Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Mary P_Stark    30/10/2015    3 recensioni
Lithar mac Lir, gemella di Rohnyn, porta con sé da millenni un misterioso segreto, di cui solo Muath e poche altre persone sono al corrente. Complice la sua innata irruenza, scopre finalmente parte di alcune tessere del puzzle di cui è composta la sua esistenza, ma questo la porta a fuggire dall'unica casa - e famiglia - che lei abbia mai avuto. Lontana dai fratelli tanto amati, Lithar cercherà di venire a patti con ciò che ha scoperto e, complice l'aiuto di Rey Doherty - Guardiano di un Santuario di mannari - aprirà le porte ai suoi ricordi e alla sua genia. Poiché vi è molto da scoprire, in lei, oltre alla sua discendenza fomoriana e di creatura millenaria, e solo assieme a Rey, Lithar potrà scoprire chi realmente è. - 4^ PARTE DELLA SERIE 'SAGA DEI FOMORIANI' - Riferimenti alla storia nei racconti precedenti
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
5.
 
 
 
 

Fui svegliata da un trambusto improvviso, e dallo scalpiccio dei piedi di Rey sul parquet del corridoio.

Subito desta, scalciai le lenzuola e il panno di lana e, in fretta, infilai le scarpe ai piedi, catapultandomi fuori dalla stanza.

Trovai le luci accese nel salotto, un bollitore soffiante sul fuoco e tre persone accalcate nei pressi del divano.

L’odore ferroso del sangue mi pizzicò le narici e, nel notare una scia di gocce sul pavimento, esalai: “Rey, che succede?”

Lui levò la sua testa bruna dalla persona stesa sul divano, mi fissò turbato per un attimo ma, infine, mi ordinò: “Torna a letto, Litha. Non preoccuparti.”

Lo ignorai, avanzando a grandi passi e, nell’oltrepassare il divano, scorsi un ragazzino adolescente con una brutta ferita al costato.

Con lui, altri due ragazzi tremanti stavano osservando con occhi sgranati l’amico, apparentemente terrorizzati da ciò che stavano vedendo.

“Cos’è successo?” domandai ai ragazzini.

Usai un tono così perentorio che entrambi sobbalzarono, impallidendo visibilmente.

Tamponando la ferita con un panno – le mani prudentemente ricoperte da guanti in lattice – Rey borbottò: “Visto che non ne vuoi sapere di tornartene a letto, puoi portarlo in infermeria, mentre io chiamo i suoi genitori?”

“Nessun problema” assentii, piegandomi in avanti e sollevando il ragazzino come se nulla fosse.

I due giovani mi fissarono straniti e, nel sogghignare loro, dissi: “Sono una figlia di Dana, non Wonder Woman. E, a giudicare dai vostri sguardi ansiosi, voi due siete nei guai fino al collo.”

Ciò detto, corsi fuori senza curarmi di indossare nulla sopra le braccia nude.

Quando l’aria gelida di quella notte di febbraio mi colpì, strinsi i denti ma proseguii.

Sorreggendo senza sforzo il giovane, che si stava lagnando per il dolore al petto, digitai in fretta il codice sul tastierino della porta e corsi al piano superiore.

Lì, depositai il ragazzo su un letto, mi infilai i guanti di lattice e presi garze e disinfettante dallo stipetto più vicino.

Senza darmi pena di salvare la sua felpa lacerata, la strappai per meglio osservare la ferita e, scusandomi in anticipo, iniziai a pulire la lacerazione dal sangue.

Il ragazzo si lamentò, tentò di scostare le mie mani, ma io lo rassicurai con tono gentile ma fermo.

Gettai nel cestino non meno di tre garze zuppe di sangue, prima di rendermi conto di qualcosa di profondamente sbagliato.

Perché continuava a sanguinare?

Di norma, un licantropo avrebbe dovuto ritemprarsi nel giro di pochissimo, e non dubitavo che quel ragazzo fosse un mannaro.

Perché, altrimenti, recarsi in piena notte da Rey?

Quindi, cosa stava succedendo?

Quando avvertii i passi concitati di qualcuno su per le scale, osservai ansiosa l’entrata del pronto soccorso.

Un attimo dopo, comparve Rey, trafelato e vagamente pallido.

Mi raggiunse quasi correndo assieme agli altri ragazzini e, nell’annuire a ciò che avevo fatto, mi chiese: “Come te la cavi, con il pronto soccorso?”

“Ho ricucito parecchi soldati, oltre a me stessa, perché?”

“Bene. Perché avrò bisogno di due occhi buoni e di uno stomaco forte” mi spiegò, sorridendomi sghembo. “Vai a indossare un camice e una mascherina. Dobbiamo operarlo subito.”

“Cosa gli è capitato?” domandai, togliendomi in fretta i guanti zuppi di sangue per correre a cambiarmi.

Col volto aggrottato e torvo, mormorò: “Quegli idioti hanno ingurgitato dell’argento per gioco.”

Preferii non chiedere altro  e, di corsa, andai nella saletta che, tempo addietro, mi aveva mostrato.
 
***

Le luci della sala operatoria, bianche come neve, conferivano alla stanza insonorizzata e asettica un aspetto ascetico e spettrale.

I miei occhi seguivano attenti il veloce progredire delle mani di Rey, infilate all’interno dello stomaco dell’adolescente avvelenato.

Come sciocchi, i ragazzi si erano sfidati a una gara di coraggio e, da vero stupido, uno di loro aveva deciso di infilarsi in bocca tre pallottole d’argento.

Questo aveva innescato una reazione a catena nel suo corpo che, dopo aver  rifiutato l’argento, mandandolo in shock anafilattico, aveva poi tentato di proteggersi.

Cercando di togliere la fonte del male direttamente con gli artigli.

Guy, il ragazzo steso sul lettino, si era letteralmente preso ad artigliate, spinto dal suo istinto di conservazione ormai del tutto privo di controllo.

I suoi amici avevano tentato di bloccarlo, di placarlo ma, alla fine, avevano solo potuto tramortirlo e condurlo da Rey.

Ora, noi lo stavamo operando per estrarre le pallottole dal suo stomaco, sperando che le pareti interne del sacco non fossero già drammaticamente danneggiate.

Scossi il capo, quando il primo proiettile finì nel piattino d’acciaio che tenevo sollevato per Rey.

“Come si può essere così idioti?” mi lagnai, lanciando un’occhiata preoccupata verso Rey che, imperturbabile, stava continuando nel suo esame.

“L’adolescenza è una brutta bestia. Specialmente per i maschi” chiosò pacato Rey, estraendo il secondo proiettile con mano ferma.

“Sarà… ma ingoiare veleno mi sembra più stupido del comprensibile” borbottai, storcendo il naso.

Cercai di ripensare ai miei fratelli, alla nostra giovinezza, ma cozzai irrimediabilmente contro i ricordi delle senturion.

Quelle, non erano mai state uno scherzo, o un gioco.

Lui mi lanciò un mezzo sorriso con gli occhi – la bocca era coperta dalla mascherina – e replicò: “Mai fatto scemenze, quando eri giovincella?”

“Alla loro età, combattevo nelle senturion per sopravvivere. E sul lettino dell’infermeria, ci sono finita con una ferita da battaglia, non per idiozie simili.”

Gli occhi di Rey si fecero più cupi e, nell’annuire, mi chiese: “Ricordo ciò che mi dicesti. Ma fu solo questa, la tua adolescenza? Lotte per la sopravvivenza e basta?”

“Studiavamo arte e cultura generale, anche umana. Conosco dodici lingue terrestri diverse, e so a memoria almeno una settantina di miti e racconti, tra cui la Divina Commedia, la Bibbia, il Corano, i Veda e i miti Ossianici.”

Le sopracciglia di Rey scattarono verso l’alto, sorprese – per lo meno lo immaginai, non volendo curiosare nella sua testa – e, nello scrollare le spalle, aggiunsi: “Per noi è normale. Mente e corpo devono essere egualmente allenati. Una, senza l’altro, non conta nulla.”

“Sono impressionato, lo ammetto.”

“Non esserlo. Per i fomoriani, è normale e, visto che sono cresciuta a Mag Mell…” mormorai, denigrando me stessa e ciò che sapevo.

Non avevo impiegato nessuna abilità particolare, per fare ciò che avevo fatto, perciò non doveva essere così stupito.

O ammirato.

O guardarmi come se avessi compiuto cose straordinarie.

Lui, piuttosto, era da ammirare.

Non un cedimento, non un affanno, solo mani ferme e abilità innate.

Non aveva esitato un attimo a operare Guy, muovendosi con agilità in quel mare di sangue.

Si era affannato per non ledere più del necessario il sacco dello stomaco – che, una volta tolto l’argento, non avrebbe avuto difficoltà a rimarginarsi – e, con competenza, si era fatto strada.

Non era passata più di un’ora, da quando il ragazzo era giunto lì con i suoi amici, eppure l’operazione era quasi terminata.

Sì, Rey era da ammirare, non certo io.

Tolto il terzo proiettile, ricucì sommariamente il taglio che, sotto i miei occhi meravigliati, iniziò subito a rimarginarsi.

Irrorai come indicatomi, suggendo poi via il sangue con un tubicino trasparente.

Dopo aver disinfettato per l’ennesima volta, Rey praticò una sutura d’emergenza con dello spesso filo nero e, sospirando, mormorò: “E ora, confidiamo nel suo sangue.”

Assentii, lasciando che le braccia scivolassero lungo i fianchi, stanche e irrigidite dall’ansia.

Rey, invece, si sfilò con naturalezza i guanti e lì gettò in un secchio per rifiuti medicali, lo sguardo tranquillo e serio.

Lo imitai e, nel condurre Guy nella saletta del post-operatorio, asserii: “Hai fatto un lavoro davvero eccezionale.”

“Ho studiato, per questo” si limitò a dire, scrollando le spalle. “Esattamente come tu hai studiato arte e cultura. O strategie di guerra.”

Feci spallucce e, dopo aver sistemato il lettino di Guy, uscii assieme a lui nella sala del pronto soccorso, dove la famiglia del ragazzo, e dei suoi amici, attendevano.

Rey annuì loro, togliendosi la mascherina e la cuffietta dalla testa, lasciando libera la sua chioma corvina.

Vi furono abbracci, strette di mano e profusi ringraziamenti e, nell’osservare Rey, mi stupii nel non vederlo soddisfatto.

O anche soltanto vagamente lieto per quelle espressioni di gioia.

Perché le loro parole non lo toccavano? Perché pareva quasi imbarazzato dalla loro gratitudine?
 
***

Albeggiò e, nel destarmi dopo un sonno leggero, mi stiracchiai e lanciai un’occhiata al letto di Guy.

E al suo guardiano.

Rey pareva non aver chiuso occhio un solo attimo, lo sguardo attento puntato sul viso rilassato del suo paziente.

Mi levai dalla poltroncina su cui mi ero sistemata e, nel tenere in mano il pannetto che, quasi sicuramente, Rey aveva steso sul mio corpo, lo raggiunsi.

Lui si volse a mezzo, mi sorrise, e disse: “Ben svegliata. Sei riuscita a riposarti un po’?”

“Io sì. Ma tu?”

Spallucciò, come se la cosa non importasse, e questo mi fece un po’ irritare.

Perché, se domande del genere erano rivolte a lui, Rey non vi dava peso?

Drappeggiai la coperta sulle sue spalle, strinsi le mani su di esse e, nel piegarmi verso il suo orecchio, mormorai: “Se cadrai a terra stremato, chi penserà a lui?”

Rey allora reclinò in avanti il capo, senza rispondermi, chiuso nel suo silenzio pacifico e impenetrabile.

Sospirai, chiedendomi cosa nascondesse di così tremendo. Perché non voleva parlare con me?

Mi mossi per sedermi sul bordo del letto, così da poterlo guardare in viso e, sorridendo appena, gli domandai: “Cosa devi dimostrare, Rey Doherty? Che sei indistruttibile?”

I suoi occhi color cioccolato cercarono i miei, così come la sua mano sinistra sfiorò la mia, poggiata sul ginocchio e, senza dire nulla, la tenne così, appena stretta.

Accennai a sbirciare, ma mi ritrassi sconvolta quando scorsi il suo tormento, il suo dolore.

Cosa, in nome degli dèi, lo sconvolgeva tanto?

Strinsi con maggiore forza quelle dita, e mormorai: “Sei un uomo di valore, Rey Doherty, e chiunque dica il contrario, dovrà passare sul mio corpo.”

Lui abbozzò un sorriso, ma esso non sfiorò gli occhi.

“Sei carina, a dirlo, ma cosa ho fatto di diverso da qualsiasi altro dottore?”

“Non importa se hai operato come un qualsiasi altro dottore. Importa che tu l’abbia fatto, che tu l’abbia salvato, che tu ti sia preso cura di lui!” sbottai, stringendo ancora di più quella mano, inerte nella mia.

“Chiunque può prendersi cura degli altri.”

Ancora quel tono rassegnato, quella totale mancanza di fiducia in se stesso.

Mi irritai e, levandomi in piedi, lo fissai senza sapere bene cosa fare.

Era difficile comprendere come consolarlo visto che, per quattromila anni, avevo tenuto a bada sentimenti e violente contraddizioni dentro di me.

La rabbia l’avevo sempre convogliata negli allenamenti, mi ero sempre sfiancata, per non farla affiorare sotto forma di strepiti e urla.

Ma consolare qualcuno? Ne ero in grado?

Ripensai alle sue parole, alle sue battute, ai gesti scherzosi e affettuosi di Sheridan, e mi avvicinai.

Allungai una mano verso di lui, carezzandogli il viso, l’attaccatura dei capelli, le morbide onde corvine che terminavano sul collo, intorno alle orecchie.

Lui levò lo sguardo su di me, confuso e pieno di domande.

“Non sei un uomo qualunque, Rey Doherty e, dovessi rimanere qui cent’anni per convincerti, giuro che te lo farò capire. Non mi interessa se altri ti hanno detto il contrario. Sono stupidi, perché non ti hanno capito.”

“E tu sì?” mi domandò, intercettando la mia mano e coprendola con la sua, in corrispondenza della sua guancia.

Il suo palmo era rovente, sulla mia mano e, nel mordermi il labbro inferiore, desiderai sentirlo sulla pelle, su tutta quanta la mia pelle.

Pensiero un po’ strano, visto il momento, ma balenò nella mia testa come un colpo di gong, lasciandomi stordita e accaldata.

Sorrisi, inclinando il capo, e annuii.

“Sei un uomo buono, disponibile con le persone che hanno bisogno di aiuto. Non ti tiri indietro, di fronte alle difficoltà, e hai sempre una parola buona per tutti.”

“Sono le doti di un uomo debole” ironizzò, adombrandosi.

Mi accigliai, nel sentirglielo dire. In quel momento, stava parlando qualcun altro, lo compresi subito.

“Chi ti ha irriso con simili accuse, meriterebbe la frusta” sibilai, portandolo a sorridere suo malgrado.

“Non credo che mio fratello gradirebbe anche se, se fossi tu a frustarlo, forse ci farebbe un pensiero” celiò, abbozzando un sorriso sardonico.

“Lo odio già, sappilo. E credimi, non gradirebbe il servizio, se lo facessi io” ringhiai furente, ritirando la mano dal viso di Rey.

I suoi occhi guizzarono – indispettiti? – e, lappandosi le labbra, replicò: “Quando la tua famiglia ti denigra a questo modo, è difficile non credergli, ti pare?”

Risi sommessamente e, con l’acido nella voce, replicai.

“Parli di un argomento che, nel mio caso, tocca vette che tu solo immagini. Pensi che sia peggio la tua, di famiglia, o la mia, che ha ucciso a fil di spada i miei veri genitori?”

Rey ristette zitto per alcuni attimi, prima di ammettere: “Mi batti alla grande. Ma la faccenda rimane. Essere buoni e generosi, non ti porta da nessuna parte.”

“Ti ha portato la gratitudine delle persone di prima, e immagino quella di altri come loro. Ti pare poco?” replicai, poggiando le mani sulle sue spalle, scuotendolo.

“Litha… ma perché ti interessa tanto farmi cambiare idea?” mi riversò contro, vagamente accigliato.

Sbuffai, ritirando le mani per nasconderle dietro la schiena. In quel momento, avrei voluto prenderlo a sberle.

“Mi fa imbestialire, il tuo eccessivo diletto nell’autodenigrarti. Dovresti rallegrarti di avere delle capacità evidenti di guaritore, invece di pensare di non saper fare nulla di speciale.”

Rey, a sorpresa, mi prese una mano, facendomi voltare a mezzo, e mi domandò: “Perché pensi che, quello che faccio, sia così speciale?”

Aggrottai la fronte e, strappando via la mano dalla sua, mi limitai a dire: “Perché le mie mani sono brave solo a uccidere. Direi che la tua dote è ben superiore alla mia.”

Ciò detto, mi allontanai di buon passo, lasciandolo solo alle sue elucubrazioni.

E tentando di trovare, per me, un angolino di pace nel guazzabuglio che avevo nella testa.
 
***

Mi trovò appollaiata su una balla di fieno, le ginocchia al petto e l’aria imbronciata.

Si accomodò al mio fianco in silenzio, dandomi un colpetto con la spalla, prima di sorridermi.

Storsi la bocca, mettendo un broncio ancor più evidente, e lui rise sommessamente.

“Certo che, tra tutti e due, siamo delle sagome. Se io mi piango addosso, tu cosa fai?” ironizzò Rey, avvolgendomi le spalle con un braccio per scrollarmi leggermente.

Lo lasciai fare e borbottai: “Almeno lo ammetti, che ti piangi addosso.”

“Ho questo difetto, non lo nego. Ma tu? Perché hai detto di essere brava solo a uccidere?”

Sollevò una delle mie mani, la scrutò con attenzione, e io con lui.

Non so cosa vide Rey, ma io sapevo bene cosa avevano fatto quelle dita apparentemente fragili.

Avevano brandito armi di ogni genere e forma e, in alcuni casi, avevano dato la morte, se non ferito in modo più che serio.

Avevo partecipato agli ultimi scontri contro i Tuatha, ma erano stati un nonnulla, se paragonati alla guerra contro uno dei Protettorati di Mag Mell.

Quello spettacolo, cruento e privo di logica, era bastato a farmene comprendere gli orrori.

Iniziai a raccontargli di quello che avevo provato a falciare vite, a usare realmente ciò che avevo imparato in gioventù.

Per tutto il tempo, Rey continuò a tenermi per mano, a massaggiare con le sue quelle dita portatrici di morte.

Chiusi gli occhi, nel ricordare i momenti più cruenti della lotta e, quando giunsi al termine della storia, sospirai.

“Ho i miei motivi, come vedi, per dire di essere una portatrice di morte.”

Lui volse lo sguardo verso di me, sorrise e, nel portarsi la mia mano alle labbra, ne baciò il dorso e mormorò: “Oggi, hanno salvato una vita. Compensa un po’, ti pare?”

“Tu dici?” sussurrai, lappandomi le labbra alla vista di quella bocca così vicina alla mia.

Annuì e tornò a guardare dinanzi a sé, senza però abbandonare la presa sulla mia mano.

Restammo così a lungo, finché il sole non ebbe raggiunto i contorni della casa di mattoni rossi.

A quel punto, Rey si mosse, mi attirò a terra con lui e, stringendomi in un rapido abbraccio, mi sussurrò all’orecchio: “Grazie per quello che hai detto. Mi ha fatto piacere. Davvero.

Quando si scostò, gli sorrisi lieta e lui, sempre tenendomi per mano, mi riaccompagnò verso casa, dicendo: “Andiamo. Nonnina si sarà ormai svegliata.”

“Sì, andiamo da lei.”
 
***

Guy si sollevò da letto con l’aiuto di Rey, sotto lo sguardo attento e ombroso dei genitori, e quello più leggero del loro Fenrir.

In disparte, le spalle poggiate contro il muro e l’aria tranquilla, osservai la scena con una certa nota di divertimento negli occhi.

Sarebbe occorso ancora molto, perché Rey superasse la sua idiosincrasia nei confronti dei complimenti ma, per lo meno, il suo sorriso fu più convincente del solito.

Non appena il giovane avventato fu tra le braccia dell’apprensiva madre, il loro Fenrir si allontanò dalla coppia per avvicinarsi a me.

Raddrizzandomi immediatamente, reclinai appena il capo in segno di saluto, e lui mi restituì l’omaggio.

Era alto poco più di me, con spalle robuste che avrebbero fatto invidia a chiunque, e una zazzera di capelli sale e pepe su occhi grigio ghiaccio.

Mi sorrise a mezzo, osservando ancora una volta la scena, prima di dirmi: “I miei ringraziamenti vanno anche a te, principessa. Hai salvato uno dei miei figli, e la mia amicizia – come la mia gratitudine – ti accompagneranno sempre.”

“Ho fatto ciò che ritenevo giusto” mi limitai a dire, sorridendo divertita nel vedere Guy scusarsi profusamente col padre, giustamente infuriato. “Non dubito che uno qualunque di voi, avrebbe fatto lo stesso.”

“C’è ugualmente una vita, tra di noi, e non lo dimenticherò” replicò Fenrir, al secolo Jordan MacTeefe.

“Mi avete già offerto protezione, non dicendo ai miei fratelli dove mi trovavo. Per me, tanto basta” scossi il capo, allungando una mano verso di lui.

Jordan la prese, me la baciò con gran galanteria, facendo sorgere un ben poco lusinghiero rossore sulle mie gote.
Ecco cosa succedeva a non essere abituati alle smancerie!

Rey ci guardò per un momento, dubbioso e incuriosito, e il mio rossore aumentò.

Fenrir se ne accorse subito, così come si accorse dell’accelerarsi del mio battito cardiaco.

Nel ritirare la mano, mi sorrise malizioso e asserì: “Ho idea che Sua Altezza non sia abituata ai gesti galanti.”

“Poco ma sicuro!” borbottai, intrecciando la mano dietro la schiena assieme alla sua gemella. “Ho mani che sanno combattere. Molto meno a ricevere baci.”

“Un vero peccato, se posso esprimermi senza apparire scortese” dichiarò a quel punto lui, accennando un inchino scherzoso.

Non riuscii a trattenere un risolino.

“Niente affatto scortese, davvero. Solo… faccio fatica ad abituarmi a certi comportamenti.”

Nel veder giungere i genitori di Guy, borbottai a mezza bocca: “E ai ringraziamenti, soprattutto.”

Mi lasciai abbracciare dalla madre, e stringere la mano dal padre, prima di ricevere le scuse e i ringraziamenti di Guy, con cui mi raccomandai di non ripetere l’esperimento.

Rey si venne a piazzare al mio fianco e, quando lo sparuto gruppo discese le scale per tornare a casa, mi domandò: “Jordan ti ha messa in imbarazzo?”

“Non lui. Quanto, piuttosto, la mia incapacità di gestire le emozioni. E’ difficile accettare certi atteggiamenti come normali, quotidiani. I fomoriani difficilmente si … si toccano. Se non nelle camere da letto, ovviamente.”

“Ovviamente” convenne Rey, cercando di mantenersi serio.

Io, allora, gli diedi una gomitata nello stomaco, facendolo rantolare per diretta conseguenza.

Ghignai per un attimo, lieta di averlo azzittito ma, quando lui si piegò su un ginocchio, come preda di un grande dolore, mi preoccupai.

Che avessi usato troppa forza?

Subito, mi inginocchiai al suo fianco per scusarmi ma, a sorpresa, lui si piegò in due, ridendo sempre più forte.

Incredula, mi chiesi se fosse per caso impazzito ma Rey, sorprendendomi ancora una volta, mi disse: “E’ uno scherzo, Litha. Altro modo di fare normale, per noi umani.”

“Idiota” brontolai, spingendolo così forte da farlo finire fondoschiena a terra. “Ho avuto paura di averti fatto male!”

Lui rise ancora più forte, finché le lacrime non sgorgarono dai suoi occhi scuri.

A quel punto scossi il capo, mi sedetti a terra a mia volta e, lasciandomi andare veramente per la prima volta, mi godetti il suono della mia stessa risata.

Continuai così per alcuni minuti, lasciando scivolare lacrime ilari sulle gote, mentre Rey, sorridente e giulivo, mi osservava rallegrato.

Quando riuscii a chetarmi, mi diede un buffetto sul mento e chiosò: “Non stai meglio, ora?”

“Sì” assentii. “E tu?”

“Molto.” Poi, lanciata un’occhiata in direzione dell’ambulatorio ormai vuoto, aggiunse: “E’ bello ridere in compagnia.”

Non potei che essere d’accordo con lui.

Era bello ridere assieme ma, soprattutto, era bello condividere emozioni simili con Rey.

 







 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Mary P_Stark