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Autore: angix96    25/10/2015    1 recensioni
Ed era lì. Splendida, scintillante, più argentea di quanto mi ricordassi.
La Luna.
Il suo fascio argenteo illuminava tutte le case e le vie come stringendole in un freddo abbraccio. Prima di uscire non avevo controllato, ma ora non potevo che esserne certa vedendo quella palla color latte inca-stonata nel cielo nuvoloso. Era il plenilunio ed io ero come incantata.
Sentii il mio battito cardiaco rallentare.
Ogni fibra del mio cervello mi diceva che dovevo muovermi, ma ogni muscolo del mio corpo mi impediva qualsiasi movimento. Rimase immobile, come se dotato di una sua volontà, senza ascoltare i miei imperativi. Ero paralizzata. Tutto quello che riuscivo a percepire era quell'ipnotizzante sfera nel cielo.
Un battito, poi più niente.
Le ombre della notte mi avvolsero e tutto sparì.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Beast Inside Me

 

Capitolo L


La chiamata a Blake fu un completo disastro.
«Vengo anch’io», aveva detto appena lei aveva finito di comunicargli che si sarebbe fermata a cena a casa di Scott.
«Te lo puoi scordare», gli disse facendo un passo lontano da tutti i licantropi in quella stanza. «Non sei stato invitato».
«Ad allenamento sparisci all’improvviso, così penso che tu sia andata da Elena», inizia a sgridarla aggrottando le sopracciglia. La voce arrivava un po’ squillante dall’altoparlante. «Quindi con tutta la calma di questo mondo sono andato da lei e chi ho trovato?».
Lo sapeva che la domanda era solo retorica, ma non era riuscita a trattenersi. «Elena?».
«Esatto. Solo Elena. Tu non c’eri da nessuna parte. Quindi ho cercato a casa, magari ti avrei trovato lì e - indovina ancora? – niente!».
«Eddai, Blake, ti sto chiamando adesso», sbuffò lei, già stanca della ramanzina.
«Ma lasciare un fottuto messaggio no?», esclamò ancora. «Mettiamo il caso che Katya si fosse già vendicata per stamattina».
Non ci aveva pensato. Non aveva pensato che potesse essere preoccupato per la sua vita. «Scusa…», sussurrò.
Alzò lo sguardo verso la stanza e nello stesso momento quasi tutti i licantropi iniziarono a fare dell’altro. Scott si massaggiò il collo, il fratellino si guardò le scarpe, Tamara iniziò a fischiettare, mentre Cecile finse di cercare qualcosa in un cassetto.
Maledetto udito da licantropo. Come potevano essere tutti così impiccioni? Solo John aveva la minima decenza di non ascoltare, semplicemente perché a lui non interessava minimamente.
Cecile si avvicinò timidamente, per essere a portata del microfono del telefono di Eveline. «Se vuoi puoi venire anche tu a cena».
Eveline la guardò con gli occhi spalancati. «Non si deve disturbare anche per un rompiballe di prima categoria», le disse, aggiungendo le ultime parole alla cornetta, leggermente alterata.
«La ringrazio, signora», fece la voce metallica di Blake.
«Posso unirmi anch’io?».
«Elena?», fece Eveline appena riconobbe la voce. «Che ci fai a casa mia?».
«Ero preoccupata per te, scema», disse secca.
«Non credo sia un problema», disse Cecile in un sorriso.
«Che cosa possiamo portare?», chiese Blake.
«Da quando sai cucinare?».
«Candice si è offerta di preparare qualcosa per ringraziare per l’ospitalità». Ora metteva anche in ballo sua nonna.
Si misero d’accordo per trovarsi dopo mezz’ora e i suoi due beta furono puntualissimi. Cecile andò ad aprire con un timido sorriso e si trovò davanti Blake che le porgeva una pirofila di torta salata.
Li fece accomodare e fece le presentazioni – Kit, ecco come si chiamava il fratellino di Scott.
Eveline sospirò per quell’intromissione dei suoi amici, cosa che le fece ricordare che anche un’altra sua amica stava aspettando sue notizie.
 
“Tutto bene, ancora nessuno spargimento di sangue”,
Scrisse al telefono e inviò il messaggio ad Anya, che rispose prontamente dopo pochi istanti.
“Se succede qualcosa, sono lì in quattro minuti, pronta a salvarti a spada tratta”.
Rise nel leggere quelle parole.
“Oh, grazie, mio prode cavaliere”,
Scrisse prima di rimettere in tasca il cellulare, per poi riprestare attenzione alle persone nella sua stessa stanza.
 
Elena stava guardando Tamara e John. «Siete molto carini».
Eveline alzò un sopracciglio a quell’affermazione. Che cosa intendeva?
Tamara sbuffò. «Dillo a lui», indicò John con un cenno di capo. «Continua a pensare che io sia troppo piccola».
«Perché magari lo sei?», disse John aggrottando le sopracciglia, ma non con fare arrabbiato.
«Ho ventisei anni!», replicò guardandolo dal basso, quasi come una bambina che puntava i piedi. «Continui a vedermi come una bambina di sei».
«Per me sarai sempre quella bambina di sei anni». Era un sorriso? Sul volto di quell’omone inquietante si era appena palesato un sorriso? Uno di quelli dolci?
Eveline non capiva davvero quello che stava succedendo. «Sono metà», la illuminò Scott che aveva indovinato i suoi pensieri. Beh, così le cose avevano più senso. «John ha dieci anni in più di Tamara e continua a farsi remore perché pensa di essere troppo grande per lei».
«Un pensiero idiota, se mi permetti», puntualizzò Tamara e John alzò gli occhi al cielo.
«Che ne dite se ci sediamo a tavola?», fece la voce diplomatica di Cecile, probabilmente abituata a quei continui battibecchi.
Presero posto, Evee al fianco di Scott e di fronte a Blake a sua volta vicino a Elena. All’altro fianco di Eveline c’era Tamara che sorrideva.
«E tu, Kit, hai trovato la tua metà?», chiese Elena al suo vicino di posto che si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli.
«Non tutti sono fortunati come Scotty che sentono il ringhio della propria metà», sbuffò, spostando con la forchetta un pisello che non aveva la minima intenzione di mangiare.
«Non tutti sono fortunati da avercela una metà», replicò Elena con una nota di rimprovero e una di tristezza nella voce.
«Oh, beh», fece Kit alzando le spalle e inforcando un pezzo di bistecca. «Per quanto mi riguarda, mi va bene aspettare tutto il tempo necessario, l’importante è divertirsi come ha fatto Scott». E mangiò il boccone, masticandolo più volte, ignorando completamente le reazioni di quelli attorno a lui.
Eveline stava sorseggiando dell’acqua e le andò di traverso, uscendole dal naso, bruciandole le narici. A Scott, invece, andò di traverso del cibo e iniziò a tossire diventando completamente rosso in volto.
Blake alzò le sopracciglia con un sorrisetto, non avrebbe mai pensato che Scott si fosse dato da fare… Elena rimase a bocca aperta, non per la notizia in sé – insomma, era un ragazzo di diciannove anni, carino, che voleva solo divertirsi, era una cosa normalissima –, ma per come quel ragazzino l’aveva detta.
Tamara era scoppiata a ridere vedendo le reazione di tutti, aveva persino le lacrime agli occhi. Cecile era arrossita, non le faceva molto piacere sentire delle avventure di suo figlio. John invece non aveva mosso ciglio. Semplicemente non gli interessava.
«Ahia!», ululò stridulo Kit guardando bieco suo fratello. Gli aveva appena tirato un calcio sotto il tavolo. «Che c’è? Ho semplicemente detto la verità».
«Non farne una colpa di Kit se tu passavi da un fiore all’altro». Tamara sorrise nel dire quelle parole che avevano quel divertente e allo stesso tempo sottile doppio senso. «Non prendertela, Eveline. In fin dei conti non ti aveva ancora incontrato».
«Perché dovrei essermi arrabbiata?», chiese con una voce che tradiva completamente il suo stato d’animo alterato. Non era così brava a recitare come pensava.
«Sei la prima che ci fa conoscere», continua l’altro licantropo sorridendole, cercando di sollevarle il morale.
«Di sicuro non la prima che si porta a casa…», borbottò ancora Kit che venne fulminato da Scott con uno sguardo sempre più fiammeggiante, quasi desiderando di bruciarlo vivo o di folgorarlo per farlo smettere di parlare.
«Christopher», lo richiamò Cecile. «Andresti a prendere del sale, per favore?». Kit sbuffò, ma si alzò e ubbidì alla madre.
Scott lanciò un’occhiata a Eveline che era irrigidita al suo fianco. Strinse le labbra, leggermente indeciso. Non si era mai preoccupato prima dei sentimenti di una ragazza. Beh, era anche la prima volta che provava una cosa del genere. La prima e l’ultima volta. Perché lei era la sua metà e non sarebbero riusciti a fare a meno l’uno dell’altro mai più. Ci aveva provato ad allontanarla, ma aveva fatto troppo male, a entrambi.
Cercò la sua mano sotto il tavolo e la intrecciò alla sua, ma Evee non si voltò verso di lui.
La conosceva da poco, da soli due mesi, ma aveva già imparato a capire almeno un po’ le sue reazioni e in quel momento tutto quello che riusciva a leggere nella sua schiena ritta, la posizione rigida e l’immobilità del suo sguardo era rabbia. Rabbia mal celata pure.
Sospirò allentando la tensione sul collo muovendolo un po’. Certo che la sua metà non era affatto una tipetta facile.
Tamara, per alleggerire la tensione, si rivolse a Blake. «Ryan, tu l’hai già trovata la tua metà?».
Fu il turno di Blake di soffocare. «Diciamo che non è andata bene», disse nel momento esatto in cui Kit si risedette a tavola.
«Si è rivelata una stronza?».
Si alzò un «Kit!» stridulo da parte di Cecile e Tamara per sgridare il bambino per la parolaccia appena detta, ma lui le ignorò, tenendo lo sguardo fissato su Blake.
«Abbastanza», rispose ricambiando l’occhiata. «Ci tenevo più io di lei».
Le chiacchiere imbarazzate vennero bandite fino alla fine della cena, quando Blake ed Elena decisero che era ora di tornare a casa.
John li fermò prima. «Visto che la vostra alfa si è messa nei guai con questo bambino…».
«Ehi!», si lamentò Scott. Infondo era pur sempre il suo alfa, doveva portargli un po’ di rispetto.
«… deve essere pronta a combattere per la sua vita», lo ignorò, come se fosse l’insetto più insignificante di tutto il mondo. «Deve essere allenata».
«Sono qui, ne siete consapevoli?», chiese secca, senza nessuna espressione nel volto. Non le era ancora passata l’irritazione per le battute precedenti sulle numerose conquiste di Scott.
«Devi essere allenata», ripeté, questa volta rivolto verso la diretta interessata.
Simpatico, davvero molto simpatico.
«Non ha tutti i torti», disse Scott seguito da cenni di consenso da parte di Blake.
«Non mi interessa se ha ragione oppure no, non prendete decisioni per me», sbottò incrociando le braccia al petto.
«Che differenza c’è dagli allenamenti con me?», chiese Elena, leggermente stanca dei comportamenti altalenanti del suo capriccioso alfa.
«Quelli te li ho chiesti io!».
«Questi te li stanno suggerendo loro». Le due ragazze sbuffarono contemporaneamente. «Eveline, si stanno solo preoccupando per te, non capisco perché tu te la debba prendere».
Evee fece schioccare le labbra, perché no, non si stavano preoccupando per lei, si preoccupavano per ciò che lei rappresentava. Un punto debole del loro branco. Peccato che lei non avesse la minima intenzione di entrare a far parte di quel branco. A lei importava soltanto di Scott.
Come se avesse letto tutto il suo fastidio nel volto, la prese per mano e si congedò da tutti gli altri, portandola fuori con sé con la scusa di riaccompagnarla a casa.
Era bello sentire le loro mani intrecciate, ma rimaneva il fatto che non le era ancora andata giù la rivelazione delle numerose ragazze che l’avevano preceduta.
E ancora una volta, Scott diete atto delle sue mitiche facoltà di lettura del pensiero. «Non puoi prendertela per delle ragazze che ho conosciuto prima di sapere della tua esistenza». Aveva ragione, ma le dava fastidio lo stesso pensare a tutte quelle ragazze che non erano lei tra le braccia della sua metà. La sua era gelosia bella e buona. Una gelosia completamente irrazionale e ridicola, ma pur sempre gelosia.
Per questo aveva messo il broncio e non parlava. Era troppo difficile mantenere la calma in quel momento. Aveva paura di dire qualcosa di stupido. E lei non voleva essere stupida, come in realtà sembrava ed era a tutti gli effetti.
«Per me, ora ci sei solo tu», le sussurrò, prendendole il viso tra le mani. La smorfia offesa si rilassò un po’, quando incontrò quegli splendidi occhi grigi che tanto amava. Perché sì, c’era ancora la questione irrisolta che lei lo amava e lui non lo avrebbe mai saputo, per il suo stupido e ridicolo orgoglio.
Scott sorrise a quegli occhi azzurri che erano diventati il suo cielo e le passò un braccio sulle spalle, per poi ricominciare a camminare verso casa di Eveline.
«Lo so che non ti piace l’idea e che richiamare in ballo la questione ti farà arrabbiare», se ne uscì, ed Eveline aspettò il “però” che avrebbe seguito, senza preconcetti o rabbia repressa pronta a sgorgare e ad attaccare. «… però quegli allenamenti ti servono davvero. Non voglio che nessuno possa farti del male». Forse fu quella frase aggiunta con un tono dolce e tenero che fece sciogliere il suo cuore rivestito di orgoglio e rancore.
Rimaneva però il fatto che non voleva sembrare di aver ceduto a quel tono dolce e alle sue preoccupazione, quindi se ne uscì con un: «Magari se sono con te potrei anche sopportarli. Insomma, chi si farebbe sfuggire l’opportunità di picchiarti a proprio piacimento?».
Scott sorrise. Certe volte Eveline sapeva proprio essere tenera.
   
 
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