IX
“Dove
sono?”.
“Nel
regno dell’Aria”.
“Di
già?”.
“Pare
stiano entrando nella
grande biblioteca della capitale”.
“A
che scopo?”.
“Non
me lo chiedere. Riesco a
visualizzarli, non a leggere nelle loro menti!”.
Si
guardarono, sospirando.
“Dobbiamo
fermarli. Ne va
della nostra stessa vita…”.
“Merda!”
entrò, urlando, una
piccola creatura incappucciata.
“Calmati,
Anyram…”.
“Avete
visto?! Io e Setiram
eravamo così vicine alla vittoria…ma gli
Dèi ci hanno messo le loro zampacce ed
hanno rovinato tutto!”.
“Abbiamo
visto…”.
“Bastava
così poco…ancora
qualche istante senza il loro intervento e quei dieci deficienti non
avrebbero
potuto più far nulla!”.
“Ci
saranno altre occasioni…”.
“Mi
stupisco della tua calma,
Semar. Come mezza creatura di Fuoco, solitamente sei molto
più irascibile. A
cosa dobbiamo tutta questa calma?”.
“Calma?!
Ma quale calma!
Continua a tenerli d’occhio, Aseret. Voglio essere informato
su ogni loro
movimento. Dove sono quegli psicotici dei gemelli? E richiamate Ailil,
Arual,
Roary e tutti gli altri. Se quei dieci hanno imparato a giocare di
squadra,
allora è il momento di fare lo stesso!”.
Semar
uscì dalla stanza
sbattendo la porta. Il pavimento scricchiolò sotto i suoi
piedi. Ignorò la cosa
e decise che quella vecchia casa abbandonata avrebbe retto ancora a
lungo la
presenza di quel nutrito gruppo di mezzosangue. Lui era una creatura
mista fra
Fuoco e Roccia. Connubio interessante che lo portava a non pochi
problemi di
personalità fra la calma della Roccia e la rabbia del Fuoco.
Ma sapeva che
certi guai mentali erano molto comuni fra quelli come lui.
Incrociò
Araik, l’insieme di
aria ed acqua, Ocram che univa Terra ed Oscurità, Salokin ed
Eneri, i fratelli
di Luce e Ghiaccio…li salutò e diede loro ordine
di ritrovarsi nel salone
sotterraneo il più presto possibile.
“Neziar,
amico mio, sai dove
sono i gemelli?” domandò a quello che era
considerato il più anziano dei
sanguemisto.
Incrociato
fra Metallo ed
Elettricità, aveva capelli lunghissimi e bianchi.
Fissò Semar e gli sorrise,
con il tipico ghigno leggermente inquietante delle creature del
Metallo.
“Kire
è in giardino con
Anyram…” parlò, con voce profonda
“…immagino che anche l’altro psicofolle
sia
da quelle parti”.
“Grazie.
Ci vediamo nel salone
fra massimo venti minuti”.
Kire
ed il suo gemello erano
considerati i capi di quella specie di organizzazione clandestina. Un
po’
perché erano stati loro a crearla, ed un po’
perché la loro follia era
piuttosto produttiva. Riuscivano sempre ad escogitare nuove idee,
riunendo in
sé i lati migliori di Fuoco e Metallo.
“Semar…mi
cercavi?” domandò
Kire, non appena questi mise piede in giardino.
“Sì.
Abbiamo dei problemi con
quei dieci scocciatori che tentano di salvare il Mondo”.
“Che
genere di problemi?”.
“A
quanto pare, gli Dèi stessi
li stanno aiutando”.
“Come
sarebbe? Non fanno mai
un cazzo e si mettono a lavorare quando non serve?! Ma se credono di
spaventarci…convoca una riunione generale! Vi voglio tutti
nel salone fra…”.
“Già
fatto”.
“Perfetto.
È stato avvisato
mio fratello?”.
“Non
ancora. Non sono riuscito
a trovarlo”.
“So
io dov’è. Ci penso io. Ci
vediamo nel salone fra dieci minuti”.
Semar
andò verso il salone e
Kire si incamminò lungo il giardino, dove si ergeva un
enorme albero, una volta
rigoglioso e verde, ora malaticcio e quasi del tutto secco. Con occhi
rosso
fuoco ed il cappuccio scuro ben calcato in testa, Kire si
stupì di non trovarci
accanto il gemello. Stava per controllare l’unico lato di
quella pianta che non
riusciva a vedere, quando udì un ringhio sommesso alle sue
spalle. Rizzò le
orecchie a punta e mutò le sue braccia, facendole divenire
due spade. Si
apprestò a voltarsi e colpire quando l’enorme
bestia lo atterrò,
immobilizzandolo con solo l’uso di una delle sue grosse
zampe. Ringhiando, con
occhi color del sangue e zanne affilate, fissava Kire con
un’aria decisamente
poco rassicurante. Allungò il muso e l’atterrato
chiuse gli occhi,
rimproverandosi e ripetendosi che stava per morire in un modo davvero
stupido.
Sentiva il fiato caldo di quell’animale sul viso e
già si aspettava di
percepire il dolore di un morso, ma non avvenne nulla di tutto questo.
La
bestia, dal lungo pelo nero, lo leccò. Kire
spalancò gli occhi dallo stupore e
dalla rabbia, perché aveva udito chiaramente
l’inconfondibile risata psicotica
del fratello.
“Deficiente!”
gli urlò contro.
“Coglione!”
gli rispose
l’altro.
Era
a cavalcioni su quella
creatura enorme e muscolosa, col cappuccio rosso che ne mostrava solo
il largo
sorriso sadico e decisamente soddisfatto.
“Dove
lo hai trovato
questo…coso?” domandò Kire.
“Non
è un coso! È Orebrec, non
te lo ricordi?”.
“Quel
cucciolotto spelacchiato
è diventato questo mostro omicida?!”.
“Sì.
Non è bellissimo?
Dai…alzati! Perché mi cercavi?”.
“Cosa
gli hai dato da
mangiare?”.
“Quanto
sei noioso! Non sono
stato io a farlo diventare così, ma è stato il
pianeta stesso a volerlo.
Asteria…questa grossa biglia appuntata
nell’immenso universo che si sta
sgretolando dall’interno, pezzo dopo pezzo. Riesco a
percepirlo. Guarda questo
albero…è come il nostro Mondo. Cerca di mandare
un messaggio, ma non viene colto.
È il cuore pulsante del Mondo a lanciare i suoi segnali a
chi lo popola, ma
quasi nessuno è disposto ad ascoltarlo. Io lo sento e batte
sempre più piano.
Fino a quando…BUM! Un mega infarto ed Asteria
morirà! E noi tutti con lei!”.
“E
la cosa ti mette di buon
umore, Elehcim?”.
“E
sai qual è la cosa buffa?
Che la colpa è soltanto nostra”.
“Vuoi
fare un brindisi alla
fine del pianeta?”.
“BUM!”.
I
due gemelli, identici salvo
per il fatto che Kire aveva lasciato crescere i capelli, si sorrisero.
“Vieni
ad illustrare le tue
visioni catastrofiche davanti a tutti nel salone” disse Kire.
Elehcim
scese da Orebrec,
lasciandolo libero di correre per il prato, e seguì il
fratello senza parlare.
Sotterraneo
per rimanere
celato ad occhi indiscreti, il salone era collegato ad altri punti di
aggregazione tramite cunicoli e tunnel segreti. Così
facendo, i sanguemisto di
tutto il pianeta avevano modo di incontrarsi. Quella sala era stata
costruita
di recente con la collaborazione dell’intero gruppo. Aveva
volte in pietra,
complicati sistemi di aereazione, numerose vie di fuga, armi nascoste
di vario
genere e libri di ogni tipo, provenienti da tutti i regni.
Disposti
in modo da formare un
cerchio, i sanguemisto tolsero i cappucci, sicuri che in quel luogo
fossero al
sicuro e ben lontani da sguardi non voluti. Iniziarono a salutarsi con
entusiasmo.
“Hei,
Elehcim! Come va?” gridò
Setiram, una buffa creatura dai capelli scuri e la risata facile.
“Non
mi toccare” si limitò a
ringhiare lui.
“Sei
di cattivo umore oggi?”.
“No!”.
“Ah…sei
così normalmente?”.
“E
lo hai capito adesso?”.
Elehcim
prese posto di fronte
al gemello e non disse altro, incrociando le braccia.
“Benvenuti,
fratelli…” iniziò
a parlare Semar, che con la sua parlantina era spesso colui che
esponeva le
questioni ed i problemi.
“…immagino
che la maggior
parte di voi sia al corrente dell’attuale svolgimento di una
certa missione
attorno ad Asteria da parte di un piccolo gruppetto di "normali".
Scopo di questa missione è portare a termine
un’evocazione. Evocando la Creatrice,
loro mirano a distruggerci, dando la colpa dei guai del Mondo
esclusivamente a
noi. Di certo non possiamo permetterlo e, fin ora, abbiamo tentato vari
espedienti per far fallire tutti i loro intenti. Tuttavia questa cosa
si è
dimostrata più difficile del previsto e di recente abbiamo
appreso che perfino
le divinità stanno dalla loro parte. Urge un lavoro di
squadra, un’idea che
impedisca a quei dieci esseri di arrivare alla fine del loro viaggio
salvifico”.
“Ma
che possiamo fare noi, se
gli Dèi stessi sono dalla loro parte?”
domandò Aseret, una ragazza per metà
creatura della Luce e per metà della Terra.
“In
effetti…ci aspettavamo che
almeno Kaos fosse dalla nostra parte…”
commentò Kire.
“Dunque…cosa
proponi?” parlò
Semar, guardando Kire.
“Scaricabarile”
gli sibilò
contro lui, con un mezzo sorriso.
Dopodiché
si alzò in piedi,
accrescendo la sua voce quel che bastava per sormontare tutte le altre.
“Fratelli…”
iniziò “…noi siamo
sempre stati una grande famiglia. A differenza di quei dieci
là fuori, noi, qua
sotto, siamo uniti ed agiamo come un’unica, grande, forza. Io
dico che poco
importa se gli Dèi stessi non ci vogliono, se il pianeta ci
rifiuta e se solo
in questo gruppo ci sentiamo accettati e liberi. Molte delle creature
come noi
muoiono appena nate perché vengono uccise…avete
mai pensato a quanti di più
potremmo essere se ciò non avvenisse? Noi siamo fortunati ad
essere qui. Siamo
fortunati perché ci hanno lasciato restare in
vita…”.
“Fortunati?!”
interruppe
Elehcim “Io non la definirei fortuna. La definirei debolezza
da parte di chi ci
ha messi al mondo, che vedendoci non ha avuto la forza di porre fine
alla
nostra esistenza. Non guardate con tenerezza questo gesto,
però, perché vi
ricordo che nessuno di noi è stato accolto da coloro che
possiedono metà del
nostro corredo genetico. Essi ci hanno generato, senza pensare, e poi
ci hanno
gettato via, ripudiandoci. La fortuna, semmai, è stata
quella di trovare
qualcuno che si è preso cura di noi quando eravamo piccoli.
Nel nostro caso,
fratello, è stato Neziar a prenderci con sé e
siamo in vita grazie a lui. La
fortuna, se fortuna la si può definire, è che
esistono altre creature come noi
disposte ad impedire che altre ne muoiano”.
Kire
non riuscì a ribattere.
“Cosa
pensi di fare, dunque?”
domandò, dopo un po’.
“Hai
detto tu stesso che il
gruppo è la nostra forza. Sono certo che fra quel tale
Kassihell ed il suo
amichetto Aherektess ci sono ancora molte questioni
irrisolte…”.
“Proponi
di seminar zizzania,
se mi concedi il termine?” sorrise Neziar.
“Direi
che quello sarà il
primo passo…”.
“Come?”
domandò Kire “E poi?
Che facciamo?”.
“Usa
la fantasia!”.
“E
non potremmo attaccarli
direttamente?” propose Anyram.
“No.
Non ancora, perlomeno”
rispose Neziar “Loro hanno un potente attacco combinato e
finché vanno d’amore
e d’accordo non possiamo batterli. Inoltre non siamo ancora
sufficientemente
organizzati e voi siete a conoscenza del pericolo che corriamo
nell’esporci fra
gli abitanti di Asteria. Io propongo di attuare ancora qualche azione
diversiva
e, nel frattempo, prepararci all’attacco. Ma ritengo debba
essere l’ultima
spiaggia, per così dire. Meglio non correre rischi inutili,
specie se loro
hanno la benevolenza degli Dèi a proteggerli”.
“Dannati
Dèi…” sibilò
qualcuno.
“Se
solo uno di loro fosse
dalla parte nostra…” gemette qualcun altro.
“Ma
di che vi stupite?!”
sbottò Kire “Mai nessuno è stato dalla
parte nostra, mortale o Dio che sia! Ci
arrangeremo, come sempre, e vinceremo…”.
“Quanto
ottimismo…” ghignò il
gemello.
“Almeno
uno dei due ne deve
avere un po’, no?”.
“Non
necessariamente…”.
“Che
hai in mente, Elehcim?”.
“Ho
bisogno dell’aiuto di
Roary…” iniziò a spiegare.
“Cosa?!”
protestò lei “Non se
ne parla. Io non ci voglio stare vicino a te, piuttosto
Semar!”.
“Abbiamo
appena finito di dire
che la nostra forza è il gruppo…”
ridacchiò Arual.
Elehcim
sospirò.
“Senti…Roary…”
mormorò,
fingendo calma “…io non piaccio a te e tu non
piaci a me, ma…”.
“Non
è vero che tu non mi
piaci. È che non ti sopporto, tutto qua”.
“Guarda
che solo a me è
concesso tormentarla, sai?” specificò Semar,
sorridendo.
“Allora
arrangiatevi da soli,
e che cazzo!” sbottò il gemello dai capelli corti
e girò la sedia.
“Finitela
di fare i bambini!”
li rimproverò Aseret.
“Giusto!
Roary, mi spiace ma
ti tocca collaborare” confermò Kire.
“Che
palle…” protestò la
ragazza “Però non mi siedo vicino a te!”.
“Ma
chi te lo ha chiesto?!
Siediti dove ti pare…chissenefrega!”
sbottò Elehcim, girando di nuovo sulla
sedia con le ruote.
“La
pianti di fare la
trottola?” lo rimproverò Kire.
“E
voi la piantate di rompermi
tutti quanti le palle?! Mi lasciate spiegare quel che ho in mente o no?
Altrimenti ditemelo e me ne vado, mica mi faccio problemi! Tanto
Asteria sta
morendo, siamo condannati comunque…evocazione o non
evocazione!” ribatté il
gemello, con le iridi ormai del tutto rosso sangue.
“Parla…”
sospirò Roary,
rassegnata.
“Tu
sei una creatura per metà
della Luce e per metà dell’Oscurità.
Conosci bene il regno di quel piccoletto,
Efrehem, e so che non avresti problemi ad intrufolarti nella
biblioteca”.
“No,
non avrei problemi…”.
“Perciò,
se io ti dessi un
libro da far trovare all’allegra compagnia, non dovresti
incontrare difficoltà
di alcun tipo, unendo il tuo aspetto di creatura della Luce con le doti
d’incantatrice
dell’Oscurità…”.
Roary
mosse leggermente in
avanti le antenne, cercando di capire quanto sarcastici fossero quei
complimenti, ma le parvero abbastanza sinceri da accettarli.
“Quindi?”
incalzò, dopo un
po’.
“Quindi
ciò che ho in mente è
fare in modo che la guerra fra Fuoco ed Aria ritorni nella mente di
quell’allegra combriccola. Il libro a cui sto pensando
è stato scritto nel
regno dell’Aria ed è spudoratamente di parte. Sono
certo che Kassihell non
resisterà nel sentire simili versioni della
realtà che lui conosce in modo ben
diverso”.
“Facendoli
litigare, il gruppo
avrà seri problemi, come all’inizio del viaggio.
Rallenteranno la marcia e, se
gli scontri si faranno più
aspri…chissà fino a dove si spingeranno! Se li
separiamo, saranno più deboli” sorrise Kire.
“Non
è una soluzione
definitiva. Ma credo che, ora come ora, dividere la forza della
compagnia sia
fondamentale. Abbiamo visto come sono stati in grado di fare gioco di
squadra
con la farfalla nel regno del Ghiaccio, con le creature
dell’Elettricità, la
tempesta in mare…tutti piani che abbiamo escogitato noi, ma
che non hanno
ottenuto il risultato sperato” precisò Elehcim.
“Ok.
La storia del libro mi
piace. Teniamoci pronte idee alternative” concluse Kire.
“Conta
pure su di me,
fratello, per quanto riguarda un’eventuale battaglia. E
concedimi terreno
libero nel regno del Fuoco e del Metallo. Lì sai che posso
dare il meglio di
me, ed ho già alcune cosette in mente per la separazione
definitiva”.
“Hai
carta bianca. Nel
frattempo noi tutti ci prepareremo ad escogitare dell’altro.
I dieci sono già
nella biblioteca, sbrigatevi ad attuare il vostro piano”.
Roary
ed Elehcim uscirono, lei
sbuffando e lui ghignando soddisfatto, mentre gli altri rimasero
seduti, in
cerchio, ed iniziarono ad architettare altre interferenze alla missione.
†††
“Mi
spiace, signori, ma con le
armi non posso farvi entrare in biblioteca”.
“Stiamo
scherzando?! Io la mia
Katana non te la lascio!” protestò Kassihell,
guardando in modo decisamente
minaccioso quella creatura della Luce che gli impediva
l’accesso.
“In
questo caso, devo
chiedervi di restare fuori. Tutti coloro che rifiutano di consegnare le
loro
armi non possono entrare”.
“È
una follia! Cosa crede che
ci facciamo con le armi in una biblioteca? Tagliamo libri?”
si unì alla
protesta Aherektess.
“Appunto,
signori. Che ve ne
fate delle armi nella biblioteca? Potete lasciarle qui”.
“E
Thuwey allora? È un’arma
vivente!” insistette il Fuoco.
“Oh,
non c’è problema! Io me
ne sto fuori più che volentieri!”
esclamò il Metallo.
“Su,
ragazzi…è solo per
qualche ora. Consegnate i vostri giocattoli ed andiamo!”
parlò Idisi, dando
l’esempio e separandosi dal suo remo pieno di punte.
Sbuffando,
tutti i membri
della compagnia si arresero e fecero altrettanto, tranne Mattehedike al
quale
fu concesso di tenere con sé l’oggetto proibito.
Thuwey
sorrise e non entrò,
trovando piuttosto noioso un intero giorno passato in biblioteca.
“Ripetimi
perché siamo qui…”
sibilò il Fuoco ad Efrehem, mostrando tutto il suo
disappunto nell’essere stato
separato dalla sua adorata spada.
“Ho
bisogno di alcune
delucidazioni sul libro che ci ha affidato il Signore
dell’Ovest. Non ci vorrà
molto, so bene a chi fare certe domande”.
“Me
lo auguro perché, se tutto
questo è una perdita di tempo, io…”.
“Per
favore, Kassihell! Non
fare il bambino!” lo zittì Hanjuly.
La
compagnia attraversò il
corridoio, delimitato da grosse colonne bianche, con ammirazione. I
soffitti e
le pareti erano riccamente decorati e si udiva una musica meravigliosa,
un
canto in stile gregoriano così profondo che fece
rabbrividire più di qualcuno.
“Come
mai sono tutti
incappucciati?” domandò Enki, notando che tutte le
creature della Luce che
incrociavano erano avvolti in una lunga veste, con il volto coperto da
un
pesante cappuccio.
“Sono
monaci. Sono votati alla
conoscenza ed allo studio” spiegò Efrehem.
“Che
noia…” non riuscì a fare
a meno di commentare Reishefy.
“E
come mai sono di colori
diversi?” continuò Enki.
“Sono
di gradi diversi. Dai
novizi agli anziani ci sono differenti colori. I novizi, quelli che
sono ancora
al di fuori dell’ordine e si avvicinano a questa nuova
realtà, sono neri o blu
oltremare, dipende dalla loro età. Gli allievi, una volta
effettuato il rito in
cui entrano ufficialmente a far parte dei monaci, hanno per colore il
verde
scuro e per ogni anno d’apprendistato la tunica si schiarisce
fino a divenire
verde chiaro. Il giallo è per chi ha terminato
l’apprendistato. Rosso è per i
maestri. Bianco per gli anziani ed infine l’oro è
il vestito del capo
dell’ordine”.
“Ma
sono tutti uomini?”
domandò Aherektess, guardandosi attorno.
“No.
Sono ammesse anche le
donne e ce ne sono più di quante tu creda. Il capo,
attualmente, è una donna.
Ero stato molto attratto da questo ordine, anni fa, ma poi tutti mi
hanno fatto
notare la faccenda del principe ereditario e quindi ne son rimasto
fuori. Se
avrò dei figli, mi piacerebbe che almeno uno di loro
seguisse questa strada…”.
Kassihell
lo fissò in modo
strano e non volle nemmeno immaginare come potesse essere una vita
intera
passata solo a leggere e cantare canzoni agli Dèi.
Rabbrividì e socchiuse gli
occhi. In quella biblioteca c’era un’immensa luce
ed un silenzio inquietante.
“Aspettatemi
qui. Io torno il
prima possibile” sussurrò Efrehem, mentre i suoi
compagni si sedevano attorno
ad un tavolino di cristallo.
“Potete
leggere…” aggiunse “…non
vi tagliano le mani se prendete su un libro!”.
Idisi
trovò l’idea
interessante ed iniziò a vagare per gli scaffali per vedere
cosa c’era. Anche
Kassihell ed Aherektess fecero lo stesso, più che altro per
non restare fermi
inutilmente. Reishefy e Mattehedike sbuffarono. Enki ed Hanjuly
trovarono un
bel volume che parlava dei loro regni e lo sfogliarono assieme.
Lehelin,
stordita ed indebolita da tutta quella luce, rimase in silenzio,
raggomitolata
su se stessa sulla sedia, con le pupille sottilissime e le dimensioni
sempre
più ridotte.
“Buongiorno,
maestro” salutò
l’incappucciato all’ingresso, lasciandolo entrare
nella biblioteca.
“Sì,
sì…” si limitò a
rispondere quello con la tunica rossa.
“Potevi
essere un pochino più
gentile…” sbottò la ragazza con la
veste blu scuro che gli camminava accanto,
stringendo un libro fra le mani.
“Zitta
adepta e lasciami
lavorare!” ghignò lui.
“E
dovevi proprio mettere gli
occhiali scuri? Le creature della Luce non usano cose del
genere!”.
“Beh
io sì. E poi non vorrai
mica che notino i miei occhi rossi? Cammina, sono già
arrivati. Dobbiamo agire
in fretta”.
“Lascia
fare a me”.
“Ovvio!
Io ho avuto l’idea e
tocca a te attuarla! Non dovrò mica fare tutto
io…”.
“Ma
perché sei venuto anche
tu? Potevo cavarmela benissimo da sola!”.
“Perché
non mi fido di te.
Preferisco tenerti sott’occhio”.
“Tu
non ti fidi di nessuno!”.
“Questo
è ovvio”.
“Un
uomo, un sorriso” ironizzò
lei, girando gli occhi verso il cielo.
Entrarono
nel salone
principale, rimanendo un po’ storditi da tutta quella luce.
“Muoviti,
Elehcim! Non far
notare a tutti che sei mezzo accecato!”.
“Vedi
perché mi son messo gli
occhiali scuri? Tocca a te adesso. Io ti aspetto qui”.
“Ricordati
che senza le mie
doti d’incantatrice non puoi ingannare alcunché,
perciò vedi di non farti
beccare! Qui hanno tutti le antenne…ti noterebbero
subito!”.
L’incappucciato
in rosso sedette
e guardò Roary scomparire fra gli scaffali.
Incrociò le braccia ed attese,
chiedendosi se quel volume avrebbe avuto gli effetti sperati.
“Incredibile
quanti libri ci
siano in questa biblioteca. E moltissimi sono in doppia copia, in
lingua
originale e nel linguaggio di Asteria” commentò
Idisi, sfogliandone un paio con
curiosità.
“Dici
che quel pazzo di
Efrehem se li sia letti tutti?” ipotizzò
Aherektess.
“Sicuramente.
Di certo non
aveva altro di meglio da fare, come principe ereditario”
rispose Kassihell,
notando gli sguardi incuriositi degli abitanti del luogo.
Che
strane creature dovevano
sembrare ai loro occhi…
“Piuttosto
che perda tempo a
progettare guerre, è meglio che legga, non trovi?”
mormorò la Terra.
“Cosa
intendi insinuare con
questo?” sibilò il Fuoco.
“Niente…”.
“Scusate…”
parlò una voce
femminile alle spalle dei tre.
Si
girarono e davanti a loro
videro una donna incappucciata di blu scuro che fissava Aherektess.
“Voi
siete i principi
dell’Aria e del Fuoco?” domandò.
“In
persona. E tu chi sei?”
rispose Aherektess.
“Una
giovane allieva. Ho
appena finito di leggere questo libro interessantissimo sulla guerra
che ha
colpito le vostre nazioni vent’anni fa e ne sono rimasta
colpita, affascinata…e
turbata! Vedervi così vicini, a parlare assieme, quasi
andando d’accordo…è così
strano. Scusate, forse non sono affari miei…”.
“Infatti.
Fammi vedere quel
libro” ordinò Kassihell.
Roary
glielo porse ed il Fuoco
lo sfogliò distrattamente. Spalancò gli occhi
davanti a certe affermazioni e
storse il naso.
“Chi
ha scritto questa
porcheria? Qui sembra che noi del Fuoco siamo dei mostri sanguinari
mentre
invece quelli dell’Aria sono dei santi!”
protestò.
“Dai
qua!” esclamò Aherektess,
strappandoglielo dalle mani ed iniziando a leggere.
“Ciò
che vedo, rispecchia quel
che io ho vissuto” commentò, dopo un po’.
“Lì
non sono riportati tutti
gli attacchi che voi avete fatto a noi, tutti i morti innocenti fra la
nostra
gente che avete colpito ingiustamente e…”.
“Erano
creature del Fuoco. Che
fossero innocenti è fuori discussione. Senza parlare delle
migliaia di vittime
che avete provocato voi con i vostri attacchi insensati!”.
“Mai
un nostro attacco fu
insensato! Sono le tue risposte ad essere insensate!”.
“Ragazzi…abbassate
la voce!
Siamo in una biblioteca!” tentò di calmarli Idisi.
“Zitta
tu, non ti
intromettere! È ora di chiarire la
faccenda…” ringhiò Kassihell.
“Che
cazzo succede?” sibilò
Hanjuly, sentendo le grida dei suoi compagni di viaggio.
“Era
da un po’ che non
litigavano…” sospirò Enki.
“Una
rissa! Di nuovo! Bello!”
ridacchiò Reishefy e si alzò per raggiungere i
litiganti.
“Lo
sai perché io porto il
nome di Kassihell, cioè Angelo della Morte?”
ringhiava il Fuoco.
“E
tu sai perché ho gli occhi
di colore rosso?” rispose, accigliato, Aherektess.
“Mi
sa che questa volta fanno
sul serio…” si preoccupò il Ghiaccio,
quando notò l’aspetto dei suoi colleghi
d’avventura.
Il
principe dell’Aria si era
avvolto in una specie di bolla di vento che lo teneva sospeso da terra
ed i
lunghi capelli blu gli si arricciavano come un tornado. Kassihell, con
gli
occhi infuocati, ringhiava con sempre più fiamme lungo il
corpo ed i capelli
sparati in guizzi incontrollati.
“Adesso
basta! Calmatevi!”
alzò la voce Idisi, incrociando le braccia e mettendosi fra
i due litiganti.
“Stai
zitta!” urlarono, in
coro, Aria e Fuoco con rabbia.
Seguì
un interminabile
silenzio, in cui la Terra si sforzò di rimanere calma.
Chiuse gli occhi ed
iniziò a respirare lentamente ma non servì.
Serrò i pugni e si morse il labbro,
prima di mostrare quanto potesse essere temibile una del suo elemento
con le
palle girate.
“Come
vi permettete di
parlarmi in questo modo, brutti deficienti?” urlò
“Guardate che me ne frego se
siete principini o futuri re! Sono stanca di voi! Piantatela di
litigare! State
zitti!”.
“Non
credi che sia il caso di
andarsene?” suggerì Roary ad Elehcim.
“No,
perché? Uno spettacolo
del genere non me lo voglio perdere…” rispose lui,
con i piedi sul tavolo e
masticando una gomma.
“Ma
potrebbe notarci
qualcuno…”.
“Chi
vuoi che ci noti in mezzo
ad una rissa del genere?!”.
In
effetti, l’attenzione di
tutto il popolo della Luce presente era concentrata su Kassihell ed
Aherektess.
“Sai
perché io mi chiamo
Kassihell, Angelo della Morte? Certe storie non vengono riportare sui
libri
pieni di pillole indorate della tua gente. Mi è stato dato
quel nome perché, di
tutti i bambini nati a palazzo quel giorno o poco prima, sono rimasto
in vita
solo io! Il giorno tredici del quarto incontro degli sposi del cielo,
di
trentasei anni fa, voi dell’Aria avete attaccato il mio regno
provocando un
violento tornado. Non so per quale assurdo caso, l’edificio
in cui stavo,
assieme a tutti gli altri bimbi nati quel giorno, è crollato
lasciando quasi
del tutto illeso solamente me. La mia sorella maggiore è
morta quella sera, nel
crollo. All’interno del palazzo imperiale c’era una
casa in cui tutti i figli
della famiglia reale, dei servi e dei consiglieri di mio padre potevano
stare.
E l’Aria sapeva che lì c’erano solo
bambini! Ha attaccato volutamente quello
stabile, probabilmente alla notizia della mia nascita. Ora, al posto di
quella
casa, è stato piantato un albero che fa fiori rossi come il
sangue. Sangue di
innocenti! Questo i tuoi libri non te lo raccontano”.
“Sono
tutte balle!” sibilò
Aherektess.
“Non
è vero. Sono tutte cose
che ho trovato su quest’altro volume!” interruppe
Reishefy “Scusate ma…mi
incuriosiva troppo un libro di guerra!”.
“E
quello da dove è saltato
fuori? È sempre del nostro archivio personale, mi
sembra” domandò Elehcim,
osservando il volume fra le mani dell’Elettricità.
“Semar
avrà voluto rincarare
la dose” sorrise Roary.
“Un
genio…” ghignò
l’incappucciato di rosso, ignorando alcuni ragazzini che lo
credevano un maestro
della loro etnia e che chiedevano dei consigli.
“Anche
voi avete attaccato dei
bambini! Avevo dieci anni quando avete distrutto ogni cosa! Ricordo che
stavo
giocando con i miei fratelli e le mie sorelle. Mio padre aveva numerose
compagne e numerosi figli ed a quel tempo eravamo davvero in tanti. Si
è
sentita una sirena d’allarme. Ci attaccano! Abbiamo sentito
gridare dai piani
inferiori. Non avete esitato ed avete attaccato quella torre in cui
noi, figli
dei regnanti, stavamo sempre. È scoppiato un incendio.
Eravamo in trappola.
Ricordo che è crollato il sostegno che reggeva le tende,
completamente in
fiamme, e mi ha immobilizzato. Sentivo i miei fratelli piangere poi
più nulla.
Mi sono svegliato vent’anni dopo! Ed i miei occhi non erano
più verde scuro,
come quelli di mia madre, ma rossi come il sangue. Solo io e Zameknenit
ci
siamo salvati quel giorno, non so ancora per quale strano scherzo del
destino.
Quando ho riaperto gli occhi, guardando mio fratello, ho compreso
quanto tutto
fosse cambiato. Lui era re ed io…non avrei mai
più potuto rivedere i miei
genitori! Mia madre non è riuscita mai a riprendersi da quel
giorno ed è morta
lentamente, incapace di rialzare la testa, e mio padre è
stato ucciso dai tuoi
soldati in battaglia in una guerra che voi, impero del Fuoco, avete
voluto!”.
“Fate
schifo entrambi, in
poche parole…” storse il naso Enki, pensando a
tutte quelle vite buttate via
senza motivo.
“Ma…come
facevano i rispettivi
popoli a sapere dove fossero i luoghi in cui stavano i bambini? E
perché attaccare
proprio i piccoli?” domandò Hanjuly.
“Thuwey
la definirebbe
"strategia militare". Indebolire il nemico
dall’interno…” parlò la
Roccia.
“Sapevamo
dov’erano perché,
fortunatamente, avevamo un alleato” spiegò il
Fuoco “Altrimenti saremmo stati
annientati da questi pazzi!”.
“Non
dire stronzate! I pazzi
siete voi!” urlò Aherektess
“Fortunatamente anche noi avevamo un popolo amico
che ci aiutava, imbrogliandovi”.
La
compagnia si guardò negli
occhi, tentando di capire a quali alleati si riferissero.
“Imbrogliandoci?!”
ringhiò
Kassihell “Come osi dire che noi siamo stati
imbrogliati?”.
“Perché
è così!”.
“E
se ti dicessi che gli
imbrogliati siete stati voi?”.
“Ti
riderei in faccia!”.
Stanco
di tutti quei discorsi,
Kassihell riunì la magia fra le mani e la
incendiò, creando due grosse palle di
fuoco. Le creature della Luce urlarono davanti a quello spettacolo e si
misero
a correre verso le uscite, in preda al panico. Solamente i sanguemisto
rimasero
al loro posto. Le fiamme furono lanciate contro all’Aria che
si avvolse in un
vortice del suo elemento, respingendole. Enki si apprestò a
spegnerle, con
l’aiuto di Hanjuly, prima che queste toccassero i libri. Poi
Aherektess passò
al contrattacco e, con una sorta di applauso, creò un tale
spostamento d’aria
da far volare via alcune sedie ed il tavolo che si contrapponeva fra i
due
sfidanti. Questo, essendo fatto di cristallo, si infranse in milioni di
pezzi
quando incontrò le braccia incrociate sul viso di Kassihell.
Il Fuoco non ci
mise molto per reagire, a differenza di quanto si aspettasse
l’Aria, e colpi in
pieno ventre il suo avversario con un potente calcio. Aherektess
incassò ed
indietreggiò di parecchio, sempre rimanendo fluttuante e
padrone del suo
elemento. Con la schiena ribaltò altri tavoli e sedie.
Ringhiando, tornò
volando verso il Fuoco avvolgendolo in un tornado nel tentativo di
immobilizzarlo. Kassihell urlò, sentendo il suo fuoco
spegnersi, ma poi si
concentrò ed usò quel vento a suo vantaggio.
Alimentò la sua magia e, con un
ghigno soddisfatto, derise il suo avversario chiedendogli se non avesse
studiato, per caso, che il fuoco si alimenta con l’aria.
“Ti
ucciderò, Kassihell! Fosse
l’ultima cosa che faccio!” sbraitò
Aherektess.
“Strano…è la stessa cosa che voglio
fare io! Dovevo
farti fuori prima, altro che seguire i consigli di Kaos che mi diceva
di
aspettare la fine del viaggio! Tornerò a casa da eroe
comunque, con la tua
testa fra le mani!”.
“Solo
il Dio di un popolo come
l’Oscurità poteva suggerire una cosa
simile!” commentò qualcuno.
“Kaos
ha suggerito cosa?!”
gridò, stupito, la divinità del Fuoco, voltandosi
verso l’interessato che alzò
le spalle.
“Che
ti aspettavi?” ridacchiò
il Dio dell’Oscurità “Sono Kaos, mica un
amorino!”.
“Come
fermiamo questi due
adesso?” domandò Heronìka, guardando
giù.
Le
divinità erano come sempre
nella loro bolla, che impediva ai mortali di vederli, ed osservavano la
scena,
non sapendo bene cosa fare.
“Interveniamo!
Dividiamoli!”
parlò la divinità della Luce “Rischiano
di demolire tutto!”.
“Questo
ti preoccupa? Non il fatto
che si possano ammazzare?” sbottò la Dea
dell’Acqua.
“Se
è quello che vogliono…”.
“Ma
sei deficiente!”.
Così
dicendo, in pochi minuti
anche gli Dèi litigavano.
“Noi
dovremmo dare l’esempio…”
mormorò Xoduzz.
“Ma
taci, finto santo!”
rimbeccò Loreatehenzi, ed anche loro presero ad insultarsi
animatamente.
Elehcim
rideva come un pazzo
ed inutili erano i tentativi di Roary di farlo stare buono. Non smise
di ridere
neppure quando un colpo dell’Aria mandò una sedia
a pochi centimetri dalla sua
posizione.
“Cazzo,
lo sapevo che eri
psicotico ma non fino a questo punto! Non verrò
più in nessun posto con te!”
commentò Roary, schivando la sedia volante per un soffio.
“Il
tuo alleato era un
deficiente ad aiutare la gente come te!” gridò
Aherektess.
“Il
tuo ancora di più, sapendo
contro chi si doveva scontrare! Comunque, se ora avessi il mio alleato
di
allora davanti, non lo prenderesti in giro!”.
“Nemmeno
tu! Tremeresti!”.
“Questo
è fuori discussione!”.
“Ma
dai…vedo come reagisci
alla parola "Ozymandias"!”.
“Ozymandias?!
Mi prendi per il
culo?! È stato NOSTRO alleato, altro che vostro!”.
“Scherzi?!
Fino alla morte di
mio padre, le nazioni di Oscurità ed Aria sono state
confederate!”.
“Ma
se sono stati loro a dirci
dove si ergeva la torre con i bambini! E da dove sareste giunti con il
vostro
esercito il giorno dell’attacco in cui è morto tuo
padre!”.
“Smettila
di inventarti
storie! L’Oscurità era dalla nostra
parte!”.
“NO!
Dalla nostra! E
nell’ultima guerra combattevamo assieme contro di
voi!”.
“Ma
se ci ha anticipato ogni
vostra mossa?!”.
“E
allora com’è morto tuo
padre?”.
“In
effetti…”.
“Stava
dalla parte nostra!”.
“NOSTRA!”.
“Da
nessuna delle due parti!”
sbottò Lehelin, stanca di tutto quel casino.
“Spiegati”
esclamarono, in
coro, i due litiganti, lasciandosi reciprocamente il collo.
“Mio
padre ed il mio popolo
non sta dalla parte di nessuno di voi due” iniziò
a spiegare l’Oscurità “Prima
ancora di tutto ciò che avete raccontato, quando mio padre
era giovane, il
nostro regno attraversò una grave crisi. Molti di noi
morivano, colpiti da una
rara malattia che a fatica abbiamo sconfitto. Il re di quel tempo, mio
nonno,
aveva chiesto aiuto a tutti i popoli di Asteria ma nessuno volle
aiutarci.
Eravamo un popolo pacifico, anche se isolato perché ce la
caviamo da soli, normalmente.
Probabilmente con la conoscenza della Luce, la medicina della Terra, le
materie
prime di altri elementi, avremmo potuto uscire prima da tutto quel
disastro,
evitando moltissime morti. Sapete come hanno reagito i regni?
Attaccando
l’Oscurità, sapendo quanto fosse ricco come
territorio e pieno di preziose
risorse. Sapete perché c’è
un’enorme statua di mio padre in ogni paese del mio
mondo e perché il suo nome è tanto temuto?
Perché è stato lui, appena divenuto
re ed aver visto morire suo padre, a respingervi tutti ed a risvegliare
il
coraggio e la forza del nostro elemento. Ha atteso a lungo, ma
l’opportunità di
vendicarsi è arrivata. Mettendovi uno contro
l’altro, voi Fuoco ed Aria, poteva
annientarvi contemporaneamente. In memoria dei nostri fratelli e delle
nostre
sorelle uccise…mio padre non può essere alleato
di nessuno”.
“E
nemmeno tu…” mormorò
Aherektess.
“No…nemmeno
io” sospirò, dopo
un attimo di silenzio, Lehelin.
“Quindi
la colpa è sempre
stata di Ozymandias?” squittì Reishefy, seguendo
come sempre i discorsi a
tratti ed interpretandoli a caso.
“E
come ha potuto il tuo
popolo reagire contro un attacco quasi mondiale?”
domandò Hanjuly.
“Kaos
è stato al nostro
fianco. Non ci ha mai fatto mancare l’energia e, quando ne
abbiamo avuto
bisogno, siamo stati i più forti di Asteria. Mio padre
è riuscito ad unire un
regno di creature solitarie e renderlo un’unica grande ombra
che vi ha
respinti. Molti lo giudicano come il migliore sovrano che
l’Oscurità abbia mai
avuto”.
“Lui
è il migliore dei pazzi e
degli assassini. E questo non lo si può negare”
ghignò il Fuoco.
“Non
credo possa fare
concorrenza a Vehuya” rimbeccò Lehelin.
“Quindi
stai dalla parte mia?
Mio fratello di certo non può…”
iniziò Aherektess ma l’Oscurità lo
interruppe
con un cenno della mano.
“Io
non posso essere dalla
parte di nessuno” disse “Vorrei, ma farlo
significherebbe rinnegare la mia
gente e la mia natura”.
“Ma…io
pensavo che…fra me e
te…” balbettò l’Aria.
“Questo
non ha niente a che
fare col fatto che noi…”.
“La
posizione di Ozymandias in
questa guerra eterna non ha così tanta importanza.
Quell’uomo non merita tutto
il rispetto che gli dai!”.
“E
tu sei sicuro di ricevere
il rispetto che meriti? O forse sei un pelino sopravalutato?
È di mio padre che
parli…”.
“Che
è una creatura
dell’Oscurità!”.
“Come
lo sono io!”.
“No…tu
sei diversa. Non sei
come lui”.
“Ti
sbagli. Io sono
esattamente come lui. E vedo che questo non riesci ad
accettarlo…”.
Stanca
di discutere ed
indebolita dalla troppa luce, Lehelin diede le spalle al gruppetto di
viaggiatori.
Elehcim la seguì, borbottando “anello
debole” a Roary che non rispose,
rassegnata alle sue idee bislacche. L’Oscurità
attraversò il corridoio
affrescato, udendo dietro di sé che Kassihell ed Aherektess
ricominciavano a
litigare. Andò verso l’esterno. Lungo il protiro
sperava di poter trovare
l’ombra delle grosse colonne, lisce ed altissime. Non ne
trovò, dato che la
facciata esterna dell’edificio era illuminata a sua volta, ma
era meglio
dell’accecante bianco della biblioteca. A guardia
dell’ingresso non c’era più
nessuno, impegnati com’erano a correre via o chiamare aiuto.
Si ritrovò da sola
e sospirò. Salì sulla balaustra e
guardò giù. Era una bella altezza, sorgendo
tutto quel complesso bianco latte in cima ad una ripida scalinata. Un
salto da
dove stava sarebbe stato un bel botto. Sentì il vento lungo
il corpo nebbioso e
chiuse gli occhi.
Alle
sue spalle, il
mezzosangue che l’aveva seguita si apprestava ad attaccarla.
Uccidendo uno del
gruppo, la missione falliva! Modificò la forma delle dita
per amplificarne la
forza magica. Il sangue metallico formò lunghi artigli su
cui iniziarono a
danzare fiamme sempre più grandi. Avvolta dal fuoco,
un’ombra svanisce senza
lasciare nessuna traccia. Nessuna prova, nessun testimone. Perfetto.
“Ma
che cosa state facendo?”
urlò Efrehem.
Con
il libro del Signore
dell’Ovest fra le mani, guardava i suoi compagni con stupore.
Si stavano tutti
insultando, schierati dalla parte di Kassihell o di Aherektess, oppure
per il
puro gusto di farlo.
“Che
state facendo? E quei
libri da dove vengono?” domandò.
“Da
dove vuoi che vengano?
Dalla tua stupida biblioteca!” rispose Mattehedike.
“Questa
biblioteca non è
stupida e non è vero. Quei due volumi non appartengono a
questo posto. Dove li
avete trovati?”.
“Ha
importanza? Questo pennuto
ha detto qualche parolina di troppo ed è ora che chiuda il
becco per sempre!”
sibilò il Fuoco.
“Ti
spegnerò come una
candelina di compleanno, brutto coglione!”
rimbeccò l’Aria.
“Idisi...non
sei riuscita
nemmeno tu a farli ragionare?” si stupì la Luce.
“Mi
hanno rotto. Che si
uccidano” fu la secca risposta.
Mentre
riprendevano a tirarsi
sedie, palle di fuoco ed ogni altra cosa possibile, Efrehem
riuscì ad afferrare
uno dei due volumi. Avendolo fra le mani ebbe l’assoluta
certezza che non
provenisse dalla biblioteca della Luce. Aveva letto tutti i libri
conservati in
quel luogo.
“Dove
lo avete trovato?”
domandò di nuovo, sperando di ricevere risposta.
“Quello
di colore chiaro era
su quel tavolo…” sospirò la Terra, non
capendo il motivo di tutte quelle
domande “…l’ho trovato io ma Reishefy me
lo ha strappato dalle mani e lo ha
letto. Parla della guerra fra Aria e Fuoco, descritta dal punto di
vista
dell’Impero del Fuoco”.
“E
l’altro libro?”.
“Lo
ha dato una ragazza ad
Aherektess. Parla della stessa guerra ma dal punto di vista
dell’Aria”.
“Tutto
qui? Stanno per
uccidersi perché hanno visto la stessa guerra da due punti
diversi?”.
“A
quanto pare…”.
“E
che ragazza aveva quel
libro? È ancora qui? Libri così di parte non sono
ammessi in questo luogo.
Chiunque lo abbia portato è meglio che abbia delle
più che valide spiegazioni
da darmi”.
Idisi,
ripreso
l’autocontrollo, si guardò attorno.
“Difficile
dirlo…” mormorò
“…era incappucciata
ma…forse…” piegò la testa,
guardando in un punto preciso e
cercando di capire se la creatura che aveva di fronte fosse colei che
stava
cercando.
“Credo
che sia lei” disse,
infine, indicando una ragazza seduta piuttosto distante dai litiganti.
“OPS”
si limitò a commentare
Roary, vedendosi indicare.
Girò
la testa rapidamente, a
destra e a sinistra, controllando se effettivamente si stava riferendo
a lei.
Una volta accertato che era così, decise che era meglio non
aspettare di
scoprire cosa avessero in mente esattamente e si alzò.
“Lo
sapevo che dovevo andare
via quando potevo!” sbottò, e si mise a correre.
“Fermatela!”
urlò Efrehem “Lei
è la causa di tutto questo casino!”.
Agli
ordini del principe del
regno, molte creature della Luce, rimaste contro il muro in attesa di
poter
uscire in modo sicuro, obbedirono e si misero ad inseguire
quell’incappucciata
dal passo svelto e l’aria scocciata.
Due
ombre. La creatura che
aveva alle sue spalle aveva due ombre. Le vedeva chiaramente, una alla
sua
destra ed una alla sua sinistra, proiettate lungo le colonne. Una era
l’ombra
di una creatura del Metallo, ricoperta di punte acuminate, e
l’altra era di
Fuoco, se ne percepivano i guizzi di fiamma.
Come
era possibile? Lehelin
tentò di capirlo. Si voltò, per osservare meglio
chi le stava proiettando.
Il
mezzosangue non si
aspettava una cosa del genere. I due si guardarono per qualche istante.
Lui
ghignava soddisfatto, pronto a colpirla, con gli occhi rossi che si
vedevano
chiaramente da sotto il ed
attraverso le
lenti degli occhiali scuri. Lei, con due sottilissime linee
d’argento verticale
sul viso come sguardo, non si mosse, pur vedendo il fuoco fra le mani
di lui e
capendo cosa aveva in mente.Elehcim prese un profondo respiro, deciso a
sferrare la fiammata d’attacco, quando una mano lo
afferrò saldamente per un
braccio e lo trascinò.
“Scappa,
ci hanno beccato!”
gli disse Roary, continuando a correre.
Trascinandolo,
gli fece
ricadere all’indietro il cappuccio.
L’Oscurità, che aveva continuato ad
osservarlo, sussultò. Sanguemisto. E con un’aria
così familiare…
I
due incappucciati saltarono
giù dalla balaustra, qualche colonna più in
là rispetto a dove si trovava
Lehelin. Atterrarono su Orebrec e corsero via, seguiti da altri
sanguemisto che
avevano a loro volta partecipato a quella missione.
“Credi
che abbia funzionato?”
domandò Elehcim.
“Dubito
possano fare la pace
tanto facilmente” gli rispose Roary.
“Bene.
Così il nostro attacco
sarà di certo più semplice”.
“Questo
è sicuro ma…perché non
hai colpito subito quell’Ombra?”.
“Si
è voltata…ed è una
creatura davvero inquietante. Lo avrei fatto, se non fossi arrivata
tu!”.
“Stavano
per linciarci! Ho
dovuto trascinarti via! Ti ho salvato la vita! E per quanto riguarda la
creatura d’Oscurità…cosa ti aspettavi?!
È la figlia di Ozymandias!”.
“Tu
sai di chi sono figlio io,
vero?”.
“Sì,
caro…”.
“Ed
allora non usare certi
termini di paragone!”.
Svanirono
velocemente, così
come erano arrivati, senza più dire una parola.
“Lehelin!
Che succede?” urlò
Thuwey, correndo lungo gli scalini d’ingresso.
“Niente.
Solita rissa”.
Le
creature inseguitrici erano
tutte lungo il protiro e si sparpagliarono alla ricerca dei fuggitivi.
“Stai
bene? Sei
così…ristretta!” si
preoccupò il Metallo.
“Colpa
di tutta questa luce!
Ho bisogno di un po’ di buio…i miei occhi non ce
la fanno più!”.
“Dove
sono tutti gli altri? E
perché non sei con loro?”.
L’Oscurità
si accoccolò con la
schiena contro una colonna, tenendosi le ginocchia. Thuwey
tentò di farle
ombra, in qualche modo, trovando fastidiosa pure lui tutta quella luce.
“Kassihell
ed Aherektess
stanno litigando, come sempre, ed io sono andata via”.
“Quei
due deficienti…senza
offesa per il tuo uomo, scusa!”.
“Non
è il mio uomo. Puoi
offenderlo quanto ti pare”.
“Ma…”.
“Metallo…posso
farti una
domanda?”.
“Chiedi
pure, ma chiamami
Thuwey!”.
“Volevo
chiederti…tu sei un
viaggiatore, hai accompagnato la tua regina in molti incontri
diplomatici. In
base a ciò che hai visto e vissuto…essere una
creatura come me, una nativa
dell’Oscurità, è una cosa tanto
negativa nell’opinione comune degli abitanti di
Asteria?”.
“Che
domanda strana…”.
“Perché
a me sembra di essere
stata brava. Mi sono impegnata in questo viaggio, ho cercato di aiutare
e di
rendermi utile, ma non ho fatto nulla di diverso rispetto a
ciò che faccio nel
mio regno, con i miei simili. Eppure non faccio altro che sentirmi dire
che quelli
come me sono cattivi, senza cuore, egoisti,
assassini…sbagliati”.
“I
pregiudizi sono forti, lo
ammetto. E sono duri da togliere dalla mente. Io per primo, lo devo
confessare,
ho avuto paura quando sapevo di dover incontrare Ozymandias e, per
quante volte
lo abbia visto ed abbia capito che non è un mostro come lo
descrivono, quel
brivido d’inquietudine resta comunque. Ma credo che questo
sia anche un
desiderio del re, di tuo padre. Come te al palazzo dell’Ovest
e come la tua
scarsa voglia di chiamarci per nome, agisce per mantenere le
distanze”.
“Si
sente tradito dagli altri
regni. Eravamo sempre stati disposti a condividere le nostre risorse
con il
resto del Mondo ma quando abbiamo avuto bisogno d’aiuto ci
avete tutti voltato
le spalle ed ora noi dell’Oscurità, perfettamente
in grado di badare a noi
stessi, di certo non andiamo a fare amicizia”.
“Non
conosco bene le faccende
di cui narri ma penso che Ozymandias sia un buon re, per il suo popolo.
Se poi
ha dentro di sé un desiderio di vendetta con la V maiuscola
sono affari suoi”.
“Fin
ora non mi pare di averlo
mai sentito parlar male del regno del Metallo…”.
“Tuo
padre è un mito, dal
punto di vista militare. Durante l’addestramento, il mio
maestro non faceva
altro che citarmi le sue grandi imprese guerriere e descrivere il suo
ottimo
esercito. Ne ho paura…ma lo stimo un sacco!”.
“Questo
gli farà molto piacere
saperlo…”.
“E
quindi ora…”.
La
conversazione fu interrotta
da una sedia volante che uscì dall’ingresso a
velocità sostenuta, andando a
schiantarsi contro una delle colonne e frantumandosi in pezzetti
minuscoli.
“Adesso
quei due le sentono!!”
sbottò Thuwey, facendosi scricchiolare le nocche ed entrando
nella biblioteca a
grandi passi decisi.
Fuoco
ed Aria si stavano
ancora scontrando. Gli altri membri della compagnia si erano fatti da
parte,
andando accanto al muro come gli abitanti della Luce. Il Metallo
lanciò un
grido, di minaccia e d’avvertimento, che non sortì
l’effetto sperato. Dopo un
respiro, allungò entrambe le braccia e comandò le
catene che portava su tutto
il vestito. Queste si srotolarono ed andarono ad avvolgere i due
litiganti,
separandoli.
“L’avete
finita?” tuonò
Thuwey, stringendo ancora un po’ la presa.
Kassihell
non rispose ma
iniziò a scaldarsi, tentando di sciogliere ciò
che lo bloccava. Il Metallo
tramutò entrambe le mani in spade e le puntò
contro i due immobilizzati.
“Se
fossi in voi non ci
proverei. Non avete possibilità di vittoria, insalamati come
siete! E rimarrete
così fino a quando sarete di nuovo in grado di viaggiare
assieme da persone
civili, non da animali rabbiosi! Intesi?”.
“Me
la pagherai cara…” sibilò
Aherektess.
“Non
appena ci libererai, io…”
minacciò Kassihell ma Thuwey strinse ancora la presa e
zittì entrambi con
soddisfazione.
“Zitti!
E tu,
Mattehedike…perché non li hai
separati?!”.
“Io
ci tengo alla mia
incolumità, amico!”.
“Capisco…e
adesso, signori, in
marcia!” affermò il Metallo e, tenendo le braccia
affilate puntate alla schiena
dei due, uscì dalla biblioteca seguito dal resto del gruppo.
Ripresero
le armi, dividendosi
fra loro quelle di Fuoco ed Aria.
“Non
è giusto!” protestò
Kassihell “Non ho iniziato io! Ridammi la mia Katana!
È tutta colpa di questo
idiota svolazzante!”.
“Colpa
mia?! Adesso sarebbe
colpa mia?! Ma senti questo…ti ricordo che sei stato tu ad
aprire la questione
e sei sempre stato tu ad attaccare per primo!”.
“Bugia!
Io ti…”.
Metallo
e Terra si fissarono,
sospirando e, dopo averli imbavagliati, ripresero il cammino dietro ad
Efrehem
che continuava a chiedere perdono a tutto il suo popolo per il disagio.
†††
Il
gruppo, dopo
quell’episodio, si era fatto silenzioso. Perfino Reishefy non
sapeva cosa dire.
Erano nati un sacco di nuovi dubbi, sospetti e paure. Quali altre
storie si
nascondevano? Il bel clima che tanto a fatica avevano creato era ormai
svanito
in pochi attimi. Ed ironicamente il tutto era dovuto alla lettura di
due libri,
un’attività da cui nessuno si aspettava di veder
scoppiare una guerra.
L’inconfondibile
suono delle
campane accompagnava il loro cammino. Ogni città aveva
tantissime torri e su
ognuna un’enorme campana suonava, in momenti diversi della
giornata.
“Cosa
hai scoperto riguardo al
volume del Signore dell’Ovest?” domandò
Thuwey.
“Vi
spiegherò tutto quando e
se verrà il momento” rispose Efrehem.
Il
Metallo fece un cenno con
il capo, senza parlare più. Non staccò per un
solo istante gli occhi da Aria e
Fuoco, continuando a minacciarli per farli stare buoni.
“Che
clima di merda!” sbottò
l’Elettricità, dopo un paio d’ore.
“Ti
do ragione. Non possiamo
andare avanti così! Ormai abbiamo superato la
metà del viaggio, dobbiamo
lasciare da parte le divergenze personali ed arrivare in
fondo” affermò
Hanjuly.
“Basta
solo sapersi
controllare…” continuò Reishefy.
“Parli
proprio tu di sapersi
controllare! Comunque dubito che l’evocazione funzioni se ci
odiamo in questo
modo!” borbottò Idisi.
“Nessuno
ha mai parlato di
amore fra popoli!” si lamentò Mattehedike
“Perciò, anche se i dieci viaggiatori
si odiano, l’importante è che siano tutti vivi e
con l’oggetto proibito”.
“Il
problema è che, slegando
uno di questi due, di certo non arriviamo tutti e dieci!”
sbottò Enki.
“Questo
dipende da come gli
viene posta la questione…” mormorò
Efrehem.
“Credi
di poterli convincere?”
ridacchiò la Roccia.
“Con
l’aiuto della Signora
della Terra…” azzardò la Luce,
girandosi verso Idisi, che gli sorrise.
“Allora
vediamo…sono stanco di
usare i miei poteri per loro!” esclamò il Metallo.
Tenendoli
arrotolati ed
imbavagliati, li mise con le spalle contro uno dei muri bianchi ed oro
che
circondavano la città.
“Sono
tutti vostri…”.
Terra
e Luce si schiarirono la
voce e poi, con un sorrisetto, Efrehem fece segno ad Idisi che poteva
avere lei
l’onore d’iniziare. Non se lo fece ripetere due
volte.
“Adesso
statemi bene a
sentire, voi due!” esordì, con fare minaccioso che
mai nessuno dei presenti
aveva avuto modo d’osservare “Me ne sbatto
altamente se per voi le vostre
discussioni sono giuste, lecite, obbligate o chissà che
altro. Le mie figlie,
quando litigano fra di loro, sembrano molto più mature di
voi! Posso
tranquillamente affermare che tutti noi siamo stufi di dovervi
sopportare e
farvi da babysitter…”.
“Senza
contare il fatto che,
dato il vostro comportamento, è evidente che non considerate
l’importanza della
missione!” interruppe Efrehem “Qui non si tratta di
voi, di noi, di un singolo
impero o di una singola guerra! Parliamo del futuro di Asteria e lo
state
letteralmente buttando nel cesso per rancori del tutto personali, o
comunque
riguardanti solo una porzione del pianeta! Posso capire il risentimento
che c’è
fra di voi, ma lo scopo finale che dobbiamo portare a termine
è più importante.
Vi abbiamo dato il tempo di sfogarvi e di restare in silenzio, spero a
riflettere. Il luogo proibito del mio regno è vicino, e poi
ci attendono altri
quattro mondi. È un viaggio lungo, stancante e complicato.
Per tutti noi però,
non solo per voi due! Non vorrei dovervi tenere imbavagliati ed
insalsicciati
per tutto il tempo…se io ora vi slego, promettete di fare
tregua? Se poi, una
volta portato a termine il viaggio, vorrete uccidervi…sono
affari vostri! Io vi
chiedo di portare a termine quest’avventura…non
pretendo che andiate d’amore e
d’accordo, ma gradirei perlomeno il silenzio. Ignoratevi!
Ecco la parola
esatta: ignoratevi! Credete di poterlo fare?”.
La
Luce guardò negli occhi
entrambi i prigionieri, che risposero a quello sguardo. Si vedeva che
erano
entrambi furiosi ma anche stanchi di rimanere bloccati.
“Allora?”
incalzò Idisi “Che
cosa dite? Vi sleghiamo e state buoni oppure rimanete così
fino a nuovo
ordine?”.
Kassihell
ed Aherektess si
fissarono con odio per qualche istante ma poi chinarono il capo.
“Vi
sleghiamo? Promettete di
fare i bravi?” parlò la Luce.
I
due litiganti annuirono,
anche se a fatica. Subito il Metallo allentò le catene ed
iniziò a
riavvolgerle. Fu loro tolto il bavaglio e subito il Fuoco si rimise in
piedi,
bestemmiando a bassa voce e massaggiandosi gli arti indolenziti.
“Ridammi
la mia Katana” fu la
prima ed unica cosa che disse, rivolto alla Roccia che
l’aveva in custodia e
che gliela porse, con un mezzo sorriso.
Aherektess,
dopo aver ripreso
il controllo delle braccia piumate, rifoderò le spade che
Hanjuly gli porse
senza dire nulla.
Il
gruppo ripartì in silenzio,
con i due litiganti ben divisi e l’Oscurità in
centro, alla disperata ricerca
di un piccolo spiazzo senza luce. Quel regno stava scombinando ogni
loro ritmo.
Non calando mai, Sirona illuminava perennemente il cammino senza dare
spazio
alla notte. Dormire fu particolarmente difficile per la maggior parte
della
compagnia e, quando giunsero in vista del luogo proibito, erano tutti
quanti
stanchi e silenziosi.
“Ombra…”
mormorò Efrehem
“Quello dev’essere il luogo proibito”.
In
effetti davanti a loro si
ergeva un intricato insieme di alberi che bloccavano ogni raggio di
luce.
Lehelin sorrise a quello spettacolo e si avvicinò senza
timore. Non toccò
quella pianta, ma rimase ai suoi piedi, ad occhi chiusi, assaporando il
ristoro
del suo elemento.
“Che
pianta meravigliosa!”
commentò Idisi.
In
un complicato intreccio di
radici, rendeva impossibile il passaggio.
“Immagino
che l’oggetto
proibito sia lì dentro…” disse Enki.
Quel
luogo era talmente vicino
al confine da far vedere a tutti quale fosse il regno successivo. Lava
e fuoco
li attendevano e la cosa non poteva che creare una certa inquietudine.
“Questa
pianta mi sta
chiamando” affermò Idisi “Tocca a me.
Vado io”.
Appena
sfiorò con le dita quel
complesso sistema intrecciato, grosse liane e foglie la avvolsero, fino
a farla
sparire del tutto alla vista della compagnia e portarla oltre quel
sottile
confine fra il regno mortale e quello divino.
†††
“Buonasera”
si sentì
educatamente salutare.
“Buonasera”
rispose, pur non
sapendo se fosse effettivamente sera oppure no.
Trattenne
il fiato quando si
fu abituata al riverbero di quel luogo e riuscì a mettere a
fuoco chi aveva
davanti e dove si trovava. In quell’intreccio verticale di
rami e linfa, erano
custoditi, come frutti preziosi, migliaia di libri. Tutto brillava di
scintille
dorate, provocate dalle farfalle con le ali di quel colore, che
svolazzavano
fra un volume ad un altro.
“Tu
sei Idisi, giusto?
Rappresentante del regno della Terra” parlò la
divinità.
“Sì…e
Voi siete…?”.
“Io
vengo chiamato Vereheveil,
e sono il Dio delle Letterature e delle Lingue”.
Aveva
splendide ali piumate
color oro, come oro erano le sue iridi. Portava una sorta di tunica
bianca,
lunga fino ai piedi, allacciata solo da un lato. Questo faceva
sì che si
notassero i tatuaggi che portava sul corpo. Erano lettere, numeri,
ideogrammi,
note, segni e simboli di ogni sistema di scrittura di Asteria e di
chissà
quanti altri pianeti. Ai piedi indossava dei sandali piuttosto
semplici. I
capelli, verde acqua, ricadevano in ciuffi corti sul viso, mentre
dietro erano
lasciati crescere. Sorrise alla mortale che lo stava osservando. Lei si
sentì
subito rassicurata, notando quei due grandi occhi così tondi
ed amichevoli.
“Ho
saputo che avete avuto dei
problemi all’interno del gruppo…”
riprese a parlare la divinità, usando
perfettamente il linguaggio nativo di Idisi.
“Già.
È così…” confermò
lei,
non nascondendo un certo sconforto.
“Normale,
mia cara. Se perfino
fra noi Dèi non facciamo altro che discutere, come possiamo
pretendere che voi
mortali vi comportiate in modo diverso?”.
“Sono
riusciti a farmi
arrabbiare. È una cosa piuttosto difficile!”.
“Lo
so. Succede lo stesso
anche a me ma, credimi, c’è una
divinità che mi fa davvero uscire di testa.
L’esistenza è una questione di opposti. Se non ci
fosse l’odio, o la rabbia, o
la guerra, non potrebbe esistere l’amore, o la pace o
qualsiasi altro
sentimento positivo. Non trovi? Noi Dèi sapevamo bene che
sarebbe stato un vero
e proprio casino questo viaggio. Ci siamo messi nei vostri panni e ci
siamo
detti che noi, personalmente, non saremmo in grado di affrontare tutto
senza
azzuffarci nemmeno una volta. E questo, ovviamente, crea una certa
inquietudine
nelle divinità graciline come me, di certo non molto brave a
combattere”.
“Quindi
mi state dicendo che è
normale lasciarli litigare?”.
“Non
potete lasciarli
litigare…vogliono uccidersi! Ma non potete di certo
trattenerli sempre. E non è
la fine del mondo se vengono alle mani. L’importante
è che il gruppo sia pronto
ad intervenire nel caso andassero troppo oltre”.
“Siete
molto diplomatico…”.
“Dicono
che sia saggio. O
codardo, dipende dai punti di vista. In realtà io non riesco
a comprendere fino
in fondo il desiderio di usare la violenza. Amo i libri, la cultura, il
sapere…la guerra non rientra nei miei interessi ma ho
imparato a guardare il
tutto da un punto di vista diverso. Ti faccio un esempio pratico. Tu
sei un’abitante
del regno della Terra, vivi a stretto contatto con essa e non
riusciresti
nemmeno ad immaginare di poter esistere in modo diverso. Eppure,
soprattutto in
questo viaggio, hai avuto modo di vedere che questo è
possibile. Popoli e regni
vivono anche se si comportano in modo completamente diverso dal tuo.
Capisci?”.
“Mi
state dicendo che non
posso giudicarli, ma che dovrei vivere la cosa in prima persona per
capire?
Perché se è così lo intuivo
già da prima, ma…”.
“Ma
tu riesci ad avere più
autocontrollo? Anche questo fa parte della tua natura, del tuo essere.
Ognuno
di voi dieci vede tutta questa storia in modo differente e reagisce in
modo
diverso. Possono esservi reazioni molto simili, come la tua e quella
del
principe della Luce, o diametralmente opposte come la decisione o meno
d’intervenire di Metallo e Roccia. Questo viaggio necessita
di ogni qualità e
difetto di ognuno di voi. Cerca di sfruttare la voce delle tue
qualità. La tua
dote è la pazienza: usala. Abbi pazienza, perseveranza,
forza di volontà, e
vedrai che tutto andrà per il meglio. Nessuno è
"sbagliato"
all’interno del vostro gruppo di viaggiatori. Vedrai che i
due litiganti, Fuoco
ed Aria, capiranno di avere molte più cose in comune di
quanto pensino. Le loro
divinità ci hanno messo un sacco ad arrivarci, ma ci sono
riuscite. E perfino
io, col tempo, sono riuscito a sopportare la mia controparte impulsiva
ed
isterica”.
“E
se non riuscissero a
capirlo? Voglio dire…e se continuassero a litigare? E se si
verificasse un
episodio per il quale uno dei due finisce male e ci ritrovassimo in
nove?”.
“Sono
entrambe creature
intelligenti. Dal carattere forte ed iracondo, ma con un buon cervello.
Si
faranno del male, anche in modo serio, probabilmente, ma non
arriveranno al
punto di uccidersi”.
“Ne
siete sicuro?”.
“Non
sono pronto a giuratelo
ma…sono sufficientemente sicuro da dirti che non manderanno
in malora l’intero
futuro di Asteria per un problema interno ai loro regni. Più
probabile che
facciano scoppiare una guerra in seguito, se non riescono a
chiarirsi”.
“Io…non
so se è il caso
ma…vorrei chiederVi: cosa ne pensate di tutta questa
faccenda? Dell’evocazione,
intendo, del viaggio, dei mezzosangue… Voi siete il Dio che
più rappresenta la
cultura, Vi sarete fatto un parere in merito…”.
“Me
lo sono fatto e,
sinceramente, non so ancora bene dove indirizzare il mio consenso. Ti
spiego:
ritengo che per secoli, se non millenni, Asteria sia stata popolata dai
mezzosangue. Perciò ritengo che la colpa di questi sbalzi di
magia non sia
loro. L’evocazione, per chiamare la Creatrice, credo sia
l’unico modo per
raggiungere una soluzione. Lei ha creato tutto questo e di certo
saprà come
curarlo. Non c’è altro modo”.
“E
la Creatrice non risponde
direttamente a voi Dèi, invece di farci fare tutta questa
fatica?”.
“La
Creatrice è molto potente
e distante. Ha sotto la sua tutela migliaia di mondi. Da tempo non ho
modo
d’incontrarla”.
“Quindi
ha creato Asteria e
poi se ne è disinteressata?”.
“In
un certo senso. L’ha
affidata a noi, Dèi di un livello leggermente inferiore al
suo, insegnando la
tecnica dell’evocazione ai due Signori di Est ed Ovest per le
emergenze”.
“E
non poteva escogitare un
sistema più semplice?”.
“Per
permettere a voi mortali
di tormentarla per qualsiasi cosa? No, ha trovato un metodo tale per
cui solo
le VERE emergenze portino al suo richiamo. Solamente in caso di reale
bisogno
si riesce ad attuare un’evocazione così complessa.
Questo è un caso di reale
bisogno…e hai notato quant’è
difficile?”.
“Spero
che almeno funzioni…”.
“Non
dubitarne. Lei risponde
sempre”.
“Me
lo auguro. Ora, tornando a
noi…l’oggetto proibito di questo posto qual
è?”.
“Io
non custodisco nessun
oggetto proibito, ma dentro di me risiede una formula. Ti
donerò le parole
dell’evocazione, l’insieme di suoni che ti
permetteranno di attivare gli
oggetti proibiti in vostro possesso e richiamare la Creatrice. Queste
parole
rimarranno latenti dentro di te fino a quando non verrà il
momento di usarle.
In quel momento, e solo in quel momento, esse compariranno nitide
davanti a te
e tu le pronunzierai. Una volta terminato, esse ritorneranno qui da
me”.
“Quindi
sarò io ad effettuare
l’evocazione?”.
“Non
ti spaventare! Sarete
tutti voi ad effettuarla, tutti assieme, ma sarai tu a chiamare la
Grande Madre
per nome per farvela apparire dinnanzi”.
Idisi
fu leggermente turbata
da quella frase. E se le parole non fossero apparse? Se nel momento
cruciale
non avesse saputo cosa dire?
“Non
posso avere un libro o un
foglio su cui è riportata la formula?”
domandò, speranzosa.
“Certe
cose non possono essere
scritte, da nessuno. Perfino io, custode di ogni lingua e scrittura
conosciuta,
non mi azzardo a pronunciarle o riportarle senza ritegno”.
“Che
devo fare?”.
“Rilassati,
Idisi. Rilassati e
le parole faranno parte di te”.
La
Terra chiuse gli occhi ed
il Dio, sfiorandole la fronte con le dita, le trasmise il suo sapere.
Le
lettere, come disegni danzanti sulle dita della divinità, si
mossero e si
trasferirono. Rimasero sospese in aria, attorno alla testa della
mortale, per
poi svanire senza lasciare traccia.
“Dentro
di te, ora, hai la
forza delle parole, Idisi. Non avere paura di loro. Quando
sarà giunto il
momento, ascoltale. Esse sapranno guidarti”.
“Potrò
contare sul Vostro
aiuto?”.
“Mio,
come di qualsiasi altra
divinità, immagino. Ci rivedremo”.
“Ci
rivedremo? Davvero?”.
“Abbi
un po’ di fede, che
diamine!”.
“Scusate…”.
“Puoi
andare adesso, giovane
maga del regno dei fiori”.
“Grazie…”.
“C’è
un regalo che voglio
farti. Prendi una delle mie piume”.
Idisi
si guardò attorno,
cercandone qualcuna caduta, ma non ne vide.
“Non
cercarne in terra, vieni
qui. Prendine una!” la incitò il Dio, spalancando
le ali dorate.
“Posso?
Posso davvero?”.
“Coraggio”.
La
Terra allungò la mano,
timidamente, verso quelle ali meravigliose ed abbaglianti. Sfiorando
quelle
penne, ridacchiò. Erano morbide e le fecero il solletico. Le
accarezzò, quasi a
voler chiedere perdono, poi ne afferrò una con convinzione e
la staccò.
Vereheveil sorrise, come a rassicurarla di non avergli dato fastidio, e
le
richiuse.
“Nel
caso vi dovesse
ricapitare una situazione simile a quella fra le creature
dell’Elettricità, in
cui non riuscivate a capirvi, quella vi potrà essere utile
perché ti farà
comprendere ogni linguaggio straniero. Quella resterà a te,
un mio dono”.
“Grazie.
Ma…voi divinità state
seguendo tutto il nostro viaggio dall’alto?”.
“Ovvio.
Vi abbiamo anche
aiutato, in qualche occasione. Non possiamo interferire più
di tanto per
questioni di equilibrio ma, in questo caso, qualche regoluccia
l’abbiamo
infranta”.
“Grazie
infinite”.
“Ora
va. I tuoi compagni ti
attendono”.
Idisi
uscì e si materializzò
al di fuori dell’intreccio di rami e liane. Fra le mani
stringeva quella
magnifica piuma dorata, molto grande, che si apprestò ad
infilarsi fra i
capelli verde scuro.
“Tutto
a posto? Possiamo
andare?” domandò Thuwey.
“Tutto
ok. Andiamo” confermò
lei, raggiante.
“Quella
piuma…” mormorò
Efrehem, ad occhi spalancati “…viene dalle ali
della divinità del mio mondo? È
una delle piume di Vereheveil?”.
“Sì.
Un suo regalo”.
“Posso
toccarla?”.
“Certo”.
La
Luce la sfiorò, con
riverenza ed ammirazione.
“Possiamo
andare?” sbottò il
Fuoco.
“Prego,
passo il testimone”
rispose Efrehem.
Kassihell
strinse fra le mani
il medaglione di Kaos e la chiave del suo impero, rossa a motivi
fiammeggianti,
pronto a guidare la compagnia per le pericolose vie del regno del Fuoco.