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Autore: Ink Voice    01/11/2015    1 recensioni
Come reagireste alla scoperta dell’esistenza di un mondo celato agli occhi della “gente comune”? Eleonora, credendosi parte di questa moltitudine indistinta di persone senza volto e senza destino, si domanderà per molto tempo il motivo per il quale sia stata catapultata in una realtà totalmente sconosciuta e anche piuttosto intimidatoria, che inizialmente le starà stretta e con la quale non saprà relazionarsi. Riuscirà a farci l’abitudine insieme alla sua compagna Chiara, che vivrà con lei quest’avventura, ma la ragazza non saprà di nascondere un segreto che va oltre la sua immaginazione e che la rende parte fondamentale di quest’universo nascosto e pieno di segreti. Ecco a voi l’inizio di tutto: la prima parte della serie Not the same story.
[RISTESURA+REVISIONE - Not the same story 1.2/3]
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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XIII
Tra le grinfie del Nemico

Non seppi dire quanto tempo passò dal Teletrasporto effettuato al mio risveglio: da un lato mi parve fossero trascorsi giorni interi, dall’altro credetti che fosse passato pochissimo tempo, che ci fosse ancora qualche possibilità di salvezza. L’Ipnosi aveva avuto effetti inaspettati su di me, perché mai avrei creduto di potermi sentire così male non appena i miei sensi iniziarono a recuperare il contatto con la realtà. Ricordo che sulle prime pensai di essere in uno stato di trance, di rivedere il cielo colorato del sogno disturbante dell’ottobre scorso, finché quelle tinte vivide ed abbaglianti non sfumarono in un freddo grigio. Allora arrivarono alcune fitte di dolore alla testa. Esse, dopo alcuni momenti passati a lamentarmi tra me e me, mi costrinsero a spalancare gli occhi.
Iniziai ad ansimare, come se stessi annaspando nel tentativo di respirare più aria possibile dopo aver passato fin troppo tempo sott’acqua. Udii una voce borbottare qualcosa ma non ritenni subito una priorità cercare di capire a chi essa appartenesse. Piuttosto mi concentrai sulle prime cose di cui mi stavo rendendo conto: il mal di testa che fortunatamente stava affievolendosi, la sensazione di essere legata con le spalle al muro e di poter riempire a malapena i polmoni, gli ultimi ricordi dello strano ragazzo che d’improvviso si era presentato dinanzi a noi e, in qualche modo, era riuscito ad usare Teletrasporto. Non ero sicura che fosse possibile farlo dentro le barriere, ma in effetti non c’era un motivo per cui fosse vietato farlo.
Sentirmi stretta mi insospettì non poco. Abbassai lo sguardo e notai delle corde metalliche ordinatamente messe attorno al mio corpo. Coprivano praticamente tutto il mio busto. «Oh, no» riuscii solo a mormorare.
Mentre mi schiarivo la voce, terribilmente arrochita, la persona che prima aveva detto qualcosa che non avevo decifrato si fece sentire nuovamente: «Meno male che ti sei svegliata quasi subito dopo di me.»
«Gold» quasi esalai il suo nome come se mi costasse un’enorme fatica parlare. Il ragazzo doveva stare attaccato al palo dalla parte opposta a dov’ero io. «Non… non ci sto capendo più niente. Però… il ragazzo di prima, cielo…»
«Era uno del Nemico, e ora siamo in una sua base.»
«Sì, sì.» Trascorse qualche secondo di silenzio. Non riuscii subito a comprendere la gravità della situazione e mi ritrovai a chiedere, più per fare conversazione che per tranquillizzarmi e capire qualcos’altro su cosa stava per accadere o se già era successo qualcosa di brutto: «C’è qualcun altro con noi?»
«Camille e Chiara. Spero si risveglieranno presto.»
Non riuscii a rispondere nulla. Avvertii alle mie spalle una grossa colonna di freddo metallo, dopodiché smisi di guardarmi i piedi ed esplorai l’ambiente con gli occhi, mentre cercavo di mettere completamente in funzione il cervello ed elaborare qualche pensiero utile e di senso compiuto.
La stanza era piuttosto spaziosa ma forse era solo un effetto dato dallo scarsissimo arredamento, a meno che gli altri, vedendo il resto di essa, non fronteggiassero qualcos’altro. Girai la testa a destra e a manca ma non trovai niente che contraddicesse l’opinione che mi ero fatta; smisi presto di studiare il pavimento, il soffitto e le pareti. Erano tutti indistintamente ricoperti dello stesso materiale, che aveva l’aria di essere un bello e particolare acciaio scuro la cui superficie non pareva liscissima. Mossi quel poco che potevo le spalle, rimediando qualche lamento dalle zone di pelle a contatto con le corde metalliche, e capii che invece la colonna era liscia e di forma cilindrica. Semplici, asettiche lampadine bianche creavano fredde sfumature sull’acciaio. La temperatura era parecchio alta, nonostante quel giugno non fosse affatto caldo.
Capii che non era il caso di chiamare quel posto stanza, ma cella. Eravamo prigionieri.
Feci per dire qualcosa ma i toni accesi di Chiara presero il sopravvento. La sua voce, alterata dalle emozioni turbolente che doveva star provando, arrivò dalla mia destra: «Non ci credo! Non voglio crederci!»
«Vi prego, manteniamo la calma» mormorò Gold. «So che è difficile e che siamo in una situazione terribile… dobbiamo stare tranquilli e aspettare di capire qualcosa di più. Camille, ti sei svegliata?»
Dalla rossa arrivò una risposta affermativa. Invidiai la voce decisa della ragazza, ero sicura che la mia avrebbe tremato tanto da fare pietà al Nemico che ci aveva rapiti. Ecco cos’era successo ed ecco che non potevo più osare alcuna ipotesi sul futuro imminente, perché quel dannato futuro poteva rivelarsi più sanguinoso di quanto sarei stata in grado di sopportare. Mi lasciai sfuggire un lieve gemito che sperai fosse passato inosservato. Mi morsi il labbro inferiore per impedirmi di emettere altri suoni penosi, ero talmente spaventata! Avevo già preso a tremare per la paura. Cosa ci avrebbero fatto? Era la prima volta che percepivo il Nemico così vicino quando mai, in quei mesi passati all’Accademia, avrei previsto un contatto così palpabile. Cosa eravamo in quel momento, prigionieri od ostaggi? Oppure i nemici volevano trasformarci in reclute, dando un’altra prova della propria forza, essendo stati in grado di trovare l’Accademia e di portar via da quel nido ben quattro ragazzi?
«I nostri Pokémon» balbettai. Chissà dov’erano le nostre cinture; non mi sentivo la mia addosso, la indossavo sempre alla vita - com’era giusto che fosse.
Chiara imprecò. «Qui intorno non c’è assolutamente niente. La stanza, cioè, la cella è completamente vuota, davanti a me ci sono delle sbarre. Ma fa caldissimo! Dove siamo, se la temperatura è così alta?»
Nessuno le rispose e lei non insistette, capendo che non era proprio il momento di fare conversazione. In quei momenti, molto probabilmente, avanzammo tutti le stesse ipotesi sulla situazione nelle nostre menti, ma non ci dicemmo nulla temendo di essere ascoltati da orecchie nemiche. “Se siamo prigionieri” pensai, “allora cercheranno di estorcerci informazioni, magari con la forza.” Subito la mia fantasia andò al galoppo e ricordai macabre scene di storie dell’orrore lette troppo presto, rispetto all’età che sarebbe stata adatta, per sfamare la mia innata curiosità quando si trattava di leggere un libro o vedere un film. Percepii dei brividi sulle punte delle mie dita al pensiero di essere minacciata di vedermi strappare le unghie a meno che non fossi stata al gioco del Nemico. Non sarei stata assolutamente in grado di far nulla, se non piagnucolare ogni risposta che avessero cercato alle loro domande.
“Se invece siamo ostaggi, probabilmente vogliono attirare quelli dei nostri in una trappola, se o quando mai verranno a cercarci.” Anche lì non potei non rabbrividire, soffocando un penoso mugolio, ponderando la terribile idea di rimanere in balia della crudeltà nemica per il resto dei nostri pochi giorni a venire. Difficilmente ci avrebbero trattato con riguardo. “Quindi… a meno che le Forze del Bene non sappiano dove possiamo essere finiti e inizino subito le ricerche… passeremo parecchio tempo qui e poco tempo ancora a vivere, immagino. Cielo! Se ci penso mi sembra… di svenire…” Boccheggiai ed ebbi un capogiro ma mi sforzai di rimanere cosciente. La tensione e la pressione stavano sfinendo i miei fragili nervi.
«Ripeto, ragazzi, secondo voi dove siamo?» Mi chiesi dove avesse trovato il coraggio, Chiara, per riprendere a parlare dopo minuti interi di silenzio. «Già non credevo che un Teletrasporto funzionasse dentro delle barriere, almeno non in quelle dell’Accademia. Ma è possibile che ci abbiano portati in un’altra regione?»
«No» rispose subito Camille. La sua voce era ferma e fredda come al solito. «Le barriere non possono impedire un Teletrasporto, ovviamente, a meno che non siano molto particolari, ma dubito che l’Accademia fosse provvista di mezzi così speciali. Comunque sono certa che siamo ancora dentro Sinnoh. Teletrasporto funziona solo dentro una regione specifica e non credo che quel ragazzino sia riuscito ad attraversare i confini portando con sé quattro ragazzi più grandi di lui e non passare inosservato.»
«In effetti i confini sono sempre sorvegliati dalle forze dell’ordine» mormorai. Avevo lo sguardo vacuo, nuovamente fisso sulle punte delle mie scarpe, e risposi meccanicamente.
«Già. Ora non ci resta che pregare perché arrivino i nostri» disse Chiara.
«Sempre che si degnino di farlo» ribatté Camille.
Di nuovo calò il silenzio. Continuavo a mordicchiarmi il labbro inferiore e non mi stupii di sentire, dopo interi minuti passati a tormentarlo, il ferroso sapore del sangue. Mi ero fatta un piccolo taglietto da cui gocciolava imperterrito; avevo la gola e la bocca secche e “leccarmi le ferite” non era una buona cosa da fare.
“Sempre che si degnino di farlo. Sempre che ritengano necessario venirci a prendere.” Le parole gelide ma forse veritiere di Camille presero a risuonare ininterrottamente nella mia testa finché non mi ritrovai a contare Mareep per distrarmi e smettere di alienarmi in quel modo, riascoltando continuamente la sua voce tagliente. Non volevo neanche pensare a cosa poteva dire rimanere lì per sempre, o essere costretti, in futuro, a indicare le Forze del Bene come il Nemico. “Voglio tornare a casa, voglio tornare a casa” prese a ripetere una vocina piagnucolante nella mia testa: immersi com’eravamo nel più totale silenzio, i pensieri disturbati e disturbanti che formulavo stridevano nella mia mente, facendomi quasi temere di diventare sorda. Stavo inesorabilmente cedendo. “Non ci lasceranno qui, non possono lasciarci qui! Voglio tornare, non voglio combattere né soffrire… basta, basta…”
Le frasi che stavano iniziando a sorgere erano di gran lunga peggiori rispetto a quelle a cui succedevano; mi sforzai di smettere di tenere gli occhi stralunati e vitrei, com’era stato naturale che diventassero a forza di pensare tanto negativamente, come se stessi impazzendo. “Ma tanto se le Forze del Bene non vengono a prenderci prima che arrivi il peggio facciamo tutti in tempo a mori-”
«Penso che verranno a prenderci» bisbigliai all’improvviso. 
Tutti gli altri, quasi all’unisono, fecero “Eh?”; mi sforzai di schiarirmi la voce per alzare un po’ il tono, il mio era stato un sussurro inudibile. Come c’era da aspettarsi, Camille chiese: «E perché mai lo credi?»
«Se quelli delle Forze del Bene saranno stati in grado di rintracciarci, allora verranno per evitare che il Nemico cerchi di ottenere informazioni da noi.» Ci fu di nuovo una pausa di silenzio e temetti di rimanere sola con le mie paure, perciò ripresi a parlare: «Pensate che non lo farebbero comunque?»
«Quali informazioni vuoi che abbiano ragazzini come noi, Eleonora?» obiettò Camille. «Non siamo ostaggi né ci tortureranno per ottenere qualcosa, a mio parere, a meno che qualcuno non sia in cerca di una valvola di sfogo. Io credo che siamo… per così dire… semplici prigionieri e forse futuri membri del Team.»
Ammutolii. Almeno stavolta Camille zittì pure tutti i miei dubbi - decisi di darle ragione su tutto, perché le sue parole, pensandoci, avevano la logica migliore, la più valida e forte. Sembrava avesse esperienza in quella materia: Gold e Chiara chissà se avevano cercato di farsi qualche idea e se ne avevano avuta una simile a quella di Camille; io avevo provato ad esporre la mia, in cerca di una speranza a cui aggrapparmi, ma la ragazza che da meno tempo era arrivata all’Accademia sembrava la più saggia ed esperta. Mi stupii del tono imperturbabile che aveva la sua voce, perché la mia aveva tremato anche troppo per quelle poche parole che avevo detto. “Ma sarà vero che non ha mai avuto un confronto con qualcuno del Nemico? Mi sembra così strano.”
Perciò glielo chiesi un’altra volta, con le stesse parole di quando le avevo posto quella domanda dopo la prima lotta fatta contro di lei: «Hai mai incontrato il Nemico, Camille?»
E di nuovo la risposta fu lapidaria: «No.» Non aveva esitato, come al solito. Eppure mi pareva una cosa troppo strana, il fatto che la ragazza avesse una buona dimestichezza, sicuramente superiore rispetto alla media, quando si trattava di ragionare sul Nemico e sulla sua natura, per quanto fosse avvolta nel dubbio. Furono ancor più fuori dal comune le sue parole successive: «Perché me lo hai chiesto… di nuovo?»
Le spiegai il motivo, ovvero che appariva abbastanza esperta quanto a cercare di decodificare i comportamenti di un’entità così strana, quella del Nemico. Non mi aspettavo una risposta e non venne; disse solo: «È intuito.»
Feci finta di crederle e mi chiusi di nuovo nel silenzio. Dopo poco iniziai ad avvertire una sibillina sonnolenza che mi fece dapprima socchiudere gli occhi, poi sobbalzare per lo stupore di starmi quasi addormentando - tra l’altro in piedi, ma forse non potevo dire così, essendo “sorretta” dalle corde. Doveva essere colpa dell’Ipnosi che era stata operata su di noi se mi stavo sentendo in quel modo, se avevo nuovamente così tanto sonno che se avessi chiuso gli occhi per una manciata di secondi mi sarei appisolata.
Però ero anche sfiancata da tutto ciò che stava succedendo. Mi domandai perché non fossi ancora scoppiata a piangere o a gridare con quanto fiato avevo nei polmoni, magari fino a perdere la voce che era tanto piacevole e bella da ascoltare quando cantava, per implorare pietà e cercare di vederci restituita la libertà. Mi chiesi perché nemmeno Chiara e Gold - Camille sembrava insensibile a tutto come suo solito - stessero impazzendo di paura al pensiero di poter morire. Potevamo morire! Sembrava così impossibile ma d’altra parte poteva essere ovvio. Non avrei mai saputo se il primo incontro con il Nemico sarebbe stato anche l’ultimo, se ci avrebbero tratti in salvo o se la nostra unica possibilità rimasta sarebbe stata diventare delle reclute.
Forse cercare di trattenere gli strilli e le lacrime mi aveva stancata tanto da far sopraggiungere quell’inaudita sonnolenza. E magari era pure meglio dormire un po’, solo qualche minuto, almeno nella speranza che il sonno sospendesse la realtà e che mi concedesse qualche istante di tregua…

Mi risvegliai dopo un attimo, o almeno così mi parve. Forse ero svenuta, oppure mi ero davvero addormentata. Non avevo mai perso conoscenza prima di allora, perciò non seppi dire cosa mi fosse accaduto di preciso.
«Ragazzi?» chiamai. Gold mi disse che era presente tramite un borbottio sommesso. «Credo… non so, forse ho perso i sensi… ma più probabilmente mi sono addormentata.»
«Non sei stata l’unica» mi rispose lui. «Anche Chiara si è messa a dormire poco dopo di te. Ci eravamo accorti che non rispondevi più… pure Camille ha detto di essere troppo tentata dal sonno e penso si sia addormentata.»
«Strano che Chiara non si sia messa a strillare temendo che fossi morta per un colpo al cuore.»
Gold ridacchiò. «A quanto pare la preoccupazione è stata vinta dalla stanchezza.»
Sbuffai appena. «Chissà quanto tempo è passato…»
«Da quando siamo stati presi, dici? Qualche ora sicuramente, almeno tre. Secondo me, eh! Ma penso che sia comunque troppo poco tempo perché i nostri abbiano capito dove cercarci e chissà quando troveranno un modo per tirarci fuori dai guai… ma la speranza è l’ultima a morire, no?»
«Già.» Chissà se Camille dormiva davvero; non potei fare a meno di chiedermelo. «Gold, è un problema per te se svegliamo Chià e Camille?»
«N-no, non penso. Perché?»
Arrossii lievemente. «Non mi piace l’idea che loro possano tenerci d’occhio, sono certa che in questa stanza ci siano telecamere e registratori per controllarci. Se ci mettiamo a dormire… non ho potuto fare a meno di crollare, non so te, ma se avessi avuto modo di evitarlo… stamattina non ho bevuto abbastanza caffè.»
«Ti piace il caffè? È così amaro, che schifo!» esclamò Gold schizzinoso.
Scoppiai a ridere e mi fece davvero molto piacere udire il suono vivo e allegro di quella sincera risata. Il tono di Gold era stato esilarante e non ero riuscita a trattenermi, anche per il nervosismo che dovevo sfogare. «Ma il caffè è così buono! Anche se penso che mi sta facendo a pezzi la pancia, è da un sacco che ne bevo tantissimo… certe volte credo di capire come si sentono gli alcolizzati quando non toccano per troppo tempo una bottiglia, perché anche io mi sento malissimo quando non vedo per più di ventiquattr’ore una tazzina di caffè!»
Chissà perché mi era presa la parlantina in quel momento. Pure Gold rise, lievemente ma allietato per i piccoli momenti di distrazione che ci stavamo regalando, e mi consigliò di passare al cioccolato e di abbandonare “quella bevanda schifosa e tanto amara che mi fa rizzare i peli sulla nuca”. Gli risposi che anche la cioccolata era una parte importante della mia “dieta”, se così si poteva definire.
«Cosa… perché ridete?» boccheggiò Chiara un attimo dopo, risvegliatasi.
Sentii chiaramente Camille sbuffare. Ero certa che non si fosse addormentata neanche per mezzo minuto. Gold le disse che non riusciva neanche lontanamente a capire come potesse piacermi così tanto quell’“orrida bevanda” e Chiara, che pure lei da sempre si chiedeva come fosse possibile, gli diede manforte. «Più o meno è da quando l’ho conosciuta, quindi circa tre anni fa, che va avanti a caffè, cioccolata e cioccolatini al caffè!»
«Mi spiace interrompere la vostra amabile chiacchierata…»
Il sangue si raggelò nelle mie vene e non mi fu chiaro il motivo per cui avessi ancora la possibilità di respirare. Era stata una voce maschile, sconosciuta, a parlare e non era difficile immaginare chi potesse averci interrotto, se non un uomo del Nemico. Non era un timbro giovane, anzi, aveva l’aria di essere piuttosto matura. Nel silenzio tombale che subito si era venuto a creare riuscii addirittura a distinguere il fiato di ognuno di noi, che per tutti si era fatto più veloce e ansimante. Poi Chiara trattenne il respiro e io socchiusi gli occhi, temendo il peggio.
Sentii uno strano rumore ma non era quello che mi aspettavo. Credevo che a quelle parole micidiali sarebbero seguiti dei passi, magari pesanti per mettere in risalto la fragilità della situazione, oppure una risata cinicamente soddisfatta di averci zittiti con quella mezza frase. Invece no. Arrivò alle nostre orecchie lo sbuffo di qualche gas esalato da chissà dove; la testa iniziò a girarmi e svenni, per la prima o la seconda volta in quel tremendo giorno, dopo aver visto dei vapori bianchi diffondersi per tutta la cella.
Di nuovo mi sembrò di aver chiuso gli occhi e di aver ripreso i contatti con la realtà un momento dopo, dando a me stessa pochissimo tempo per assaporare il piacere di resettare tutto. Strizzai gli occhi, sentendo un vago dolore al petto, prima di aprirli con immane lentezza - per poi richiuderli nuovamente, trovandomi con la testa proprio sotto la luce di una lampadina bianca, che in quel momento mi parve accecante. Sentii un nodo stringermi le vie aeree e mi ritrovai a respirare più con la bocca che con il naso. Capii di essere distesa, per di più per terra.
Tentai di tirarmi su a sedere ma feci una nuova scoperta: avevo le mani legate. Ci misi un po’ per mettere da parte la mia naturale goffaggine e riuscii finalmente a tirarmi su. Mi guardai intorno e non vidi nessuno. La cella pareva esattamente la stessa, a meno che in quella base nemica non fossero tutte uguali e mi avessero trasportata altrove. “Che senso ha ammanettarmi i polsi e lasciarmi qua da sola? Ho le gambe libere… non che sia un pericolo, ma almeno qualche precauzione in più, non sottovalutarmi del tutto… no?” Mi alzai per sgranchirmi le gambe. Ero parecchio sudata, sia per il caldo che per la paura. Mi girai e vidi la colonna con le corde metalliche a terra - serpi accoccolate l’una accanto all’altra, lì giacenti attorno al pilastro, pronte a cercare di imprigionarmi di nuovo.
Osai chiamare i miei amici. «E-ehi… Gold, Camille? Chià…?» Alzai la voce fino a raggiungere un tono poco più alto del normale, poi smisi, troppo intimorita. Camminai un po’ e arrivai davanti alle sbarre che Chiara aveva fronteggiato finché eravamo rimasti legati alla colonna. Erano abbastanza larghe per dare un’occhiata all’esterno ma fin troppo strette perché anche una ragazzina magra come Chiara o Camille potesse provare a passare oltre, spostandosi di profilo. Dopo lunghi secondi di esitazione mi azzardai a fare capolino, sperando di non venir fulminata da chissà quale micidiale sistema d’allarme.
Non successe nulla e potei permettermi di riprendere a respirare. Il silenzio era assordante - solo ricorrendo al più comune degli ossimori l’idea può essere resa abbastanza bene. Il fatto è che era davvero insopportabile stare lì da sola, completamente abbandonata sia dal Nemico che dalle Forze del Bene, separata dalle uniche persone che potevano essere un sostegno in quella situazione terribile. Iniziai a tremare, sentendomi soffocata dall’immobilità dell’aria, dell’assenza di suono e di presenze esterne a me. Ero sola. “Vogliono farmi dare di matto!” pensai mortificata e spaventata. “E ci riusciranno pure, vista la fragilità dei miei nervi, che già sono stati distrutti prima… figurarsi ora, la solitudine e la paura mi uccideranno! A-aiuto…!”
Mi venne in mente l’idea assurda di mettermi a cantare. In un primo momento mi dissi “Perché no? Potrei attirare l’attenzione in un modo abbastanza bizzarro. Sempre meglio avere la compagnia di un nemico che essere costretta a star qui da sola!”, subito dopo me lo impedii: “No, sarebbe troppo imbarazzante.” Indecisa fino alla morte accantonai il progetto. Ma subito dopo, altrettanto incoerentemente, presi a cantare l’unica canzone che mi sembrò pure abbastanza adatta alla situazione. Il suono del silenzio richiamò un testo che avevo sempre amato.
«Hello, darkness, my old friend…» mormorai. Feci una lunga pausa, chiedendomi se valesse la pena continuare o no. Chiusi gli occhi e scossi la testa. “Cos’ho da perdere, comunque?”
«I’ve come to talk with you again.» Alzai un po’ il tono. «Because a vision softly creeping… left its seeds while I was sleeping. And the vision that was planted in my brain still remains… within the sound of silence.»
Impiegai qualche istante per ricordare i versi successivi: era da tanto che non cantavo quel brano. «In restless dreams I walked alone, narrow streets of cobblestone. ’Neath the halo of a street lamp, I turned my collar to the cold and damp… when my eyes were stabbed by the flash of a neon light that split the night… and touched the sound of silence.»
Fui interrotta da un educato battito di mani. Mi morsi la lingua per la sorpresa, già dimentica di ogni cosa che non fosse la mia voce e il testo della canzone. Mi ritrassi dalle sbarre a cui mi ero appoggiata, dando le spalle al buio corridoio all’esterno, e mi voltai, aspettando impazientemente che il proprietario del suono di alcuni passi molto vicini si facesse vivo. Non dovetti aspettare troppo.
Un uomo dai capelli celesti, tagliati molto corti, si parò davanti a me. Era piuttosto alto, pure le spalle erano abbastanza larghe ma la divisa, pur non essendo aderente, metteva in risalto il fisico asciutto che poco si accordava con la loro ampiezza. Non aveva la pelle chiara. Il naso aquilino spiccava sul viso smagrito, che almeno in passato non doveva essere stato bello né brutto. L’espressione beffarda ma fredda che aveva certo non me lo fece piacere - oltre al fatto che fosse un nemico. Solo le labbra sorridevano, gli occhi grandi e un po’ all’ingiù sembravano privi di qualsiasi emozione, nemmeno la curva delle sopracciglia sottili lo caratterizzava in qualche modo.
Gli occhi sono lo specchio dell’anima, forse lui non aveva più la sua. “Il viso sembra una maschera” considerai. Le mie pupille erano state calamitate verso le sue e, nonostante la tremarella fosse palese dimostrazione della mia paura, non riuscivo ad interrompere il contatto visivo.
«Canti davvero bene. Non avevo alcun dubbio» disse. Era la stessa voce che aveva preceduto i gas soporiferi, o qualunque cosa ci avesse storditi abbastanza da farci addormentare. Nemmeno mi chiesi perché avesse detto “non avevo alcun dubbio”, tanto mi parve di poca importanza in quel momento. Proseguì: «È un piacere conoscerti, Eleonora. Io sono Cyrus.»
Indietreggiai. In seguito me ne pentii ma lì per lì non me ne importò, tanto già era evidente che fossi ai limiti della sopportazione del terrore. «Lei ha comandato il Team Galassia più di dieci anni fa» mormorai.
«Sì, esatto. Ora comunque sono uno dei Comandanti del Victory Team.»
Il loro nome non era mai cambiato. Quasi mi vergognai del fatto che le Forze del Bene, certe volte, apparissero così svantaggiate rispetto al Nemico che, finalmente, aveva un suo nome. Sempre che Cyrus non stesse giocando con me e che non mi stesse ingannando. Allora glielo chiesi e lui mi confermò che era sempre stato quello, il nome, e che l’espressione di vittoria che lo caratterizzava non era stata scelta per motivi futili o difficilmente realizzabili.
«Dove sono i miei amici?» chiesi subito dopo.
Cyrus sorrise maggiormente. «Come mai non mi chiedi prima il motivo per cui siete stati portati qui?» Non gli risposi nemmeno, ostinata. Lui sbuffò leggermente. «Sono qui vicino. Non c’è niente di cui tu debba avere paura, cara Eleonora, sicuramente sei in un luogo molto più protetto di quella sciocca Accademia.»
“Non sono la tua cara!” gridai nella mia mente. «Qui vicino dove?»
«Nelle stanze accanto.»
«Camille!» strillai, senza nemmeno lasciarlo finire. Smisi di guardarlo negli occhi. «Gold! Chiara!»
«Non sprecare fiato! Non ti sentiranno. Nemmeno ti hanno sentita cantare.»
Spalancai le palpebre. O vicino a me c’era un obitorio, in cui sarei stata mandata al più presto possibile, oppure i miei amici erano stati sedati, altrimenti… altrimenti c’erano così tante situazioni plausibili che potevano essersi verificate che smisi di fare congetture. «Cosa… cosa avete fatto?»
«La struttura di questo piano, non tanto delle celle di per sé stesse, è un po’ particolare. Dei muri non visibili impediscono il passaggio di suoni e rumori da una parte all’altra del piano. Io ho potuto ascoltarti, fortunatamente direi, perché sono nella sezione che comprende la stanza in cui ti trovi; ed è per lo stesso motivo che riusciamo a parlarci.» Le labbra di Cyrus sorridevano amabilmente ma lo stesso non si poteva comunque ancora dire dei suoi occhi inespressivi. «Ad ogni modo vi trovate tutti e quattro nella stessa situazione: ammanettati solo ai polsi, liberi di girovagare per la vostra stanzetta… ormai non avete più l’illusione di essere soli, ma è come se lo foste. Ma comunque, ci saranno davvero tante domande che ti starai ponendo, e chissà quante te ne sarai fatta nel corso dei mesi passati nell’Accademia, come volete chiamare voi quel posto! Oppure non ti sei fatta nessuna domanda? Non farmi credere questo…»
«Perché dovrei esporre tutti i dubbi che ho avuto in questo periodo, se sono certa che non avrò risposte?»
«E perché ne sei certa? È vero che non a tutte le domande che potresti fare sarà concessa una risposta esaustiva, è anche vero che alcuni dubbi che rimarranno senza una spiegazione forse non li hai mai avuti, ed è vero pure che certe cose hai il diritto di saperle… ma magari non oggi. Magari la prossima volta che ci vedremo.»
Le ultime parole mi sorpresero. Cercando di usare un tono freddo, dissi: «Da come parla… sembra che questo non sia il giorno in cui voi Victory terrete per sempre con voi me e i miei compagni.»
«No, infatti. Tra non molto sono certo che arriveranno le Forze del Bene.»
«Come potete rassegnarvi a lasciarci andare in questo modo?!» mi scaldai.
«Ti dà fastidio?» ghignò Cyrus, che continuava a rispondere alle mie domande con altri interrogativi. «Ci sono dei motivi per cui questa volta sarà solo la prima in cui ci vedremo, Eleonora, e probabilmente in futuro passerai con i Victory molto più tempo di quanto tu possa credere ora. Ma non credere che, quando i tuoi carcerieri saranno qui per portare te e i tuoi amici di nuovo nella vostra Accademia, noi Victory ce ne staremo con le mani in mano e vi lasceremo andare senza opporre resistenza. È una tentazione troppo forte quella di poter fare più male possibile alle Forze del Bene, anche quando in teoria abbiamo già deciso di lasciar correre! E ovviamente, se l’incapacità dei tuoi attuali alleati sarà intollerabile, non esiteremo a tenerci almeno tre di voi ragazzi qui con noi.»
«Non capisco» mormorai. “Ha chiamato carcerieri quelli delle Forze del Bene. Credevo stesse parlando di, non so, Victory che facciano da guardia alle celle… invece no. E sembra che stia già prevedendo il periodo in cui me ne andrò dalle Forze del Bene per passare dall’altra parte, come se fossi in grado anche solo di pensarlo!”
«Non temere, è normale. È una situazione molto difficile e la capirai solo tra un po’ di tempo. Mi spiace doverti far aspettare ma è necessario… ora, però, vorrei smettere di confonderti ulteriormente le idee. Forse hai qualche cosa da chiedermi a cui posso darti risposte più precise.» Lo feci aspettare un po’ mentre ero in cerca di domande da porgli, visto che sembrava disponibile a darmi qualche spiegazione. Non che mi aspettassi la verità in cambio dei miei dubbi, ovviamente, ma non potevo stare in silenzio e far parlare solo lui. Avevo già le idee confuse, se poi avesse continuato sarei impazzita. Mi misi a studiare la sua divisa mentre aspettavamo entrambi.
I pantaloni, fino al ginocchio neri e poi di un bel grigio-argento, non erano esageratamente aderenti. Aveva dei semplici stivali dello stesso colore della prima metà, attraversati da sottili linee rosse. Una cintura con sei Poké Ball era allacciata alla vita stretta dell’uomo. Sopra una maglia scura aderente e di un materiale lucido, forse di pelle, indossava una specie di gilet dalle spalline pronunciate e con una piccola scollatura a V - poi c’era il collo alto della maglia sotto di esso. I colori che si ripetevano armoniosamente nella sua divisa erano il nero, il grigio e un po’ di bianco e rosso. Mi chiesi se sulla schiena ci fosse qualche decorazione particolare, la divisa era piuttosto semplice.
«Cosa mi dice dei miei Pokémon, Cyrus?» posi la prima domanda.
«Potrai riportarteli all’Accademia senza problemi. A condizione, come già detto prima, che le Forze del Bene combattano con decenza e che non ci costringano a tenervi tra di noi, insieme alle vostre squadre.»
«E perché non ve li tenete per i vostri esperimenti?»
«Non ci servono. Non tutti i Pokémon che incontriamo sono destinati a contribuire alla ricerca, Eleonora.»
«Si chiama sfruttamento.» Iniziai a mostrarmi un po’ più sicura di me e sfrontata, temeraria.
«No, non è vero. Non dovreste demonizzarci, voi delle Forze del Bene.»
«Avete cercato di attirare me e una mia amica in trappola per farci passare dalla vostra parte! È impossibile non vedervi come malvagi, se… se non fosse stato per voi… adesso sarebbe ancora tutto normale e non saremmo in pericolo di vita ogni giorno!» sbottai. Poi aggiunsi: «Ho il diritto di essere vostra nemica.»
«Per ora puoi fare come preferisci, Eleonora. Ma prima o poi ti accorgerai di quanto le Forze del Bene non siano delle persone che ti hanno salvata dalle nostre grinfie, se così vuoi vederci… la verità è che ti hanno tolto un altro diritto, il diritto più importante che spetta ad ogni essere umano, che è quello di poter conoscere sé stesso. Non sei d’accordo con me? Non è questo ciò che ogni uomo dovrebbe avere in possesso, la verità su di sé e sulla propria identità? È vero che in certe situazioni si può decidere di non andare troppo a fondo nel proprio io… ma si tratta comunque di una decisione personale. Non dovrebbero impedirti di conoscere chi sei, Eleonora, eppure nemmeno ti hanno detto che un motivo c’era, se quelle barriere sono state fatte abbassare!»
Lo guardavo mortificata. «Non capisco» ammisi per la seconda volta. «Non capisco di cosa sta parlando.»
Cyrus parve sorridere più gentilmente. Era un’espressione agrodolce: era insopportabile ma, allo stesso tempo, mi pareva quella di qualcuno che può dare un aiuto di vitale importanza. «Parlo di te, Eleonora, e del fatto che noi Victory non ci prendiamo il disturbo di catturare ragazzini in modo casuale solo perché ci servono altri lavoratori. Ne abbiamo già abbastanza, hai idea di quanto costi mantenere una simile massa di persone? No, non è per questo che il Monte di Nevepoli ha lasciato il suo posto al quartiere nord. È per via della tua identità fuori dal comune.»
Ci fu una lunga pausa. Avrei avuto bisogno di molto più tempo per cercare di capire cosa avesse voluto dirmi Cyrus, ma mi sforzai di parlare: «Io sono una ragazza normale. Non… non ho niente che… non ho niente che avrebbe dovuto interessarvi a tal punto da abbassare le barriere» dissi tutto d’un fiato.
«Devo contraddirti, Eleonora, e ribadire due cose che fingi di non aver sentito: il fatto che tu sia una persona molto speciale e che le Forze del Bene abbiano fatto di tutto per non fartelo scoprire. Non che ci sia voluto molto impegno: non avresti avuto comunque modo.»
«Allora cosa ho di speciale?» La mia voce era ridotta ad un sussurro pieno di terrore.
«Questo non te lo posso dire. Non ora» rispose Cyrus. «Ma un giorno… il giorno in cui qualcosa in te cambierà, se farai le scelte giuste, allora saranno soddisfatti tutti i tuoi dubbi.»
Scelte giuste, dubbi, risposte arrivate per metà e spiegazioni non avute… di tutte le cose dette da Cyrus non mi erano comprensibili neanche la metà. Questo mi spaventava e mi disturbava ancora di più, come se la paura di non sapere cose di vitale importanza e la paura di poterne venire a conoscenza non fossero abbastanza per farmi andare in crisi. Non mi era dato sapere qualcosa che mi riguardava, non mi sarebbe stato detto nulla dai Victory né dalle Forze del Bene - a meno che le previsioni di Cyrus non si fossero rivelate fallaci. Stando a quanto aveva detto, la mia identità mi sarebbe stata rivelata quando, il giorno in cui qualcosa in me fosse cambiato, avrei fatto delle scelte opportune. A quel punto avrei avuto accesso a tutte le risposte che cercavo.
«Quindi… ora mi lascerete andare insieme ai miei dubbi e a nuovi problemi. Li state scaricando sulle spalle delle Forze del Bene, sapendo che non tradiranno mai le vostre aspettative… e quando arriverà il momento, a seconda di quello che deciderò di fare… saprò la verità, altrimenti continuerò a non capire.» Così, se le Forze del Bene si fossero ostinate a non rivelarmi nulla, me la sarei presa con loro nei modi peggiori. Il mio interlocutore, quindi, si aspettava che quel fantomatico giorno sarebbe stato segnato dal mio passaggio nei Victory, pur di sapere la verità su me stessa… sinceramente non sapevo dire in quel momento, tanto ero turbata da riuscire a malapena a pensare, se mi sarei comportata male nei confronti delle Forze del Bene o dei Victory.
L’espressione di Cyrus era sempre stranamente gentile. «Proprio così. Non sei troppo ingenua: mi chiedo se sia un bene o un male, sulle prime non mi eri sembrata granché acuta.»
Mi ero stupita anche io, ad essere sincera, di aver controllato abbastanza le mie facoltà per ragionare e cercare di decifrare i piani dei Victory. «Allora era me che volevate, ma quella volta non siete riusciti a prendermi. E Chiara ci è andata di mezzo. Lei è una persona in regola, no?»
«Non hai niente che non vada, Eleonora. Anzi, magari fossero tutti come te!» ghignò Cyrus nel sentirmi usare quell’espressione “in regola”. «Comunque sì, è così che è andata. Ma questa volta abbiamo cambiato gioco e hai già capito, a grandi linee, quale sia la strategia. Non che sia molto utile: le Forze del Bene non possono fare a meno di nasconderti la verità.»
«E perché non possono?»
«Questa è una risposta che io non posso darti.» Di nuovo ci fu una pausa di silenzio; stavolta fu lui a riprendere a parlare: «Il ragazzino che vi ha portati qui, comunque, non ha fatto pasticci con il Teletrasporto. Era preparato a prendere solo le persone come te. A parte Chiara che era ed è tra i piedi, è riuscito a realizzare il nostro intento.»
«Quindi siamo tre “speciali”. A Gold e Camille stanno dicendo le stesse cose di cui lei mi sta parlando, Cyrus?» La mia voce era tristemente priva di intonazione. Parlavo meccanicamente perché le emozioni turbolente di prima si erano affievolite, in un gesto di pietà nei confronti della mia psiche sfiancata, e mi sentivo terribilmente vuota e apatica. Di domande ne avevo ancora tante, alcune nuove avevano pure la forza di sorgere, ma non riuscivo più a dare un tono alla mia voce. Ero talmente esausta che mi inginocchiai per terra, ad ogni modo distante dall’uomo, che non aveva mai cercato di oltrepassare le sbarre, mantenendo un distacco necessario - per non farmi scoppiare a piangere di paura e di stanchezza, immaginai.
«Si fa chiamare Gold, il ragazzino?» Annuii automaticamente. «Chissà quando vorrà dirvi il suo nome. Ad ogni modo… a lui sì. Camille non ne ha bisogno, lei sa già abbastanza sul conto suo e vostro, e al momento la sua principale preoccupazione è ringhiare e abbaiare contro un paio di reclute che le stanno tenendo compagnia.»
«Pensa che Camille ci dirà qualcosa?»
“Parlo solo con le persone che mi interessano.” Io la interessavo perché ero come lei.
«No, non credo proprio. Ha una brutta storia alle spalle e penso si sia già affezionata a te e a Gold, e non solo a voi due, in un modo un po’ particolare. Pensa di proteggervi, in questo modo… l’argomento è piuttosto difficile e non mi aspetto che tu capisca chi abbia ragione tra i Victory e le Forze, Eleonora, perché capisco anch’io quanto sia una faccenda soggettiva. Qualcuno potrebbe pensare che siamo noi ad essere nel giusto, qualcun altro preferirà i metodi dei tuoi attuali alleati… chissà.» Dopo un po’ chiese: «Non ti ha raccontato, Camille, la sua storia, vero?»
Scossi la testa. «Ha sempre vissuto a Kalos con la madre e i nonni materni. Il padre si separò dalla moglie poco tempo dopo la sua nascita e le due famiglie, che si erano imparentate… precocemente, oserei dire… persero ogni contatto. Fortunatamente il ramo materno era molto ricco e Camille non soffrì mai la mancanza del padre, anche perché non lo aveva mai conosciuto. Ma arrivò un giorno, qualche mese fa… da non molto era venuta a sapere, ad essere sincero non so come e non so da chi, che qualcosa in lei la differenziava dal resto delle persone. Lei aveva qualcosa di molto importante e per questo cercammo di prendere anche lei. Il Comandante Elisio se ne occupò personalmente. Ma non avevamo fatto bene i conti. Il problema di avere tanto potere, e di sapere di possederlo, è che talvolta la sicurezza in sé stessi sfora e complica tutto… così, mentre la tenuta in cui Camille viveva con la madre e i nonni bruciava, essendo stata data alle fiamme, la ragazzina trovò il modo di scappare. I nostri uomini sul posto hanno detto di aver visto un Talonflame resistere alle fiamme, com’era ovvio, e portare in salvo qualcuno. L’assenza della diretta interessata ci fece capire che quel qualcuno era proprio lei.
«Davvero una storia terribile, non trovi?» sospirò poi.
«Perché dice che è una storia terribile se è stata la sua organizzazione ad ordinare quell’attacco?»
«Perché mi viene da pensare a come si sia potuta sentire Camille dopo ciò che accadde.»
Riflettei. Anzitutto non capivo l’ennesima delle stranezze di Cyrus: dopo aver detto che avrebbe lasciato che le Forze del Bene ci liberassero, predicendo un giorno in cui avrei preso la decisione di abbandonare la mia attuale fazione, adesso sembrava impietosito dalla storia di Camille. Non erano stati uomini come lui a compiere quella terribile azione? Lui non l’avrebbe fatto, se fosse spettato a lui l’onore di catturare una ragazzina tanto preziosa? E adesso perché, se io, Camille e Gold eravamo così importanti, ci lasciava andare? Mi sembrava fin troppo strano che i Victory volessero solo appioppare quel problema alle Forze del Bene. Era una vera e propria presa in giro e questo mi mise a disagio, perché immaginai che il Nemico tenesse veramente in scacco la fazione avversa, la mia, e che questa non potesse fare granché per attaccarlo duramente. “Siamo davvero messi così male?”
«Ma se ora io, Gold o Camille o tutti e tre volessimo rimanere con voi Victory…» mi azzardai ad insinuare. Non che ne avessi intenzione, perlomeno non ancora, se i rapporti con le Forze del Bene fossero andati in frantumi.
Cyrus sorrise. «Di certo non vi rifiuteremmo.»
Ci fu una breve pausa. C’era un’altra domanda che volevo porgli e, un po’ titubante, gli chiesi: «E a me, alla mia famiglia, sarà fatto qualcosa per colpa della mia identità?»
L’uomo non rispose. Forse non l’avrebbe fatto ma comunque non ne ebbe modo. Arrivò trafelata una donna abbastanza giovane, dai capelli rossi e con grandi occhi dello stesso colore; sembrava molto preoccupata. Mi lanciò un’occhiata che non riuscii a decifare e poi fece una profonda, veloce riverenza all’altro. «Comandante Cyrus!…»
«Martes» mormorò lui. Inarcai leggermente le sopracciglia: “Martes era nel Team Galassia. Non si è smentita… immagino che non l’abbiano fatto nemmeno Giovia né Saturno.”
«Hanno fatto irruzione» confessò lei balbettando. «Non abbiamo potuto fare niente per impedirlo. Aspettavamo un attacco più silenzioso, di ritrovarceli confusi tra le reclute o cose simili, insomma… invece hanno letteralmente sfondato parecchie pareti ai piani superiori, ora stanno arrivando. Stiamo… stiamo aspettando istruzioni.»
Cyrus in quel momento non guardava né me né lei, ma appena finì mi lanciò un’occhiata e arricciò le labbra quasi impercettibilmente. I suoi occhi pure assunsero un’espressione e quello non mi piacque affatto. «Dite alle reclute di rallentarli. Poi raggiungetemi tu, Giovia e Saturno.»
«Sissignore!» Martes fece un’altra riverenza e corse via.
«Cosa ti avevo detto, Eleonora? Non vi avrebbero abbandonati qui per nulla al mondo. Tre di voi sono soggetti speciali, nonostante rappresenti un problema parlarvene… come avrebbero potuto permettersi di lasciarvi nelle nostre mani?» mi provocò. «Ma sappi che questa non è un’occasione da sprecare per far prendere uno spavento affatto superficiale a Bellocchio e compagnia.»
«Eh?» bisbigliai.
Le sbarre si abbassarono, scomparendo nel pavimento, e feci per correre via dopo aver lanciato uno strilletto di terrore. Ma Cyrus mi afferrò per le manette, tenendo la catena che le univa con una mano, e mormorò: «Non devi agitarti, peggioreresti solo le cose. Tranquilla, ne uscirai viva! È solo un esperimento che voglio fare.»
Non ebbi la forza di parlare o chiamare aiuto. Oltrepassammo quella che doveva essere una delle barriere di suono descritte da Cyrus e sentii la voce furente di Camille. In quel momento fu una benedizione udire qualcosa di familiare dopo ore passate in solitudine e altro tempo con un pericolosissimo sconosciuto, nonostante lei non fosse una delle compagnie che preferivo. Così attirai la sua attenzione mentre Cyrus mi costringeva a camminare, una mano sempre sulla catena e l’altra sulla mia schiena, spingendomi con decisione. «Camille! Camille!»
«E… Eleonora?» Il suo tono era sorpreso. Corse alle sbarre e cercò di sporgersi quanto poteva - era nelle mie stesse condizioni: con le mani legate ma libera di girovagare per la cella, esattamente uguale alla mia. I suoi occhi di ghiaccio incontrarono quelli di Cyrus e ringhiò senza alcun timore: «Lasciala andare!»
«No» rispose semplicemente l’uomo; ero sicura che stesse sogghignando. «Ma aspetteremo qui che arrivino i vostri adorati carcerieri. Ti va bene, Camille?»
La sua espressione era piena di odio ed ira, i miei occhi invece erano pavidi come quelli di un cerbiatto perso in un bosco fitto e buio. “Perché non sono resistente e forte come lei?”
Gli allarmi presero a strillare, assordanti, sfinendo in pochi secondi le mie orecchie, troppo abituate al silenzio. Mi dovetti affidare unicamente ai miei occhi, anch’essi stanchissimi come qualsiasi altra parte del mio corpo, per capire cosa stesse succedendo. Subito dopo l’ambiente si tinse di rosso su ordine degli stessi allarmi - le lampadine sul soffitto, più fioche nel corridoio e più forti all’interno delle celle, avevano cambiato colore. Non era una gran bella cosa perché le pareti scure della base mal si abbinavano a quella tinta sanguigna e un po’ tutti i miei sensi furono inibiti. L’ombra, i rumori assordanti, la paura… rischiavano di essere veramente micidiali.
Mi accorsi di movimenti rapidi dalla parte opposta del corridoio e, prima che riconoscessi le figure di alcuni uomini delle Forze del Bene, gli allarmi si placarono di colpo. Per la sorpresa mi ritrovai ad ansimare. Cyrus mi strattonò appena e capii di doverlo seguire mentre indietreggiava di qualche passo, ignorando Camille che già si era messa a protestare. Aristide, Camilla e Lance attraversarono la barriera di suono mentre qualcun altro - forse riconobbi Diantha, Rocco e altri grandi Allenatori - si fermava prima di loro: dovevano essere le celle di Chiara e Gold. Me ne curai solo dopo ed ebbi la conferma quando i due uscirono, protetti dagli adulti.
«Lasciala andare subito, Cyrus» ordinò Aristide con fermezza. «Questa vostra base sta collassando.»
«Addirittura? Quindi qualcosa siete riusciti a combinare?» ribatté sarcastico l’uomo. Tolse una mano dalla mia schiena. «Almeno siete venuti abbastanza presto, non vi siete fatti attendere… come è successo altre volte.»
Aristide finse di non sentirlo - ma quelle parole bastarono a far montare l’angoscia in me - e disse: «Non darti troppe arie. State facendo praticamente il nostro gioco, a meno che non siate stati colti veramente impreparati! In ogni caso le cose stanno volgendo a vostro sfavore, se vuoi risparmiarci l’impegno di mandare al tappeto anche te sarebbe meglio per tutti.»
In quel momento arrivarono Martes, Giovia e Saturno; senza troppe cerimonie tutti, tranne Aristide e Camilla, si misero a combatterli. I due continuavano a fronteggiare Cyrus alla presenza mia e di Camille. Gettai un’occhiata a Chiara e Gold, che in quel momento ci raggiunsero oltre le barriere del suono e si nascosero, come i bambini con i propri genitori, dietro la Campionessa di Sinnoh e il più forte Capopalestra della regione di Unima. Un Garchomp e un Lucario uscirono autonomamente dalle proprie sfere, uno era di Aristide e l’altro di Camilla.
«Datevi una calmata.» Il tono di Cyrus si fece glaciale di colpo. «La vita di questa ragazzina è nelle mie mani.»
Quasi svenni quando sentii qualcosa di freddo, di forma circolare, pigiare con fin troppa decisione sulla mia tempia destra. Iniziai a sudare freddo e andai in apnea per eterni secondi; liberai il fiato, tremando da capo a piedi, con una paura immensa. Praticamente non volevo fare alcun movimento, che fosse inteso come un passo falso, per impedire a Cyrus di premere il grilletto della pistola che aveva puntata su di me. “Non può uccidermi” pensai; ma subito dopo mi chiesi: “O forse sì e prima mi ha soltanto presa in giro, con quelle storie sulla mia identità?”
L’aria intorno a me si fermò. La voce di Chiara le morì in gola quando era parsa sul punto di strillare; Gold era sbiancato. Subito Aristide richiamò il suo Garchomp nella Ball; la Campionessa preferì far indietreggiare Lucario, sperando che bastasse per non far sparare il colpo fatale a Cyrus.
L’anziano disse: «Non usare la ragazza come ostaggio, Cyrus. Non ti chiedo una correttezza che non hai mai usato in vita tua, ma lasciala andare e combatti contro di noi.»
Il Comandante Victory fece per replicare qualcosa ma Camille lo interruppe. «Vuoi davvero farmi credere che la vita di Eleonora possa andare sprecata, Cyrus?»
Lui si girò di scatto verso di lei e la Campionessa ne approfittò. Mi abbassai di scatto, meccanicamente, quando Lucario sferrò una Forzasfera. Cyrus fu costretto a mollarmi e la pistola gli volò di mano per la sorpresa. Riuscì ad evitare il colpo e quasi mi riafferrò, reattivo; ma a parte un piccolo strillo l’unica cosa che ottenne da parte mia fu qualche capello che aveva tirato troppo, senza far caso a quale parte del mio corpo prendesse, purché mi riavesse.
Sentii che stavo ufficialmente per svenire. Non avrei saputo spiegare come riuscissero le mie gambe a reggermi, a sostenere il peso di tutta la paura e dell’ansia che avevo addosso. Eppure ebbi la forza di andare ad affiancare Chiara, risparmiandomi l’impegno di guardare la lotta che sarebbe cominciata di lì a pochi secondi tra Lucario e un Houndoom appartenente a Cyrus. Due secondi impiegarono i Pokémon per studiarsi a vicenda e poi lanciarsi in uno scontro senza aspettare ordini dai propri Allenatori; gli stessi due secondi servirono a Cyrus e, dall’altra parte, Camilla e Aristide per decidere le battute successive dello spettacolo.
«Non so cosa ti abbia detto Camille di tanto sconvolgente» affermò Aristide, «ma a quanto pare…»
«La ragazzina è furba. Tenetevela stretta» disse Cyrus serissimo.
Camille però doveva ancora essere liberata dalla sua prigionia e chissà quando sarebbe arrivato, anche per lei, un primo assaggio di libertà - che si sarebbe realizzata pienamente, comunque, solo mettendo piede fuori da quella base infernale. Ora gli unici rumori provenivano dai latrati di Houndoom e Lucario, mentre la lotta tra gli altri delle Forze del Bene e i Generali Victory Martes, Giovia e Saturno continuava.
“Ma perché Cyrus si è sorpreso tanto di sentire Camille parlare in quel modo? Il suo piano già lo aveva bene in mente, come ha fatto a sconvolgersi?” mi domandai, senza nemmeno far caso alla conversazione in corso tra il Comandante e i nostri salvatori. Poco dopo mi risposi: “Forse perché il suo progetto è, per l’appunto, andato in fumo. Camille gli ha fatto ammettere implicitamente che non avrebbe mai cercato di uccidermi, e la falla nel piano è stata proprio questa: non ha potuto confondere le idee delle Forze del Bene.”
E perciò, non appena Aristide e gli altri avessero riferito a Bellocchio e compagnia com’era andata precisamente la missione di salvataggio, coloro che, ai vertici delle Forze, sapevano qualcosa sulla mia identità - e su quella di Camille e Gold - avrebbero avuto la certezza quasi totale che mai i Victory avrebbero cercato di farci fuori. Perché eravamo troppo importanti, troppo preziosi. Nessuno di noi “speciali” poteva essere ucciso. Tutte queste cose, però, le capii solo in seguito, ragionando a mente lucida su quanto accaduto e senza l’ansia di sentirmi il fiato di Cyrus sul collo e i rumori della battaglia nelle orecchie.
Improvvisamente Rocco oltrepassò la barriera del suono e riferì a Camilla: «Abbiamo messo in fuga i Generali.»
«Prendete con voi i ragazzi» ribatté lei, assolutamente incurante che Cyrus potesse sentirla.
«I Pokémon» esclamò subito Gold.
«Diantha e Lance sono già andati a prenderli.»
Nel frattempo Houndoom era stato messo K.O. dal grandioso Lucario della Campionessa di Sinnoh. Cyrus non si disturbò nemmeno di schierare un altro Pokémon. Dopo minuti in cui avevo avuto modo di tranquillizzarmi almeno un po’, mi turbai un’altra volta - fortunatamente fu l’ultima della giornata - vedendo il Comandante esibire un ghigno tanto inquietante quanto malevolo. «Quindi ve ne state andando?»
«Dopo di te, Cyrus» ribatté freddamente Aristide. Camilla lo guardò intensamente, stupita suo malgrado.
«Allora l’esito di questa battaglia è ancora da decidere.» Così l’uomo chiamò a combattere il suo Crobat.
«Prendi anche Camille, rincongiungiti con gli altri e andate» disse l’anziano preside all’omonima della rossa, i cui nomi sarebbero stati veramente uguali se solo non fossero stati l’uno di Kalos e l’altro di Sinnoh.
Non feci caso a come la Campionessa liberò la ragazza, ipnotizzata com’ero dalla lotta tra il Druddigon di Aristide e il Pokémon di Cyrus. Sentii Camilla parlare con qualcuno ma nessuno del nostro gruppo le diede una risposta: compresi quel comportamento non appena ci incontrammo con Diantha e Lance - Rocco era rimasto con Aristide a fronteggiare Cyrus. Non avevo capito come facesse la bionda Campionessa ad orientarsi all’interno di una base nemica e, facendo più attenzione - sforzandomi di non vedere la stanchezza che provavo ma la realtà dei fatti, seppi che le due Allenatrici si erano tenute in contatto telefonicamente - o qualcosa di simile, e Diantha aveva guidato l’altra fino alla porta davanti alla quale ci aspettavano i due Campioni.
«Qui dentro ci sono tutti i Pokémon appartenenti al Nemico» ci informò Lance, «e ci è stato detto che sono stati depositati qui anche i vostri.»
Ci accompagnarono dentro ma prima dovettero perdere un po’ di tempo a liberarci dalle manette - era stato scomodo correre con le mani legate dietro la schiena - grazie all’aiuto di qualche Pokémon Acciaio, tra cui lo stesso Lucario di Camilla. Entrammo e nel giro di cinque minuti eravamo già di nuovo fuori: appena presi la Poké Ball di Altair, la Swablu si liberò strillando come impazzita; mi costrinsi a richiamarla dentro forzatamente e continuai a cercare i miei compagni, finché non riunii l’intera squadra: lei, Aramis, June, Diamond, Pearl e Rocky.
Diantha parlava con qualcuno tramite un auricolare e solo allora notai che anche Camilla e Lance ne erano provvisti. La donna di Kalos guidava il gruppo, correndo con un buon passo, mentre i miei tentativi di star dietro agli adulti - anche i miei amici avevano lo stesso problema - erano goffi e febbricitanti.
«Non avete Pokémon Volante abbastanza grandi da poterci aiutare, eh?» sbottò Lance dopo un po’, rivolto a noi. Nemmeno mi presi la briga di scuotere la testa per dirgli di no. Non sentii le risposte degli altri; la domanda del Campione doveva essere più retorica che altro e noi non avevamo la forza per strillargli qualcosa di rimando.
Gli allarmi ripresero a suonare e soffocai un gemito esasperato ed esausto. La base Victory pareva vuota: non incontrammo neanche una recluta o qualcuno di rango superiore. Evidentemente avevano tutti abbandonato il triste edificio a cui era stato fatto, apparentemente, scacco matto da parte delle Forze del Bene. Non ebbi il tempo di chiedermi se fosse davvero così o se Cyrus, beandosi nel suo potere, avesse ordinato a tutti di andarsene perché, chissà, non c’era bisogno di perdere tempo o perché non ne valeva la pena.
Non ce la facevo più a scendere intere rampe di scale rischiando l’osso del collo. I corridoi seguivano percorsi semplici, circolari, e in seguito immaginai che la struttura della base nemica fosse simile a quella di una torre. Ma in quei minuti di pura agonia l’unica cosa che risaltava, non soffocata dalle urla degli allarmi e delle luci rosse che facevano prendere al tutto un aspetto infernale, era che il tragitto mi dava la nausea a forza di correre in tondo - o almeno così sembrava. Le scale non finivano più, ad ogni piano bisognava pregare perché le gambe non ci tradissero all’improvviso, ma non avrei potuto neanche biasimarmi - o essere biasimata - se le mie, d’un tratto, avessero deciso di non collaborare più. Era comprensibile. Ed era comprensibile pure il fatto che mi pareva di non riuscire più a respirare, come se i miei polmoni si stessero contraendo, diminuendo le loro dimensioni.
Ma alla fine una luce bianca irruppe dietro la dolce curva di un corridoio e mi parve di sognare: esistevano ancora, quindi, altri colori che non appartenessero a toni che andavano dal rosso fuoco al nero più totale?
Diantha strillò qualcosa e sette Pokémon Volante furono liberati dalle proprie sfere. Io fui affidata al Charizard di Lance, il quale prestò Aerodactyl a Gold, Salamence a Chiara e tenne per sé il suo Dragonite; Camilla aveva Togekiss e Diantha poteva contare su Hawlucha, che sebbene fosse piccolo aveva molta forza in corpo e bastava e avanzava per portare la sua esile Allenatrice. Camille aveva Talonflame. Non l’aveva mai mostrato prima nelle lotte all’Accademia, Pokémon eccezionalmente forte rispetto alla sua squadra, perché non era nemmeno suo. Era il Talonflame che l’aveva tratta in salvo dalle fiamme che i Victory avevano appiccato a casa sua.
Spiccammo il volo nell’oscurità della sera. Le palpebre coprirono i miei occhi e fui finalmente libera di cercare un po’ di pace nel sonno.











Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Non ho ben capito da dove abbia preso la forza di pubblicare, o meglio di rileggere... credo sia stato il senso del dovere per aggiornare entro la fine di domenica e non aspettare domani, che tra l’altro ho di vacanza. Niente scuola! Meno male, perché dopo la festa di iersera si sono fatte le ore piccole stanotte… eheh. (Ho dormito da amiche e quasi mi uccidevano di solletico et similia)
Insomma, ieri non ho avuto il tempo materiale di accendere il pc e mettermi a correggere il capitolo… oggi, dopo tre quarti d’ora passati a correre al parco, ho capito che era arrivato il momento di affrontare il capitolo più lungo della prima parte di Not the same story. Quindi tranquilli, questo era lungo assai ma per questa parte vi salvate, poi chi deve ancora leggere la seconda… spero sopravviverà :P
Ad ogni modo spero che il capitolo vi sia piaciuto, la prossima pubblicazione sarà l’extra. È molto diverso da quello della prima versione, in cui c’erano degli approfondimenti - se così si possono definire… - su Camille, Gold e Daniel. Stavolta ci sarà ancora Camille, ma in un modo molto diverso, e poi uno sketch sui Victory incentrato su Vulcano e infine il nostro amatissimo Bellocchio.
La canzone di Eleonora è "The Sound of Silence" di Simon&Garfunkel, spero di essermi ricordata bene il testo e anche il nome del duo, una delle mie canzoni preferite direi. Ne ho tante di canzoni che amo :P Questa è davvero bella - un po' particolare, comunque, e vi consiglio di ascoltarla.
Detto ciò vi saluto e vi auguro un buon proseguimento!
Ink
  
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