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Autore: CappelloParlante    27/10/2015    2 recensioni
Alessandro ed Elisa non hanno nulla in comune se non l'odio per i ristoranti croati e per i calzini di spugna. 100 capitoli, 100 incontri casuali nei posti più disparati per far capire ai nostri personaggi che, forse, se il destino cerca di farli incontrare con così tanto impegno, qualche ragione ci sarà.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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È la terza volta che tento invano di caricare questo capitolo dopo aver scoperto che non mi aveva preso la pubblicazione di sabato. Speriamo bene.


Buonsalve gentaglia:) Questo non è un vero e proprio capitolo, ma, da come avrete correttamente supposto, è un piccolo extra. Eravamo rimasti ad Elisa, ferma sulla porta di Ale, con due pizze in mano e la preghiera di non fare la figura della disperata. Mi sono detta, diavolaccio, per una volta che sti due stanno incollati, perché non farci un capitolo? Ecco a voi Eli ed Ale descritti senza loro prensieri personali, proprio come se voi foste lì, con loro, a guardarli innamorarsi piano piano.







Le luci dei lampioni, a quell'ora tarda della notte, oltrepassavano le finestre della sala al quinto piano in Via dei Gladioli trasformandosi in chiazze lattiginose. Illuminavano appena la piccola stanza dove il televisore trasmetteva imperterrito un film, senza che nessuno ci presetasse attenzione. Sparse a terra c'erano solo qualche lattina di birra vuota, due cartoni per la pizza e un paio di scarpe nere, con un tacchetto basso e tozzo. Nella piccola sala tutto taceva. Ogni tanto si sentiva qualche borbottio assonnato provenire dal ragazzo addormentato sul divano, che si rigirava tra i cuscini. Aveva i capelli corvini sparati in tutte le direzioni e sulle labbra un lieve sorriso. Chissà cosa stava sognando. Teneva stretta tra le braccia una coperta di plaid arrotolata e, ogni tanto, ci affondava il mento. Proprio accanto al ragazzo, nell'altra metà del divano, una ragazza dal trucco sbavato dormiva della grossa seduta, la testa protesa all'indietro e le braccia conserte. Effettivamente non aveva molto spazio, perché il ragazzo, Alessandro, occupava più della metà del divano e la ragazza, che si chiamava Elisa, era obbligata a stare schiacciata verso un lato. Non fu il rumore ovattato del televisore a svegliare la ragazza verso le tre di notte, ma, invece, fu la sirena ululante di un'ambulanza che passava giù in strada. Elisa sgranò gli occhi e si tirò a sedere dritta, il principio di un urlo sulle labbra. Quando si rese conto che il rumore che l'aveva fatta svegliare non era altro che il suono del mezzo in strada sbuffó appena, appoggiandosi alla spalliera. Lanciò un'occhiata ad Alessandro acciambellato accanto che, al contrario di lei, aveva un sonno parecchio pesante, e stava ancora dormendo beato. Elisa arrossì appena e fece un sorriso intenerito, gli occhi puntati fissi sul viso sereno del ragazzo. La ragazza sospirò "come fai ad essere sempre così tremendamente carino..." sussurrò tra le labbra. Si avvicinò appena a lui, timorosa, e lo fissò da vicino. Osservò curiosa i suoi occhi chiusi e la linea dritta e risoluta del naso. Fremette appena quando posò lo sguardo sulle sue labbra. Allungò appena una mano e sfiorò con l'indice la guacia del ragazzo. La ragazza arrossì. Continuò ad accarezzare il viso di lui gentilmente, senza diventare invasiva, salendo sempre di più. Si lasciò sfuggire un sorrisetto soddisfatto quando passò le dita tra i capelli scuri di lui. Li accarezzò dolcemente, senza più avere paura. Quando Elisa passò ancora una volta la mano tra le ciocche morbide di Alessandro, il ragazzo mugugnò qualcosa. Elisa si immobilizzò, una mano per aria, gli occhi sgranati in un misto di terrore e ansia. Alessandro strinse gli occhi e fece una smorfia sofferente "mamma" borbottò. Elisa si incupì, dispiaciuta. Allungò la mano verso il capo di Alessandro e riprese ad accarezzarlo piano piano. Non si sentì quasi la sua voce, quando sussurrò "ci sono qui io, adesso. Non sei più solo". Alessandro non si svegliò, né diede segni di avere capito. Ma i suoi occhi si distesero e lui si avvicinò, nel sonno, a lei, come se volesse qualche carezza in più. Elisa ridacchiò piano, imbarazzata, e continuò a sfiorare Alessandro con gentilezza sino a che non crollò anche lei in un sonno profondo, un sorriso felice stampato sul viso.

Qualche secondo prima che la sveglia suonasse e che facesse piombare tutto in un imbarazzo confuso ed esagerato, Alessandro ed Elisa non sembravano avere problemi nell'essere l'uno stretto all'altra. Alessandro aveva le braccia avviluppate attorno alla vita della ragazza, stesa accanto a lui sul divano, e teneva il capo affondato nell'incavo della spalla di lei. Elisa aveva la fronte premuta contro il petto del ragazzo e, per la prima volta da quando conosceva Alessandro, non stava arrossendo in sua presenza. Se ne stava lì, semplicemente, silenziosamente grata di quel contatto caldo e accogliente che lui le offriva. Quando la luce prepotente del sole entrò dalle finestre ed illuminò i due ragazzi abbracciati, non cambiò nulla nella scenetta. O quasi. Perché, osservando bene, si poteva notare Alessandro sorridere appena. Giusto una lieve piega sulle labbra, nulla di eccezionale. Poteva essere una semplice smorfietta dovuta alla luce prepotente che gli illuminava il volto, o magari un' espressione fatta di riflesso al sogno che stava facendo. Poteva essere una contrazione involontaria delle labbra o chissà quale altra cosa. Ma, nella più infinita banalità, poteva anche essere un banalissimo, vero sorriso. Uno di quelli piccoli, che di solito la gente non nota. Di quelli di sollievo, accompagnati da un lieve sospiro. Come quando ci si leva un peso dal petto. Perché in quel momento, Alessandro, abbracciato ad Elisa, condivideva con lei più di mezzo metro scarso di divano. Condivideva un po' del dolore che si portava dentro. E sorrideva sollevato raddrizzando le spalle, leggermente meno stanco, pronto a farsi carico di altri problemi, di altri casini. Perché magari Alessandro poteva essere ancora un bambino intrappolato nel corpo di un ultra ventenne, poteva comportarsi da adolescente frustrato per la maggior parte del tempo, poteva fare finta di essere sempre lo stesso, ma stava crescendo. E imparare a dividere il dolore, imparare a condividere ciò che lo uccideva dentro, fu solo il primo di tanti passetti timorosi fatti, finalmente, nella giusta via per diventare grandi.

   
 
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