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Autore: Carme93    25/10/2015    1 recensioni
Una nuova generazione alle prese con la propria infanzia ed adolescenza, ma anche con nuove minacce che si profilano all'orizzonte. I protagonisti sono i nuovi Weasley e Potter, ma anche i figli di tutti gli amici che hanno partecipato alla decisiva Battaglia di Hogwarts. Da quel fatidico 2 maggio 1998 sono ormai trascorsi ventun anni...
Genere: Avventura, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alastor Moody, Famiglia Dursley, Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Famiglia Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo diciannovesimo.

Scoperte spiacevoli

Albus era seduto alla scrivania e tentava di finire i compiti di Difesa, gli aveva lasciati per ultimi perché il padre era riuscito a liberarsi solo la sera prima per spiegargli ciò che non aveva capito. La spiegazione era stata molto chiara, adorava ascoltare suo papà perché sapeva come spiegare i concetti più complessi al contrario di Robards; nonostante ciò in un’ora non aveva scritto nemmeno una pagina. Ogni frase che buttava giù, puntualmente la cancellava pochi secondi dopo: li sembrava che nulla sarebbe andato bene al suo professore.
Si voltò di nuovo verso la finestra alle sue spalle, non avrebbe saputo dire se alla ricerca di ispirazione o di una semplice distrazione. Un puntino in lontananza attirò la sua attenzione. Si muoveva in modo strano. Si avvicinò per vedere meglio: erano sicuramente due gufi. Uno dei quali era Ombrosus. Comprese subito che c’era qualcosa che non andava: l’altro gufo decisamente più grosso trasportava il suo. Spalancò la finestra con il cuore in gola e si spostò per fargli passare. Un urlo gli rimase bloccato in gola, quando vide il suo gufo insanguinato ed apparentemente privo di vita. No, non apparentemente. Il gufo più grosso gettò Ombrosus a terra e volò via.
Al si sentì impotente e non si preoccupò nemmeno di asciugarsi le lacrime che li bagnavano le guance, mentre guardava il suo gufetto ucciso senza pietà e con l’uroboro inciso a fuoco sul dorso.
*
«Signore, ho i risultati dell’autopsia. Sono arrivati ora dal San Mungo».
Harry alzò il capo dalle carte che stava firmando e fece segno alla ragazza di avvicinarsi.
«Che dicono?» domandò aprendo la cartellina.
«Quell’uomo è morto per aver ingerito della ricina. È il più potente dei veleni esistenti al mondo e nessuno ad oggi è riuscito a creare un antidoto. Per essere chiari è sette volte più potente del veleno di un cobra e seimila volte più del cianuro. Viene estratta da un’euforbiacea, il ricinus communis, diffusa in tutto il mondo ma originaria dell’Asia e dell’Africa, ed in forma inselvatichita anche in Italia. Alcuni gruppi terroristici babbani la usano come minaccia alla stregua di un’arma biologica. Oltre che per ingestione la ricina si può assumere per inalazione o iniezione. Il guaritore Goldstain ha aggiunto una nota alla fine del referto: ritiene che l’uomo non doveva essere al corrente delle caratteristiche di questo veleno perché l’ha visto con i suoi occhi leccarlo dal colletto della divisa, ma già le sue narici si sono impregnate della tossina nel momento in cui ha strappato il colletto della veste».
Harry annuì: il ragionamento di Anthony era corretto, ma poneva solo ulteriori interrogativi.
«Chi era quell’uomo? L’avete scoperto?».
«No, signore. Non aveva documenti con sé. Abbiamo buoni motivi per pensare che sia entrato clandestinamente in Gran Bretagna».
«Diciamo pure che è stato fatto entrare… Diramate la sua foto agli altri Ministeri, voglio sapere da dove proviene».
«Si, signore».
Harry vide la ragazza tentennare un attimo come se volesse chiedergli qualcosa, impiegò qualche minuto per ricordarsi della richiesta di permesso che glie era passata tra le mani quella mattina. Decisamente aveva a che fare con troppi documenti. Era la parte che gli piaceva meno del suo lavoro.
«Elisabeth, ho firmato il tuo permesso questa mattina» le comunicò con un lieve sorriso. Aveva preso in simpatia quella ragazza fin da quando si era diplomata all’Accademia pochi anni prima. Era un ottimo Auror, sempre presente e sempre attenta. La vita era stata un po’ ingiusta con lei. E con chi non lo è? Era una ragazza-madre, ma proprio per questo la stimava moltissimo.
«Grazie, signore», replicò lei evidentemente sollevata, «Davie si è preso l’influenza e volevo portarlo al San Mungo per un controllo».
«Tranquilla, assicurati che non sia nulla di grave».
«Harry».
Gabriel Fenwick entrò nell’ufficio con un’espressione alquanto preoccupante accompagnato da un agente della Squadra Speciale Magica.
«L’agente Jefferson, ha un messaggio per te dal Capitano Steeval».
«Capitano Potter, questa mattina ci è stato segnalato uno scoppio di magia in un quartiere babbano. Una nostra pattuglia si è recata sul posto. C’è stato un omicidio ed il Capitano Steeval vuole che lei lo raggiunga sul posto con i suoi uomini. Non mi ha dato spiegazioni in merito».
Harry si trattenne dall’imprecare.
«Gabriel chiama Ron e un altro paio di uomini. Preparatevi ad intervenire».
Gabriel annuì e si affrettò ad obbedire.
«Dove?» chiese all’agente Jefferson.
«Nell’Est End, signore. Un orfanotrofio babbano, che si chiama Isola felice o una cosa del genere».
Harry sentì un macigno sullo stomaco: era lo stesso orfanotrofio dove era cresciuto Samuel.
«Elisabeth vieni anche tu».
«Sì, signore».
*
«Al, mi presti una pergamena… Oh, santo Merlino, che diavolo è successo?».
James si avvicinò al fratello e lo scosse.
«Ombrosus… io… io non lo so…».
«Mi sa che è colpa mia… perdonami Al. Sul serio io non potevo sapere…» mormorò costernato, cercando di ignorare la paura che si faceva spazio nel suo cuore.
«Tu? Cosa centri tu?» domandò con voce bassa e minacciosa Albus, voltandosi verso di lui.
James sapeva che suo fratello era sì una persona mite e di indole pacifica, ma anche la sua pazienza aveva un limite e quando si arrabbiava non disonorava le generazioni Potter e Weasley che lo avevano preceduto e quindi si affrettò a spiegare. Non aveva voglia di litigare, si sentiva davvero in colpa per quello che era successo.
«Samuel non mi voleva dire a chi scriveva e quindi ho mandato Ombrosus a seguire il suo gufo con un biglietto in cui chiedevo al destinatario di identificarsi. Sir era a caccia, non potevo certo aspettarlo» aveva tentato di fare un discorso logico e conseguenziale, per far capire al fratello le sue buone intenzioni, ma da come lampeggiarono i suoi occhi verdi capì che non ci era minimamente riuscito o comunque Albus era al di là di ogni ragionevolezza.
«TU HAI FATTO COSA? IO TI AMMAZZO».
James cercò di parare l’assalto, ma l’altro per quanto mingherlino ci mise tutta la sua energia e si ritrovarono riversi a terra. James cercò di evitare i suoi pugni, senza reagire: sapeva di meritarselo. Ignorò anche i suoi insulti sconclusionati, misti alle lacrime.
*
«Harry».
Harry si avvicinò al Capitano Steeval.
«Odette Flan, sessantacinque anni, nubile. Dirigeva l’orfanotrofio da undici anni. Babbana. Harry, che diavolo volevano i Neomangiamorte da questa donna?» concluse indicando l’uroboro inciso sulla parete dietro la scrivania.
Harry si passò una mano tra i capelli e poi rispose: «Credo centri Samuel Vance. È cresciuto in quest’orfanotrofio. La donna com’è morta?».
«Un’avada kedavra. Semplice ed indolore. Vieni a vederla da vicino».
Il corpo della donna si trovava vicino alla scrivania. Ad Harry non piacque: era una di quelle che cercavano in ogni modo di sembrare più giovani di quel che erano ed alla fine risultavano più ridicole che altro. La osservò per qualche secondo e poi si rivolse nuovamente a Terry Steeval.
«La sua espressione… sembra sorpresa…».
«Infatti… e la posizione del corpo? Hai notato? Non sembra che stesse cercando di proteggersi o scappare» replicò l’altro, mostrando di essere giunto alle stesse conclusioni.
«Quindi conosceva l’assassino» concluse Harry.
«Signore?».
Harry si voltò verso il più giovane dei suoi uomini. Aveva dato loro ordine di affiancare nelle indagini gli agenti della Squadra Speciale Magica appena erano arrivati: il caso era loro, Terry li aveva chiamati per questo non certo per una consulenza.
«Edward, dimmi».
«Uno dei cassetti della scrivania era chiuso a chiave. L’abbiamo forzato per verificarne il contenuto».
«E quindi?» lo esortò.
«Abbiamo trovato una serie di monili, per lo più di quelli che solitamente vengono donati ai bambini appena nati: piccoli orecchini, medagliette d’oro, qualche ciondolino a forma di crocefisso».
«La donna probabilmente li aveva sottratti ai bambini» costatò Terry.
«Questi però sono particolari» aggiunse il ragazzo, mostrando loro un medaglione d’oro massiccio ed un lamina argentata. Harry li prese e li osservò insieme a Terry.
 «Questo è sicuramente di Samuel. È una runa questo simbolo inciso sulla lamina», disse Terry, «È eoh, nota anche come ehiwaz. Se non ricordo male significa resistenza».
«Anche il medaglione appartiene ad un mago» s’inserì Edward.
«Come fai ad esserne sicuro? È solo un medaglione, potrebbe appartenere a chiunque» replicò Harry.
«Mi permetta di insistere, signore. Vede questo simbolo?», chiese, indicando l’incisione sulla superfice aurea: un serpente a tre teste dall’aria particolarmente minacciosa. «È quello della famiglia Selwyn. Mio padre mi ha costretto ad imparare a memoria tutti gli stemmi araldici delle famiglie Purosangue più antiche quando ero piccolo. Inoltre le famiglie purosangue donano sempre la bulla al nuovo rampollo. Ho un medaglione simile con lo stemma della mia Casata».
Harry lo osservò sorpreso per qualche istante. Gli credeva: Edward apparteneva all’antica famiglia dei Burke e a questo genere di tradizioni vi era avvezzo fin da bambino purtroppo. Quell’informazione non lo rallegrava di certo: non era altro che l’ennesimo tassello che collegava al piccolo Samuel.
«È possibile. La madre di Samuel era una Selwyn».
«Quindi la Flan ha tolto la lamina ed il medaglione al bambino quando è arrivato all’orfanotrofio… potrebbero esserci i Selwyn dietro questa storia?» ipotizzò Terry.
«Potrebbero. Ma per quello che ne so, l’ultima Selwyn ha lasciato il paese circa sei anni fa».
«La Flan o il bambino avevano contatti con lei? Siamo sicuri che lei non sia più tornata?».
«No, ma indagheremo» sospirò Harry.
«Io ed i miei uomini siamo a disposizione».
«Grazie, Terry».

Harry lasciò i suoi uomini ad analizzare il piccolo ufficio ed a interrogare i presenti e rientrò in ufficio.
«Mandami Landerson» disse alla sua segretaria.
Il giovane Auror lo raggiunse poco dopo con il suo immancabile sorriso beffardo sul volto.
«Mi ha fatto chiamare, signore?».
«Sì. Manda all’orfanotrofio dove c’è stato l’omicidio una squadra di obliaviatori e parla con il Capo dell’Ufficio Relazioni con i Babbani vorrei che intervenissero o facessero intervenire qualcuno perché non piace il modo in cui vengono trattati quei bambini».
«Agli ordini signore». Fece per andarsene e poi tornò indietro lievemente imbarazzato, atteggiamento strano per lui. «Ah, signore… dimenticavo… in sua assenza l’ha cercata Teddy… mi ha chiesto di riferirle che se non ha impegni urgenti sarebbe il caso che lei andasse a casa».
«A casa?», domandò alzandosi di scatto, «che cos’è successo?».
«Non lo so… Teddy non me l’ha spiegato».
Harry si precipitò fuori dall’ufficio, cercando di ragionare: Teddy era rimasto a casa con i ragazzi perché lui e Ginny erano entrambi a lavoro, senza contare che Lily non aveva la minima voglia di studiare e solo sollecitata in continuazione tendeva ad applicarsi e Teddy era la persona più adatta a seguirla; il suo figlioccio non avrebbe mai chiamato senza un buon motivo, ma allo stesso tempo non doveva essere qualcosa di grave in caso contrario Teddy avrebbe insistito con Landerson e sarebbe stato chiamato mentre era all’orfanotrofio. Fuori dal Ministero si smaterializzò in un vicolo deserto. I suoi sensi allenati per prima cosa, quando mise i piedi sul giardino sul retro di casa sua, li dissero che non c’era nulla di strano. La piccola villetta era tranquilla. Rincuorato spinse la porta sul retro della cucina ed entrò in casa. Sentì voci concitate provenire dal piano di sopra, ma nulla di preoccupante. Salì al piano superiore e vide che erano tutti radunati nella stanza di Albus.
«In Difesa dovreste essere bocciati tutti», disse irritato facendoli sobbalzare, «non mi avete sentito arrivare e la porta della cucina era aperta. Vi ho detto un milione di volte di chiuderla!».
«Me la sono dimenticata. Scusa zio» replicò Rose.
«Mi dispiace di averti disturbato al lavoro Harry, ma ho ritenuto opportuno farlo… ecco vedi…» iniziò Teddy incerto, costatando il nervosismo del padrino.
«JAMES HA UCCISO IL MIO GUFO» urlò Albus.
Harry lo osservò basito: presentava il labbro inferiore gonfio ed una guancia graffiata, ma soprattutto non era da lui alzare la voce in quel modo. Sembrava sconvolto.
«Al? Tutto ok?».
«Ombrosus è stato ucciso» mormorò indicando il gufetto che nessuno aveva ancora toccato su ordine di Teddy.
«Sì, ma non sono stato io… cioè è colpa mia, ma non sapevo! Non volevo che finisse così» biascicò James.
Harry prese nota del volto graffiato del primogenito: «Avete fatto a pugni?» chiese severo. Se c’era qualcosa che proprio non tollerava era chi alzava le mani per risolvere le contese, a maggior ragione se si trattava dei suoi figli. I due assunsero un’espressione colpevole che rispose da sola.
«Li ho sentiti litigare e sono venuto a controllare, li ho separati ed Albus mi ha detto del suo gufo».
Harry si passò una mano tra i capelli per mitigare la rabbia. Vano tentativo.
«Mi sono spaventato! Mi hai chiamato per un loro litigio?» chiese rivolgendosi direttamente al figlioccio.
Teddy sospirò, intuendo che il padrino non aveva afferrato la situazione essendo più interessato a costatare che stessero tutti bene: «Naturalmente no. Harry, il gufo è stato marchiato con l’uroboro».
Harry impiegò qualche secondo ad elaborare le sue parole, dopodiché in pochi passi si avvicinò all’esserino che non aveva nemmeno notato e che Al gli aveva indicato. Si inginocchiò e lo osservò per qualche minuto. Evocò una scatola e lo mise là dentro.
«Dove lo porti?»
Si alzò e guardò il figlio minore dritto negli occhi: vi lesse paura, la stessa che aveva quando Ginny l’aveva portato via dalla stanza da letto della zia Muriel ormai defunta. Sentendo la rabbia scivolare via, istintivamente lo accarezzò senza però distogliere lo sguardo: «Voglio farlo esaminare».
«Perché l’hanno ucciso?».
«Al, cercherò di scoprirlo… a chi l’avevi mandato?».
«Chiedilo a James. È colpa sua».
James, senza aspettare che lui gli ponesse la domanda, raccontò come aveva visto Samuel scrivere a qualcuno e di come non avendo ottenuto spiegazioni, dopo aver litigato con lui, avesse scritto il bigliettino per il misterioso mittente e mandato Ombrosus per scoprire qualcosa.
«Ma sei impazzito?», sbottò Harry, «Chi credi di essere a mandare certi bigliettini ed aspettarti anche che ti venga risposto?! Non ho parole per la tua stupidità!».
James ascoltò a capo chino il resto della predica: cavoli se si sentiva stupido.
«Samuel a chi diamine scrivi?» domandò poi Harry, ponendo la sua attenzione sul ragazzino, che per tutta risposta scoppiò in lacrime.
«Oh, Merlino» borbottò Harry, che non era minimamente dell’umore per sopportare certe reazioni.
Fortunatamente gli venne in aiuto Teddy: «Samuel rispondi alle nostre domande. Ti sei messo in qualcosa di troppo grande e pericoloso per te. L’altro giorno siete stati attaccati dai Neomangiamorte ed ora il gufo di Al è stato ucciso. Quelle persone non scherzano».
«Prima credevo che fosse la mia mamma a scrivermi… anche la direttrice dell’orfanotrofio diceva così… poi quando mi hai raccontato che non c’è più, non sapevo a chi credere. Le ho scritto una lettera chiedendole spiegazioni. Mi ha risposto che hai mentito e che non dovevo crederti. Mi ha detto che voleva incontrarmi, sapevo che non mi avreste dato il permesso così quando avete detto a James che avremmo potuto andare a pattinare da soli gliel’ho detto. James mi ha visto è a cominciato a fare domande. Nella lettera che ho inviato a Vigilia di Capodanno le ho detto che non volevo più avere a che fare con lei… una mamma non farebbe mai quelle cose vero?».
Harry voleva sbattere la testa contro il muro: con quale cuore si poteva ingannare un bambino che non desiderava altro che conoscere la sua famiglia?
«Mi dispiace che tu non mi abbia creduto… ora consegnami immediatamente tutte le lettere che ti sono state inviate» avrebbe voluto consolarlo e rassicurarlo, ma non era in grado in quel momento e si rese conto di aver parlato come se avesse uno dei suoi uomini davanti o meglio uno dei suoi uomini che stava per mandare a farsi un bel po’ di guardie ad Azkaban per punizione. Infatti Samuel terrorizzato obbedì subito e corse nella sua camera, dopo pochi minuti tornò con una scatola di latta che gli consegnò.
All’interno trovò una serie di lettere, di cui scorse rapidamente le date nel silenzio generale: alcune risalivano a molti anni prima. Si tolse gli occhiali e si passò una mano sul volto. Qualcuno scriveva al bambino da anni spacciandosi per la madre e quel qualcuno non aveva buone intenzioni; la direttrice Flan era al corrente di tutto ciò e probabilmente conosceva il mittente. Ma che cosa volevano da Samuel? Quel bambino non aveva nulla di particolare: nessun potere fuori dalla norma e un intelligenza nella media. Proprio non capiva. Sospirò e si rimise gli occhiali.
«Le lettere sono sequestrate e guai a te se qualcuno che non conosci ti scrive e gli rispondi senza comunicarlo a me o quando sarai ad Hogwarts ad un insegnante. Per questa volta chiuderò un occhio. È chiaro?».
«Sì, signore» rispose lui, tirando su col naso.
Aveva parlato di nuovo da Capo Auror? O Merlino quando era arrabbiato non riusciva a non farlo. Per mitigare il rimprovero lo accarezzò e gli scompigliò un po’ i capelli. Samuel sembrò tranquillizzarsi un pochino.
«Io devo andare adesso. Teddy per favore sistema i graffi di Jamie ed Al… Quanto a te James mi pareva di essere stato chiaro su che cosa sarebbe successo se ti avessi beccato ad alzare le mani, o no?». James annuì avvilito. «Bene, stasera mi aspetto che mi consegni il tuo manico di scopa».
«No, aspetta papà», lo richiamò Albus ed Harry si voltò verso di lui interrogativo, «Sono stato io ad iniziare, lui ha cercato solo di difendersi. Non voleva fare a botte… ha cercato di respingermi e ho sbattuto contro il letto… ecco perché ho il labbro gonfio… non è stato lui». Albus arrossì sia per la confessione sia molto probabilmente per l’ennesima prova della sua goffaggine.
Harry incrociò le braccia al petto e lo osservò per qualche secondo, non sapendo che cosa dire: solitamente nelle loro liti la vittima era sempre stata Al e per questo se l’era presa subito con James. Tentava sempre di essere equo nel giudicare i figli, ma Albus sembrava davvero sconvolto, anzi lo era: il fatto che avesse alzato le mani sul fratello ne era un segno equivocabile.
«Per favore uscite tutti?» chiese retoricamente. Obbedirono senza protestare. Una volta rimasto solo con il figlio, lo invitò silenziosamente a sedersi sul letto e si pose accanto a lui, circondandoli le spalle con un braccio.
«Mi dispiace per Ombrosus, Al» avrebbe voluto assicurargli che gliene avrebbe comprato un altro anche quel pomeriggio stesso, ma si disse che avrebbe dimostrato il tatto di un elefante visto che il figlio era affezionato al suo gufetto.
«Sono stupido, vero? A reagire così? Era un gufo, non una persona» disse lui quasi in un sussurro.
«No, non sei stupido. E gli animali sono creature viventi e lui era affezionato a te… credo che in caso contrario sarebbe scappato dopo tutte le volte che Freddie, Lily, Lucy e James hanno tentato di usarlo come cavia dei loro esperimenti». Albus fece un lieve sorriso in replica ed Harry lo interpretò come segno che si stava calmando. «Anche io ho sofferto quando Edvige è stata uccisa. Era una bellissima civetta bianca, un regalo di Hagrid per il mio undicesimo compleanno… ve l’ho raccontato, no?».
Albus annuì.
«Papà, davvero mi dispiace per come ho reagito… non punire Jamie per favore… se gli vieti di giocare a Quidditch ad un mese dalla partita con i Tassorosso Freddie lo uccide… e poi è colpa mia».
«Non lo farò tranquillo, non ho intenzione di punirlo per qualcosa che non ha fatto… è stato molto stupido a mandare quella lettera, ma credo che questo l’abbia capito e poi se c’è qualcuno che ha sbagliato siamo io e la mamma perché non ci siamo preoccupati della corrispondenza di Samuel… Ciò non toglie che avreste potuto farvi male, mi raccomando Albus i gesti compiuti per rabbia sono pericolosi e spesso inutile… ora che ti sei calmato, pensi di aver ottenuto qualcosa azzuffandoti con Jamie?».
Al scosse la testa, biascicò delle altre scuse ed appoggiò la testa sulla sua spalla.
«Quegli uomini vogliono farci del male?» chiese dopo un po’.
Harry fu colto alla sprovvista dalla domanda, ma poi preferì rispondere sinceramente: «Sì, ma farò di tutto per proteggervi».
 
   
 
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