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Autore: Thiliol    27/10/2015    1 recensioni
Galmoth non ha più nulla, nè onore, nè titolo, nè ricchezze, nulla se non la sua piccola nave da contrabbandiere e Laer, la figlia del suo migliore amico morto anni prima. Laer è giovane e ha la testardaggine di una ragazzina, ma non ha mai smesso di sognare i sogni di quando era bambina.
E poi c'è Silevril, il figlio di un amore morboso che vorrebbe solo andare per mare e che invece sconvolgerà le vite di entrambi.
Galmoth osservò con sguardo inquisitore l'elfo che gli stava di fronte:era nato e cresciuto a Dol Amroth e lì non era raro imbattersi nei Priminati e conoscerne anche qualcuno, ma quel Silevril aveva qualcosa di diverso, come un fuoco latente in lui. Non era come i Silvani che sempre più spesso salpavano da lì, diretti alle loro terre al di là del mare, riusciva a percepirlo chiaramente: riconosceva un elfo di alto lignaggio, quando lo vedeva.
< Dici che vuoi metterti al mio servizio? >
< Desidero solo il mare e la compagnia degli uomini, inoltre, la tua nave è meravigliosa. >
Galmoth rise, strofinandosi il mento sporco di barba non rasata.
< Sei un elfo ben strano, Silevril. >
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Finrod Felagund, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Narn o Alatariel ar Aeglos'
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I think I thought I saw you try




Every whisper
Of every waking hour
I'm choosing my confessions
Trying to keep an eye on you
Like a hurt, lost and blinded fool, fool
Oh no, I've said too much
I set it up



Laer uscì con passo incerto, leggermente frastornata, ma lui non la seguì. Rimase nella grande sala del trono, incapace di muovere un muscolo.

< C'è qualcosa che vuoi dirmi, Finrod, lo vedo nei tuoi occhi. >

Il Re sorrise dolcemente e poggiò il mento sulla mano, rilassandosi sul suo seggio.

Aveva rughe sottili intorno agli occhi e qualche filo d'argento tra i capelli, ma l'espressione era sempre la stessa, l'identico sorriso di quando era un ragazzino.

Estel era Re di Gondor da solo dieci anni ma non era più giovane da molto tempo e Finrod riusciva a vedere la saggezza e la spossatezza della vecchiaia in lui, ben celata dietro il vigore. Suo padre aveva tratti elfici, ma lui non ne portava traccia alcuna e questa era una caratteristica che Finrod apprezzava sempre in un uomo.

< C'è qualcosa che non mi convince in quella ragazzina > disse al Re, incrociando le mani dietro la schiena.

< È collegata a questi ribelli e ai sediziosi che minacciano la pace di Gondor. >

< No, Sire, è qualcosa di più. Non credo che questo tradimento sia frutto dell'insoddisfazione di un gruppo di mercanti, né di nobili scontenti. C'è il male nascosto tra le pieghe di quanto sta accadendo e sento il mio cuore farsi freddo e vuoto al solo pensiero. >

Il Re non rispose, rimase silenzioso, attendendo che l'elfo continuasse a parlare, ma Finrod non riusciva a districare i suoi pensieri e le sue sensazioni.

Era da molto tempo che non avvertiva il tocco dell'oscurità sulla sua anima e si era dimenticato quanto riuscisse a farlo sentire inadeguato... ogni volta che aveva sfidato il Male aveva perso. Era morto in molti modi e ognuno di essi era stato orribile e lo avevano reso la creatura fragile che era ora.

Si era rifugiato in quel precario equilibrio per riconquistare la sanità mentale, ma bastava appena uno spiffero perché ogni cosa intorno a lui crollasse, disfacendosi come neve al sole.

Sentiva il pericolo dell'abisso che si apriva proprio dinanzi a lui e lo percepiva tanto più intensamente quando Laer era con lui... lo aveva sentito ancora più profondamente in compagnia di Silevril, ma non poteva ammetterlo nemmeno a se stesso.

Sospirò, sconfitto, e chiuse gli occhi per un istante, prima di parlare.

< Scoprirò chi e cosa si nasconde dietro tutto questo, non temere. >

< So che sarà così, mio signore Felagund, mi fido di te come di nessun altro. >

Il Re gli sorrise, le piccole rughe intorno agli occhi che si facevano più profonde, conferendogli dolcezza. Per un secondo ridivenne il bambino che era stato molti anni prima, quando si erano esercitati insieme con la spada e con l'arco.

< Tornerà la luce a Minas Tirith, Estel, e non permetterò a nessuno di farti del male, > disse, in un impeto di dolcezza paterna verso di lui.

Si inchinò e uscì senza aspettare la risposta. Non ve ne era bisogno.




Aeglos attizzò il fuoco con un ramo abbastanza lungo, senza voltarsi. Poteva sentire il respiro leggero di Alatariel accanto a lui, i suoi occhi che lo trafiggevano, ma si impose di ignorarla.

Poco meno di ventiquattro ore di viaggio separavano la sua casa sulla scogliera da Dol Amroth, di cui ne aveva percorse la metà, ma gli erano parse come settimane intere, oppresso dal silenzio doloroso di sua moglie che cavalcava al suo fianco. Non si erano detti nemmeno una parola, solo ogni tanto la sentiva tirare su col naso e sospirare pesantemente. Lui invece era riuscito a rimanere impassibile, come svuotato, e per questo si sentiva pericolosamente in bilico sull'orlo della totale follia.

Si alzò in piedi e fece per andare a stendersi poco distante. Non aveva bisogno di dormire, ma aveva deciso comunque di fermasi per la notte di modo da arrivare in città di prima mattina.

Non appena si mosse, Alatariel lo afferrò per il polso.

< Aspetta. > disse. La sua voce era roca, gracchiante, a causa del pianto.

Si voltò e vide che lei lo stava guardando a occhi spalancati, nessuna traccia di sentimento nonostante fossero cerchiati di rosso.

< Dormi, > le disse, < riposa per un po' e domani ti sentirai meglio. >

La sua bocca tremò e si assottigliò, in un tipico segno di collera.

< Perché stiamo andando nella città degli uomini? Cosa speri di trovare, Aeglos? >

La sua voce era come una lama affilata.

< Non è morto, lo so, lo sento. Avremo sue notizie, lo troveremo, lo salveremo. >

Improvvisamente lei rise. Era una risata crudele e priva di qualsiasi allegria, tanto che gli fece male.

< Sei uno stupido. >

< No > rispose secco, liberandosi dalla sua stretta con un gesto brusco, < sei tu la stupida se ti arrendi così facilmente. >

< Non c'è più nulla di lui in questo mondo, Aeglos! > esclamò.

Ebbe un gesto di stizza e distolse lo sguardo da lui, perdendosi nel fuoco.

< A volte vorrei che Legolas fosse qui, lui capirebbe. Tu, invece, ti ostini a contraddirmi in ogni cosa. > Sospirò. < Il vuoto dentro di me è talmente profondo che mi sembra di impazzire, > si guardò la mano destra aperta, assorta, < sento il dolore della mia vecchia bruciatura come se me la fossi fatta ieri. Non sai cosa significa per me, non lo hai mai capito e non ti è mai interessato davvero, tutto ciò che il Silmaril è stato e ciò che Silevril ha comportato. Lui non è solo mio figlio, Aeglos, lui è il mio giuramento mantenuto e ora che mi è stato strappato via esso è tornato a bruciare. Brucio e non riesco a pensare ad altro. >

Alzò di nuovo lo sguardo su di lui. La sua pelle sembrava di fiamma, accesa dal riverbero del fuoco, e i suoi occhi gli apparivano neri come pece e illuminati di stelle.

< Mi offendi, Alatariel, > le disse, duro, < se credi di poter vantare un amore maggiore nei confronti di mio figlio! E ti sbagli se credi che Legolas ti capirebbe, anzi, è più probabile che lui ti considererebbe pazza. No, io capisco che vuoi dire, ma mi rifiuto di assecondare ancora una volta la tua ossessione! >

< La mia ossessione dici? > Scosse la testa e si alzò in piedi. Lo circondò con le braccia e parlò nel suo collo. < No, mio amato Aeglos, una maledizione. >

Si scostò nuovamente e lo guardò negli occhi.

< Silevril è morto > sussurrò < ed io... io devo raggiungerlo. >

La schiaffeggiò.

Alatarel barcollò e si appoggiò a lui, ma Aeglos la scosse con violenza per le spalle.

< Stupida! > Gridò, < Non dire queste cose! >

< Devi accettarlo e dire addio a entrambi! >

< No! > la schiaffeggiò ancora. Voleva che la smettesse, voleva che reagisse, voleva che facesse qualsiasi altra cosa che non fosse dire quelle parole.

< Vuoi andartene? > gridò < Perché non sgattaioli via nella notte come fai sempre? Vattene, ma poi torna, capito? Torna! >

Fu come un crack e qualcosa dentro di lui si spezzò. Lacrime gli bagnarono le guance e gli appannarono la vista.

Non riusciva a ragionare, sapeva solo che l'idea di perdere Silevril era insopportabile e che se avesse perso anche lei sarebbe impazzito. Voleva colpire ogni parte di lei finché non si fosse rimangiata tutto, anche se la conosceva troppo bene per sperare che fosse davvero utile.

Alatariel si era fatta schiaffeggiare da lui senza muovere un muscolo, come se capisse che era ciò che gli serviva.

E alla fine si gettò tra le sue braccia e lei lo strinse intrecciando le mani nei suoi capelli. Il profumo di lei era inebriante, il suo corpo era come una roccia in un fiume in piena.

< Non farlo, Alatariel, > la supplicò.

La sentì tremare appena, poi si scostò per baciarlo sulle labbra.

< Non dipende da me, mio caro, amato Aeglos, non è mai davvero dipeso da me e tu questo non lo hai mai capito. >

Lo baciò ancora e con un dito raccolse una delle sue lacrime. Anche lei piangeva, ma il suo volto sembrava di pietra.

< Ti seguirò > disse infine, < ma ho paura che la tua speranza sia vana. >

< Potrebbe essere come dici. In quel caso, allora, sarò io a seguirti. >




Quando Finrod la raggiunse provò lo strano istinto di gettarsi tra le sue braccia.

Si sentiva così sola che avrebbe voluto piangere, sì, piangere disperatamente tra le braccia di quell'elfo dall'aspetto umano e dagli occhi scintillanti.

Aveva in sé il fascino di Silevril e la forza di Galmoth e lei sentiva la mancanza di entrambi come una presenza fisica che l'avviluppava completamente.

Si avviarono verso l'uscita e poi nella piazza, dove l'Albero Bianco brillava alla luce della luna.

Finrod le camminò accanto, silenzioso, per qualche minuto, poi, improvvisamente, le circondò le spalle con un braccio.

Laer alzò lo sguardo verso di lui, ma lui non la stava guardando: camminava perso nei propri pensieri, pallido e malinconico. L'istinto di stringerlo si fece ancora più forte e non riuscì a resistere, passandogli a sua volta un braccio attorno alla vita.

< Non so spiegarne il motivo, > gli disse piano, < ma mi fido di voi, sire Felagund. >

Lui si fermò e la fissò a occhi spalancati.

La sorpresa nei suoi occhi era commovente e Laer si chiese se mai, nella sua lunga vita, quell'elfo fosse stato amato da qualcuno.

Si sentiva stupida, ancora una volta vittima del fascino di qualcuno che aveva appena conosciuto, ma non riusciva a farne a meno.

Non sapeva nemmeno lei cosa provava, se era riconoscente, se ne era spaventata o attratta o se con lui si sentiva protetta.

< Laer, > sussurrò lui, mettendoglisi di fronte e afferrandola per le spalle, < non permetterò a niente e nessuno di farti del male. >

< Lo so, mio signore. Voi mi avete salvata. >

Si sentiva una perfetta idiota, ma non riusciva a pensare lucidamente, con quello sguardo addosso.

< Ma devi parlare, mia piccola, coraggiosa Laer, devi dirmi tutto ciò che sai. >

I suoi occhi erano profondi, come un pozzo di cui non si scorge la fine.

Così belli e gentili... non ne aveva mai visti di simili.

< Devi dirmi cosa sta succedendo >.

Non riusciva a vedere nient'altro che lui, la sua bellezza potente e antica, la sua purezza e la sua sofferenza. Avrebbe voluto stringersi a lui per sempre, dimenticare il rifiuto di Silevril, dimenticare quanto Galmoth l'avesse delusa... dimenticare quanto avrebbe voluto non essere mai scesa dalla Stella.

Finrod le stava parlando, ma le sue labbra non si muovevano. La sua voce era come velluto nella mente.

< Il Tesoro... > gli disse infine, come in un sogno.

< Il Tesoro? >

< Il Tesoro di Ulmo > sussurrò, come se stesse confidando il suo segreto più intimo.




Il gatto si leccò una zampa distrattamente, per poi rivolgere la sua attenzione alla sua padrona, il pelo folto e bianco che sembrava scintillare alla luce delle candele. Sentiva ancora l'odore dell'elfo nella stanza, come di mare in un giorno di tempesta.

Era un odore che gli faceva venire fame.

La sua padrona era seduta a poca distanza da lui e si pettinava i capelli, canticchiando a bassa voce, poi i suoi occhi incontrarono quelli del gatto e lo fissarono per qualche minuto.

< Ci siamo quasi, mio caro, > disse.

Il gatto si alzò e le andò incontro, strusciandosi contro di lei.

< Seguilo. Il suo cuore è mio, ma il suo spirito è forte e ho paura di non riuscire a sopraffarlo. >

Miagolò e lei gli sorrise.

Si avviò a passo svelto verso l'uscita, inoltrandosi poi per le strade di Minas Tirith.

Amava i vicoli tortuosi di quella città, amava i suoi tetti di pietra bianca dove, di notte, era facile mimetizzarsi, attraversandoli come un'ombra, invisibile se non per un luccichio fugace dei suoi occhi gialli.

Percepì la presenza dei suoi compagni intorno a lui e drizzò la coda, radunandoli.

Nove figure uscirono dall'ombra, nere come la pece, a esclusione degli occhi.

Gli si radunarono intorno, in attesa. Lui li guardò a uno a uno, incatenando le loro menti alla sua, comunicando con loro in quel linguaggio segreto che solo i gatti conoscono.

Seguire l'elfo. Seguire l'altro umano. Amare solo e soltanto la padrona.

Un guizzò nell'oscurità, la coda di uno di loro che si muoveva fulminea da una parte all'altra.

Il gatto rimase immobile, mentre gli altri andavano via, silenziosamente come erano venuti, disperdendosi nella notte profumata di Minas Tirith.






Ma salve, miei adorati e silenziosi lettori che ormai sarete andati tutti via!

Prometto sempre che aggiornerò più spesso e ogni volta passano mesi e mesi, perciò questa volta sto zitta.

La storia intanto avanza, io sembro aver superato il blocco dello scrittore e Hareth sarà davvero felice di aver visto Alatariel presa a ceffoni dal caro Aeglos. I miei personaggi li amo tutti senza eccezioni, ma devo dire che scrivere di quei due pazzoidi schizzati mi diverte sempre in modo particolare e prima o poi uno strizzacervelli sarà in grado di capire cosa non va in me.

Vi lascio come al solito dicendovi che titolo e strofa sono presi da “Losing my religion” dei R.E.M., colonna sonora di questo capitolo.

Lunga vita e prosperità.

Thiliol

   
 
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