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Autore: Dusky Doll    31/10/2015    2 recensioni
Questa è la storia di Astreya, una giovane donna dal carattere forte e dal cipiglio severo, nata in un mondo corrotto, un mondo dove bisogna crescere in fretta. Il suo mistero si cela dietro i suoi capelli neri e i suoi occhi indagatori, un segreto talmente intrigante da aver attratto le mire della casta militare e di un soldato oltremodo speciale. Ma è tutto oro ciò che luccica? E cosa deciderà Astreya: si venderà all' Esercito o deciderà di combattere da sola la sua battaglia, come un lupo solitario?
NdA: Storia illustrata... da me:) Spero vi piaccia!
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 31

 

-Benvenuti, stranieri. Miei fedeli, scostatevi e lasciatemi passare-.
Una voce si fece largo fra la folla, cantilenante e giovanile. Era sottile, ma non in modo piacevole: il suo suono ricordava il graffiare delle unghie sui vetri e faceva accapponare la pelle. Non era una voce umana, era qualcosa di tremendamente distorto.
Mi sollevai subito, pistole alle mani, asciugandomi la bocca con il braccio.
Fobos accanto a me era teso, sentivo ogni singolo nervo, ogni singolo impulso elettrico percorrergli la pelle come se si trattasse della mia.
Sbattei un paio di volte gli occhi, mettendo a fuoco una figura bassa, molto magra ed emaciata.
Si trattava di un ragazzino, un giovane di quattordici anni nemmeno. Indossava una divisa nera rinforzata da un giubbotto anti proiettile. Al centro, proprio sul petto, emergeva il ricamo di una libellula tagliata a metà.
Mi guardava fisso, fra quelle ciglia bianco latte e attraverso quelle ciocche di capelli impalpabili come ragnatele. Un’iride rosso sangue, solcata da striature nere come la notte, mi fissava esaltata affiorando dall’ammasso di ricci che gli ricadevano sul viso.
Sorrise quando si accorse che i miei occhi lo stavano studiando con timore, quasi come avessi di fronte a me l’incarnazione del mio mostro. I suoi denti erano aguzzi, corrosi da qualcosa che li aveva resi appuntiti come frammenti di cristallo zigrinati.
-
Non mi riconosci, Astreya? E’ da tanto che non ci vediamo, non e’ vero? -.
-Io non ti conosco…-, esclamai, ma le mani cominciarono a tremarmi mentre quegli occhi da demone mi fissavano; le labbra erano tese in un sorriso maniacale, quasi distorto. La sua aurea non esisteva, dietro di lui stagnava soltanto un pozzo vuoto e silenzioso.
-
Non ci conosciamo dici? -, commentò lui, avvicinandosi a me. Stava sfidando le mie dita, traballanti sul grilletto. Perché non volevano farmi sparare? Perché il mio mostro sentiva che quella creatura che avevo davanti era famigliare?
Fobos accanto a me scattò, frapponendosi fra me e il mostro. I suoi capelli neri mi schermarono per qualche istante dalle pupille a spillo del ragazzino, scorrendomi di fronte alla visuale come fili di seta. Tese la katana dritta di fronte a sé, puntandola al collo scheletrico del nemico. Aveva uno sguardo apatico e freddo come al solito, ma la sua aurea si era avvolta tutt’attorno a me come una gabbia. Fobos temeva a tal punto quella persona da desiderare di proteggermi con tutto se stesso.
-Se avanzi, ti trapasso-, sillabò Fobos e la sua voce mi fece tremare le ossa. Era così cavernosa che sembrava provenire da un altro mondo.
-
Sei cresciuto bene, Fobos. Anche se non ci conosciamo di persona, ho sentito molto parlare di te-.
-Chi sei? -.
I fedeli si erano allontanati creando un semicerchio attorno al ragazzino e avevano tutti portato l’indice alla testa. Sembravano in trance o perlomeno congelati nel tempo. Solo il lento sospiro dei loro respiri e lo sbattere delle ciglia mi ricordavano che fino a un momento prima erano vivi e vegeti.
-
Io? Non vi pare ovvio? Siete venuti qui per conoscermi… Io sono Prometheo-, si presentò lui, facendo un piccolo inchino e lasciando che la lama affilata dell’arma di Fobos gli disegnasse un piccolo taglio sotto la giugulare.
Chastor, che fino ad allora era rimasto in silenzio, scese con un salto dalla jeep e si gettò ai piedi del ragazzo, baciandogli gli stivali, supplice. La visione mi disgustò a tal punto che un nuovo conato mi squassò le costole, facendomi tremare l’anima. Perché Prometheo era sbagliato? Perché non era la persona illuminata che mi ero aspettata di incontrare?
Prometheo pose una mano sulla testa di Chastor, ringraziandolo per l’ottimo lavoro svolto e incensandolo di complimenti. Era disturbante vedere una montagna d’uomo inchinarsi a terra e piangere come un bambino di fronte a chi un bambino lo era ancora. Un idolo, ecco come mi appariva Prometheo. Un idolo. Blasfemo.
Non so cosa mi prese, non so nemmeno se la mia mente fosse lucida in quel momento, ma, lottando contro il mio mostro, decisi di agire. Sollevai la pistola destra, gli occhi brucianti di lacrime di paura e terrore e puntai l’arma al centro della fronte di Prometheo, pronta a colpirlo fra gli occhi a sangue freddo.
E ce l’avrei fatta se, nel preciso istante in cui l’indice indugiò sul grilletto, il ragazzino non si fosse voltato sorridendo.
-
Dimentica, Astreya. Dimentica quello che ti fanno. Io sono al tuo fianco e ti guidero’òverso la luce-.
Quella frase. Quelle parole cantilenati come una ninna nanna. Quel suono ronzante nelle note basse della sua voce infantile. Tutto mi riportò indietro nel tempo, a quando ero bambina. Il mio mostro cominciò a grattare con forza sui ricordi, spolverando via tutto il catrame che ero riuscita a depositarvi sopra. E improvvisamente cominciai a sanguinare, a discendere in un abisso di ricordi e dolore. Urlai così forte da assordarmi e da spaventare Fobos. Le lacrime mi schizzarono dalle ciglia come perle invisibili e si sparsero nell’aria attorno, mescolate al fiume di rabbia che riversavo dalla gola.
I ricordi mi infiammarono la mente, corrodendo tutta l’armatura che mi ero costruita addosso per stare in piedi e distruggendo completamente l’ultimo briciolo di sanità mentale che mi era rimasta cucita addosso. Cominciai a vedere dei lampi di luce e delle interferenze nell’aria. Ombre strane cominciarono ad arrampicarmisi lungo le gambe, scorrendo come fiumi di sangue al contrario. Mi tenni la testa fra le mani, tappando le orecchie e lasciando che le pistole cadessero a terra con un clangore metallico.
Subito Fobos, notando il mio stato pietoso e confusionario, si lanciò contro Prometheo brandendo la katana come se fosse un prolungamento del suo braccio. Fendette l’aria a un soffio dal suo viso recidendogli una ciocca di capelli.
-
Vuoi farmi del male, alleato? Io sono qui solo per aiutarla…-, ridacchiò il ragazzino, puntando i suoi occhi color sangue in quelli altrettanto bollenti di Fobos.
- Cosa le stai facendo? -, ringhiò l’Ibrido, mentre la sua voce andava e veniva nella mia testa con un rimbombo assordante. I ricordi stavano ribollendo nella mia testa in una sorta di brodo primordiale dimenticato da tempo.
-
Io niente. Sta solo ricordando. Sta spazzando via anni di Inibitori e si sta risvegliando. In fondo un Deadly Child come lei non puo’ dormire per sempre-.
- Ricordare? Ricordare cosa… abbiamo letto tutto il fascicolo Falena Notturna. Sappiamo già tutto! -, si lamentò Fobos, mentre una goccia ghiacciata di sudore gli scivolava lungo il Pomo d’Adamo.
- No, Fobos. Solo quando si ricorderà di me, tornerà ad essere se stessa…-, rincarò Prometheo, mentre mi accasciavo a terra e cercavo di ingoiare aria. Le immagini che mi si annidavano nella mente erano troppo vivide e dolorose per non essere vere. Vedevo anni di esperimenti che avevo scordato, due occhi di sangue che mi scrutavano dall’ombra e un uomo, un dottore con una siringa in mano. Chi era? Era K.?

 
-Forza, vieni avanti paziente 1-, disse una voce fuori campo, da qualche parte nella nebbia delle mie memorie. Mi guardai attorno e vidi il ragazzo sui tredici, quattordici anni che mi avevano affiancato. Era più magro di quanto mi ricordassi e i suoi capelli erano sbiancati, fino ad assumere la stessa consistenza delle ragnatele. Mi osservò con la coda dell’occhio nel superarmi e si sedette sulla sedia che aveva di fronte. Sul tavolo erano state posate tre carte voltate. Vedevo le loro schiene damascate e le loro curve taglienti.
-Scegli una carta…-.
Il ragazzo annuì e pose la mano sulla carta a sinistra, quella con l’angolo leggermente sbeccato.
-Paziente numero due-, dichiarò la voce, facendo tremare la telecamera sopra le nostre teste.
Avanzai verso il mio nuovo compagno di giochi. Ero piccola e il mondo era ancora di difficile comprensione per me, ma quando mi sedetti sulla sedia accanto al ragazzo e questo mi sorrise, tutte le preoccupazioni e le paure del mondo parvero sparire.
-Scegli una carta-.
Non sapevo cosa fare. Ero piccola e impaurita, non vedevo la mia mamma e il mio papà da nessuna parte e quelle carte cominciavano a muoversi assumendo le sembianze di disgustosi ragni pelosi. Vidi quello intrappolato sotto le dita del ragazzo scalpitare per fuggire e dovetti trattenere un gridolino.
-Sono solo incubi ad occhi aperti… non li guardare. Guarda me, e scegli una carta-, mi disse lui con un sorriso, mentre la presa sul corpo del ragno si faceva ferrea, quasi mortale per la creatura. Annuii convinta, e posai l’indice sul ragno-carta di destra.
-Girate le carte-, disse la voce.
Subito voltai la carta e quello che vidi fu un pagliaccio. Un jolly. Guardai in direzione del mio amico e fra le sue dita tremanti vidi una carta bianca. Il suo sguardo era incendiato di rabbia e il naso arricciato in maniera ferina.
-Hai sbagliato-.
Notando quanto stesse male per la scelta della carta sbagliata, decisi di porgergli la mia. Gliela allungai senza pensarci lasciando che le maniche della tunica mi scivolassero all’indietro fino a mostrare i tagli che segnavano le mie braccia.
Il ragazzo li guardò perplesso, fissando poi la carta con incredulità crescente.
-Cosa ci stanno facendo? -, mormorò sconfitto, rifiutando la mia offerta e passando il polpastrello sulle cicatrici bianche in rilievo vicino ai miei gomiti.
-Su una bambina così piccola…-, aggiunse, puntando i suoi occhi castano rossi nei miei.
-Mamma dice che questa gente può curarmi e che io posso salvare la mia famiglia-, ripetei. Erano le parole che mia madre ripeteva piangendo, quando mio padre minacciava di sbarazzarsi di me una volta per tutte. Voleva vendermi a qualche Istituzione e guadagnarci qualche denaro.
Il ragazzino sbattè le palpebre un paio di volte, poi mentre la porta dietro noi si apriva, si inginocchiò davanti ai miei piedi.
-Noi siamo speciali, ma io sono sbagliato. Non mi faranno vivere…-, mi spiegò ponendomi in mano la carta bianca. –Per questo tu devi sopravvivere al posto mio. Tu sei la predestinata. Tu devi scappare da qui-.
Poi prese la carta con sopra il jolly e la stracciò a metà.
Non appena il ragazzo smise di parlare e si voltò verso lo stuolo di medici e infermieri che lo puntavano, uno dei dottori, un uomo magro e alto, cieco da un occhio, venne scaraventato contro la parete. La sua colonna vertebrale emise un suono orrendo quando impattò contro il freddo cemento del muro e una scia di sangue colloso lo trascinò verso il basso, preludio della sua morte.
Il giovane poi indirizzò il suo sguardo verso una delle infermiere che lo minacciava con un sedativo alla mano.
-Non ti avvicinare a noi-, sibilò il ragazzino, stringendo i pugni e aggrottando le sopracciglia. Puntò un braccio contro la donna e notai immediatamente i numerosi tagli che portava incisi sulla pelle. Erano tutti autoinflitti e recavano una scritta. Mentre la donna volteggiava in aria e finiva a terra, immobile con gli occhi riversi, approfittai della distrazione del ragazzino per leggere quanto si era inciso nella pelle.
-Sarò un Figlio del Vento…-, mormorai e in quel momento la testa dell’ennesimo dottore esplose, lasciandomi una scia di sangue su tutto il viso, spolverizzato come farina.  
Non ne rimasi sconvolta e non provai nulla. Mi limitai a osservare il sorriso aguzzo del giovane.  I suoi denti sembravano quelli di uno squalo.
-Ricordati, piccina, che non sarai mai sola…-.
Un dottore colpì il mio nuovo amico con una scarica elettrica e lui si lasciò fare, imperterrito di fronte ai lievi spasmi che il suo corpo cominciava a subire.
-
Dimentica, Astreya. Dimentica quello che ti fanno. Io sono al tuo fianco e ti guiderò verso la luce-, aggiunse poi, mentre l’equipe del Sanitarium lo immobilizzava ai miei piedi e lo stringeva in una camicia di forza.
Rimasi a osservarlo per tutto il tempo, mentre i suoi occhi rossi si guardavano attorno impazziti, mentre lo ammutolivano con una specie di morso da cavallo, mentre lo legavano ad una sedia a rotelle e gli immobilizzavano la testa. Lo spinsero via in tutta urgenza, lasciandomi sola e sporca di sangue in mezzo a tutti quei cadaveri. Rimase con me un unico medico, nerboruto e con una folta barba nera. I suoi occhialetti tondi erano oscurati dalla polvere e dal pulviscolo.
-Vieni, bambina. Non hai paura a stare in mezzo ai morti? -, mi domandò, accucciandosi e tendendomi una mano.
-Paura? Sono morti. I morti non possono più muoversi. Anche io un giorno non mi muoverò più-, commentai atona, avanzando in mezzo allo scempio e raccogliendo da terra la carta bianca del ragazzino killer. – Posso tenerla? -, chiesi, e il dottore manifestò tutta la sua sorpresa con uno sguardo preoccupato.
-Perché vuoi tenere la carta sbagliata? -.
Osservai il bordo insanguinato di quell’oggetto sottile e tagliente e vi scorsi il dito. Sentii un lieve dolore al polpastrello mentre una linea di sangue affiorava dalla mia impronta digitale.
-Perché spesso è una mossa sbagliata a far vincere la partita-, sorrisi, certa che in quel momento fosse il mio mostro a parlare.
- Quel ragazzo non è un esempio per te. Lui non ce la farà. E’ matto…-, cercò di convincermi il medico, ma io lo ignorai, infilandomi la carta nella tasca sdrucita della mia felpa rosa.
-Anche lo scacco è matto. Ma è la fine della partita-, mormorai, mentre un sorriso aguzzo mi si disegnava sul viso.

 

 Quando mi ripresi, Fobos e Prometheo erano ancora intenti a fronteggiarsi in uno scontro silenzioso. Era un duello teso e tutto il pubblico aveva il fiato sospeso. Guardai in direzione del capo dei Figli del Vento e, senza nemmeno cercare di ingabbiare il mio mostro, avanzai nella sua direzione. Abbassai le armi e le lasciai scivolare a terra quando gli fui di fronte. Poi lo guardai dritto negli occhi: erano più rossi e brillanti di quando lo avevo conosciuto, ma la speranza che tigrava i suoi occhi di nero era ancora lì, in quella spirale scura di redenzione e accettazione di sé. La sua forza e la sua sicurezza, oltre alla sua promessa, mi avevano tenuta in vita durante i duri anni della sperimentazione, durante tutti quegli anni in cui mi avevano fatto credere che quello che era stato il unico compagno e fratello fosse morto suicida.
-Fratello…-, mormorai, prima di lanciarmi su di lui e abbracciarlo. Era strano sentirlo così piccolo e magro fra le mie braccia, quando anni prima era stato lui a consolarmi, ma la sensazione era decisamente quella di essere tornata a casa.
-
Mia piccola sorella. Finalmente ti ricordi di me…-, commentò lui ricambiando il mio abbraccio mentre la folla attorno a noi esplodeva in un boato di gioia e in un ruggito di gloria.
Anche Fobos rilassò i muscoli e calò la katana, rimanendo in disparte per gestire la situazione. Fu Prometheo a chiamarlo a sé quando ci sciogliemmo dall’abbraccio.
-
Vieni anche tu, creatura. Se io fossi stato idoneo saresti stato tu il mio compagno, soldato. Abbraccia il tuo fratello sconosciuto-.
Fobos tentennò, ma alla fine si accostò anche lui a noi, formando un trio. Prometheo rispettò il desiderio di non essere toccato dell’Ibrido e gli pose solo una mano sulla spalla.
-
La mia famiglia ora è riunita, finalmente. Dopo tutto questo tempo…-, gioì il ragazzo, per nulla invecchiato da come lo avevo rivisto nella mia mente. – Venite nella mia dimora-.
Quando io, Fobos e Chastor entrammo nel Tempio in cima al promontorio restammo senza fiato. L’interno della struttura aveva un soffitto che si espandeva in altezza a perdita d’occhio, con grandi matronei occupati da soldati e fedeli di ogni genere ed età. Ci fissavano con le mani congiunte e una candela di luce nera fra le mani. La navata di fronte a noi era buia e rischiarata solo dall’arcobaleno di colori che le vetrate rimandavano, colpite dalla luce accecante che regnava fuori da quel luogo di tenebra.
Ma ciò che mi sconvolgeva di più era l’enorme statua che spalancava le sue braccia di fronte a noi, come volesse accoglierci con la sua espressione austera e il suo busto da scheletro. Aveva il viso abbassato verso di noi, per cui la luce non risaltava i suoi tratti e il volto rimaneva nascosto nella semi penombra; eppure non potevo fare a meno di notare una certa somiglianza con i lineamenti del mio viso.
Di fronte a noi, infine, si ergeva un altare in pietra, tondo e cosparso da ninfee bianche. Mi fermai di fronte ai piccoli scalini smussati che ci distanziavano dall’ara sacro e mi inginocchiai rispettosamente di fronte alla statua enorme che ci sovrastava.
-
Cosa fai, Astreya? - mi chiese Prometheo, con sguardo perplesso ed estasiato assieme. – Ti inchini di fronte a te stessa? -.
-Come? -, chiesi perplessa, mentre Fobos strizzava gli occhi per ritrovare i miei tratti in quelli scolpiti nella pietra.
-
Non vedi? Quella creatura celeste sei tu. Noi ti veneriamo come Dea in Terra e ti adoriamo con il nome di Astreya la Duplice, per via di Ate, tua gemella-.
-Non ho idea di chi sia questa Ate di cui parli-, biascicai avvicinandomi al volto della statua, proteso verso di me come il muso di un animale pronto a farsi accarezzare. Sfiorai le guance gelide della mia gemella e subito provai una scossa lungo la colonna vertebrale, come fossi stata fulminata da una scarica elettrica.
- Ate è il motivo per cui tu sei la predestinata e io non lo sono. E’ grazie alla sinergia fra la tua mente e quella della tua defunta metà che sei qui. Dopo essere riuscito a scappare dal Sanitarium in cui ci hanno rinchiuso per anni, ho scelto di unirmi ai Figli del Vento e, con grande fatica, li ho convinti a seguirmi, ad attendere il momento in cui tu saresti tornata. Perché come puoi vedere l’Umanità è corrotta. E’ arrivata a sperimentare su bambini, a cercare armi laddove ci doveva essere solo innocenza. L’Esercito, che doveva proteggerci, sta al contrario manipolando vite umane per sostenere una squadriglia corrotta di Sacerdoti. Una vergogna. E noi, poveri esseri semplici e moralmente corretti, assistiamo al completo sfacelo. Ma non lo faremo senza intervenire. Noi dobbiamo assolutamente lottare-.
Le parole di Prometheo erano incendiate da una passione che non vedevo da anni. Continuava ad avere un aspetto poco rassicurante ai miei occhi e, nonostante il nostro passato, non riuscivo ancora a fidarmi di lui. Eppure ero certa che sapesse cosa stava facendo, che la sua mente fosse in grado di prevedere cose che noialtri potevamo solo sognarci. Per cui, mentre delle voci spettrali cantavano canzoni sacre accompagnate dalle note di un organo baritonale, seguii il guru fino a una cappella lì vicina, abbarbicata nella roccia e illuminata da candelabri neri come la notte. Un mosaico si dispiegava di fronte ai nostri occhi, dorato e nero come un sole in piena esplosione.
Mi mancò il fiato. Era la stessa identica scena che Aracne aveva intessuto il giorno in cui era cominciata la mia discesa agli Inferi. Rividi i tratti oscurati di Fobos, le persone e le fiamme, i ratti e il cielo bruno. Era tutto esattamente come la Tela ci aveva mostrato.
Mi voltai per capire che reazione Fobos stesse avendo di fronte a un immagine tanto terribile di sé, ma il suo viso era impassibile e la sua espressione gelida. Unico segno del suo disagio era un lieve tremore delle sopracciglia, così tese da sembrare di velluto nero.
-Voi sarete la nostra Apocalisse, la nostra rivalsa su questo mondo orrendo. Dobbiamo estirpare la corruzione che ci ammorba, ma per farlo dobbiamo sporcarci le mani, dobbiamo lordarci come vermi nella terra e corrodere le fondamenta delle Istituzioni…-
Il dito di Prometheo scorse sulle tessere rosso rubino che ricoprivano le braccia di Fobos, brillanti come del sangue vero.
-Quando fingendo il suicidio sono riuscito a scappare, ho cominciato a pensare che talvolta essere invisibili al mondo potesse essere un gran vantaggio. Potevo fare il burattinaio ed evitare che anche tu diventassi un “esperimento fallito”. Per questo ho pagato i Mauriani per unirsi a noi, per vendere armi ai rivoltosi. Ho tenuto stretti i nemici e ancor più strette le spie come Iatro. Ho lasciato che mi tradisse, inoculandoti Inibitori su Inibitori. Ho fatto credere di non essere perfetto, così da passare inosservato come un virus letale. Ho fatto molti errori, ma tutti di proposito. Ho persino mandato un mio uomo al Vallum per tentare di ucciderti, pur sapendo che sarebbe stato lui a perdere la vita. Efesto si è sacrificato per testare le tue capacità, per spingerti volontariamente fra le mie braccia…-
Il volto di Efesto e l’immagine della sua gamba robotica mi scorsero di fronte agli occhi, atterrendomi. Lui che era disposto a sacrificare la vita del figlio per me, alla fine aveva sacrificato anche se stesso, uccidendosi in un’esplosione e rimanendo insepolto per sempre. Quanta gente era disposta a morire per me, per Prometheo? Chi eravamo noi per chiedere un simile sacrificio? Più Prometheo parlava e più capivo che c’era qualcosa di estremamente distorto nella sua mente. Forse la prima impressione che avevo avuto di lui era stata quella giusta.
-L’Esercito e il Tempio sanno chi sono e cosa faccio, ma non mi temono. Mi hanno lasciato entrare fra le loro fila come una serpe in seno, ignari che sarebbe giunto il giorno in cui li avrei avvelenati. Mi ci è voluto molto per allontanarti dall’Esercito, per costringere Iatro, l’ultimo tuo giorno al Tempio, ad avvelenarti il sangue con un Espansore potente che riportasse in auge tutti i tuoi poteri. E’ stato altrettanto difficile allontanarti da loro sacrificando un mio fedelissimo e preparandomi a far saltare in aria anche quei rivoltosi, quei poveri uomini che non sanno di essere usati da entrambe le parti. Ma alla fine ce l’ho fatta e le due armi più potenti ora sono nelle mie mani, pronte a mondare l’Umanità sotto la mia guida illuminata. E una volta che tutto questo sarà finito, non solo distruggeremo anche il Governo, ma butteremo giù quella cupola e trasporteremo là la nostra base per creare una nuova vita, un nuovo Stato. Aughènea, la Nuova Alba…-
Sorrisi, mentre nella mia testa le idee si univano fra loro come fili di una matassa. Eppure non formarono un groviglio confuso di pensieri, ma un perfetto ricamo circolare. Tanto perfetto da vederne il centro con la massima chiarezza.
-Prometheo, sapevo che non mi avresti lasciata sola. Vedo il tuo piano e lo ammiro, lo trovo profondamente corretto, tanto smagliante e limpido da sembrare ispirato direttamente dagli Dei. Hai mantenuto la promessa di starmi sempre accanto e condurmi alla luce e di questo ti sono immensamente grata. Non vedo l’ora di assisterti nel tuo piano e diventare il tuo strumento di vittoria eterna-, dissi, prendendo fra le mie le piccole mani bianche del ragazzino.
-Sono orgoglioso di te, mia piccola sorella. E lo sarebbe anche Ate-.
Abbassai il capo in segno supplice e subito dopo tornai al centro del Tempio, illuminata dai vetri variopinti del sacrario. Gli occhi dei fedeli erano puntati su di me e le loro voci si spensero quando sollevai le mani verso di loro.
-Fedeli, Prometheo mi ha aperto gli occhi! E’ ora di distruggere la Teocrazia nascente con la forza delle nostre anime e il sacrificio del nostro sangue! -, esclamai, sotto lo sguardo sbigottito di Fobos.
Un boato eruppe dai matronei facendomi esplodere il cuore e lacrimare gli occhi.
Il mio piano aveva finalmente avuto inizio.

 

 

 

 

-Cosa diavolo stai pensando di fare? Quello è solo un esaltato-, mi sgridò Fobos non appena fummo soli. Prometheo ci aveva riservato un alloggio d’eccezione, un piccolo appartamento con terrazza che dava sullo strapiombo della cascata. Ero lì sul balcone ad osservare la polvere del Deserto danzare in lontananza, quando Fobos finalmente si decise a parlarmi.
-Non sono un’idiota…-, mi difesi a spada tratta. – Stavo recitando. E ora ho la certezza di essere risultata credibile-.
Gli occhi di Fobos si rilassarono così come la sua aurea. Si appoggiò allo stipite della porta finestra e sospirò.
-Che cosa hai in mente? -.
Guardai istintivamente il Pigeon. Sul suo schermo brillava ancora il messaggio che Eracleo mi aveva mandato appena qualche ora prima. Diceva che Galeno era stato giustiziato, decapitato in piazza per sedizione. Avevano scoperto che ero fuggita nel Deserto e che ero associata ai Figli del Vento. E per questo lui aveva pagato con la vita. Ma non era l’unica notizia raccapricciante.
-Ho in mente di lottare…-, mormorai, ripensando alla comunicazione del Caporale, quella che mi aveva scosso fino a farmi tremare.
“Avevamo ragione. Armi biologiche. Usate contro il Reggimento del Sole. Sede Governativa scoperta. Attacco imminente.”
Mi voltai lasciando che il sole infuocato del tramonto mi scaldasse la schiena, pugnalata più e più volte da tutte le Istituzioni, pronte a usarmi e sfruttarmi, a vantare diritti inesistenti sulla mia esistenza.
-Non odio Prometheo. Non riesco ad odiarlo. In fondo la sua idea non è sbagliata. Sono i mezzi ad esserlo. Non credo che il suo Governo sarebbe meglio di una Teocrazia armata, perciò non vedo altra scelta se non quella di non appartenere ad alcuna fazione-.
Fobos si passò una mano sul viso. Era molto stanco e leggevo un certo nervosismo nei suoi movimenti.
-Cosa pensi che potremmo fare da soli? Io e te? -.
Sbuffai, dirigendo il mio sguardo altrove. Non volevo guardare negli occhi Fobos dal momento che non avevo alcuna garanzia di successo per il mio piano.
-Non so se finiremo bene, io e te. Ma non posso nascondere la testa sotto la sabbia. L’ho fatto per troppi anni e ora sono stanca. Voglio dare un senso alla mia vita, al mio passato e a quello che sono. E per farlo ho bisogno che Prometheo mi insegni, che mi rafforzi. Solo lui è così intelligente da modificarmi per farmi diventare davvero un DC. E solo allora, quando sarò un mostro vero e proprio, potrò sferrare il mio attacco-.
Fobos avanzò verso di me, si appoggiò alla balaustra trincerandomi fra le sue braccia, e disse:
-Credo che alla fine siamo giunti al capitolo finale. Combatterò al tuo fianco, timer o non timer. Cercherò di fare del mio meglio, anche se non sappiamo ancora chi erediterà il frutto del nostro lavoro-.
Sorrisi mestamente, mentre il popolo devoto di Prometheo attingeva acqua alla polla formata dalla cascata.
-Io dico che dovrebbe essere la povera gente. Quella che ha in mano armi che non sa nemmeno usare. Voglio che tutti capiscano di essere stati presi in giro, su tutti i fronti. Nessuno si preoccupa davvero di governare, tutti si preoccupano solo di quanto potere possono assorbire. Voglio mandare in onda la caduta delle Istituzioni e svegliare Elladia. Qualsiasi Governo nasca da questa presa di potere sarà un degno punto di partenza per la vera Aughènea…-
Fobos sorrise fra i miei capelli, mentre la sua aurea mi accarezzava la pelle e si incendiava di orgoglio.
-Si proprio un’idealista-, sdrammatizzò con un sorriso, prima che tornassi in casa.
Decisi di fare una doccia calda per distendere i nervi e ritrovare la me stessa decisa e forte che avevo sempre amato ostentare, poi scivolai in un paio di pantaloni e in una camicia pulita. Tornai in salotto, ma Fobos non c’era, così mi diressi in camera.
L’Ibrido era placidamente steso sul letto con le braccia dietro al capo e i piedi mezzi fuori dal materasso. Aveva gli occhi socchiusi e i capelli corvini sparpagliati attorno al capo e sul petto. Respirava appena, sollevando il torace e facendo affiorare le costole ad ogni respiro. Le cicatrici che gli ricoprivano i fianchi e le braccia risplendevano di un lucore quasi lattiginoso e gli anellini alle sue labbra riflettevano il loro colore cangiante su tutto il suo corpo. Era strano vederlo così immobile e tranquillo, con la guardia abbassata. Osservai i nervi delle braccia e il lento pulsare delle vene sul collo: se lo avessi attaccato, lo avrei sopraffatto in men che non si dica. Scivolai con lo sguardo lungo lo sterno, seguendo il contorno dei suoi addominali accennati e poi finendo ad osservare le cicatrici lungo i fianchi e l’ombelico, in tutto e per tutto simile al mio. Mi accorsi che aveva calciato via gli anfibi e slacciato i pantaloni. Osservai il bordo dei jeans, i lembi di tessuto scostati e il bianco della pelle che vi scivolava dentro.
Mi domandai perché fossi così attratta da lui, ma non trovai alcuna risposta.
-Che hai? Il gatto ti ha mangiato la lingua? -, ridacchiò Fobos, così abituato a sentirmi parlare, da trovare strano il mio improvviso silenzio. Aveva appena schiuso le ciglia, lasciando che l’ambra dei suoi occhi si tingesse della tonalità aranciata della lanterna che bruciava indisturbata. Mi guardava senza cattiveria, ma solo con una disarmante fissità. Non sembrava imbarazzarsi nel fissare le persone negli occhi, dritto nell’anima, ma di questo non me ne stupivo affatto. Fobos era schietto e diretto in tutto ciò che diceva e faceva: la disillusione e il raziocinio, infatti, facevano intrinsecamente parte della sua Natura.
Lo ignorai e mi sedetti sul bordo opposto del letto, pettinandomi lentamente i lunghi capelli ancora fradici. Li stavo giusto spostando di lato per facilitarmi il compito quando sentii Fobos avvicinarsi e posarmi un bacio appena dietro l’orecchio.
Mi irrigidii istantaneamente, ma ancora una volta non mi spostai. Lasciai che Fobos mi sfiorasse il collo con la punta della lingua e mi prosciugasse i piccoli torrenti disegnati dalle goccioline di acqua, scostando i capelli con i denti quando quelle serpi nere intralciavano il suo cammino. Risalì fino alle orecchie, poi si staccò un istante, giusto il tempo per sussurrarmi qualcosa.
-Hai le orecchie bordeaux-.
Lo sentii sorridere vicino al mio viso, poi i suoi denti appuntiti si strinsero delicatamente attorno al lobo del mio orecchio. Sobbalzai, colta alla sprovvista. Avevo gli occhi spalancati, le guance in fiamme e il respiro corto. Che cosa mi stava facendo Fobos? Stava usando una qualche sorta di incantamento su di me?
-Non ti farò nulla se non vorrai-, mormorò, quando quel gioco sembrò non bastargli più.
Mi afferrò per un braccio e, senza troppi preamboli, mi fece stendere sul letto. Sentii le lenzuola cedere sotto il peso del ragazzo e, in un battibaleno, l’Ibrido si sistemò a cavalcioni sopra di me. Si reggeva sulle braccia, premendo le mani contro il cuscino e usando gli avambracci come sbarre per impedirmi di sfuggire ad un suo eventuale bacio.
Deglutii, nervosa. Sembrava un lupo affamato con quei capelli neri che mi ricadevano sul seno e quel sorriso appuntito, eppure i suoi occhi risplendevano di una luce diversa, di una dolcezza malcelata e un po’ indomita.
-Cosa vuoi farmi? -, balbettai, osservandomi attorno in cerca di una via di fuga.
-Secondo te? -.
I miei occhi si spalancarono per l’imbarazzo quando Fobos staccò una mano dal cuscino sdrucito e la appoggiò sul mio ginocchio.
-In fin dei conti sono un uomo. Che cosa ti aspettavi da me? -, ghignò, facendo tintinnare i due anellini ancorati alle labbra. Il mio cuore ebbe un sussulto: la sua mano si era spostata senza che me ne fossi accorta e mi stava accarezzando la gamba. Sentivo il calore del suo tocco attraverso la stoffa dei pantaloni; stava risalendo verso le cosce, pizzicandomi la pelle di tanto in tanto e causandomi fremiti in tutto il corpo.
Sollevai il viso per osservarlo, per capire cosa Fobos stesse pensando, quali emozioni colorassero la sua aurea. Ed i
suoi occhi non mentivano. Avrebbe preso l’unica cosa preziosa che mi era rimasta. Avrei potuto donare me stessa ad un uomo diverso, ad un uomo che magari avrei sposato e con cui avrei avuto una famiglia un giorno. Era quello che ogni donna auspicava per se stessa, no? L’Amore. Ma io non mi auguravo minimamente nulla del genere. Cosa me ne facevo di un sogno simile quando l’uomo che desideravo avrebbe potuto morire in qualsiasi momento? Quando io stessa ero imprigionata in una realtà che non aveva spazio per una come me? Desideravo solamente completare l’oscurità di Fobos, dimenticare le nostre differenze e azzerare la nostra distanza. Sentivo che c’era qualcosa in quel ragazzo che era stato creato appositamente per me, che io ero l’unica persona al mondo che avrebbe mai potuto stare al suo fianco. Potevo essere forte, potevo raggiungerlo e potevo guardarlo da pari. Potevo, per una notte, smettere di odiare i suoi difetti e scoprire quella bellezza che sapevo nascondersi nel suo cuore.  Così alla fine cedetti di fronte alla sua presa di posizione.
Le sue mani non indugiarono oltre.  Scivolarono lungo il profilo dei seni, proseguirono lungo il costato, sulla traiettoria dell’ombelico e infine si soffermarono sulla pelle che scompariva al di sotto della cinta dei pantaloni. Inspirai a fondo. Non ero più lucida e il mio cuore stava esplodendo cercando di tenere il ritmo dei miei respiri. Anche Fobos sembrava perso, con gli occhi lucidi e le labbra socchiuse. Stava armeggiando già da qualche istante con il bottone dei miei pantaloni, cercando di sbloccarlo d’asola, ma questo opponeva l’ultima strenua resistenza, cercando di preservarmi da quell’amore bizzarro e pericoloso. Solo grazie all’insistenza di Fobos, questo cedette, scoprendo la biancheria sottostante e facendo lentamente scivolare verso il basso la zip.  Nel frattempo anche le mie mani avevano preso vita propria e avevano cominciato ad esplorare il corpo di Fobos, analizzando ogni muscolo e ogni sporgenza del suo fisico asciutto. E infine, quando le mie mani ebbero percorso tutta la cartina del suo corpo, gli posai un bacio sulla cicatrice rosata che gli adornava la clavicola destra. Lui sussultò leggermente, deglutendo a vuoto, poi mi restituì il favore mordendomi con leggerezza uno zigomo. Il suo respiro mi fece sciogliere completamente e in breve tutto il mio corpo vibrò come la corda di un violino.
Forse quella sarebbe l’unica chance per noi, forse non avremmo avuto un’altra occasione. Avrei dovuto essere triste di fronte a una così cupa prospettiva, eppure il modo in cui Fobos mi baciava e mi spogliava non faceva altro che farmi desiderare di vincere quella guerra, di salvare la mia anima e la sua da quel rogo visto nel mosaico, dalla povertà delle strade e dalla disperazione di quel mondo che ci aveva vomitati per scherzo. E io non volevo rinunciare a quella sensazione di invincibilità. Per nulla al mondo.

Fobos si chinò sul mio corpo, lasciando che le punte sottili dei capelli mi solleticassero il seno e i fianchi, e per ogni sospiro che lasciò le mie labbra, lui mi regalò un bacio, un morso o una carezza, come per convincermi definitivamente che il mio posto era al suo fianco. E così alla fine cedetti definitivamente alle sue lusinghe.
Non avevo mai pensato a cosa significasse fare l’amore con un uomo né mi era mai passato per la testa che un giorno anche io sarei stata in grado di affezionarmi a tal punto ad una persona da concederle tutto, anima e corpo. Ma era successo e anche se Fobos era la persona più improbabile, ero felice. La sua dolcezza un po’ feroce e la sua urgenza mi avevano rapito, il suo modo di guardarmi e tenermi stretta mi aveva stupito e la mia capacità di stargli accanto e amarlo mi aveva svegliata. Tutte queste cose mi avevano fatto capire quanto avessi sbagliato a pensare che sarei potuta sopravvivere da sola, che avrei potuto smettere di soffrire. Perché proprio adesso che rischiavo di perdere tutto, sentivo il desiderio di ancorarmi alla vita. Perché solo mentre Fobos aderiva a me, il mio mostro era tranquillo. Perché nonostante fossimo mostri, quando lottavamo assieme diventavamo invincibili e determinati. Perché alla fine se dovevo morire, volevo almeno salvare la migliore parte di me. Quella che lui amava e ammirava.
Probabilmente per questo non chiusi mai gli occhi durante il nostro piccolo momento di intimità, forse per questo non mi dimenticai nemmeno per un secondo che ci stavamo amando sullo sfondo di una guerra, con la Morte dietro l’angolo. Forse per questo volevo ricordarmi ogni singolo fotogramma dei nostri baci, della motivazione per la quale dovevo andare avanti. Ero egoista, ma volevo per la prima volta dopo tanti anni regalarmi un futuro. Un sogno.

 

   
 
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