strade senza dover nascondere il suo volto, i suoi occhi azzurri che brillavano comunque al buio del copri capo.
La ragazza camminava a distanza da Hani tenendolo sempre sott’occhio. Si confondevano ambi due tra la folla, e più volte lo perse di vista andando per conto suo.
Hani le comparve al fianco all’improvviso e raggiunsero una terrazza che affacciava sull’intero molo.
Le guardie Teutoniche si spostavano compatte per le vie che costeggiavano l’acqua scura del porto; armati fino alle unghie, i tedeschi si guardavano dal minimo sospetto.
-Bel casino- commentò Hani scrutando l’orizzonte.
Elena tacque.
Il ragazzo, dopo un po’, le si avvicinò. –Eccolo- disse indicando un punto indistinto tra la folla.
Elena seguì il suo indice, e colse il suo maestro che si infilava nella massa di gente e veniva verso la terrazza col volto celato dal cappuccio.
Altair intraprese una scaletta di pietra che si congiungeva alla terrazza, e i due assassini gli andarono incontro.
Elena si arrestò dietro di lui, e Hani proferì un inchino. –Grande Altair- mormorò.
-Non qui, sciocco- disse calmo l’uomo.
Hani si raddrizzò indietreggiando.
Elena lasciò che il suo maestro la squadrasse arma per arma, stando dritta e fiera.
-Puoi andare- proferì in fine rivolgendosi al novizio.
Hani chinò appena il capo e scomparve nella direzione da dove erano venuti.
-Hai dormito bene?- le chiese, ed Elena fu colta in contro piede da quella domanda.
-Sì, grazie- mormorò.
Altair alzò in mento. –Allora… avevo ragione o no?- sorrise.
Elena si strinse meglio un guanto annuendo.
-Vieni, cominciamo- Altair si avviò giù per le scale ed Elena lo seguì assorta.
Il suo maestro la condusse tra la folla e poi fuori dalle mura del porto. S’immersero nel distretto e camminarono nella gente, giungendo sul confine nord con il quartiere povero.
Sorgeva una stretta cattedrale, imponente e austera proiettava la sua ombra poco chiara su un cortile che affacciava con una vista mozza fiata sul molo.
Sedettero su una panchina, l’uno affianco all’altra in modo anonimo.
-Le nozioni fondamentali su un’indagine avrei dovuto insegnartele a Masyaf, ma il tempo e… le circostanze hanno voluto che partissimo il prima possibile. Devi sapere, dunque, che non puoi tralasciare notizia che riguarda uno: la tua preda. Due: il luogo in cui vive. Tre: gli uomini che la proteggono o, che come te, la combattono. Quattro: i luoghi cui la tua preda fa visita più spesso. Cinque: se la tua preda sa o no di te…-.
-In questo caso- lo interruppe Elena. –Corrado sa già abbastanza di noi- rise sarcastica.
Alatir sospirò. –Sono contento che tu abbia notato da te il gran numero di cavalieri che ci stanno cercando- disse, ed Elena, come una molla, si guardò attorno spaventata.
-Calma- sorrise l’uomo. –Finché resterai al mio fianco non ti succederà nulla. Confida nel fatto che ho passato situazioni peggiori- ribadì.
Elena l’aveva sempre saputo.
-Allora- riprese Altair. –Se io non fossi qui al tuo fianco, come cominceresti le tue indagini?- le chiese guardandola.
La ragazza non seppe che rispondere. Pensava che sarebbe stato Altair a mostrarle tutto, insegnandole nel migliore dei modi quello che lui aveva sempre fatto. Insomma, lei doveva essere solo la sua ombra, non partecipare così attivamente! Per questo si chiamavano itinerari! La strada era spianata, il cammino era quello già percorso da altri! Elena non si aspettava di dover mettere del suo negli incarichi.
Altair accolse il suo silenzio pazientando in eterno, se fosse stato necessario.
Fortunatamente qualcosa le balzò in mente, un’idea sciocca, ma ottenne ulteriore conferma quando, nell’aria gelata di Acri, si levò il grido di Rashy.
-Forse…- bisbigliò, e il suo maestro si fece più attento.
-Sì? Avanti, non avere paura- le disse interessandosi.
-Dovrei comprarmi un falco- assentì in fine.
Il buio del cappuccio del suo maestro parve allungarsi ulteriormente, come se il sole avesse d’un tratto cambiato la sua angolazione. –Cosa? Come ti è venuto in mente?- le chiese, trattenendo la collera.
Ecco, lo sapeva che sarebbe andata a finire così! Se l’era sempre sentito! Era una stupida ragazzina che guardava il lato superficiale delle cose! Si sarebbe tagliata la testa se solo non fossero seduti nelle vicinanze di una Chiesa!…
-Ho pensato che Rashy… lei fosse la fonte delle vostre ricerche, così…-.
Altair scosse la testa. –Guardi il lato superficiale delle cose, e questo non mi piace. Stai cominciando col piede sbagliato, ti credevo più autonoma e meglio preparata. A quanto pare sei come tutti gli altri miei allievi- sbottò serio.
La sua autostima ebbe un picco verso l’inferno. –Mi spiace- ebbe il coraggio di dire.
-Non capisci? Rashy è solo un mezzo, un animale da compagnia! Non avrai davvero creduto che mi affidassi così ad un pennuto!- rise.
Elena curvò le spalle. –Siete stato voi, quando mi parlaste dei nomi della vostra aquila, a dirmi che ella vi indica la strada, è la vostra guida, un libro aperto. Sapevo di essere negata nell’interpretare certe frasi di saggezza, ma così mi demoralizzate, maestro-.
-Se i miei rimproveri ti abbattono così, allora perdonami-.
Elena alzò gli occhi, cogliendo un leggero barlume nell’ombra del viso del suo maestro. –Non è vostro incarico rimproverarmi e lodarmi nelle occasioni pertinenti? Be’, mi sembra di averla sparata grossa, maestro- piagnucolò con voce sempre più striminzita.
Altair appoggiò la schiena al muro, e un gran sospiro gli gonfiò il petto. –Ti prego, non fraintendere, ma non sono più in me…- mormorò flebile.
La ragazza distolse lo sguardo.
Ah! Era il minimo! Rise. Nove mesi e sarebbe diventato padre! Ah. Ah. Ah… non era divertente.
Rimasero alcuni minuti in silenzio, fin quando Elena non cominciò a credere che il suo maestro, immobile con le spalle alla parete, si fosse addirittura addormentato.
-Vieni- Altair si alzò, senza aggiungere nulla ed Elena lo seguì.
So diressero altrove, lontani da quella zona della città. Attraversarono nuovamente il porto, impiegando parte di un’ora per raggiungere la parte opposta del quartiere medio.
Altair svoltò d’un tratto ed Elena ne perse le tracce nel vicolo buio.
-Sono qui- le disse, e la ragazza guardò verso l’alto.
Il suo maestro si reggeva al cornicione di una finestra, le ginocchia piegate e un braccio a penzoloni con la mano tesa verso di lei. –Avanti, non ho tutto il giorno!- sorrise.
Elena afferrò la presa e Altair la issò senza fatica al suo fianco, aiutandola ad arrampicarsi tra le pietre più esposte della parete e le crepe.
Altair saltò sulla parete opposta, arrampicandosi scattante fino al bordo del tetto.
Elena lo guardò senza battere ciglio, impressionata. –Ma… ma- balbettò.
Altair si pulì la veste e le lanciò un’occhiata. –Cammina- le disse.
Elena si issò sul tetto dell’abitazione che stava scalando e saltò su quella opposta una volta risalita.
Dopo di ché, Altair intraprese una corsa lenta ed Elena gli andò dietro quasi sbuffando.
Le case del distretto erano di livello irregolare, delle volte salirono, della altre scesero e altre ancora saltarono.
Le loro ombre si proiettavano sulle strade senza che nessuno vi facesse caso, erano agili come gatti, silenziosi come topi, e liberi come aquile. Erano assassini, esseri superiori che guardando lo scorrere del tempo dall’alto di una torre e si gettano nel vuoto.
Elena si sentì pervadere dall’orgoglio. Quell’angolazione, quell’aria fresca che non aveva mai provato… era irresistibile. Erano una sensazione di libertà e pieno controllo del proprio corpo, che insieme davano un miscuglio affascinante. Ecco il vero potenziale di un’assassina che prendeva forma nelle sue vene, ecco l’immagine di sua madre che sgattaiolava per quelli stessi tetti alla sua età ed ecco suo padre al suo fianco.
Elena non poté che sorridere a quelle visioni così piacevoli.
Altair la fermò per un braccio tirandola a sé. –Ferma qui- le disse portandola al suo fianco.
Erano con le spalle al muro di un’abitazione, mentre il suo maestro lanciava continue occhiate oltre.
-Che succede?- provò a chiedere.
-Dobbiamo arrivare lì- Altair indicò il piccolo bastione costruito al centro di una piazza esposta con la vista sul porto. Il suo dito puntava in direzione della torre più alta della costruzione.
-Lì?- domandò stupita la ragazza.
L’uomo annuì. –C’è solo un piccolo particolare- aggiunse. –Ci sono delle guardie che controllano l’ingresso a quell’area. Affrontarle è un gesto che possiamo evitare, quindi consiglio di distrarle con ben altro…- sorrise malizioso.
Elena non capiva. –Come?-.
Altair le passò al fianco opposto. –Guarda quell’arciere- indicò un soldato teutonico che imbracciava un arco e sembrava godersi ignaro il panorama.
Elena si stupì che quell’arciere non li avesse visti arrivare, li erano passati poco meno accanto, quasi!
-Come intendete agire?- chiese.
 –Stammi accanto…- le sussurrò all’orecchio, ed Elena lo seguì allo scoperto portando una mano all’elsa della spada corta.
Altair si avvicinò all’uomo voltato di spalle. Con u gesto fulmineo penetrò la carne del collo con la lama nascosta sotto il polso sinistro, e lasciò che il corpo dell’arciere si abbattesse sulla strada, precipitando per più di tre piani.
Nonostante il suo maestro avesse ucciso un innocente, Elena colse il nudo e crudo fascino di quello stile di assassinio. Così pulito e silenzioso che l’uomo, ora accasciato tra la folla in fuga, non aveva avuto il tempo sufficiente per proferire un sibilo.
Elena portò le braccia lungo i fianchi, affacciandosi dal tetto.
Osservò come la gente scappava gridando alla vista del soldato morto comparso dal nulla sul cammino.
-Perché l’avete fatto?- chiese voltandosi a guardare il suo maestro, che però era sparito.
-Maestro?!- si voltò più volte, ma Altair si era dileguato in pochissimo. –Maestro?!- un senso di terrore e sconforto l’avvolse.
D’un tratto, il grido di Rashy la chiamò all’ordine, e la ragazza lanciò una vista a terra.
Le guardie delle vicinanze si erano tutte aggruppate attorno al cadavere dell’arciere chiedendosi chi o cosa fosse stato. Alcuni cavalieri estrassero le armi e si allontanarono in cerca dell’assassino, altri rimasero lì a controllare che nulla di più si manifestasse.
Elena si calò da una scala e si appiattì contro la parete quando degli uomini passarono correndo di lì. Si guardò attorno e raggiunse l’ingresso del forte senza che nessuna guardia, china sul corpo dell’arciere defunto, la notasse.
L’arciere era servito solo come esca, affinché le guardie di ronda e quelle di controllo all’ingresso del bastione lasciassero i posti assegnati.
C’era un magnifico cortile interno nel forte, abbellito da alcune panche e una fontana silenziosa.
Come un richiamo, la ragazza cominciò ad arrampicarsi sulla facciata interna del cortile, aggrappandosi saldamente alle ante delle finestre e alle crepe nella pietra. Raggiunse i corridoi aperti e si issò sul tetto.
-Ehi, tu!- gridò qualcuno alle sue spalle, e la ragazza, nel voltarsi, estrasse fulminea un pugnale da lancio che scagliò contro l’arciere di ronda.
-Assassino!- gridò qualcun altro, ma Elena fece in tempo a colpire anche il secondo soldato prima che proferisse altro.
Il corpo di quest’ultimo si abbatté violentemente sulla strada, ma Elena non gli diede peso.
-Sono toccato, davvero- disse una voce che lei riconobbe subito.
Hani le venne incontro quasi trotterellando, ed Elena rimase dov’era.
-Istinto o bravura?- domandò il ragazzo.
-Nessuno dei due, credo…- rispose lei pensando che era tutto merito di chi l’aveva generata.
-Hmm- sospirò l’assassino. –Comunque- si schiarì la voce attirando l’attenzione di lei.
Elena alzò un sopracciglio.
-Ho incontrato Altair che andava di gran corsa e mi ha detto di dirti che da qui a questo pomeriggio te la devi cavare da sola-.
COSA?! Elena spalancò gli occhi. –COSA?!- ripeté.
-Non chiederlo a me!- l’assassino fece un passo indietro. –Mi sa tanto che ha visto qualcosa d’interessante da qualche parte e non ti vuole tra i piedi. Sai, questa missione è molto importante anche per lui, e mandare tutto al diavolo perché sei troppo lenta ad arrampicarti sui muri non gli è sembrato il caso!- sbottò.
Elena gli lanciò un’occhiataccia. –Ti ha detto questo?!- fece dubbiosa.
Hani scoppiò a ridere. –No, no! Scusa, ma non ho resistito. Però sul serio, il senso più o meno era questo- rise.
-Non sei divertente. Ed ora io che faccio?- incrociò le braccia, guardandosi attorno.
-Be’…- riprese lui. –Un’idea ce l’avrei!-.
Elena sobbalzò. –Sarebbe?-.
-Conta che mi ha anche detto che devo occuparmi io di te. Nel senso… che devo insegnarti qualcosa-.
-Ah, ecco…-.
-Perché? Cosa avevi capito?- lui la guardò storto.
-Mah… nulla, lascia stare. Piuttosto, che consigli puoi darmi?-.
-Eh!- rise di nuovo. –Non si tratta di alcun tipo di lezione teorica, mia Elenuccia-.
La ragazza cominciava a perdere la pazienza. –E allora?-.

-Sei lenta!- Hani la guardava dall’alto del vecchio muro. –Forza! Sei solo pigra, guardati! Avanti! Un po’ di muscoli! Forza!!!-.
Se avesse continuato a gridare così, era il minimo che Corrado stesso non li venisse dietro.
Elena perse la presa dal cornicione, e il suo piede destro scivolò. La ragazza si trovò appena per un braccio solo ad una crepa della parete. Ecco arrivata la sua ora.
Aveva impiegato minuti per scalare quella fetta di muro nascosta dal buio del vicolo, ed avrebbe impiegato un decimo del tempo per cadere giù e sfracellarsi tutte le ossa.
Hani assunse un’espressione preoccupata. –Tutto bene?- le chiese.
-Secondo te?- digrignò lei aggrappandosi a fatica.
La scioltezza non tardò ad arrivare. Muro dopo muro che Hani le dava da scalare, Elena acquistava agilità e familiarità con i diversi appigli, lasciandosi cadere in inganno sempre meno volte. Certo, assieme all’esperienza si fece sentire la stanchezza, che come un topo affamato pareva mangiarsi fette dei muscoli delle gambe e delle braccia.
Hani, d’altro canto, insistette sull’irrobustimento dei legamenti delle caviglie, obbligandola a saltare da altezze sempre maggiori. Insistette con i salti in alto e quelli in lungo, le insegnò a lasciarsi cadere da una sporgenza a quella sottostante.
Ovviamente le lezioni di arrampicata si svolgevano in luoghi poco frequentati, come vicoli per metà avvolti dalle ombre o vecchie rovine di abitazioni, il più possibile lontano da occhi esterni.
All’inizio le era sembrato stupido, banale fare su e giù sulla stessa parete, ma col passare del tempo Elena si accorse che, spronata dai lamenti di Hani e dalla voglia di finire il prima possibile, era diventata capace e agile in solo un pomeriggio.

La ragazza si abbatté di schiena sui cuscini, riempiendo i polmoni dell’aria vissuta della Dimora. A braccia spalancate rimase immobile e con gli occhi chiusi. –Giuro che è l’ultima volta…- borbottò.
Hani andò nella stanza accanto, ridendo. –Non credo proprio, è appena cominciata!- il ragazzo si sedette al bancone, e il Rafik poggiò sul tavolo le Cronache della ragazza.
-Dimmi tutto- assentì il vecchio intingendo la piuma nell’inchiostro.
-Va bene…- cominciò Hani.  -allora, siamo stati a nord del distretto nobiliare, sui valichi meno controllati. Poi ci siamo spostati ad ovest, l’ho fatta salire sulle mura della Chiesa Antica…-.
Il Rafik appuntò ogni singola virgola delle sue attività, ma Elena era con la testa altrove.
Quella mattina non aveva affatto dato il meglio di sé. La giornata era cominciata storta quando la ragazza non aveva soddisfatto le richieste del suo mastro, rispondendo distrattamente alle sue domande. Ripensò a come, e si chiese più volte, come aveva potuto solo pensare che Rashy… vabbé, era un maledetto caso disperato, ma si disse che quelle sue fantasie avrebbero dovuto sloggiare il prima possibile. Se voleva arrivare a Corrado prima dell’inverno, non poteva permettersi di rallentare le indagini del suo mentore in quel modo assurdo ed egoista.
Elena si girò di lato, avvertendo le prime lamentele dei muscoli.
Ecco a cosa si riferiva Hani dicendo che era appena cominciata.
La ragazza si rannicchiò ulteriormente come un gattino in un angolo della strada tra i rifiuti, stringendo un cuscino tra le braccia.
Quei cuscini avevano lo stesso odore e la simile morbidezza di quelli delle sue stanze, che a dirla tutta, già le mancavano. Avvertì un immenso senso di nostalgia per tutte le mattine passate a fare colazione con le donne di servizio della fortezza, i pomeriggi trascorsi a passeggiare per Masyaf, le sere a cenare accanto a Marhim… già, Marhim.
Elena si tirò su d’un tratto, trattenendo il cuscino a sé. Ripeté più volte quel nome nella sua mente, perché Marhim era forse la presenza che più le mancava al suo fianco, assieme ai sorrisi di Adha di quando l’aiutava ad indossare la sua divisa d’assassina.
Rifletté su cosa stesse facendo ciascuna delle persone che conosceva, distante da lei ora più che mai. Provò solo ad immaginare Marhim e suo fratello Halef che correvano per le vie strette di Alhepo con le guardie alle spalle, e fu un’immagine che le procurò un male fugace, che sparì nel momento in cui concentrò i suoi ricordi al bacio di Rhami. Che bastardo, pensò, quell’essere non si meritava un centimetro della sua mente, non aveva il diritto di occupare la sua concentrazione distraendola da ciò che per lei contava davvero, distraendola da Marhim e da quanto si sentisse dispiaciuta della sua partenza inaspettata, alla sua fuga.
Sobbalzò. Pensare a Rhami e Marhim come rivali la riportò alla sera della festicciola che Tharidl aveva organizzato per lei. Quale peggiore baldoria tra tutte, si disse. Rise, perché si ricordava chiaramente di aver buttato giù un intero boccale di birra mentre gli occhi di Marhim la fissavano stupefatti. Si portò una mano alla bocca, lasciando che il cuscino tra le sue braccia le scivolasse di lato.
Il tardo pomeriggio andava colorare le strade di Acri, e un brontolio cupo parve provenire dal suo stomaco senza preavviso.
-Elena- la voce del Rafik la chiamò, e la ragazza si alzò dolorante.
Il vecchio capo sede poggiò sul bancone il cesto della frutta. –Buon appetito- le disse l’uomo tornando a scrivere.
Hani era seduto alla scacchiera, mordicchiava una mela sistemando le pedine nello schema di partenza.
-No, grazie…- mormorò la ragazza facendo un gesto con la mano.
Il Rafik la guardò accigliato. –Ne sei sicura? Non ha mangiato nulla, ho sentito il tuo stomaco fin qui…- le disse premuroso.
Lei scosse la testa. –Posso garantirvi che non era la fame…- si sedette davanti all’assassino, passando lo sguardo sulla scacchiera.
Hani tardò alcuni istanti ad accorgersi di lei.
–Sia giocare?- chiese sollevando gli occhi verdi.
Elena alzò le spalle. –Veramente, mio padre non amava molto questo gioco- sorrise.
-Ecco una grande novità!- sbottò il Rafik improvvisamente, ed Elena si voltò.
Il vecchio le lanciò un’occhiata. –Invece io ricordo il contrario…- borbottò il Rafik.
La ragazza trasalì. –Tu… tu conoscevi mio padre?- balbettò.
Hani addentò il frutto masticando tranquillo. Fece tornare il cavallo al suo posto, raggruppando i bianchi dalla parte opposta della scacchiera.
Il vecchio allungò le labbra in un sorriso e inclinò la testa d’un lato, scrivendo assorto. –Sì, sì…- disse solo.
Elena tornò lentamente dritta di fronte ad Hani. –Ecco una grande novità…- ripeté a bassa voce.
-Cominciamo? Vuoi che t’insegni?- fece Hani col boccone pieno.
Elena, ancora sbigottita, annuì poco convinta passandosi più volte le mani tra i capelli.
Mentre Hani si apprestava a spiegarle come si muoveva ciascuna pedina, Elena si cinse lo stomaco con le braccia. Solo il pensiero che un tempo, tra quelle quattro mura, era passata la sua intera famiglia con indosso le sue stesse vesti, la faceva tremare. Sì, reazione assurda, penserebbe qualcuno, ma Elena si sentiva schiava sempre più delle sue responsabilità ogni giorno che passava con una cintura di cuoio legata ai fianchi.
D’istinto, nel bel mezzo delle spiegazioni di Hani, Elena si alzò e prese a slacciarsi l’intero equipaggiamento.
Se doveva recuperare le forze a pieno, tanto valeva non affaticare mente e corpo col peso di quelle cinghie e quelle armi.
-Stai… bene?- le domandò Hani, ed Elena avvertì la stessa ansia da parte del Rafik, che aveva interrotto le sue scritture.
Elena tornò a sedersi, sfiorando con un dito il cappuccio del pedone. Con un movimento agile e veloce, fece avanzare la pedina di due caselle, scoprendo la regina. –Arrenditi ora!- rise la ragazza.
L’assassino riacquistò il sorriso, ingoiando l’ultima addentata alla mela. –Lo prendo come un sì-.
Gli scacchi erano un gioco complesso, che come tutti gli intrattenimenti da tavola, pretendeva una mente allenata alle regole e ai passaggi più frequenti. Nonostante Kalel fosse stato sempre un gran giocatore ma non le avesse mai insegnato nulla, Elena percepiva che parte del talento del padre scorreva nelle sue vene anche in quella piccola finzione.
Elena spostò il suo cavallo di tre caselle avanti e una laterale, divorando uno dei pedoni difensivi di Hani.
-Non avresti dovuto: era una trappola! Guarda, il tuo alfiere ora è scoperto- l’avvertì Hani.
Elena lanciò uno sguardo al bordo del campo da gioco, dove su un riquadro nero il suo alfiere era ben esposto alla voracità della regina del suo avversario.
-Diamine!- digrignò lei.
Hani soffocò una risata. –Avanti, devi solo acquistare dimestichezza. Posso contare sul fatto che eri distratta?- le chiese amichevole.
Elena sorrise beffarda. –Certo- le guance le si arrossarono.
Hani rimise al suo posto il cavallo della ragazza e fece tornare in difesa il pedone appena divorato. L’alfiere di Elena l’aveva scampata bella.
-Perché l’hai fatto?- domandò sorpresa.
-Eh, ti basti sapere che non mi piace vincere con chi non ha alcun titolo. Se riesci a battermi, alla partita successiva non ti sarà concesso alcun bonus!- rise l’assassino.
Elena aggrottò la fronte. –Vuol dire…- mormorò incredula. –che mi stai facendo vincere?!- sbottò.
Hani si strinse nelle spalle. –Più o meno… sì- disse in fine.
-Maledetto, non è giusto! Per te, ovviamente; ma almeno potevi non dirmelo!- Elena non riuscì a trattenere una risatina acuta.
-Senti, parla per te. Io sono fiero delle mie doti, per ora, ma chissà… se t’impegnassi un po’ di più potresti anche battermi. Sempre e solo “se”- aggiunse il ragazzo.
Elena la colse come una sfida bella e buona, per non parlare dell’accento malizioso che Hani dimostrava nelle sue parole e che mise in pratica nelle mosse successive.
Fortunatamente una buona logica e paterna preparazione all’improvvisazione la portarono a tenere il coltello dalla parte del manico, e in una trentina di minuti circa mise Hani alle strette.
Le fu facile cogliere l’ampio spazio vuoto che separava il suo cavallo bianco dal re del suo nemico, ed Elena mosse l’unico suo alfiere restante a chiudere il sovrano nero nell’angolo della scacchiera.
Hani trasse l’asso dalla manica: la sua torre comparve come dal nulla e si pappò in pochi istanti i due pedoni di difesa restanti della ragazza, che era impegnata a stringere in una morsa mortale il re dell’assassino.
Hani prese fiato. –Scacco matto!- disse in fine.
Quale delusione: tutto vero.
Il re di pietra candida era accerchiato dalla regina nera e dalla sua fedele torre scura. Hani aveva vinto, e le fatiche di lei nel concentrarsi sul suo alfiere e il suo reietto cavallo erano state più che inutili.
La ragazza si abbatté alla sconfitta, e con una schicchera fece crollare il suo re sul campo di battaglia.
Hani sorrise divertito, ma Elena poteva notare la fatica di quella vittoria farsi largo sulla sua fronte: il ragazzo sudava!
-È stata dura, l’ammetto. Hai una perspicacia impressionate. Sicura che fosse la prima volta che giocavi?- si sporse verso di lei, ed Elena prese a risistemare le pedine nella situazione di partenza.
-Te l’ho detto: sì, è stata la mia prima volta!- affermò.
Hani annuì, e si apprestò a ricomporre in modo ordinato le file dei suoi pedoni.
-Vuoi la rivinci…- non fece in tempo a finire, che qualcuno atterrò pesantemente coi piedi a terra nella stanza accanto.
Elena scattò in piedi, a seguito anche Hani e il Rafik si irrigidirono.
Altair comparve nella camera e rimase sull’ingresso. –Ho interrotto qualcosa?- sorrise calandosi il cappuccio sulle spalle. Mosse alcuni passi avanti e afferrò dalla cesta di frutta una mela.
Nel salone calò un silenzio assurdo.
Altair si sedette al bancone. –Non l’avessi mai chiesto…- borbottò sfoderando un pugnale da lancio e cominciando a sbucciare la mela con esso.
Il Rafik si schiarì la gola. –Hani ha irrobustito la tua allieva abbastanza, non hanno fatto altro che scalare lo stesso muro tutto il pomeriggio. Sono distrutti, spero che tu ne sia contento…- fece il vecchio.
Altair la fissò allungo da sotto il cappuccio, ed Elena si riaccomodò lentamente sullo sgabello davanti alla scacchiera, sentendosi perennemente sotto una critica osservazione. Sapeva che Altair poteva numerare la sua massa muscolare solo con uno sguardo.
-Non nego di essere sorpreso…- proferì il suo maestro.
Alla ragazza scappò un sorriso.
Altair terminò la frase. –del fatto che tu non ti sia ancora addormentata-.
Perché la credeva tanto incapace?! Si domandò Elena sbuffando e guardando a terra.
-Piuttosto- riprese il Rafik. –Cos’era tutta questa urgenza?- domandò rivolgendosi all’assassino esperto.
Altair si voltò appena. –C’era un uomo nei pressi del porto, ci seguiva. Lo tenevo d’occhio da questa mattina, e mi sono accorto in tempo che era una maledetta spia …-.
Elena sobbalzò, e Altair notò il barlume di paura che gli occhi della ragazza avevano mandato d’un tratto.
-Esatto- confermò il suo maestro. –Hai presente le spie che seguivano tuo padre, Elena?-.
A quelle parole la ragazza si alzò, avvicinandosi al bancone. –L’avete ucciso, spero!- serrò i denti battendo un pugno sul tavolo.
Il suo maestro rimase colpito da quella dimostrazione di improvviso furore. –Ovvio- rispose comunque calmo. –Non ci darà alcun fastidio, ma questo non nega l’eventualità che ce ne siano altri- affermò cupo.
-I tempi si stringono- commentò il Rafik sospirando.
-Già…- Hani si strinse meglio i lacci del guanto sinistro.
-Non solo, ma Corrado ha bloccato l’accesso al forte di suo padre nel distretto ricco. Nessuno, mercante, monaco o servo che sia, può entrare lì dentro e le mura sono controllate da una moltitudine di arcieri che neppure immaginavo- continuò Altair. –L’unico modo per entrare nella sua tana sarebbe abbattere uno per uno tutti i suoi uomini sui bastioni, ma ciò ci esporrebbe ulteriormente. Da domani io ed Elena intraprenderemo le indagini come si deve nel tentativo di coglierlo alla sprovvista magari fuori dalla città stessa. So che ultimamente Corrado fa parecchi giretti altrove, e non ci lasceremo sfuggire queste rare e ottime occasioni. Sul serio, i tempi si stringono…-.
L’assassino sbucciò per intero la mela, lasciando che la buccia cadesse sulla superficie nella forma di un unico compatto serpentello rossastro. Poi cominciò a tagliarne i primi spicchi.
Elena gli sedette affianco. –Maestro- chiamò.
-Sì?- fece lui senza guardarla.
-Quando- esitò, ma si diede della stupida. –quando faremo ritorno a Masyaf?-.
Il coltellino quasi gli sfuggì di mano a quella domanda, e Altair arrestò la sua manodopera puntando i suoi occhi scuri in quelli di lei. –C’è qualcuno che ti aspetta lì?- si beffò.
Elena scosse la testa. –Scusate, era solo… una domanda- sostenne in un sussurro.
Eppure, si diede lo stesso della stupida. Marhim era in viaggio per Alhepo. Ad aspettarla a Masyaf non c’era nessuno.


   
 
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