Non so
davvero perché io lo stia facendo, non mi sembra una buona
idea.
Comunque.
Anche se la mia riluttanza e la mia perplessità mi spingono
a lasciare perdere
e mandare tutto a quel paese, beh, eccomi qui, con il naso chino su
questo
diario pronta a scoperchiare il vaso di Pandora.
Sono una
professoressa di Alfea da molto tempo ormai ma, nonostante il clamore
che
quell'evento portò in tutto l'Universo Magico, molte delle
mie allieve non
conoscono la storia o, almeno, non nel dettaglio. Io, francamente
parlando, ne
sono molto contenta: non conoscendo nulla di questa faccenda nessuno fa
domande
e, qualche volta, mi dimentico perfino che quella tragedia sia avvenuta
davvero. Spiegandolo in altri termini, è come quando ti
svegli da un lungo
sonno e non distingui più la realtà dal sogno che
stavi facendo, ti chiedi 'ma
è successo davvero?'.
La preside
Faragonda, però, è di tutt'altro avviso: lei
pensa fortemente che mi farebbe
molto bene scrivere dell'accaduto su un diario e far conoscere la mia
storia
alle allieve, sia per liberare il dolore che ho nel cuore, sia
perché questa è
una storia che deve essere raccontata per il bene futuro.
Lo trovo
un tantino esagerato ma, considerato lo stato fisico e mentale in cui
mi trovo
in questo momento e considerate le azioni che ho compiuto, sono
l’ultima
persona nell’Universo che può dire cosa
è giusto e cosa è sbagliato.
Inizialmente non volli nemmeno parlarne, era impensabile per me
scrivere su
qualcosa di così orribile e oscuro, qualcosa che dovrebbe
essere sepolto per
sempre e dimenticato.
Con il
senno di poi, ho capito che, forse, potrei almeno provare a fare questa
follia,
dopotutto mi fido ciecamente della preside, non mi consiglierebbe mai
di fare qualcosa
che possa farmi del male… non dopo quella volta, almeno.
Quindi...
va bene. Però, ci tengo a dire che non prometto nulla a chi
leggerà questa
storia: questo scritto non è pensato per essere accurato o
perfetto dal punto
di vista tecnico, seguirò unicamente i miei pensieri. Credo
che, alla fine, sia
questo l'obiettivo, no? Aprirmi e far fluire il dolore attraverso le
parole.
Anche se
è
passato tanto tempo, l'orrore è sempre lì, in
agguato nel mio cuore: mi tende
imboscate, mi dà la caccia continuamente avvelenando la mia
mente, non
lasciandomi mai tregua.
Devo
trovare una via di fuga da tutto questo, devo riuscire a scappare. Sono
spezzata
fuori e dentro senza possibilità di guarigione, non posso
certo pretendere di
trovare la pace che tanto desidero, ma... beh, questo è un
inizio per costruire
qualcosa. Spero di farcela, davvero.
Questo inferno,
solo così posso definirlo, accadde ormai cinque anni fa.
Così pochi, eppure
sembra un'altra vita. A pensarci bene, effettivamente, lo era: un altro
mondo,
un'altra me stessa. Comunque, era una giornata come tante altre su
Domino,
calda e soleggiata.
Io, Daphne
e le Winx tornammo sui nostri pianeti per le vacanze estive, il nostro
lavoro
di insegnanti era momentaneamente finito. I giorni passavano sereni, e
io avevo
finalmente la possibilità di approfondire la conoscenza di
mia sorella; non era
passato poi molto tempo da quando spezzammo la sua maledizione
permettendole di
riottenere un corpo fisico, con tutti gli impegni ad Alfea, poi, e con
la
vicenda degli animali magici, non abbiamo avuto modo di stare insieme.
Adoravo e
adoro tutt’ora condividere la mia vita con lei: essendo
cresciuta come figlia
unica a Gardenia, non avevo mai potuto sperimentare cosa si provasse a
vivere
con qualcuno che possedeva il tuo stesso sangue, magari anche il tuo
stesso
carattere e i tuoi stessi tratti somatici. Certo, non siamo sorelle
proprio
identiche, io ho i capelli rossi e gli occhi azzurri mentre lei
è bionda con
gli occhi castani, ma il nostro viso, le nostre espressioni, i nostri
sguardi... siamo due gocce d'acqua, l'immagine speculare dello stesso
drago.
Le ragazze
del Winx Club sono senza dubbio come sorelle per me e, in parte, mi
hanno fatto
percepire le stesse cose, ma con Daphne è diverso in un modo
che non so
descrivere. Sacrificò la sua vita per salvarmi, fu l'ultimo
baluardo di difesa
di Domino e non ci pensò due volte ad affrontare le Streghe
Antenate pur
sapendo che stava combattendo una battaglia persa. È grazie
al suo coraggio se
io, oggi, sono qui, ma a che prezzo.
Onestamente,
penso di non aver mai vissuto un periodo di pace più
spensierato di quello: i
nostri genitori riuscivano sempre a trovare il tempo per stare con noi
nonostante i loro impegni, Sky e Thoren venivano a trovarci ogni volta
che
potevano. Stavo vivendo il mio sogno, avevo ottenuto tutto
ciò che desideravo,
con sudore e lacrime.
Quel
giorno, io e Daphne stavamo passeggiando nel parco del castello; tutte
le
piante erano in fiore, profumi dolci impregnavano l'aria rendendola
quasi di
miele mentre, davanti a noi, una distesa di colori sgargianti ci donava
l'illusione di camminare su di un arcobaleno brillante.
Eravamo
tornate
a casa da circa una settimana; io e mia sorella non avevamo fatto altro
che
parlare delle cose più banali, per ore e ore, senza
stancarci mai l'una
dell'altra, mentre i nostri genitori, invece, trascorrevano molto tempo
nella
sala riunioni del castello: pensavamo che stessero lavorando su
questioni
diplomatiche importanti, anche perché non possono per legge
far trapelare ad
esterni le decisioni interne del regno, neanche a noi che siamo le
principesse.
Le precauzioni per evitare fughe di notizie sono molto rigide qui su
Domino.
Consce di
tutto ciò, rimanemmo perplesse quando una delle guardie
reali si avvicinò per
comunicarci che il re ci aspettava in quel salone, così
misterioso e off
limits; se ci stavano permettendo di entrare lì dentro,
forse era successo
qualcosa di anomalo dallo standard, mettendomi parecchia ansia. Daphne,
forse
presa dagli stessi pensieri, intuì subito il mio stato
d'animo e cercò di
rassicurarmi con parole dolci e stringendomi la mano.
«Vedrai
che non è niente, forse vogliono solo un
confronto».
«Sarà…
sono diventata sospettosa in tutti questi anni» le risposi
amara, lei
sghignazzò complice.
«Come
darti torto, sorellina».
Camminammo
titubanti fino al castello. La struttura è del tutto simile
a quelli medievali
della Terra, segno che, più o meno, tutti i mondi
dell’Universo conosciuto
avevano attraversato periodi storici simili. Certo, la forma e i
materiali sono
piuttosto eccentrici rispetto a quelli che ho studiato sui libri a
Gardenia, ma
il mondo magico è bello perché vario, suppongo.
Fu un
lungo tragitto, viste le dimensioni complessive sia del castello, sia
del
giardino che lo circonda, ma raggiungemmo relativamente presto quel
portone
massiccio decorato con draghi dorati; spingemmo con forza ed entrammo,
trattenendo il respiro.
Quella che
si presentò davanti a noi fu una scena per niente
rassicurante. L'interno era
un macello, c'erano carte e documenti ovunque sul lunghissimo tavolo al
centro
della stanza, persone che andavano e venivano: sembrava un campo di
battaglia
nonostante il prezioso arredamento e i drappi ricamati alle pareti.
Daphne
rimase congelata sul posto, con le mani dietro la schiena e la faccia
di una
che aveva appena visto qualcuno correre nudo per strada, io non sapevo
nemmeno
dove guardare.
«Ma
che...» esclamai guardando mia sorella con aria smarrita. Lei
non si mosse di
un millimetro.
«Non
chiederlo a me».
In mezzo a
quel casino, scovammo nostro padre chino sul gigantesco tavolo lungo al
centro
della stanza, intento a scarabocchiare cose su delle cartine, non si
era
nemmeno accorto che eravamo entrate.
«Scusat-»
provò a dire Daphne, ma la confusione era assordante,
nessuno ci degnava di uno
sguardo.
«Per
il
Sacro Drago. Ehi, scusate!» urlò allora,
così forte da spaccarmi un timpano.
Tutti si
fermarono di colpo, spaventati, mio padre sobbalzò
letteralmente sulla sedia.
«Ci
hanno
detto di venire qui, che diavolo sta succedendo?» chiesi a
mio padre, stizzita.
Lui aveva
l'aria di non dormire da giorni: delle grosse occhiaie cerchiavano gli
occhi
color nocciola, mentre la barba poco curata copriva la sua smorfia di
tensione.
Si passò una mano tra i capelli castani e si
gettò a peso morto sul prezioso
mobilio.
«Sì,
eccovi
qua. Avrei preferito che ci fosse stata anche vostra madre, ma
è in missione
diplomatica. Quindi... beh, sedetevi».
Ci fece
portare due sedie e ordinò ai suoi collaboratori di
prendersi una pausa,
lasciandoci soli. Sentivo il cuore martellare, era tutto troppo
sbagliato in
quella stanza.
«Papà,
tutto questo mi sta mettendo ansia, ci dobbiamo preoccupare?»
chiese dolcemente
Daphne, ma lui abbassò lo sguardo.
«Andrò
dritto al punto, girarci intorno è inutile. Forse siamo nei
guai».
Mi misi a
giocherellare nervosamente con le mani, cercando inutilmente di
mantenere una
calma che non ho mai avuto in vita mia.
«Che
genere di guai? Io ormai sono una specialista del settore»
feci per
sdrammatizzare, lui abbozzò un sorriso ma tornò
immediatamente serio.
«È
stato
un anno complicato. Mentre voi vi dedicavate all'insegnamento, sono
accaduti
degli eventi sospetti. Non abbiamo ritenuto necessario il vostro
intervento,
anche perché non avevamo nemmeno la certezza che il problema
fosse reale.
Domino, Eraklyon e la preside Griffin hanno quindi iniziato a fare
ricerche in
gran segreto per un anno intero, fino ad oggi. Detesto ammetterlo, ma
la
conclusione a cui siamo arrivati è che la minaccia
è autentica».
Daphne
sospirò forte, inarcò la testa all'indietro e
chiuse gli occhi, cercando di calmarsi.
Io, al contrario, sentivo il fuoco nel sangue: paura, ansia, terrore di
perdere
tutto, veleni così micidiali per la mente da impedire al
cervello di trovare
una qualsiasi soluzione. Mia sorella si massaggiò le tempie,
chissà a quante
cose stava pensando contemporaneamente. È sempre stata
un'attenta pensatrice,
mentre io, beh, sono più un tipo d’azione.
«...ok.
Di
cosa stiamo parlando, quindi?»
La voce di
Daphne era un misto di freddezza e nervosismo, mi fece rabbrividire.
Papà prese
un profondo respiro e iniziò ad esporre la situazione.
«Da
un
anno a questa parte, molte streghe hanno iniziato a percepire masse
energetiche
oscure estremamente elevate, sparpagliate un po’ ovunque
nell’Universo. Prima
piccole, poi sempre più grandi, sembravano espandersi.
Abbiamo mantenuto la
questione nel massimo riserbo possibile per non creare allarmismi ma,
diavolo,
questa ‘cosa’ non fa che aumentare giorno dopo
giorno».
A quel
punto, iniziai a sudare freddo come raramente era successo: era il mio
stesso
cervello che si rifiutava di accettarlo.
«La
Griffin che dice?» chiesi con voce rauca. Doveva esserci per
forza una
soluzione, doveva…
«Sta
tracciando queste fonti una dopo l'altra per poterne studiare la
natura, lavora
praticamente giorno e notte. Lei pensa che... insomma...»
rantolò torturandosi
le mani, sembrava sul punto di crollare da un momento all'altro,
«queste tracce
energetiche siano molto simili a quelle delle Tre Antenate. La Griffin
non può ancora
averne la certezza assoluta, ma-»
«Le
Trix
sono libere» sentenziai come una condanna. Il loro nome
echeggiò nella sala
vuota come una bestemmia contro le divinità.
«È
possibile,
ma non avevano mai ottenuto un potere così grande e
primordiale. Stiamo
parlando di potenze che appartengono a qualcosa di antico, come la
Fiamma del
Drago».
Daphne
rimase in silenzio per un po' con lo sguardo fisso sul tavolo,
riflettendo
attentamente sul da farsi; dopo qualche minuto scosse la testa, come
per
accantonare un’idea che si era fatta.
«Non
importa cos'è, importa fermarlo. Se si tratta delle Trix,
dobbiamo scoprire
come hanno fatto a liberarsi da quel luogo maledetto in cui le abbiamo
gettate
e poi rispedirle al mittente.»
C'era una
furia glaciale nelle sue parole, non avevo idea di questo suo lato
così oscuro.
Suppongo sia normale, dopo tutto quello che ha dovuto subire per colpa
loro.
«Sì,
è
esattamente quello che vogliamo fare. Stavolta non vi lasceremo sole a
combattere. Voglio spazzarle via una volta per tutte, per questo motivo
sto
radunando tutte le forze di cui dispongo. Eraklyon, i Paladini, la
Compagnia
della Luce, voi Winx, gli Specialisti, tutti. Nei prossimi giorni ci
raduneremo
qui con tutte le informazioni di cui disponiamo, prepareremo un piano
d’azione e
distruggeremo questa cosa, qualunque essa sia. Voglio un attacco
congiunto,
spietato, questa volta non avranno la meglio».
Strinsi
forte la mano di mia sorella, mi resi conto solo dopo di quanto fosse
sudata. Non
avevo certo paura di combattere di nuovo, questo mai, ma in tutti
quegli anni qualcosa
era cambiato eccome: avevo ottenuto faticosamente tutto ciò
che avevo
desiderato e, questo, mi avrebbe penalizzata tantissimo in battaglia.
Se c'era
una cosa che sapevo per certo, era che le Trix avrebbero distrutto
tutto ciò
che amavo pur di ferirmi e indebolirmi, e… non dovevo
assolutamente
permetterlo.
Passarono
due giorni di tensione. Potevo percepire il nervosismo liberarsi
nell'aria,
l'atmosfera diventò pesante e fredda. La compagnia delle
ragazze e dei ragazzi
sciolse un poco la paura che serpeggiava tra di noi: in qualche modo,
l'agitazione
pre-guerra diventò un fastidioso prurito sulla pelle.
Nonostante ciò, ero
perfettamente consapevole che gli animi erano infuocati, il timore del
conflitto si sentiva nitidamente in ognuno di loro, e come biasimarli.
Domino era
improvvisamente diventata la casa degli esseri più potenti
dell'Universo
Magico. Devo ammetterlo, il tutto aveva un che di epico, quasi era
eccitante il
brio del combattimento imminente.
Il terzo
giorno arrivarono anche i presidi di Torrenuvola, Alfea e Fonterossa:
finalmente, lo schieramento era completo. Ci sistemammo nella sala del
trono e
iniziammo a fare il punto della situazione; in quattro ore di
discussione si è
ipotizzato di magia nera, dell'uso di artefatti magici, di rune, di
magie
proibite e un'altra infinità di cose.
«Non
arriveremo mai a niente così» sbuffò
Flora alle altre, le quali concordarono
pienamente.
Dal canto
mio, stavo davvero iniziando ad innervosirmi, e questo Daphne lo
notò.
«Sorellina,
vedi di stare calma o qui finisce male. Abbi pazienza».
Oh,
sì.
Certo. Lo sanno anche i sassi che Bloom e pazienza non possono essere
messe
insieme nella stessa frase. Nel frastuono del chiacchiericcio, la
preside
Griffin iniziò a sentirsi poco bene, diventò
molto pallida, cioè, più del
solito, almeno. Tutti fermarono il loro vociare, con enorme sollievo
delle mie
orecchie.
Ricordo la
sua espressione come se fosse ieri: il terrore puro, di chi aveva visto
la
morte in faccia e non poteva far niente per evitarla. Con voce flebile
disse
solo una cosa, una sola frase che ci congelò tutti sul posto.
«È
qui. La
massa di energia oscura... è qui».