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Autore: Adeia Di Elferas    31/10/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Il sole che filtrava dalla feritoia sembrava una lama decisa a indicare la prossima vittima.
 I soldati rimasti in vita erano ormai più disperati dei civili e tutti quanti sapevano che la morte era aun passo.
 I veneziani non voleva togliere la loro morsa da Ficarolo e la piccola cittadina non riusciva più a resistere alla loro morsa.
 Era il ventinove giugno e le truppe guidate da Sanseverino avevano già fatto strage a Rovigo e razzie nella strada che li aveva portati fino a lì, fino a quel paese difeso da due fortezze che si stagliavano sul Po, quel fiume così prodigo di nebbia in inverno e di zanzare in estate.
 La resa sembrava l'unica carta da giocare e, per preservare la vita o quel che ne rimaneva, i superstiti stavano discutendo la cosa con la voce grave e gli occhi carichi di sonno e dolore.
 Sanseverino era appena fuori dalla città e stava aspettando che quegli ostinati campagnoli si decidessero a lasciargli campo libero.
 Gli sembrava assurdo che ancora resistessero, dopo un assedio tanto lungo e cominciava quasi a rivalutare la validità delle loro piccole rocchette, che erano state in grado di tenerli bene o male al sicuro fino a quel momento.
 Quando arrivò la notizia che la decisione era stata presa e che la città finalmente si arrendeva, Sanseverino annuì senza scomporsi. Schiacciò con uno schiaffo una zanzara che gli si era appena appoggiata sulla guancia e commentò, a voce bassa: “E ora andiamo verso Ravenna.”

 “No, non avrebbe senso mandarti nelle zone del ferrarese.” spiegò Sisto IV al nipote, che lo fissava pallido: “Sanseverino sta già fecendo un ottimo lavoro per noi, là. Tu mi servi al sud, a difendere il nostro stato dal Duca di Calabria...”
 Girolamo stringeva in pugno un piccolo pugnale, che suo zio gli aveva appena regalato in segno di buona fortuna per la sua prossima partenza per il fronte.
 Sembrava che dopo i successi di Sanseverino contro Ferrara, Ercole d'Este si stesse muovendo, cercando alleati di una certa portata, come Ferdinando di Napoli, Federico Gonzaga e, forse, si rumoreggiava, stava per assicurarsi anche l'appoggio dei Medici, che tanto odio covavano per il papa.
 Questa presa di coraggio di Ercole scatenò le velleità del Duca di Calabria, per conto di Napoli, che voleva approfittare delle distrazioni venutesi a creare nel ferrarese per attaccare lo stato pontificio al sud.
 In pratica, Roma si trovava accerchiata, stretta nella morsa di due nemici che si stavano rivelando di tutto rispetto. Si giocava tutto in un attento bilanciamento: da un lato l'attacco e dall'altro la difesa.
 Tuttavia, Sisto IV non voleva ammettere del tutto la verità. Farlo sarebbe equivalso ad ammettere che aveva sbagliato ad assecondare i consigli del nipote.
 Così, più o meno ingenuamente, Sisto IV non era convinto della validità dell'esercito calabrese, per cui aveva deciso di affidare la cosa a Roberto Malatesta, uomo che egli considerava mediocre e poco affidabile. Lo aveva richiamato in fretta dal ferrarese per spedirlo a sud, ma voleva che anche Girolamo, finalmente, prendesse parte a qualche battaglia, almeno a qualche scaramuccia, per mettere a tacere le voci, sempre più insistenti, sulla sua manifesta incapacità.
 Sisto IV non ne aveva ancora parlato con Caterina, perchè temeva una sua reazione sprezzante, cosa che avrebbe di certo compromesso l'umore del marito e la sua determinazione a fare la propria parte...
 “Seguirai Roberto Malatesta.” spiegò il papa.
 “Oh, questa poi...” si lamentò Girolamo, soffiando irritato.
 “Qualcosa che non va con la mia decisione?” chiese Sisto IV, con un tono che non ammetteva repliche.
 Il nipote chinò appena la testa e non commentò più, mentre il papa lo erudiva circa il viaggio che avrebbe dovuto affrontare e le decisioni che avrebbe dovuto prendere.

 Caterina stava seguendo con attenzione crescente la guerra che ormai attanagliava lo stato della chiesa, e non le era sfuggito come Orsini e Colonna stessero sfruttando i conflitti per imporsi gli uni sugli altri.
 Che quelle due famiglie fossero quanto meno in competizione era chiaro a tutti da tempo, ma ora che Roma aveva a nord una situazione abbastanza tranquilla, ma pur sempre delicata con Venezia che combatteva contro Ferrara e a sud il duca di Calabria, a tutti gli effetti il braccio armato di Napoli, Colonna e Orsini sembravano intenzionati ad annientarsi vicendevolmente.
 Si trattava di una situazione non ideale, soprattutto calcolando che la posizione stessa di Roma dipendeva dal papa, eletto tramite nomina e non in modo ereditario. Alla morte di Sisto IV, che poteva avvenire da un momento all'altro, sul trono papale sarebbe potuto salire uno qualunque, un Orsini, un Colonna, uno sconosciuto o, perchè no, quell'intrigante di un Borgia.
 La cosa che faceva arrabbiare più di tutte le altre Caterina era che parte della colpa di quella precarietà era di suo marito Girolamo che non aveva fatto altro che continuare a soffiare su un fuocherello, trasformandolo lentamente in un incendio.
 L'unica speranza, pensava Caterina, stava nella spedizione cui anche Girolamo avrebbe preso parte. Se avessero bloccato gli attacchi al sud, forse, con un po' di fortuna, i presunti alleati di Ferrara avrebbero fatto marcia indietro e anche a nord la situazione si sarebbe calmata.
 Certo, si trattava solo di un'esile speranza.

 Girolamo sarebbe partito il giorno seguente e così quella sera aveva deciso di salutare i figli e la moglie, per evitare un saluto pubblico al momento della partenza vera e propria.
 In realtà aveva deciso così sia per avere un momento di tranquillità coi bambini, sia perchè nel profondo temeva che l'indifferenza di Caterina si rendesse visibile a tutti. Chissà perchè nell'arco degli ultimi giorni, da quando aveva comunicato alla moglie la decisione del papa di mandarlo con Roberto Malatesta a guidare l'esercito di Roma, a Girolamo era parso che Caterina fosse in qualche modo sollevata. Non riusciva a capire, però, se fosse perchè finalmente lui sarebbe andato in guerra, dimostrando a tutti di essere un vero uomo, o se perchè sperasse di non rivederlo mai più.
 Che faccia avrebbe fatto, quella splendida donna di nemmeno vent'anni, alla notizia che l'odiato marito era morto con la testa spaccata in due da una mazza chiodata?
 Girolamo in tutta coscienza non poteva saperlo, ma nella sua mente se la figurava preda delle risate e sollevata, oh, così sollevata di esserselo tolto dai piedi...
 Perchè doveva amare tanto qualcuno che lo detestava tanto da volerlo morto?

 Caterina, al contrario di come avrebbe fatto anni prima, non augurava al marito di morire in battaglia.
 Anche se l'idea di restare senza di lui non le dispiaceva, si rendeva conto che con tre figli piccoli, sua madre Bona incarcerata e con i Riario-Della Rovere ancora non affermati come si doveva a una grande famiglia, non sarebbe stato un bene per lei restare senza il marito.
 Non che Girolamo fosse per lei una garanzia di sicurezza, ma almeno era un legame tangibile con il papa e comunque era un uomo pieno di incarichi importanti e titoli altisonanti e tutti quanti sanno che spesso un titolo fa più paura di una lama.
 Quella sera lo aspettava nella loro stanza del palazzo che gli Orsini si ostinavano a lasciare nelle loro mani. Caterina aveva provato invano a convincere il marito a trasferirsi in pianta stabile in un palazzo tutto loro. Anche se gli Orsini erano loro molto fedeli, non era prudente schierarsi così apertamente in un momento tanto incerto.
 Girolamo, però, non aveva voluto sentire ragioni, radicalizzando, anzi, le sue posizioni in favore degli Orsini, e così erano rimasti lì.
 In quel momento Girolamo doveva essere nella stanza dei bambini. A Caterina non dispiaceva vedere come si fosse affezionato a ciascuno di loro, tuttavia spesso si ritrovava a pensare che con la sua vicinanza avrebbe finito per rovinarli, tutti e tre.
 In più Girolamo si ostinava a dire che Ottaviano, Cesare e Bianca erano identici a questo o quel membro della sua famiglia d'origine, mentre Caterina era certa che tutti loro avessero in corpo più sangue Sforza che non sangue Riario.
 Mentre era ancora immersa in questi pensieri, sentì bussare alla porta. Doveva essere Girolamo che andava a salutarla. Avrebbe anche potuto risparmiarsi la fatica...
 “Avanti.” disse Caterina, facendo un paio di passi verso la porta, che si aprì lasciando intravedere alla luce delle candele il viso accigliato e assorto di Girolamo.
 Ancora prima che aprisse bocca, Caterina seppe che stava per chiederle qualcosa. Qualcosa di importante.

   
 
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