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Autore: Adeia Di Elferas    01/11/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ “Caterina, mia adorata moglie – cominciò Girolamo, torcendosi le mani l'una nell'altra e guardando il pavimento – devo chiedervi una cosa importante.”
 L'idea gli era venuta improvvisamente, chiara e semplice, tanto che si era chiesto come mai non ci avesse già pensato prima.
 Era terrorizzato all'idea di andare a combattere, ma conosceva qualcuno che non era pavido quanto lui, qualcuno che avrebbe saputo cosa fare e quando, qualcuno che ne sapeva mille volte più di lui di soldati, spade, strategie e tattiche.
 “Di cosa si tratta?” chiese Caterina, stringendo gli occhi, in parte incuriosita e in parte insospettita dal tono serio e solerte con cui il marito le parlava.
 “Venite con me.” disse in fretta Girolamo, alzando lo sguardo e incrociando gli occhi verdi ramati di castano di sua moglie.
 La luce tremula delle candele donava al viso della giovane un colorito speciale, raro da vederle in volto. E quella richiesta accese ancora di più le sue guance, tanto che Girolamo, per qualche infinito momento, fu certo che lei avrebbe accetato e che da quella campagna militare fatta assieme sarebbero nati un nuovo Girolamo e una nuova Caterina, un uomo e una donna che finalmente si sarebbero conosciuti e che si sarebbero amati.
 “Come mai hai deciso di andare?” chiese Caterina, quasi prendendo tempo.
 “Io... La mia assenza comincia a notarsi troppo. Ho... Ho spinto troppo per far cominciare la guerra e ora che Roma ha bisogno di me, devo fare la mia parte. Voglio fare la mia parte. Non voglio fare la figura del codardo...” fece Girolamo, tornando ad abbassare gli occhi.
 Caterina lo guardò per un lunghissimo istante, durante il quale quasi provò pietà per lui, così alto e slanciato, eppure così piccolo e, inutile negarlo, indifeso.
 Ma la pietà per lui svanì subito, non appena i ricordi le riaffiorarono alla mente, e con loro tutto il resto...
 “Non mentire. È stato tuo zio a obbligarti.” lo corresse Caterina.
 Girolamo strinse il morso e non aggiunse altro, pregando silenziosamente. Voleva con tutto se stesso che Caterina accettasse la sua proposta. Solo se lei avesse detto di sì ci sarebbe stata per loro una vera opportunità...
 “Avete ragione.” ammise Girolamo, quando il silenzio fu troppo lungo: “Mio zio vuole che io parta. Io non andrei. Però, sono qui a chiedervi: venite con me.”
 “Perchè mai dovrei seguirti? La guerra l'hai voluta tu. Io sono sempre stata contraria e te l'ho detto più volte. Non mi hai mai ascoltata. Non hai mai dato peso a nessuno dei miei consigli in merito.” lo rimproverò Caterina, mentre la collera nascosta in quelle parole prendeva curiosamente la stessa forma che aveva la rabbia che aveva covato per lui da bambina.
 Un nodo allo stomaco, un dolore forte al ventre, la nausea che montava e poi, inaspettato, uno strano desiderio di piangere. Ma Caterina non avrebbe pianto per un motivo tanto stupido.
 “Voi sapete molte più cose di me.” tentò Girolamo, nell'estremo tentativo di far breccia, se non nel cuore, almeno nell'amor proprio della moglie: “Siete abile, vi ho vista con la spada, assieme al maestro d'armi, vi ho vista cavalcare e vi ho sentita parlare di strategia e tattica con alcuni generali che vi hanno addirittura lodata per la vostra preparazione... Venite con me. Vi prego...”
 “Quindi ti abbasseresti a farti difendere da una donna in mezzo al campo di battaglia?” chiese Caterina, col preciso intento di deriderlo, ma anche di capire quanto seria fosse la sua richiesta.
 “Vostra nonna combatteva fianco a fianco con vostro nonno, lo raccontate di continuo ai nostri figli. Voglio che anche noi facciamo lo stesso.” spiegò Girolamo, deglutendo rumorosamente.
 Caterina soppesò per un momento la cosa. Non poteva negare di essere allettata dalla proposta.
 “Vi prego...” sussurrò Girolamo, la voce rotta.
 Fu quell'ultimo bisbiglio rantolante che le fece prendere la decisione. Capì che Girolamo si era riempito la bocca di tante belle parole, ma che il vero motivo per cui le aveva chiesto di seguirlo era che aveva paura.
 “Mi spiace.” disse allora Caterina: “Non ho motivo di seguirti.”
 Girolamo la fissò apparentemente distrutto, disperato, come un condannato a cui viene anticipata la decapitazione.
 “Se ti amassi, forse. Ma dato che non ti amo, non vedo perchè dovrei seguirti.” proseguì Caterina, stringendo le braccia attornò al petto, aspettando il momento giusto per chiudere definitivamente la conversazione e mandare il marito a dormire in un'altra stanza.
 “Se non per me, fatelo per i nostri figli!” esclamò Girolamo, in extremis.
 “Che coniglio che sei... Abbi almeno l'onestà di non tirare in mezzo i nostri figli.” lo rimbeccò Caterina, muovendosi minacciosa verso di lui.
 Come si trovasse di fronte un plotone armato fino ai denti, Girolamo indietreggiò fino a sbattere contro la porta.
 “Ma guardati! E tu dovresti andare ad ammazzare i soldati del duca di Calabria?!” lo derise Caterina, mentre lui cercava affannosamente di aprire l'uscio e andarsene.
 Quando finalmente l'uomo trovò una via di fuga, Caterina gli urlò dietro: “Sei solo un bambino! Non sarai mai un uomo!”
 
 Girolamo non volle più incontrare la moglie fino al momento della partenza.
 Caterina lo guardava da lontano, da una finestra, come anni prima sua madre Bona aveva guardato lei che partiva verso l'ignoto.
 Una stretta al cuore la fece vacillare un momento. Il ricordo del viso di Bona che la osservava dall'alto non era tra quelli che le riaffioravano nella mente più spesso, anzi, era uno di quelli che non richiamava mai al pensiero. Era stata l'ultima volta in cui si erano viste e Caterina non aveva dubbi che nemmeno in futuro avrebbero avuto occasione di incontrarsi un'ultima volta.
 Che fosse anche quello un ultimo addio?
 Girolamo era in sella a un enorme cavallo da guerra e indossava vestiti meravigliosamente rifiniti dai più abili sarti romani. Portava sulla schiena un ricamo enorme che riproduceva lo stemma dei Riario: la rosa d'oro nello spaccato azzurro sopra allo spaccato dorato.
 Iustus ut palmas florebit, recitava il motto dei Riario.
 Caterina l'aveva trovato un motto strano fin dal principio. Quasi ridicolo e di certo poco 'nobile'.
 Girolamo si stava sistemando i guanti e impugnava le redini con nervosismo sempre crescente. Non osava alzare lo sguardo verso la moglie, che, lo sapeva, era là in alto, a osservarlo e di certo intenta a trovare qualche suo nuovo difetto.
 Quando il drappello fu pronto a partire, i pochi presenti lanciarono qualche grido di incoraggiamento, ma nulla di più. Non era un saluto degno di un gran soldato. Erano stati molto più calorosi i soldati di Porta Giovia quando avevano detto addio a Caterina, che non i nobili e i dignitari romani nel salutare il nipote del loro 'adoratissimo e santissimo' papa.
 
 Roberto Malatesta era un uomo ben piazzato e dal mento volitivo. I suoi occhi scuri scrutavano senza posa l'orizzonte e sembravano capaci di leggere un uomo meglio di quanto non sapessero leggere una missiva.
 Era accampato a Civita coi suoi soldati da pochi giorni e sapeva che a breve ci sarebbe stato uno scontro importante. Stava pianificando la sua prossima mossa da giorni, alternando lo studio delle mappe e della strategia a pensieri rancorosi nei confronti del papa.
 Sisto IV l'aveva dapprima mandato al nord, a combattere contro Ferrara, fianco a fianco coi veneziani, ma appena Napoli aveva minacciato Roma, l'aveva richiamato in fretta e furia al sud, affidandogli la difesa dello stato pontificio.
 Malatesta non era stato particolarmente contento di quel cambio di programma. Era un quarantaduenne ancora pieno di vigore e desiderio di gloria e una guerra di conquista sarebbe stata più nelle sue corde, rispetto a una serie di battaglie difensive.
 In più, quando aveva saputo che Sisto IV avrebbe mandato da lui il nipote, la sua pazienza fu messa a dura prova.
 Roberto sapeva poco o niente di quel Conte Riario di cui tutti parlavano da giorni. Gli era stato detto che non aveva mai preso parte a una vera guerra e che le sue abilità erano incerte. Era stato allevato da una famiglia di modeste origini e tutto quello che aveva imparato era come vestirsi bene e tirare di spada con un maestro d'armi.
 Insomma, si preannunciava una vera palla al piede.
 Roberto Malatesta era ritenuto dal papa – e lui stesso era a conoscenza di questa opinione parziale – un generale di dubbio valore. Era fortunato, forse, ma non era mai stato una mente militare eccelsa, né un soldato particolarmente coraggioso.
 Di certo Sisto IV aveva deciso di mandare da lui il nipote sperando che il Conte Riario risaltasse per valore e intraprendenza rispetto a Malatesta.
 Il che era tutto da vedere, secondo il generale.
 Quando il drappello da Roma arrivò, Malatesta non ebbe più dubbi: Girolamo Riario sarebbe stato una spina nel fianco.
 Il volto del Conte era smunto e grigio, evidentemente provato dal caldo e dal viaggio privo di comodità. Teneva le spalle curve e continuava a guardarsi attorno come se avesse paura di essere colpito da qualche freccia.
 Quando Malatesta lo accolse, Girolamo rispose a spizzichi e bocconi, mangiandosi le parole e facendo cenni scocciati col capo.
 Si fece condurre al suo padiglione e non volle più essere disturbato fino al mattino seguente, perchè necessitava una notte di sonno tranquillo.
 Era lì da nemmeno mezza giornata e già dava ordini come fosse stato il capo dell'esercito. Non aveva ancora capito che era lui, il Conte Riario, a essere al servizio di Roberto Malatesta, in quell'accampamento e non il contrario. Tra i padiglioni e i soldati valevano la spada e il grado, non le parentele con il papa. Il Conte, però, si atteggiava a gran signore, guardando tutti dall'alto in basso e dando ordini in modo svogliato, a mezza bocca, come se stesse parlando con l'ultimo dei servi. Malatesta non sopportava una simile arroganza.
 Quando il mattino seguente Malatesta in persona andò a svegliare Girolamo, pregandolo di andare con lui a discutere la prossima mossa militare, il Conte lo liquidò dicendogli che faceva troppo caldo e che sarebbe stato lui a decidere quando partecipare alla discussione della campagna.
 
   
 
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