Anime & Manga > Detective Conan
Segui la storia  |       
Autore: Peach Blossoms    26/10/2015    3 recensioni
Dopo tre anni dal primo incontro con Shinichi, l'Organizzazione scopre che il ragazzo è ancora vivo e ha intenzione di farlo tacere una volta per tutte. Lo scontro tanto temuto è alle porte: gli Uomini in nero, capeggiati dal misterioso Capo, contro Conan, spalleggiato dall'FBI e dalla CIA. Conan si trova davanti ad una dura scelta, che metterà a dura prova il suo amore per Ran e il suo spirito coraggioso di giovane detective.
Genere: Avventura, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Heiji Hattori, Jodie Starling, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo IV, “Notti Rosa”

Piccola precisazione: questo che state per leggere -che non definirei un vero e proprio capitolo- rappresenta più una digressione del racconto. Ho deciso di dedicare questa parte unicamente alle figure femminili presenti nella storia, ai loro pensieri ed umori. Un po’ perché volevo approfondire i loro personaggi, che altrimenti avrei trascurato, e un po’ perché mi piaceva l’idea di poter mostrare, attraverso queste donne, come la stessa vicenda potesse essere vissuta con punti di vista anche molto diversi tra loro.
Questa raccolta di pensieri coincide con l’ambientazione temporale della storia principale, quindi durante la notte in cui Shinichi ed Heiji hanno avuto l’ultima conversazione ;da qui, il titolo Notti Rosa.
Mi scuso in anticipo per avervi “illuso” che Helter Skelter fosse andata avanti e avesse finalmente preso una piega più entusiasmante rispetto ai precedenti capitoli (lo confesso anch’io, ha un ritmo piuttosto lento) e vi prego di portare ancora pazienza. Prometto che la svolta arriverà molto presto.
Detto questo, spero la  piccola parentesi vi piaccia e vi auguro una buona lettura.
Peach Blossoms



Tokyo, casa del Dottor Agasa, ore 00.00

Oggi ho riflettuto molto.
Per quanto mi ostini ad odiarlo, mi risulta davvero impossibile. Da una parte questo mi spaventa, perché solo ora mi rendo conto di quanto, nei momenti più tristi, il mio amore per lui possa farmi male tanto da farmi desiderare di non averlo mai conosciuto –anche se poi mi pento subito di aver anche solo pensato una cosa simile; dall’altra mi sento fortunata perché posso dire, nonostante la mia giovane età, di aver amato veramente. Un sentimento puro e profondo che non merita di essere gettato al vento, per quanto doloroso possa essere mantenerlo in vita.
Il mio amore per Shinichi è come una fiamma: se troppo alimentata diventa indomabile, in assenza di ossigeno muore; va tenuta sotto controllo, con pazienza e costanza. I ricordi dei momenti belli vissuti insieme sono come dei legnetti che ravvivano il fuoco, riscaldando il mio cuore, la sua lontananza è come neve fredda che gela ed irrigidisce il mio spirito.
Ho riflettuto sugli ultimi tre anni trascorsi nella speranza che tornasse, ed ora che è qui, ho lasciato che la rabbia e il rancore prevalessero.
Questi sentimenti sono cresciuti come un cancro dentro di me: silenziosi, si espandevano veloci ad ogni chiamata non risposta, ad ogni appuntamento rimandato, ad ogni lacrima che scendeva quando, seduta su una panchina del parco o ad una tavola di un bar, realizzavo che lui non sarebbe venuto.
Ad ogni singola delusione.
Il brutto di questa malattia è che spesso i sintomi compaiono quando ormai è in uno stadio già avanzato e a quel punto ti rimangono poche possibilità. Così la mia rabbia e il mio rancore si manifestarono di colpo quella sera, appannandomi la mente e non lasciandomi altra scelta che scappare.
Questa mattina la lucidità mi ha permesso di fare ordine nella mia mente: non avrei dovuto lasciarlo solo, dopo quello che ha passato; lui in fin dei conti non mi ha mai abbandonato, è sempre stato al mio fianco, e ora più che mai capisco il perché del suo comportamento e gli sono grata per avermi sempre protetto, mettendo la mia vita al primo posto… il mio fratellino. A pensarci ora, mi viene da ridere. Ma di una cosa sono ancora fermamente convinta: mi ha sottovalutato.
Io l’avrei capito, l’avrei aiutato e sostenuto con tutta me stessa. L’avrei protetto dalle sue paure, dalle sue ansie… e perché no, perfino dagli stessi Uomini in nero. Ma lui è troppo nobile, troppo gentile, troppo fiero per ammettere di aver bisogno di aiuto. Con quello sguardo presuntuoso, di chi è intelligente e sa perfettamente di esserlo, quello sguardo a volte perfino irritante, così sicuro di sé e così maturo… quello sguardo che ogni giorno mi fa innamorare. Quello sguardo devo salvarlo, ad ogni costo.
Per questo ora sono qui, a mezzanotte, a casa del Dottor Agasa.
Ho aspettato che si fosse addormentato profondamente e poi mi sono intrufolata; devo trovare indizi circa l’Organizzazione e so già dove posso trovare ciò che mi serve.

La scorsa sera, dopo aver sdraiato Shinichi sul letto e averlo medicato, ho trovato sul pavimento il suo cellulare. Era acceso, e il display segnalava ben dodici chiamate perse, nove da parte di Eisuke, una di Heiji e due di Ai e un messaggio da un numero sconosciuto. Diceva:
Ho mandato le informazioni che mi chiedevi sul sito di condivisione dell’FBI.
Codice: WZXa12S221KO

In quel momento non potevo comprendere il suo significato, ho pensato  solo che fosse qualche indicazione su un caso che stava risolvendo. Per qualche motivo strano, ho voluto comunque scrivere su un bigliettino quel codice.

Cercando di non fare rumore, accendo il computer del Dottor Agasa, ho visto spesso Conan maneggiarlo con fare molto serio. Controllo la cronologia di internet, e come sospettavo, non trovo nulla di sospetto. Come posso trovare il sito di condivisione dell’FBI? Certamente non è di dominio pubblico… chiudo la finestra e rimango a fissare il monitor in cerca di idee.
Allora forse potrebbe averlo salvato come documento, no troppo rischioso… beh, controlliamo comunque…
Senza sperarci troppo, digito FBI nella barra di ricerca e come previsto compare una sola cartella, che con l’FBI non ha nulla a che vedere. “Assassin's creed II Conan E.”
Sbuffo, passandomi una mano tra i capelli. Non sono portata per fare il detective… Aspetta un attimo, Conan non giocava mai ad Assassin’s creed; ricordo benissimo che una volta lo definì “il gioco più inutile e noioso della storia dei giochi”. Perché mai dovrebbe salvare i dati di un gioco che odia?
Decido di aprire la cartella e per poco non mi lascio sfuggire un urlo di vittoria. L’avevo trovato!
FBI
inserire codice:

Inserisco con attenzione le lettere e i numeri che compongono la password e in un attimo accedo al sito. Entro nella posta elettronica, la cui icona segnalava una notifica. Subito compare un documento lungo alcune pagine: leggo diversi nomi in codice, Borboun, Gin, Vodka.. certo, sono gli Uomini in nero! Scorro velocemente le pagine senza leggere attentamente. Noto alcune foto, raffigurano tutte una donna dai capelli argento, molto bella. Incuriosita da questa donna, decido di leggere qualcosa in più sul suo conto.
nome in codice: Vermouth
età: 40/50 anni
  Cosa? Non è possibile, ne dimostra meno di trenta!
nazionalità: americana
nome di battesimo: Sharon Vineyard/Chris Vineyard

Sharon Vineyard? Rileggo più volte quel nome. Non può essere, lei è la donna che ho conosciuto a New York con Shinichi, lei è l’attrice famosa, lei…
Sotto, altre foto mostrano la somiglianza tra le due donne. In effetti sono molto somiglianti, ma questo non vuol dire che… no, non voglio crederci. Leggo altri appunti, date, descrizioni minuziose di azioni e crimini, prove che convalidano la tesi che Sharon Vineyard  e Vermouth, membro dell’Organizzazione, sono la stessa persona. L’analisi del confronto delle due impronte digitali non mi lascia altra scelta che credere in quei documenti. D’altra parte questi fogli sono sfrutto delle ricerca dell’FBI, devono per forza essere attendibili.
Però io… fatico a crederci. Quella donna, per giunta amica di Yukiko… una donna così gentile, così in gamba, così bella che ricordo ancora l'invidia che provai non appena la vidi. Possibile che sotto quel viso delicato, si nasconda una criminale internazionale?
D’un tratto, un rumore mi riporta alla realtà. Il Dottor Agasa si è svegliato, lo sento scendere le scale. Devo andarmene subito! Spengo il computer in fretta e mi precipito fuori dalla finestra, da dove ero entrata poco prima. Corro più veloce che posso, la testa mi pulsa e il cuore mi batte all’impazzata.
Ho in mente solo l’immagine di quella donna, del fazzoletto che mi ha regalato, e quella frase…

Chissà se in questo mondo esiste un essere superiore… certo che se da qualche parte ci fosse un essere superiore, tutti quelli che lottano per sopravvivere dovrebbero ricevere una ricompensa, non credi? No, mi dispiace, ma a me purtroppo nessun angelo ha mai rivolto un piccolo sorriso… neanche una volta.



                                                                                                                                       
Osaka, casa Toyama, ore 01.30

Sento una goccia di sudore freddo percorrermi la tempia e poi scivolare lungo il viso, raggiungere il mento e cadere veloce verso il collo, continuando poi la sua corsa tra le curve del mio seno. Il brivido che provoca mi desta. Mi sento inquieta, probabilmente ho fatto un brutto sogno ma non ricordo bene. Con dei movimenti sgraziati mi allontano di dosso le coperte calde e il contatto dell’aria fresca con il mio corpo accaldato mi dà un senso di sollievo. Mi alzo, rimanendo seduta per qualche secondo con gli occhi persi, fissi sulla parete di fronte a me. Lo specchio rotondo riflette il mio volto stanco e sciupato, semi illuminato dalla luce chiara della luna: le occhiaie violacee e la pelle screpolata intorno agli occhi sono la prova lampante degli ultimi due giorni trascorsi in lacrime.
Mi rendo conto di essere cambiata molto negli ultimi anni: il viso allungato non è più quello di una bambina, i miei lineamenti sono quelli di una giovane donna; il mio seno, ora più prosperoso, è in pieno sviluppo e insieme ai fianchi leggermente più larghi, regala al mio corpo una siluette elegante.
Ma anche nella mia testa qualcosa è cambiato, ma in peggio.
Cosa ne è stato della ragazzina forte e impulsiva di una volta? Quella matta e sconsiderata, disposta perfino a pedinare il ragazzo di cui è innamorata, mossa dal dubbio e dalla paura che lui stia incontrando un’altra donna? Quant’ero imbarazzante … non più di adesso, in realtà.
Sono diventata una piagnucolona, questa è la verità. Chi mai si innamorerebbe di una piagnucolona?
Almeno nel pedinare Heiji mi divertivo, quell’energia e quell’adrenalina mi facevano sentire viva. Tante volte sono apparsa strana agli occhi degli altri, ma in quei momenti non mi importava: avevo una missione e l’avrei portata avanti ad ogni costo. Guardatemi ora… sono morta dentro, e brutta fuori.
Abbandono il letto e mi dirigo verso la finestra, con dei movimenti lenti e scoordinati,  come se le mie braccia e le mie gambe fossero legate a dei fili e manovrate da un burattinaio alle prime armi. Spalanco le ante e mi siedo sul davanzale della finestra. E’ una notte silenziosa, nessuna macchina passa per la strada che è scarsamente illuminata dai lampioni. Una leggera folata di vento fa volare da terra alcune foglie secche, creando un suono particolare. Mi sporgo pericolosamente e riesco ad afferrarne una. Insieme al dolce fruscio del vento, mi sembra di sentire le parole di Heiji…

“Sì, questo caso è più importante di te!”

Devo apparire davvero insulsa ai suoi occhi, se perfino uno stupido caso è più importante di me.
Avvicino la foglia al viso, giocando a sfiorarmi il naso e  ripercorro con la mente la discussione di quel pomeriggio; una lacrima torna a rigarmi il viso…

- Dove vai questa volta?- gli chiesi incuriosita, mentre lo guardavo sistemare dei vestiti nel solito borsone blu.
- Devo risolvere un caso importante a Tokyo.- rispose con un’insolita freddezza, a cui però non feci caso.
- Perfetto! Dopo tanto tempo potrò rivedere Ran!- esultai, saltellando qua e là per la stanza.
- No, non hai capito. Io vado a Tokyo, tu rimani qui.- se una risposta secca non mi aveva affatto insospettito, due- e per giunta di seguito- mi fecero spaventare.
- Cosa dici? Io vengo sempre con te, sono la tua dipendente no?- cercai di sdrammatizzare, l’atmosfera stava diventando improvvisamente tesa.
- Non più.- e siamo a tre; un’altra di queste e non avrei incassato il colpo. Era il mio turno, decisi di andarci pesante.
- Scegli: rimani con me o vai a Tokyo.- rimasi stupita io stessa dal tono brusco con il quale avevo pronunciato quella frase, ma un ultimatum mi sembrava la cosa più adatta per mettere fine a quella assurda discussione.
- Ho detto che vado a Tokyo, punto.-
- Quindi valgo meno di questo stupido caso?- sapevo di aver lanciato una mina pericolosa che poteva esplodere da un momento all’altro.
- Sì, questo caso è più importante di te!- ma quel punto esplose solo il mio cuore.


Quanto odio queste lacrime. Ho pianto fin troppo, troppe volte a causa sua e troppo volte davanti a lui. Ho lasciato che vedesse ogni mio punto debole, e lui l’ha sfruttato davvero bene: solo quattro colpi sono stati sufficienti ad affondarmi… perfino il Titanic ha avuto vita più lunga.
Con due dita sfoglio velocemente il mio diario, che era rimasto nascosto sotto i libri di scuola, ed apro una pagina a caso.

22 Dicembre
Caro diario, oggi ho trascorso il pomeriggio con Heiji. Mi ha portato a pattinare… che stupido, lo sa che non sono capace! Sono caduta tante di quelle volte, ho ancora  le gambe e le braccia piene di lividi. Stavo per mollare, ma poi ho visto Heiji che guardava beato una pattinatrice, era bellissima e danzava in modo elegante e sensuale. D’un tratto ho sentito una strana energia invadermi tutto il corpo, ho trovato la forza di alzarmi e con tutta la buona volontà di cui disponevo, ho cominciato a pattinare. Non ci crederai mai, caro diario, ma ho fatto addirittura una piroetta! A quel punto Heiji si è avvicinato a me, e sorridendo mi ha svelato che quando divento determinata e combattiva, sembro quasi bella… Sono così felice!


Poso la foglia in mezzo alle due pagine e richiudo dolcemente il diario. Mi manca la vecchia Kazuha.
Porto il diario vicino al naso e con un ampio respiro assaporo il profumo di pagine invecchiate. Quelle parole sono state per me come una rivelazione e d’un tratto tutto mi sembra più chiaro: ogni volta che Heiji si mostra protettivo nei miei confronti, che mi abbraccia e si prende cura di me cresce dentro di me il mio amore per lui e subito arrossisco felice; ma nello stesso momento, ogni protezione, ogni abbraccio ed ogni cura mi ammosciano, mi rendono passiva e sempre più dipendente da lui. Più cedo alle sue attenzioni, e più si indebolisce la mia “difesa immunitaria”. Come posso essere combattiva, se non mi è più permesso di combattere? Come posso essere determinata, se ogni mia scelta viene a presa da altri? Senza accorgermene sono diventata una parassita, e per giunta piagnucolona.
Ma queste parole non celano alcun rancore verso Heiji, dio solo sa quanto mi riempiono di gioia i suoi momenti di tenerezza; io provo rancore verso me stessa, che mi sono abbandonata completamente a quei rarissimi attimi di pura felicità, trascorrendo ogni altro momento nell’attesa e nella speranza di poterne vivere altri. La mia avidità è così forte che non mi sono neppure fermata a pensare se a lui, quelle attenzioni, regalano la stessa felicità che regalano a me.
Ma qualcosa mi dice che tornerò presto ad essere la vecchia Kazuha, quella che amo. Sento che sta per accadere qualcosa, ma per ora il mio presentimento è ancora avvolto nella nebbia.
Torno nel letto e mi ricopro fino al mento. Mi sento serena e speranzosa, come una bambina che compila la lista dei buoni propositi per l’anno nuovo e non vede l’ora di realizzarli.
 Ancora frastornata dall’ondata di ricordi che ho rivissuto, chiudo gli occhi.
Domani prendo il primo treno per Tokyo.


                                                                                                            
                                                                                                                                   
 Tokyo, base FBI, ore 01.50

Come previsto, non riesco a prendere sonno. Condivido la camera con l’agente Jodie e sembra che anche lei non riesca ad addormentarsi; vedo che si agita, rigirandosi in continuazione nel suo futon.
Il mio è decisamente corto, i piedi fuoriescono dalla trapunta e non riesco a riscaldarli.
Però non mi dispiace affatto, anzi, in un certo senso mi aiuta a realizzare di aver ripreso finalmente possesso del mio vecchio corpo.
Guardo le mie mani, sono affusolate come una volta, sempre tremolanti. Perché al di là di tutto, al di là dell’eccitazione e della sorpresa,  essere tornata adulta vuol dire solo una cosa: morire.
Tutti qui dentro sanno quanto sia spietata l’Organizzazione, ma nessuno di loro ha vissuto- come l’ho vissuto io- il terrore e l’ansia di farne parte. Non mi sono mai considerata un vero membro dell’Organizzazione, sono stata costretta a quella vita misera, colpevole solo di essere nata nel posto sbagliato al momento sbagliato e la sfortuna ha voluto che nascessi con un’intelligenza superiore al normale, che mi è stata strappata in tenera età e sfruttata per troppi anni. Mentre le mie coetanee imparavano a giocare a karate, io studiavo formule chimiche complicate per elaborare droghe in grado di uccidere gli uomini; mentre loro vivevano i primi sintomi dell’innamoramento, io vivevo il trauma della morte dei miei genitori e dell’unica persona che mi abbia mai amato, Akemi.
A volte, quando sono triste, mi sembra di risentire la sua mano delicata che mi sfiora la guancia e mi sussurra parole dolci:
“Esci, Shiho, prova a divertirti. Non devi perdere la speranza, solo così ti sentirai viva!”
Come potevo considerarmi membro di qualcosa che mi aveva privato della libertà, dell’affetto, di qualsiasi forma di felicità?
Essere Shiho Miyano per me era una maledizione, anche se un giorno fossi riuscita a scappare, le ombre del passato mi avrebbero perseguitato per sempre. Al contrario di Shinichi, io non avevo motivi per tornare ad essere me stessa, nessuno mi avrebbe accolto a braccia aperte al mio ritorno perché Shiho Miyano non aveva più nessuno. Era sola, con i suoi tormenti.
Dopo anni di paure, tornare bambina mi ha permesso di riprendermi parte della libertà che mi era stata sottratta da ormai troppi anni. Quasi non ricordavo più cosa volesse dire essere liberi, essere felici. Mi ha permesso di ricominciare da capo, di nascondere per un po’ il mio passato, fingere addirittura di non averne uno; agli occhi degli altri ero una bambina come tante altre, la cui intelligenza era qualcosa da coltivare e non da sfruttare. Ho avuto la possibilità di vivere l’infanzia che mi era stata negata, di avere un posto da chiamare casa e persone da chiamare amici. Ai Haibara è stata la mia rinascita, i miei attimi di felicità. Ma come tutte le cose belle, anche Ai Haibara era un’illusione. Una breve pausa dalla mia vita disastrosa, una sorta di “ricarica”, un regalo donatomi dal cielo affinché assaporassi la gioia di stare al mondo. Un’illusione che mi ha dato la forza necessaria per affrontare questo ultimo grande ostacolo. Il mio destino è stato scritto l’esatto momento in cui sono venuta al mondo.
Perché io lo so che per me è finita, io voglio che finisca. Se sulla terra non c’è nessuno che mi aspetti, in quel posto misterioso che tanti chiamano paradiso io ho i miei genitori, ho Akemi. E per dirla tutta, non vedo l’ora di rivederli. E se non dovesse esserci un aldilà, almeno potrò riposare in pace per l’eternità. Al pensiero, mi vien voglia di morire.
Prima di tornare bambina, temevo terribilmente la morte. Non volevo assolutamente lasciare questo mondo, per quanto orribile fosse. Ero arrivata al punto di creare ogni tipo di compromesso, pur di riuscire a sfuggirle.
Ma ora sono pronta, io voglio morire. Ciò che desideravo dalla vita l’ho avuto: posso dire anche io di aver ricevuto un regalo di natale, di aver avuto una festa a sorpresa per il compleanno e… per colpa di Shinichi, di aver vissuto i primi sintomi dell’innamoramento.
Questo ricordo mi basta, e desidero portarlo con me oltre questa vita…



 nel frattempo, nella stessa stanza…

Shuichi…
Lo credevo morto, e proprio ora che stavo imparando ad accettare la sua morte, è ricomparso dal nulla. Perché non mi ha detto nulla? Bastava una lettera …
Ancora ricordo quella mattina, era l’alba e mi ero svegliata presto per correggere alcune verifiche di inglese quando ricevetti una telefonata. Ricordo che in un primo momento, non volli rispondere; in quel preciso attimo il sole venne oscurato da una nube grigia, carica di pioggia ed ebbi subito l’impressione che stesse per accadere qualcosa di estremamente negativo. Data l’insistenza con cui squillava il cellulare, mi arresi e risposi.

- Jodie, devi venire subito da me.- la voce di Black era cupa, riuscivo a percepire la sua preoccupazione.
- Perché, è successo qualcosa?- chiesi ansiosa.
- Ti spiegherò, ora vieni.- mi aveva liquidato lui, lasciandomi sulle spine.
- No, voglio sapere ora altrimenti non mi muovo di qui.- replicai, con la mia solita determinazione.
- Akai è morto.-


Rimasi immobile, con il telefono ancora attaccato all’orecchio, incapace di proferire alcuna parola. La mia voce era rimasta bloccata in gola, ostruita da quel groppo che non riuscivo a sciogliere; il mio cuore, che qualche attimo prima batteva veloce, si era fermato. Il silenzio che mi circondava mi opprimeva e l’aria diventava sempre più rarefatta, d’improvviso non riuscì più a respirare e di istinto corsi fuori dal mio appartamento.
Aveva cominciato a piovere; sentì le gocce di pioggia confondersi con le mie lacrime e pensai subito che qualcuno, lassù, non volesse vedermi piangere.
Papà…
Dopo la morte di mio padre, promisi a me stessa che non avrei mai più permesso che qualcuno a me caro morisse per mano loro. Non ero riuscita a mantenerla.

Una parte di me si sente sollevata, l’uomo che ho amavo- e che non ho mai smesso di amare, neanche dopo tutto questo tempo- è vivo; ma l’altra parte, una minuscola parte, avrebbe preferito che fosse morto davvero. Perché più doloroso di perdere la persona che ami, è essere abbandonato da lei. Sapere che sta bene anche senza di te, mentre tu muori dentro.
Non riesco nemmeno a guardarlo negli occhi, non riesco a parlargli. Lo sento così lontano, nonostante ci separi solo una porta di legno.
Tante volte, durante le sere che passavamo insieme, gli avevo parlato di quanto per me fosse stato doloroso superare la morte di mio padre: l’avevo visto morire davanti ai miei occhi, ucciso a sangue freddo da Vermouth, quella donna – che chiamarla donna mi risulta ancora difficile- solo perché era a conoscenza di alcune informazioni riguardo la sua vera identità. Ero ancora una bambina allora, costretta già in tenera età a dover affrontare una perdita tale. Una perdita che però mi ha reso forte e determinata.
Eppure quei racconti non l’hanno fermato dal fingersi ucciso in quel modo atroce, così simile a quello di mio padre. All’epoca mi raccontarono che morì per mano di Rena Mizunashi, una nostra infiltrata nell’Organizzazione; gli uomini in nero cominciarono a sospettare di lei, così durante un incontro, Shuichi si sacrificò costringendo la ragazza ad ucciderlo. In questo modo le permise di dimostrare loro di essere un membro fedele e di rimanere così all’interno dell’Organizzazione.

Sicuramente qualcosa in lui è cambiato, forse non prova più nulla per me. I suoi sentimenti per me non sono mai stati sinceri come i miei; il suo amore è morto insieme ad Akemi Miyano.
La sorella della donna che ora dorme in camera con me. Hanno gli stessi occhi… Qualcosa in quegli occhi mi turba, sono velati da una leggera oscurità che mi inquieta e mi fa venire i brividi. So bene che è dalla nostra parte, eppure il fatto che in passato sia stata membro degli Uomini in nero non mi rassicura.
Le ho involontariamente salvato la vita, e nonostante i miei pregiudizi, non me ne pento affatto.
Lentamente sento i miei occhi appesantirsi, la stanchezza mi vince e mi addormento sfinita.
Buonanotte papà...


                                                                                                                  

 Tokyo, luogo ignoto, ore 02.00

Accendo l’ennesima sigaretta, una Lucky Strike Red, le mie preferite –ovviamente nel pacchetto morbido.
Mi appoggio con i gomiti sul davanzale della finestra e mi lascio accarezzare dal vento fresco. Il fumo della sigaretta, spinto dalla corrente del vento, crea piccoli mulinelli nell’aria scura. In lontananza, sento il suono di una sirena.
Il paesaggio che si presenta davanti ai miei occhi non è di certo la bella vista che si aspetterebbe di vedere una donna come me: la muffa attaccata al muro dell’edificio di fronte, lo rende ancora più squallido. Il mio sguardo cade nuovamente sulle vecchie scale di emergenza; ogni volta che le guardo, mi ritorna in mente quell’episodio a New York che mi ha cambiato per sempre la vita…

- Serve per forza una ragione? Io non so che motivo abbia un uomo di uccidere un altro uomo e nemmeno perché gli salvi la vita…- era così sicuro di sé, i suoi occhi erano in grado di penetrare anche l’animo dell’uomo più duro.
- … a quanto pare, direi che una ragione logica non esista.- gli puntai nuovamente contro la pistola, ma mi interruppe.
- Non ti conviene. Ho notato che ti hanno ferito quindi la polizia non dovrebbe essere molto lontana; e poi non hai neanche il silenziatore, se spari ti saranno subito addosso.. Ti conviene lasciarci andare, in fondo ci devi un favore, non ti sembra?.- si voltò, dandomi le spalle e cominciò a scendere la scale portando in braccio la ragazza che era svenuta.
- Bene, per stavolta siamo pari, amico. Ma la prossima volta non sarò così magnanimo.- continuò.
- Quando un giorno noi due ci rincontreremo –perché accadrà, puoi esserne sicuro- ti spedirò dritto dritto all’inferno, ci puoi scommettere.-


Avevi ragione, Shinichi Kudo. Le nostre strade si sono incrociate di nuovo. Da quella sera, ho capito che tu saresti stato il mio asso nella manica, il famoso Silver Bullet che tanto temono.
Spengo la sigaretta e la getto dalla finestra.
Io e te abbiamo molto in comune: siamo testardi, siamo forti e determinati all’inverosimile. Noi facciamo ciò che vogliamo, come vogliamo… sempre; l’ unica differenza è tu faresti qualsiasi cosa pur di salvare chi ami, al contrario, a me la vita ha insegnato che se vuoi sopravvivere in questo modo devi essere incredibilmente egoista.
Nessuno mi ha mai guardato nel modo in cui tu guardi quella ragazza e forse è per questo che sono diventata la donna che sono oggi…
Degli anni che ho vissuto, più della metà li ho spesi cercando vendetta. Ho ucciso senza esitazione più persone di quante ne abbia mai conosciute in una vita, per ragioni che nemmeno ricordo. Ho preso parte ad azioni crudeli, solo per il piacere di guardare negli occhi di quegli uomini la loro estrema sofferenza, la loro ultima supplica. Ero responsabile di una violenza gratuita e becera.
Non ho rimpianti, né rimorsi… so bene che ciò che ho fatto in passato non può essere cancellato, dunque non mi tormento; sento solo di essere arrivata al capolinea.
Quell’incontro mi ha cambiata, ha risvegliato qualcosa negli abissi nella mia anima, un sentimento che promisi a me stessa che avrei represso per sempre.
La compassione.
Da quel giorno a New York, la compassione sta riaffiorando lentamente in me: non ho più voglia di giocare a fare la criminale, né tanto meno di sporcarmi le mani per cose che non mi riguardano. Ora vedo con occhi diversi gli altri membri dell’Organizzazione, con un disprezzo tale da farmi rivolare le viscere.
Ho vissuto con un solo scopo, la vendetta. Ho difeso la mia vita con le unghie e con i denti, non perché ne fossi particolarmente legata, ma solo per poter portare a compimento la mia vendetta.
E ora sono ad un passo dal realizzarla, sono così vicina… non posso permette che un sentimento ancora così fioco mi faccia desistere.
Io ucciderò Shiho Miyano e insieme con lei, morirà l’intera Organizzazione.
Gin e Vodka, quegli idioti, sono convinti che farmi uscire dai giochi sia semplice. Si sbagliano di grosso, sono io che domino la partita: per ingannarli è bastato riferire loro ciò che sapevo sul giovane detective, ho finto di essere dispiaciuta per il mio errore e ho giurato che avrei sistemato personalmente in cambio del loro perdono. Sapevo che per punirmi mi avrebbero usato come pedina nello scontro con l’FBI; pensano che sacrificando me, l’Organizzazione continuerà indisturbata ancora a lungo… credono che io non sia importante, ma non sanno che io sono fondamentale.
Perché io sono il Boss.



Note dell'autore:

Seguo il consiglio che una lettore, o meglio di un recensore, e approfitto di questo piccolo spazio per scrivere alcune note. per prima cosa mi scuso per il ritardo, ma ho avuto alcuni impegni e ho dovuto rimandare più volte la continuazione della storia; secondo, spero che questo capitolo un po' lungo non vi abbia troppo annoiato! 
I riferimenti alla vicenda sul passato di Akai, raccontanto da Jodie, è in inventato da me.
I riferimenti all'incontro di Vermouth con Shinichi e Ran, nel racconto di Vermouth e il ricordo di Ran di Sharon Vineyard all'interno del suo racconto, sono tratti dall'epidodio 308 e 310 dell'anime.
Ringrazio di cuore chi ha letto e ha recensito questa storia, 
un bacio, Peach Blossoms
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: Peach Blossoms