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Autore: Deneb_Algedi    26/10/2015    8 recensioni
Dopo l'errore nella partita Bayern Monaco-Amburgo, i dirigenti prendono la decisione di mettere Wakabayashi sul mercato.
Come reagirà Genzo alla notizia?
Un viaggio in Spagna, pochi mesi dopo la fine dei Giochi Olimpici, tra incomprensioni di coppia, madri esaurite, gemelli troppo vivaci, emozionanti sfide e nuovi avversari, potrà essere d'aiuto al famoso SGGK?
Da quale squadra ricomincerà la sua carriera?
Genere: Generale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tsubasa era arrivato al ristorante da circa quindici minuti. Genzo aveva insistito affinché si avviasse da solo. Diceva che Sanae sarebbe giunta con un taxi dopo di lui. Ciò avrebbe reso più intrigante l’incontro tra i due, sosteneva.
Mentre ripensava alle parole del portiere, la sua attenzione venne attirata da un taxi che si fermò a pochi metri da lui.
Vide scendere Sanae che, notato il marito, si avviò con passo incerto verso il giovane, il quale rimase a bocca aperta.
La squadrò dalla testa ai piedi, era bellissima, sembrava una Dea.
“Allora Wakabayashi non sbagliava quando diceva che saresti rimasto di sasso!”, scherzò la ragazza, “Devo dire che è davvero bravo a dispensare consi…”
Tsubasa non aveva seguito nemmeno una parola del discorso della moglie e anzi non le fece finire la frase. Le prese il delicato viso tra le mani e la baciò con dolcezza, “Sei meravigliosa, amore mio”, le sussurrò dopo essersi staccato con difficoltà dalle sue labbra.
La ragazza arrossì, colpita dal gesto romantico e improvviso del ragazzo, “Stupido, non lo sono sempre?”.
“Andiamo”, la prese per una mano e insieme entrarono nel lussuoso ristorante.
“Buonasera, ieri ho prenotato un tavolo”, si rivolse al maître.
“Buonasera a voi, il nome?”, chiese con gentilezza l’uomo.
“Oliver Hutton” rispose sicuro Tsubasa, destando la curiosità della moglie.
L’anziano maître sorrise sotto i baffi, riconoscendo lo stratagemma del ragazzo, “Vogliate seguirmi”, gli invitò, guidandoli verso un tavolo appartato. “Vi porto subito la carta dei vini”.
“Lei è molto gentile”, lo ringraziò il giapponese, poi vedendo che Sanae stava per sedersi scattò, come all’inseguimento di una palla, verso la ragazza.
“Aspetta”, scostò la sedia e la invitò con galanteria a sedersi prima di lui.
“Va bene, il gioco è bello quando dura poco, dove hai nascosto mio marito?”, domandò fingendosi impaurita.
Tsubasa rise passandosi poi una mano dietro la testa, come soleva fare quando era nervoso o imbarazzato. “Diciamo che il vecchio Tsubasa non esiste più, ora ci sono io, se per te non è un problema!”, esclamò stando al gioco.
“No no per me va bene così. Ma dimmi una cosa… cos’ è questa storia del falso nome? E soprattutto, come è possibile che tu abbia trovato la disponibilità per una prenotazione in questo posto, ieri?”.
“Ho assicurato che avrei pagato il triplo e anche di più, se era necessario. Per quanto riguarda il nome è stata un’idea di Genzo. Lui quando usciva con qualche ragazza, trovava sempre i paparazzi ad attenderlo fuori dal locale. Secondo la sua teoria, quando qualche persona famosa prenota in un ristorante, i gestori del locale avvertono i giornalisti, che puntualmente si fiondano a fotografare il vip”.
“Ecco perché non si sente nulla, sul suo conto. Usa un nome falso!”.
“Mi sembra che il suo sia Benjamin Price”, tentò di ricordare.





Genzo starnutì improvvisamente, “Vuoi vedere che ho preso un raffreddore “, pensò.
“Bene, visto che non riuscite a dormire, vi racconterò una storia”. Prese una sedia e si sedette accanto al lettino, dove riposavano Daibu e Hayate.
“Vi parlerò del primo incontro tra vostro padre e me. Tutto iniziò con un pallone scagliato nell’enorme giardino della mia casa a Fujisawa”.





“Sanae… c’è qualcosa di cui vuoi parlarmi?”, il volto del Capitano si oscurò. Posò forchetta e coltello e guardò intensamente la moglie.
La ragazza abbassò lo sguardo, cercando di trovare le parole adatte per iniziare il discorso.
Tsubasa si accorse della sua difficoltà e allungò il braccio per prendere la sua mano, stringendola con delicatezza, “Sanae guardami, per favore”.
Lei alzò gli occhi, incrociando quelli decisi del ragazzo.
“Noi siamo una coppia molto giovane e magari non conosciamo tutte le dinamiche che compongono un matrimonio. Ma una cosa la so. Non dobbiamo commettere l’errore di chiuderci nei nostri silenzi, nella vana speranza che l’altro o l’altra, comprenda i nostri sentimenti. Il dialogo deve essere la base del nostro matrimonio”.
Sane, rassicurata dal suo discorso, decise di esternare le preoccupazioni che, da alcuni mesi, attanagliavano il suo animo. “Ti vorrei più vicino, Tsubasa. Sei stato concentrato su te stesso, da sempre. Io venivo dopo il calcio. Ma questo lo capivo, dopotutto eravamo solo ragazzini e non sarebbe stato giusto ostacolare tuoi sogni. Anzi, se avessi rinunciato ad andare in Brasile per stare con me, ti avrei spinto a tornare sui tuoi passi. Non avrei vissuto serenamente la nostra storia d’amore, sapendo che avessi accantonato il tuo sogno”.
“E di questo io ti sarò sempre grato”, la interruppe Ozora.
“Ma dopo il matrimonio e ancora di più dopo la nascita dei nostri bambini, io speravo che avresti dedicato parte della tua vita a me e ai gemelli. Non siamo mai riusciti a ritagliarci del tempo, solo per noi due. Mi sto occupando di Daibu e Hayate solo io. Gli allenamenti e le partite ti tengono sempre fuor casa e quando ci sei, sei talmente stanco che non riesci a far niente”.
Il numero dieci della nazionale giapponese strinse il pugno della mano sinistra.
“In un certo senso mi sembra di vivere la storia dei miei genitori. Con mia madre che ha badato a me e a mio fratello quasi sempre da sola. Ma io non sono nella stessa situazione di mio padre, che lavora lontano dalla famiglia per mesi. Lui, una volta finito il suo turno, torna in cabina e l’unica cosa che può fare e abbracciare la foto della moglie e dei figli. Per anni mi sono chiesto come potesse andare avanti senza avvertire il calore di un abbraccio. Invece, io sono qui vicino a voi, eppure sono più assente di mio padre”.
Trasse un lungo respiro pensando alle sue giornate. Usciva presto la mattina per correre, tornava a casa, faceva una rapida doccia e andava agli allenamenti rimanendo il più delle volte fuori orario. Amava allenarsi anche quando tutti erano andati via. Come quando era un ragazzino.
“Come un ragazzino”, ripeté ad alta voce, “Sanae, quando ero piccolo dedicavo tutta la mia giornata al calcio, studio permettendo. Ma potevo farlo perché non avevo alcuna responsabilità. Invece ora sono un marito e un padre ed ho delle responsabilità verso la mia famiglia. Sanae, perdona la mia ingenuità. D’ora in avanti tutto sarà diverso”.
La ragazza aveva le lacrime agli occhi. Non aveva mai sentito un discorso così sofferto e amaro da parte del marito.
“E sai qual è la cosa buffa?” disse Tsubasa, cercando di stemperare la situazione.
“Qual è?”.
“Che Wakabayashi ci aveva azzeccato in pieno. Pur non essendo sposato è riuscito a capire quali erano le cose che non andavano nel nostro rapporto”.





“E fu così, che solo grazie agli insegnamenti di Roberto, vostro padre riuscì a battere il Super Great Goal Keeper… etciù”, starnutì ancora.
“Maledizione, non ho preso mai un raffreddore in Germania, che diavolo succede?”, imprecò ad alta voce, dimenticandosi per un attimo che, accanto a lui, c’erano i gemellini che stavano dormendo. Quell’attimo fu fatale.
Uno dei bambini cominciò a piangere, infastidito dalla voce che lo aveva appena svegliato.
“No, no sta zitto Daibu, o Hayate, chiunque tu sia”. Prese il piccolo in braccio portandolo velocemente in cucina, per non rischiare di svegliare l’altro diavoletto.
“Ma guarda se Genzo Wakabayashi, il più grande dei portieri deve fare da balia a dei mocciosi”, considerò, dando delle pacche leggere alla schiena del bambino, per convincerlo, invano, a smetterla di spaccargli i timpani… e anche qualcos’altro.
“Che tu sia dannato Tsubasa Ozora, spero proprio che tu possa perdere la partita di domani!”, maledì l’amico, reo di averlo lasciato in quella situazione.
Non fece in tempo ad insultare Ozora che qualcun altro aveva deciso di rendere ancora più insopportabile quell’inferno.
Il cellulare prese a vibrare e il portiere, imprecando, rispose forse con un po’ troppa irruenza.
“Pronto!”.
“Wakabayashi, buonasera. Sono Louis Van Gaal, se vuoi chiamo in un altro momento?”, lo salutò l’allenatore del Barça con un tono incerto, dopo aver sentito la voce piuttosto alterata del portiere.
“Buonasera, ma no sono libero”, rispose velocemente il SGGK, sorpreso della sua telefonata.
“Ecco, io volevo ancora scusarmi per aver disdetto il nostro appuntamento di ieri sera... purtroppo la partita di Domenica sta occupando tutte le ore delle giornate precedenti alla sfida”.
“Immagino che lei sia impegnato ad ideare delle tattiche per fermare il Real Madrid?”.
“Infatti. Come il mio collega Del Bosque, credo. Comunque, ti ho chiamato perché non ho dimenticato l’importanza del nostro incontro. Wakabayashi, tu sei un grande portiere e io voglio proporti di giocare nella mia squadra”.
Genzo sorrise alla notizia, “Grazie di aver pensato a me, sono onorato di ricevere un offerta da un Club così importante”.
“Ma sono sicuro che noi non siamo l’unico Club ad aver pensato a te, sbaglio?”, replicò scherzosamente.
“No, no, la lista è molto lunga”.
“Io non so se tu abbia già preso una decisione, però voglio che tu ci rifletta bene. Noi vogliamo gente come te. Vogliamo persone carismatiche”.
“La ringrazio nuovamente, le dirò… io non ho ancora deciso, ma le farò sapere qualcosa sicuramente prima di Gennaio”.
“Spero che la risposta sarà affermativa. Allora a presto Wakabayashi”, terminò la chiamata il mister.



Genzo, dopo che ebbe finito di parlare, si appoggiò al tavolo della cucina, massaggiandosi le tempie. La lista dei Club aumentava e ben due squadre spagnole desideravano averlo come loro numero 1. Per non pensare alle proposte italiane, francesi e inglesi.
La scelta era sempre più difficile.
   
 
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