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Autore: cartacciabianca    22/02/2009    3 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Indagini





Non poteva, non riusciva a muoversi. Dolori continui e perenni le mordevano il corpo, e il suo volte era attraversato da ghigni di alta sopportazione. Percepiva il bruciore scottante ai muscoli come se li avessero tranciati con un colpo di spada: il collo, le gambe, le braccia, gli addominali. Era la personificazione delle pene dell’Inferno, si disse. Cosa aveva fatto di tanto male?!
Elena si girò sul lato opposto, trattenendo il fiato.
Il buio avvolgeva il salone della Dimora, e la ragazza contò i corpi silenziosi di due presenze.
Hani, sdraiato per intero sui cuscini, dormiva beato.
La seconda figura, retta e composta dall’altra parte della stanza, era appoggiata con la schiena alla parete, e il profilo perfetto spiccava dall’ombra del cappuccio come irradiata da un raggio di luna. Era il suo maestro, che si girava tra le dita un pugnale da lancio. I gomiti poggiati sulle ginocchia, il fodero ancora allacciato alla vita che gli camminava lungo il fianco. Lo sguardo assorto nell’oscurità, come a specchiarsi in ricordi, pensieri, sensazioni…
Elena si riscosse, stropicciandosi gli occhi con una mano, ma quella singola mossa le procurò una fitta alla schiena che le scappò un mugolio.
Altair si voltò, notandola.
Elena non seppe decifrare la sua espressione, la notte confondeva molti dei particolari di lui e della camera. Fu certa del fatto che il suo mentore aveva sul volto tutt’altro che un sorriso. Serio, austero come suo solito, Altair sembrava quasi preoccupato delle condizioni di lei, ed Elena dovette assecondare quel pensiero.
La ragazza provò a chiudere gli occhi, di nuovo, e nel silenzio della sera colse appena un sibilo e qualche passo avvicinarsi.
-Stendi i muscoli…- le disse una voce severa.
Elena si sentì afferrare per le gambe, mentre Altair le stendeva le ginocchia contratte sui cuscini. –E non stare così tesa- aggiunse l’assassino.
La ragazza sollevò il busto, ma una nuova fitta giunse alla sua coscienza tormentata.
-Grazie…- mormorò lei tenendosi tutto dentro. –Ci mancava solo questa!- sbottò arricciando le labbra.
-Perché ti ostini…- iniziò lui allungando le braccia verso di lei. –ad addormentarti con tutta questa roba?- le chiese slacciandole il triangolo di metallo dal petto.
Elena si strinse nelle spalle quando l’assassino adagiò le sue cinghie di cuoio al suo fianco.
Altair era piegato su di lei e la scrutava in volto. –Meglio?- chiese spostando lo sguardo dalle gambe alla ragazza e dalla ragazza alle gambe.
Peccato che il suo tormento non riguardava solo gli arti inferiori, si disse Elena annuendo. –Ripeto… grazie- sorrise.
Altair la guardò allungo, in silenzio, cogliendo l’improvviso rossore delle guance di Elena. L’assassino si alzò e sparì nella stanza accanto.
Elena riprese fiato, accorgendosi col sorriso che i consigli del suo maestro colpivano sempre in centro!
Allungò un’occhiata e notò il suo mentore avvicinarsi al bancone del Rafik, che si era coricato nel suo stanzino parecchio tempo prima. Altair si avventurò tra gli scaffali alle spalle del bancone e trovò quello che cercava, poggiando poi sul tavolo il cesto della frutta. Vi trasse una banana e tornò da lei.
-Prendi- le disse chinandosi al suo fianco, ed Elena allungò una mano tremante, contenendo il dolore di quel piccolo e quotidiano gesto. –Non può che farti bene- Altair lasciò la presa sul frutto già sbucciato, che Elena strinse tra le dita gracili e portò alla bocca.
-Maestro- chiamò la ragazza dopo poco.
-Mmm?- lui si voltò a guardarla, sedendole accanto.
-Se domani…- cominciò la ragazza, ma Altair la interruppe.
-Non pensare a domani- proferì. –Le tue condizioni sono passeggere, ma potrebbero durare una settimana come un giorno soltanto. Più importante, sappi che non ne hai alcuna colpa. Tutto qua- la sua voce, così soave e premurosa quasi la commosse.
Addentò la banana di mala voglia. Potassio o no, non aveva per niente fame, e il suo stomaco era su di giri quanto il suo apparato locomotore.
Quand’ebbe finito di mangiare, attesero in silenzio diversi istanti. Sarebbe servito un miracolo per accelerare il corso della sua guarigione da troppo sforzo, si disse Elena perdendo le speranze nella cura naturale.
Provò a sollevarsi, per sistemarsi al meglio con la schiena sui cuscini. Il suo assistente e maestro l’aiutò ed Elena si trovò in Paradiso dopo aver raddrizzato al meglio ogni parte del suo corpo. Sorrise, socchiudendo gli occhi, assaporando l’improvviso sollievo che aveva un sapore dolciastro e…. familiare.
Accanto a lei, come una piccola stufa, avvertiva il calore dei muscoli sempre pronti del suo maestro. Allungò ulteriormente il sorriso, appoggiando la guancia sulla spalla dell’assassino.
Altair non se ne curò, lanciandole solo una svista ogni tanto, controllando che la sua allieva riuscisse a prendere sonno anche con la poca dose di sonnifero che portava con sé di scorta.


***


Kalel le sorrise, armonioso. –Come va?-.
Elena si tirò su, prendendo una boccata d’aria. –Male!- rise. –Ma cos’era?!- balbettò. –Sei impazzito, vuoi ammazzarmi?- aggiunse la ragazza.
Nel giardino della casa brillava il sole, che rischiarava le piante e i tappeti che ornavano la terrazza. C’era del the ancora fumante sul tavolo vicino ai cuscini, e il cinguettare degli uccelli diffondeva una melodia dolce.
Kalel poggiò la spada sul tavolo, sedendosi sui cuscini. –Non impari mai…- borbottò allegro.
Elena lo imitò, sistemandosi di fronte al suo vecchio. –Padre- chiamò portandosi i capelli su una spalla.
-Sì?- fece lui stringendo la tazza tra le mani rigate e stanche, quasi tremanti.
Elena tacque alcuni istanti, ripensando alla sua sciocca domanda. Il suo aspetto era sempre sereno, chiaro e sorridente. Il suo viso rispecchiava la sua anima limpida, e i suoi movimenti ancora impacciati come quelli di una bambina portavano suo padre ad assumere atteggiamenti comprensivi e troppo poco autoritari.
-Mia madre…- cominciò la ragazza. –Lei… mi hai detto che è morta, ma io… ecco… voglio sapere di voi… prima di me… prima di tutto questo e di quello che verrà! Padre, non mi parli mai di lei, ed ora, che sono riuscita a contrastarti in combattimento e ti vedo così allegro, vorrei… parlare, solo parlare…-.
Kalel si raddrizzò, poggiando la tazza sul tavolo e fissando la figlia con occhi seri. Il suo tormento si affievolì quando sulle guance della ragazza comparve un leggero rossore.
-Sai…- fece lui. –Non hai idea di quanto le somigli. Quando ci conoscemmo… lei faceva tante di quelle domande: chiedeva perché io l’amassi tanto, o come avrei dimostrato di esserle sempre fedele. Sai cosa le rispondevo?- domandò scherzoso.
-No, cosa?- Elena si allungò verso di lui.
Il canto di due uccellini interruppe per qualche istante la conversazione, ed Elena ammirò il volto di suo padre farsi sempre più sereno.
-Io le ho risposto che non c’era modo di contare sulle dita di una mano quanto l’amassi, ma che per dimostrare che le sarei stato sempre fedele, be’…- Kalel rise. –Le dissi solo: o il matrimonio o un figlio!-.
Elena si portò una mano alla bocca, ridendo. –E suppongo che lei abbia voluto entrambi…- mormorò.
Kalel annuì. –Le dissi che non ci sarebbe stato modo di portarci via né l’uno né l’altro, ma…- si fermò, riprendendo tra le dita la tazza e sorseggiando con calma. –Elena, l’amore è il sentimento più complesso e peggio composto… la paura, l’odio sono passeggeri, ma l’amore… oh! Quello è terribile, la pecora nera del cerchio dell’uomo-.
Lei si mise in ginocchio sul cuscino. –Perché?-.
Kalel fece un gesto di stizza. –perché? Te lo dico io perché: l’amore distrae, assopisce la mente e i muscoli. Mi sono accorto che stai diventando pigra… sarà mica che…- sogghignò malizioso.
Elena lo colpì alla spalla con una pacca. –Padre!- rise.
-Beccata!- sbottò lui sollevando l’indice della mano e puntandola. –Ah! Lo sapevo!-.
Elena scosse la testa. –Ti sbagli…- brontolò lei abbassando gli occhi a terra. D’un tratto, colse suo padre emettere un sospiro inaspettato, e con tono rassegnato Kalel disse: -No, Elena-.
La ragazza tornò a squadrarlo confusa. –Cosa?-.
-Non devi farlo, Elena. Lasciarti condizionare è quello che più non devi assolutamente fare o lasciare che accada. Sei una ragazza bellissima, anzi, una donna bellissima e ti sarà difficile scostarti da quelli che sono i tuoi doveri. Adesso, il tuo pensiero- Kalel le sfiorò la fronte con le dita. –E il tuo corpo- e scivolò fino al petto. –Devono rimanere limpidi, inviolabili… ascolta il mio consiglio-.
-Perché, padre, tu sì… ed io no?- domandò lei mentre gli occhi le si arrossavano.
Kalel la prese per le spalle e la strinse a sé, abbracciandola con forza. –Ascoltami, ti prego. Non farlo, non farlo! Non pensare che lo stia facendo solo perché voglio proteggerti, perché non è così! Sappiamo entrambi che c’è qualcosa di più grande sotto… infondo al tuo cuore, cerca l’onore che ti resta e pensa a chi come te si farà queste domande e non saprà darvi risposta perché nessuno glielo ha insegnato. Ed è bene così. Lascia che le cose scorrano, Elena, ma tieni tu le redini e guida questo cavallo il più lontano possibile. Non ti chiedo di fuggire, tanto meno di andare incontro a tutto ciò, ti prego solo di… di moderare le tue scelte e non esitare di fronte al cammino più saggio e giusto!-.
Elena non capiva. La sua mente si perdeva in un vortice di immagini senza una cronologia precisa. Dal volto di suo padre ai suoi sogni, dai suoi incubi alle strade affollate di Acri. Dal volto di Corrado a quello dei suoi uomini. Dalla spada di sua padre alla sua mano destra, e al o dito anulare di quella sinistra.


***


-Elena… Elena…-.
La ragazza mormorò parole mute girandosi più volte da parte a parte.
–Elena!- gridò l’assassino.
Elena si alzò di colpo. –Padre!- rispose ad alta voce.
Hani la guardava stordito col volto celato sotto il cappuccio. Il ragazzo stringeva nella mano una mela, ed Elena gli si era avvinghiata addosso stringendolo con vigore.
-Elena, scusa, ma… potresti… ecco, brava…- Hani trattenne la risata.
Elena gli si allontanò con lentezza, sentendo su di lei ancora il peso del sonno. –Scusa- mormorò.
Il ragazzo si tirò su. –Ma che diavolo, faccio una buona azione e mi ritrovo con una spalla slogata, ma guarda qua…- si lamentò l’assassino massaggiandosi la radice del collo. –Ehi, allora i muscoli ce li hai!- rise.
Elena arrossì ulteriormente. –Può darsi…-.
-Avanti, come ti senti? Riesci a camminare?- proferì lui arrestando d’un tratto la risata.
Elena tentò di sollevarsi e, nonostante qualche dolore permanente alle braccia (arto meno allenato nell’arco di 17 anni) riuscì a saltellare sul posto un paio di volte.
-Grande- l’ammirò Hani. –Prendi questa, fai in fretta. Altair ti aspetta fuori- le disse indicando il tetto della Dimora, porgendole la mela e allontanandosi nella stanza del Rafik.
Il vecchio capo sede sedeva agli scacchi e la partita tra lui e l’assassino riprese come era stata interrotta.
-Ehi, hai spostato il cavallo, brutto vecchio!- sentì Hani gridare.
Il Rafik si strinse nelle spalle. –Ti sbagli, l’occhio novizio inganna- assentì.
Elena addentò la mela col sorriso.
-No, no! Ero sicuro che fosse lì! Rimettilo apposto! Avanti!- sbottò Hani infastidito.
-Sta’ zitto e gioca- il Rafik lo colpì alla testa con una pacca amichevole.
-Questa te la passo…- borbottò Hani.
Elena, con la mela incastrata tra i denti, afferrò il suo equipaggiamento da terra e si legò il fodero alla vita. Cinse con cura le cinghie della lama corta e si assicurò di avere tutti i pugnali pronti all’uso.

Borseggio

Il cielo grigio di Acri si stagliava all’infinito, promettendo pioggia nel pomeriggio se non prima. Le voci cittadine la cullarono assieme al vento che le sollevava gli angoli della veste candida. In lei scorreva di nuovo la voglia di muoversi, qualcosa aveva fatto miracoli in quelle ultime sei ore, perché la ragazza calcolò fossero le undici passate.
Elena si voltò giusto in tempo per cogliere la figura felina del suo maestro che si avvicinava saltando da un tetto ad un altro. Altair si arrestò silenzioso al suo fianco, ed Elena si sgranchì le dita della mano.
-Come ti senti?- le chiese da sotto il cappuccio.
Elena lanciò un’occhiata alla fontana della Dimora. –Be’, non è stato facile- rise.
Altair sorrise. –Ne sei sicura? Oggi ho molta roba in serbo per te. Ti senti all’altezza?-.
Elena annuì, convinta.
I due assassini si allontanarono nella direzione contraria al vento, dirigendosi ad ovest verso il distretto ricco.
Elena correva, certo, ma la parte psicologica di lei tornò a quel sogno… si disse che era stato frutto della sua fantasia. Non aveva ricordi di una certa conversazione con suo padre, anzi: non aveva proprio ricordi così affettivi con suo padre. Era abituata a guardarsi da Kalel solo nei momenti in cui le insegnava a combattere. Un sogno assurdo, in qualche strano modo riconducibile ai suoi tempi attuali, ma… ogni sogno aveva una propria logica, un collegamento ai sentimenti e alle emozioni, alle situazioni e alle conoscenze di chi dormiva. Così Elena si trovò costretta a sentirsi mancare ancora Marhim accanto.
Altair rallentò la corsa, ed Elena gli si fermò vicino.
Il suo maestro guardava in basso, si era esposto sulla strada e puntava lo sguardo da aquila nel bel mezzo del cortile, dove due uomini stavano chiacchierando appartati e muti sotto il portico di una casa. –Eccoli…-.
-Chi, maestro?- domandò lei avvicinandosi.
-È tutta la mattina che li seguo; tutti tuoi-.
Elena rimase dubbiosa. Erano due uomini ben vestiti, uno dei quali indossava una lunga casacca nera, un monaco forse. Lo stesso uomo di chiesa aveva una borsa a tracolla che parve pesante. L’altro era un paesano, un commerciante esile.
-Non capisco, cosa dovrei fare? Ucciderli?- domandò spaesata voltandosi a guardarlo.
Altair sorrise curiosamente malizioso, tenendo le mani dietro la schiena. -Elena, rispondimi, come mai non hai tutti i tuoi pugnali da lancio?-.
La ragazza sobbalzò. Tastò i cinque astucci della sua cintura e riconobbe di averli tutti. Quando però portò una mano alla spalla destra si accorse che uno degli astucci era vuoto. –Ma che cosa…?- sbottò incredula.
Altair la guardò sostenendo il suo sorriso.
-Non capisco!- si lamentò piagnucolando. –Mi dispiace, ma ero certa di… di averli tutti! Ho controllato bene prima di uscire, ve lo giuro!- si strinse nelle spalle, terribilmente in colpa.
In quel momento si sentì come Hani durante la partita contro il Rafik. Imbrogliata dalla sua stessa scarsa e disattenta memoria… sbuffò.
Altair stette in silenzio, e mostrò le mani. Aprendo il palmo di quella destra mostrò il pugnale argentato che Elena andava cercare con tanta paura.
Gli occhi di lei luccicarono. Come cavolo aveva fatto?
-Come avete fatto?- domandò afferrando l’arma dal pugno del suo maestro e girandosela tra le dita. –Come? Non mi sono… accorta di nulla!- rise dannatamente sorpresa.
L’assassino si schiarì la voce. –Era proprio quello che volevo sentirti dire-.
-E con questo che cosa intendete?- domandò lei rimettendo al suo posto il coltellino.
Rashy li osservava dall’alto, confusa tra le nuvole come un nero puntino indistinto, ma il suo grido giunse chiaro, ben distinto e acuto.
Altair guardò di nuovo i due uomini che parlavano. –Non abbiamo molto tempo, ma credo che tu sappia cosa sia un borseggio…- le disse.
Il monaco con la sacca si allontanò dall’altro e intraprese la strada principale che collegava il distretto ricco a quello medio.
Elena annuì. –Devo… borseggiare quell’uomo?- chiese, certa che il suo maestro avrebbe detto…
-Sì-.
-Ottimo, peccato che non abbia idea di come si faccia- rise sarcastica la ragazza.
-Il borseggio… lo spionaggio… l’interrogatorio…l’assassinio. Sono arti, non azioni, Elena…- Altair allungò una mano verso di lei e fermò le dita a mezzo millimetro dal suo naso.
Elena fu sul punto di indietreggiare, ma il suo maestro la bloccò afferrandola per il braccio.
Altair quasi le sfiorava con le dita la punta del naso, ma Elena non avvertiva nessun genere di contatto.
-Secondo te…- formulò l’assassino in un sussurro. –Ti sto toccando… o no?- chiese.
Elena strinse i denti, osservando come la mano del suo maestro restava ferma a mezz’aria immobile, serrata. La vista sulle sue dita le divenne doppia, e le s’incrociarono gli occhi. –No- balbettò, per niente sicura della sua risposta, e distogliendo lo sguardo.
-Errato- Altair abbassò la mano. –Il tocco c’era, io l’ho sentito, ma tu no. Devi concentrarti sulla pelle delle dita e non su quella della superficie che vai toccare, sfiorare o aprire. Il borseggio è un’arte cui non serve la violenza, di alcun genere. È… agilità dei sensi, scaltrezza nel muovere le parti più piccole del nostro corpo. Il borseggio è un furto, un rapido tocco, un mordi e fuggi. È quello che voglio che tu faccia alla borsa di quell’uomo-.
-Cosa… cosa debbo estrarre dalla sua sacca?- domandò.
-Egli possiede in quella borsa il diario della chiesa del distretto locale. Ho saputo che Corrado assisterà ad una manifestazione cattolica nei dintorni. Ma ora va’, il tuo obbiettivo si allontana…-.
Elena, ancora senza parole, si calò sulla strada aggrappandosi ad una trave di legno e lasciandosi cadere a terra con leggerezza.
Il monaco svoltò in un vicolo poco frequentato: ecco l’occasione, si disse.
Rubare… non credeva che sarebbe giunta a tanto. Non aveva mai rubato, forse da bambina una fetta di pane dal fornaio del distretto, ma… quali stupidi pensieri, si disse. Quello non era furto, era… prendere in prestito. Aveva in mente già un piano per restituire l’oggetto in questione senza compromettere né la missione né la confraternita o la Dimora.
Elena si appiattì alla parete e raggiunse più scattante il suo obbiettivo.
Il monaco si voltò, guardandosi le spalle, ma la ragazza saltò dietro un carro di fieno e la folla la nascose mentre riprendeva il cammino per rimediare alla distanza.
Allungò una mano, la cinghia della borsa scattò via con facilità e si trovò facilitata ad infilarvi la mano. Era un diario spesso racchiuso in una pezza dura ed Elena lo tirò fuori con grazia.
Una guardia alzò gli occhi e la notò nell’istante in cui Elena stava richiudendo la borsa.
Il monaco si voltò e fu il caos.
-Al ladro!- gridò il monaco.
La guardia si fece spazio tra la folla. –Macché! È un assassino!- ruggì.
Elena fece alcuni passi indietro, ma il cavaliere teutonico ci mise poco a buttare giù un passante e ad afferrarla per la veste.
Il monaco si fece da parte quando il soldato la scagliò contro la parete con facilità.
-Ah ah ah!- rise il cavaliere sfoderando la spada. –Che cosa abbiamo qui?- un ghigno perfido comparve tra la barba rasata male.
Elena era con le spalle al muro, il diario della Chiesa stretto al petto. La ragazza tentò di fuggire trascinandosi di lato, ma il soldato la colpì alle gambe con un calcio. Lei si rovesciò nuovamente al suolo, attutendo il colpo con una capriola.
-Tu non scappi!- ringhiò l’uomo e altri cavalieri si aggiunsero a lui sfoderando le lame.
Elena ascoltò il suo cuore perdere colpi, ma la sua mano andava ad allungarsi verso l’elsa della spada corta. Estrasse un pugnale e, da seduta, lo scagliò addosso al primo cavaliere.
Questo si accasciò a terra in un urletto di dolore e lei, approfittando della distrazione degli altri tre, si alzò e scattò tra la calca.
Elena sobbalzò, arrestando la corsa.
Alla fine della strada erano appostati due soldati che tenevano le spade alte pronti a colpirla.
La ragazza si voltò, e si trovò circondata fino ai denti dagli uomini di Acri.
Trasse la spada dal fodero, scagliò il diario di Chiesta nel cesto di fieno, ed ingaggiò il duello.
Le vennero addosso in due, si chinò e schivò il colpo del primo riuscendo addirittura a disarmare il secondo. La lama di lei passò da parte a parte del petto della guardia, la quale aprì la bocca senza pronunciare una sillaba.
Elena fece attenzione a non macchiarsi la veste di sangue, perché sarebbe stato facile riconoscerla. Schivò di nuovo e con grande sorpresa dei suoi avversari, per il suo palmo passarono altri due coltellini da lancio che colpirono alla fronte e alla gamba i due crociati.
Elena si lanciò contro quest’ultimo che era ancora in grado di colpirla e gli aprì uno squarcio profondo sulla divisa. L’uomo cadde.
Rimanevano due sentinelle sul suo cammino, le quali se la filarono mollando le ami e correndo a gambe levate il più lontano possibile.
La folla era attraversata dal panico ed Elena approfittò del caos per recuperare dal fieno il diario e dileguarsi sul detto della casa vicina.

-Eccolo…- Elena gli allungò il testo e Altair lo afferrò srotolandolo dall’involucro.
Elena si sedette al suo fianco, perché Altair era con le gambe a penzoloni, ma ben composto, seduto su un muretto alto che dava sul porto.
I gabbiani si gettavano tra le onde e si appollaiavano sugli alberi delle navi, diffondendo nel vento i loro versi melodiosi.
Altair ne sfogliò le pagine velocemente, saltando da un capitolo ad un altro del testo. E per diversi minuti proseguì in silenzio.
La ragazza si prese quel tempo per fare mente locale…
L’aveva vista brutta! Si disse, ma non volle dare a vedere quanto il cuore le battesse ancora senza un ritmo costante. Si chiese se Altair avesse o no assistito al suo borseggio finito in pappa e se avrebbe espresso giudizi a riguardo una volta trovata l’informazione che più gli interessava.
Elena lo scrutò allungo, percorrendo con lo sguardo ancora una volta la sua figura così impeccabile di assassino, ma prima ancora di uomo… ecco… affascinante.
Altair si schiarì la voce continuando a leggere e la ragazza arrossì. Doveva essersene accorto.
L’assassino trovò quello che cercava nelle ultime pagine. Era una cerimonia di celebrazione per la nascitura Maria, prima genita di Corrado ed Isabella, forse il suo compleanno. Oltre ad una data precisa cui si sarebbe svolta la cerimonia, il diario non dava altre informazioni.
-Tra un mese circa…- sentenziò Altair richiudendo lo scritto.
-Cosa?-.
Altair poggiò il libro di lato e si strinse le cinghie dello stivale. –Corrado ha una figlia di nome Maria che festeggerà il suo compleanno qui ad Acri assieme alla sua famiglia. Rimane da stabilire ancora molto altro, come il luogo in cui si terrà. Anche se questi testi parlano della cerimonia, negli stessi non viene mostrata alcuna altra informazione. Le nostre ricerche proseguono. Abbiamo fino ad un mese per scoprire quanto più possiamo- disse serio.
Elena guardò l’orizzonte, oltre il confine tra oceano e cielo. –E adesso?- domandò.
Altair fece un gran sospiro. –Avanti, come ho detto, le ricerche proseguono. Non possiamo prendercela comoda affatto. Meglio impiegare questo tempo che sicuramente ci avanzerà per approfondire al meglio ciascuna indagine-.
Elena si voltò di colpo. –State dicendo che… mi aspetta un nuovo borseggio?!- chiese sbigottita.
Altair alzò un sopracciglio. –Perché tanta meraviglia? È successo qualcosa che…-.
Elena scosse la testa. –No, no… anzi, ne sarò entusiasta-.
-Comunque- riprese lui. –Non mi riferivo ad un nuovo borseggio. Per queste mura circolano tanti di quelli informatori… potrebbe esserci anche quale reietto di Corrado pronto a vuotare il sacco alla vista di un bel pugno di ferro. Forza e coraggio, Elena di Acri-.
Altair si alzò, restando in perfetto equilibrio sul muretto. Le porse una mano, ed Elena si aggrappò a lui che l’aiutò a tirarsi su senza cadere.

Spionaggio

-Dobbiamo salire- Altair alzò lo sguardo al cielo.
-Che intendete?- domandò Elena.
Rashy levò il suo grido nell’aria fredda e Altair le volse una fugace occhiata. –Seguimi- le disse e prese ad arrampicarsi su una piccola torre di pietra.
Era un bastione isolato nel distretto povero della città. C’era una piazza con una rozza fontana al centro sulla quale si rovesciava un marasma di gente. Si trovavano nei pressi dell’ingresso principale della cittadella, controllato dalle guardie Ospitaliere.
Altair si aggrappò alle grate di una finestra e seguì il cornicione della torre fin quando non fu nei pressi di una piccola e stretta impalcatura di legno. La raggiunse con un balzo e si piegò sulle ginocchia per restarvi in equilibrio.
Le porse una mano ed Elena si lasciò aiutare a salire lì.
Altair si sedette con le gambe a penzoloni nel vuoto, ed Elena fece altrettanto. Erano schiena a schiena.
-Non sei certo obbligata ad imitarmi. Quando si tratta di indagare, è nel mio stile raggiungere un punto abbastanza alto dal quale posso osservare e controllare la zona. Per esempio, ti eri mai accorta che là giù… oltre quella casupola, c’è una galleria che porta dritta alle porte del molo?- le chiese.
Elena se ne stupì. –No, mai- disse.
Il vento là su soffiava più forte, sbattendo con violenza sul viso e sulla veste che ondeggiava clamorosamente.
-Non solo…- continuò lui. –guarda… guarda qui tizi là. Sicuramente stanno parlando di qualcosa d’interessante. Che ne dici di dare un’occhiata?- si voltò e i loro visi furono l’uno poco distanti dall’altro per mancanza di spazio calpestabile sulla trave.
Elena annuì, balbettando un tenue: -sì, va bene-.
-Vieni, ti aiuto a scendere- Altair intraprese l’arrampicata di ritorno verso la terra, ma ad Elena piaceva l’altezza. La brezza tra i capelli e la vista libera che poteva scorrere fino all’infinito.
-Muoviti!- la chiamò Altair, che era aggrappato alla parete della torre e aveva un braccio teso verso di lei.
Elena si appoggiò a lui, che stringendola saldamente, la calò verso il tetto della casa e, con un saltello, Elena toccò terra.
Altair le atterrò di fianco senza un rumore in più che non fosse quello del fodero che sbatteva alle cinghie della cintura. –Tutto bene?-.
La ragazza annuì, di nuovo, e i due scesero per una fragile scaletta in legno giungendo sulla strada trasandata del distretto povero.
Si avvicinarono a quei due tipi loschi stando nascosti dietro la fontana.
-Siediti su quella panchina e tendi le orecchie- Altair le indicò la panca sulla quale erano sedute due donne ed Elena obbedì.
Il suo maestro si perse nella folla, e lei fu sconfortata da quella perdita imminente della sua sicurezza, la sua salvezza.
Nonostante la paura di non riuscire al meglio come nell’incarico precedente, Elena si adagiò lentamente sulla panchina, stringendosi nelle spalle.
-No, ma che vai dicendo!- sbottò uno dei due uomini.
-Ti dico che è vero… l’altra notte l’ho vista uscire dal suo forte scortata da quattro dei Teutonici! Incredibile, lo so, ma è così…- rispose l’altro.
Il primo portò una mano all’elsa della spada, minacciandolo con lo sguardo. –Se lo racconti a qualcuno ti ammazzo-.
L’altro parve sorpreso. –Tu… tu lo sapevi?- sbottò.
Erano due soldati. Un cavaliere della casata del Monferrato e un Ospitaliere. Nell’anonimato della panca, Elena colse la loro intera conversazione dal principio.
-Certo che lo so, e ti dico che il mio Signore non ha un’amante… ella è…-.
-Stai solo cercando un appellativo diverso! Che ne dici di prosti…- non completò che il cavaliere di Corrado lo colpì al cavallo con un calcio.
-Razza di!- piagnucolò l’Ospitaliere chinandosi.
-Piantala, ti ho detto. No, non è alcuna forma di ciò che pensi. Ella è una spia proveniente dalla setta degli assassini. Saputo nulla?-.
Quello scosse la testa stringendo le labbra dal dolore.
L’altro si guardò attorno. –Strano, le voci girano poco, allora. Non mi è ben chiaro il suo nome, ma la ragazza fa visita spesso a Corrado per riferirgli di tutte le attività di Mastro Tharidl, il capo di quei bastardi. Al rogo, tutti quanti…- digrignò il cavaliere.
-Ben detto- fece l’altro tirandosi su. –Uno di loro uccise il mio signore, qualche tempo fa. Ti ricordi di Garniero, no? Schiavista, anche lui…- borbottò.
-Sì, mi ricordo. È lo stesso assassino che uccise Gulielmo, non lo sapevi?-.
L’altro annuì.
-Bene. Ti stavo dicendo: l’altra sera, questa donna ha portato qui dei testi, io li ho visti! Avresti dovuto esserci. Corrado era furioso. Sembravano delle cronache su come l’assassino di suo padre svolgeva le indagini su Gulielmo. Ci mancava poco e il Re si metteva a piangere- sbottò.
-Interessante, e credi che questo possa giovare a Corrado per trovare i due assassini che gli stanno dietro?-.
-Ovviamente. Sapere come striscia un assassino è stato molto utile al mio signore. Passando quelle cronache ad uno dei suoi infiltrati a Gerusalemme, egli è riuscito ad ammazzarne uno. Ho saputo il suo nome quando quella donna è venuta qui. Si chiama Asaf. Un pezzo grosso-.
-Grandioso. Ma dimmi, come se la vede il tuo Signore con la piccola Maria?- domandò sorridendo.
-Maledetto pedofilo!- l’altro gli batté un colpo sulla spalla.
-Vogliamo mettere? Ti ho visto l’altra sera al porto. Bordello interessante?-.
Il cavaliere crociato sbuffò. –Per niente. Il prossimo mese ci sarà il compleanno della piccola Maria. Sono tra i primi che Corrado chiamerà a sorvegliarla, la piccolina-.
-Quanto siamo modesti!- rise l’Ospitaliere.
-Scherzi a parte, fratello, devo assicurarmi che quei bastardi non ci siano-.
-Parli degli assassini?-.
Lui annuì. –Bestie spudorate. Se osano infiltrarsi a quel compleanno li ammazzo io tutti e due!-.
-Calma- l’altro gli fece cenno di abbassare la voce. –Dimmi, potrò assistere?-.
-Hmm. Ancora non si sa dove esattamente si svolgerà, mi spiace. Ma appena saprò qualcosa, ti farò sapere-.
-Ehi, amico, è tutto apposto. Piuttosto, posso portarmi qualche bellezza?- rise l’Ospitaliere.
Quello scosse la testa. –Scordatelo, festa privata. Giusto i monaci della chiesa, ma nessuno più. A te posso rimediare una divisa come la mia, ma non puoi trascinarti dietro le tue puttane. Però… magari…-.
L’altro alzò le spalle. –Va bene, ho capito… Mi sta bene. Ora devo tornare in servizio o mi scuoiano vivo-.
I due si salutarono e sparirono imboccando strade differenti; la ragazza li perse di vista.

-Alla cerimonia potranno parteciparvi, come esterni, solo i monaci di Chiesa- disse tutto d’un fiato.
Altair rallentò il passo, affiancasi alla ragazza. –ne sei certa?- domandò.
Lei annuì. –Sì, maestro. Ma… ecco… c’è un’altra cosa che credo nessuno sappia-.
La giornata giungeva al termine. Il cielo andava incupirsi all’orizzonte mentre il sole spariva oltre la coltre di nuvole ad ovest, proiettando ombre sempre più immense.
Camminavano l’uno accanto all’altra in uno dei mercati vicino al centro del distretto ricco, avvolti dalla calca che si fermava alle bancarelle.
-Sarebbe?- domandò interessato.
Elena esitò, ma si maledisse di tanto timore. –Corrado, attraverso la spia infiltrata a Masyaf, è entrato in possesso delle vostre Cronache di quando uccideste suo padre. Egli si è servito di quelli scritti per ammazzare Asaf- le tremavano le parole.
Altair si arrestò d’un tratto, fissandola sconvolto. –è tutto? Non c’era altro che riguardasse la spia?- chiese nervoso.
Lei scosse la testa.
-Bene…- mormorò abbassando lo sguardo.
Rimase in silenzio mentre si dirigevano alla Dimora. Avrebbero ripreso le indagini la mattina seguente con la buona luce.

Interrogatorio (qualche giorno dopo)

Elena aprì gli occhi di colpo, sentendo una mano poggiarsi sulla sua spalla.
-Andiamo- disse il suo maestro da sotto il cappuccio.
Elena si appropriò dell’equipaggiamento in fretta, ma ancora mezza assopita. Fece colazione con una succulenta banana e lasciarono la Dimora di buon mattino.
Altair la condusse nel distretto ricco, nei pressi dei cortili della Grande Cattedrale.
-Lo vedi quell’uomo?- le domandò, ed Elena seguì il suo sguardo attraverso la gente fin quando non incontrò una sottospecie di canta storie che gridava a gran voce.
-Corrado è colui che ci porta al futuro! Guardatevi da coloro che gli sono contro, poiché egli promette ad Acri la ricchezza e la stessa gloria di Gerusalemme! Sposato con Isabella, Regina, Corrado ci trascina verso un periodo di pace, nonostante siamo tutti immersi in questa guerra maledetta da Dio! Corrado ci guida versi la salvezza! Maria, sua prima genita, succederà ad Isabella e guiderà la dinastia dei Monferrato verso la gloria! E con loro, la gente di Acri sarà ricordata nella storia!…-.
-Ebbene?- fece lei confusa.
Altair alzò un angolo della bocca. –Mi pare di averti accennato ad un certo pugno di ferro. Devi farlo parlare, Elena, sono certo che saprà darci qualche informazione interessante sulla cerimonia-.
Elena sobbalzò. –Io… come?-.
-Pugno…- sorrise lui. –di ferro- aggiunse attendendo una sua reazione.
-Io non so fare a pugni-.
-Allora trova un altro modo - sbottò autoritario. –non dovrei essere io a darti da mangiare. Ti chiedo di estorcergli informazioni, come non m’interessa purché resti anonima. Piuttosto, ricordati che devi ucciderlo. Ti aspetto a nord- Altair si allentò tra la folla, lasciandola sola.
Elena, titubante, mosse i primi passi verso il canta storie e ascoltò la sua pappardella per un’ora quasi. Si disse che sarebbe stato bene trovare un luogo appartato dove… agire.
Quando le sue narrazioni ebbero fine e l’uomo si trovò sul punto di perdere la voce, Elena lo pedinò in un vicolo a confine col distretto povero.
La ragazza non sapeva come agire, ma l’obbiettivo si allontanava sempre più in fretta, e lei lo seguiva senza battere ciglio.
Elena prese una buona rincorsa e sfoderò la lama nascosta.
Gli saltò addosso, sbattendolo a terra senza pietà. Lo girò con violenza mentre l’uomo sbraitava spaventato, e gli puntò la lama alla gola.
-No! Fermo! Fermo!- gridava. –Cos’è che vuoi?! Soldi? Ecco, prendi! È tutto quello che ho!- la mano del ragazzo corse alla cintura che portava, ma Elena gli bloccò per bene tutti gli arti.
-Quando e dove sarà il compleanno di Maria!- sussurrò alitandogli addosso.
Lui parve sperduto e sbigottito. –Ma sei una donna!- sbottò quasi schifato.
La ragazza allentò la presa, e lui ne approfittò per capovolgere la situazione.
Elena si trovò in breve tempo sotto di lui, che quasi riuscì a sfilarle di mano la lama corta. –Uh uh! Guarda come siamo messi, ma chissà quale bel faccino si cela qui…- allungò una mano a toglierle il cappuccio.
La ragazza lo colpì al cavallo con una ginocchiata, e l’uomo si piegò da dolore cadendo all’indietro.
Elena si alzò in fretta e si apprestò a sbatterlo al muro, minacciandolo nuovamente. –Dimmi tutto quello che sai!-.
-Sabato! Tra tre settimane! Il cortile della Grande Cattedrale o lì nei paraggi! Non so altro su quello che mi chiedi!- piagnucolò.
-La spia!- le passò per la mente. Già che c’era. –Dimmi chi è! Il suo nome!- insistette la ragazza, tenendolo stretto contro la parete.
-Spia?- l’uomo sudava freddo.
Elena lo afferrò per i capelli e lo sbatté alla parete opposta. –Dimmelo! Chi è?!- gli strillò premendo la lama sul collo.
-Non lo so! Ti prego, farò tutto quello che vuoi! Sarò io la vostra spia! Ti prego!-.
La ragazza tese le orecchie e ascoltò un vociare confuso.
-Cos’è stato?- chiese una prima voce.
-Non so, andiamo a controllare!- disse l’altra guardia.
-Ti prego!- ricominciò l’uomo. –Ho un figl…-
Elena fu inflessibile, e la lama corta penetrò nella schiena dell’uomo, che si accasciò a terra.
I soldati comparvero sullo sbocco della stradina ed Elena scattò ad arrampicarsi sul muro. Raggiunse il tetto della casa e saltò da parte a parte agilmente.
Gli arcieri le venivano dietro gridando, ma Elena trovò un giardino pensile dove nascondersi.
Si lanciò attraverso le tende colorate e si appiattì a terra.
-Dov’è andato?!- sbottò una guardia fermandosi accanto al giardino.
-Non lo so, continuiamo a cercare!- fece un altro.
-Di qua! Eccolo!-.
-Sì, lo vedo! Andiamo!- le guardie si allontanarono all’inseguimento di un altro assassino che, quando Elena si sporse dal giardino, riconobbe come Hani.
Le sue vesti da novizio erano infondibili.
La ragazza scattò fuori dal nascondiglio e intraprese la corsa verso nord.

Elena trasalì.
Una presa ferrea l’afferrò per il braccio e la tirò alla sua sinistra.
Elena tentò di divincolarsi, ma quando si accorse di chi aveva davanti, gemette e rilassò i muscoli.
Altair strinse la presa sul suo polso, e alla ragazza scappò un mugolio.
-Che cosa hai fatto?- le domandò su tutte le furie.
-Ho fatto quello che mi avete chiesto!- sbottò lei.
Altair avvicinò il volto al suo. –Ah davvero, e dimmi… come mai mezza città sa di te ora?! Ti avevo avvertito di essere prudente! Anonima!- le gridò.
Elena ingoiò il suo sguardo furioso, assecondando il fatto che Altair aveva pienamente ragione. In quel vicolo aveva alzato troppo la voce, permettendo al suo informatore di fare altrettanto. Era stata stupida, e in futuro non le sarebbe stato permesso se non pagando con la vita stessa.
Altair le lasciò il braccio con uno strattone. –Torna alla Dimora, mi dirai tutto più tardi. Non ho idea di come ringrazierai Hani per questo!- il suo maestro si allontanò saltando sul tetto di una casa, ed Elena l’osservò sparire dopo poco in un vicolo.

-Stai bene?- le chiese il Rafik, che fino a quel momento non aveva proferito parola.
Elena, con i gomiti sul bancone e seduta su uno sgabello, si teneva il viso tra le mani. Tormentata dal senso di colpa per le sue azioni, giurò che se fosse successo qualcosa a qualcuno dei due assassini si sarebbe tagliata le vene. Stupida, stupida, stupida…
-Sono stata una stupida. Avevo paura, quel tizio sapeva… sapeva come difendersi, ne ero certa…- mormorò più che afflitta, rassegnata.
Il vecchio chiuse il libro delle Cronache e poggiò la penna sul tavolo. Le cinse una spalla amichevolmente, ed Elena poggiò la sua sulla mano del capo sede.
-Ti sbagli, come tuo primo interrogatorio è già molto che torni illesa. Guadarti, ho visto assassini che saprebbero essere più gioiosi intricati in situazioni peggiori. Sorridi, bellissima, non hai nulla da temere-.
-Altair, lui…-.
Il Rafik scosse la testa. –Altair ha i suoi problemi, e al minimo segno di pericolo teme più per la tua vita che per la sua, e tutto ciò è strano, credimi. Torneranno, Elena, saranno qui a breve tutti e due. Corrado non li vuole morti abbastanza-.
-Veramente- balbettò la ragazza.
Il Rafik schiuse gli occhi, attento.
Elena si alzò. –Nulla…- e andò nella stanza accanto, sedendosi tra i cuscini. Appoggiò la guancia contro il muro e fece un gran sospiro. Chiuse gli occhi e cercò di pensare ad altro.

Nel silenzio della notte, qualcuno vociò: -Stupido!-.
La ragazza scattò in piedi quando il corpo di Hani volò nella stanza, atterrando ai suoi piedi.
-Incompetente, bastardo, per non dire altro!- gridò Altair comparendo anche lui nella camera.
Hani si tirò su a fatica, issandosi sulle braccia. –Non è stata mia intenzione…- proferì in un sussurro. Dalla sua bocca colava un fiotto di sangue, e subito accorse il Rafik.
Elena fece un balzo indietro, e davanti a lei si piantò la figura imponente e brutalmente ricoperta di sangue di Altair. Il suo maestro teneva una mano a premere su un grosso squarto aperto all’altezza del petto, nella parte sinistra. L’altra stringeva ancora la spada corta, e l’Angelo si fece avanti andando verso Hani, che ricevette un calcio al costato dall’assassino.
Il novizio si piegò sul colpo voltandosi dalla parte opposta.
-Spiegami come ti è saltato in mente!- continuò Altair col suo tono collerico.
Elena ebbe paura, e il suono del suo cuore terrorizzato riempì la Dimora.
-Fermo!- Il vecchio Rafik si parò tra il corpo di Hani e l’Angelo esperto. –Fermo!- disse di nuovo.
Altair si lasciò scappare una sottospecie di ruggito, scagliò la spada contro la parete.
La lama andò a conficcarsi in un arazzo, e l’assassino si dileguò nella stanza accanto.
-Resta qui- sussurrò il Rafik ad Hani.
-Va… bene…- mormorò il ragazzo senza fiato.
-Elena, occupati di lui- le disse il vecchio capo sede che raggiunse Altair nell’altra camera.
La ragazza si chinò al suo fianco. –Che è successo? Perché ha tutto quel sangue addosso? Perché è così arrabbiato?- domandò terrorizzata.
Sul volto di Hani, privo di cappuccio, comparve un sorriso beffardo. –Ho fatto un bel casino- rise, ma Elena non ci trovava nulla di divertente.
-Sei… sei ferito?- domandò l’assassino, e Hani annuì.
-Dove?- balbettò lei aiutandolo ad alzarsi.
Hani si appoggiò con la schiena alla parete. –Si nota così poco?- proferì quasi seccato, e sul pavimento sputò altro sangue.
Hani aveva solo un lungo taglio che correva dalla spalla lungo tutto il braccio sinistro, e la spada aveva lasciato anche una bella ammaccatura sul guanto con la lama nascosta.
Il sangue fresco diffuse il suo puzzo nel locale, tappandole le narici ed Elena cercò di immaginare che fosse solo vernice.
Ma non era vernice quella che aveva visto colare sulla veste bianca del suo maestro. No. Il sangue l’aveva praticamente tinta, colando a fiumi dalle spalle, dalla testa e non riuscì neppure ad immaginare come Altair potesse essere ancora vivo. Si disse che quella visione l’avrebbe tormentata per il resto dei suoi giorni.
Il Rafik le portò di corsa delle bende e un liquido disinfettante in una boccetta, ma il vecchio capo sede doveva occuparsi dell’assassino peggio ferito e così non prestò molte attenzioni alle medicazioni azzardate di Elena.
Hani si privò di quello che restava dei suoi pugnali da lancio, facendo scivolare a terra le cinghie rovinate e il fodero vuoto della spada. Poi si tolse la cintura di cuoio e scagliò la casacca insanguinata il più lontano possibile da tappeti o cuscini.
Elena lanciò appena un’occhiata alla muscolatura giovane e ben formata, poiché sul braccio sinistro del novizio andava colare un fiotto molto spesso di sangue.
-Starai fermo per un po’…- commentò passando una pezza bagnata col disinfettante su tutta la ferita. Lo straccio divenne ben presto purpureo.
Hani non trattenne la risata, il suo atteggiamento era trasandato in quel momento più che mai. –Buona questa, ma credo che tu abbia perfettamente ragione…-.
Elena pulì sufficientemente la ferita, poi cominciò ad applicare il bendaggio nel migliore dei modi che le era possibile.
Hani le diede una mano con l’arto sano e in poco tempo Elena poté ammirare la sua prima opera d’infermiera della confraternita.
-Grazie- digrignò Hani quando Elena fece un nodo piuttosto stretto alla fine della garza.
-Scusa- mormorò lei, e di seguito si alzò.
Elena lo guardò dall’alto qualche istante, ma Hani cadde in sonno.
La ragazza afferrò lo straccio zuppo di sangue e la boccetta dirigendosi nella stanza accanto.
Le sue spalle si curvarono, le sue gambe la ressero a mala pena.
Altair era seduto dove un tempo sorgeva la scacchiera, e il Rafik stava terminando di fasciargli l’intero addome dal fianco sinistro alla spalla destra. Un bendaggio spesso che andava macchiarsi di rosso in alcuni punti, segno delle innumerevoli ferite profonde che avrebbero impiegato parecchio tempo a rimarginarsi.
Non solo: sulle braccia e anche sulle gambe, segni rossi e profondi di frecce schivate si mera fortuna. Affondi di spade e lividi.
-Elena, passami quello, già che ci sei…- le disse il Rafik ad un tratto, ed Elena si riscosse.
La ragazza poggiò la roba sul bancone e seguì l’indice del capo sede che puntava dritto ad un comodino, sul quale era poggiato un ago e una sottile filatura nera.
Oh… no. Pensò girandosi l’ago tra le dita.
-Avanti, Elena!- sbottò il Rafik collerico.
La ragazza gli porse ago e filo e si fece da parte.
Non c’era modo di arrestare l’emorragia dei tagli sulle spalle, così il vecchio Rafik dovette bucare il suo maestro.
Elena si strinse nelle spalle, ma fu una grande sorpresa quello che vide.
Altair non disse una parola mentre l’ago gli passava la pelle. I suoi occhi scuri, il suo viso perfetto la guardavano, ed Elena non riusciva a credere che fosse oggetto di distrazione da quel dolore immenso che il suo maestro si stava tenendo dentro.
Il suo mentore aveva un fisico scolpito e, nonostante le occhiate furtive di Elena ogni tanto, la ragazza ne colse ogni particolare.
Certo, le ammaccature dell’ultima missione si notavano eccome, ma… sangue compreso, Altair restava sempre un gran…
-Elena!- si sentì chiamare.
Lei corse nella stanza accanto come se non stesse aspettando altro.
-Hani, che succede?- tornò al suo fianco.
Il ragazzo si tastava preoccupato la fasciatura sul braccio, che improvvisamente, stava diventando un bagno di sangue.
L’assassino le afferrò la mano. –Io odio l’ago!- le confessò quasi in lacrime.
Non c’era altro modo… l’emorragia avanzava, il sangue colava sul pavimento. Ma che diamine!
La ragazza volò di nuovo al bancone della Dimora. –Hani perde sangue, devo cu… cucirlo?- balbettò.
Il Rafik, senza voltarsi disse: -Sì, se ne sei in grado…- era assorto nel suo mestiere, e rispondeva sicuramente senza un minimo di logica che li passasse per la mente.
Altair le indicò con lo sguardo un armadietto sulla libreria dietro al banco, ed Elena s’incantò di nuovo.
-Elena!- gridò di nuovo Hani, sempre più spaventato.
La ragazza tornò in sé e si precipitò a cercare nei cassetti l’ago e il filo necessario. Ne trovò a centinaia di diverse misure e prese quello che più le sembrava simile a quello usato dal Rafik.
Tornò dal ragazzo e Hani  prese a stringerle i bordi della veste. –No- pianse.
-Mi dispiace- poggiò tutto a terra e cercò delle forbici. Trovate le forbici tagliò le bende, e il sangue caldo prese a colare come un fiume in piena sul braccio del giovane assassino.
-Non farlo!- Hani strinse i denti.
-Mi dispiace!- gridò Elena, ma in quei pochi istanti, se non avesse agito alla svelta e con competenza, l’assassino che aveva di fronte sarebbe morto dissanguato; e il Rafik non poteva certo sdoppiarsi.
Elena passò il filo nell’esile foro dell’ago, avvicinò la punta alle pelle dell’assassino e, passando uno straccio sulla ferita per scostare il sangue, penetrò nella carne.
Ecco un’altra fondamentale caratteristica di contrasto tra assassino esperto e novizio: la sopportazione del dolore.
Hani sbraitò come un forsennato, ma combattendo la sua battaglia per dimenarsi il meno possibile e permettere ad Elena di fare un lavoro accettabile.
-Una bambola di pezza… una parola di pezza… una bambola di pezza…- si ripeté lei all’infinito.
La mano le tremava, e i suoi occhi si chiudevano bagnati dalle lacrime. Mai in tutta la sua vita aveva pensato che un giorno avrebbe causato tanto dolore ad un uomo, neppure tradendolo.
Si sentì spietata, non più un’assassina della confraternita, ma una torturatrice. Chissà quanti altri modi c’erano di guarire quelle ferite, e sicuramente Elena aveva pescato il più svelto e più doloroso, come al solito.
Buchi precisi e regolari al primo colpo, e meno male! Elena richiuse la ferita in una ventina di minuti, tempo durante il quale Hani ebbe modo di privarsi quasi del tutto delle corde vocali. I suoi lamenti arrivavano certamente fuori dalla Dimora, e sarebbe stata una fortuna che nessun cavaliere teutonico o della casata di Corrado si accorgesse delle loro attività.
Elena era praticamente seduta su di lui, attenta a non pesargli sul bacino e, mentre Hani la stringeva per i gomiti, la ragazza restava vigile sul suo operato.
Più volte l’assassino sbatté la testa contro il muro, e a quel punto Elena credeva che avesse raggiunto l’apice del dolore, la soglia più alta.
Nella stanza accanto, invece, c’era il silenzio nero e quieto che non riusciva però a contrastare quelle urla disumane.
La ragazza strappò il filo coi denti e, dalla stanchezza, crollò su di lui.
Il petto di Hani si abbassava e si alzava di tre quattro centimetri ad ogni respiro, Elena colse per di più il battito impazzito sia del suo che del cuore del ragazzo.
-Ho finito…- mormorò esausta.
Hani alzò il braccio ferito che era mosso da un tremore assurdo. La cucitura rettilinea e impeccabile, il sangue andava ad essiccarsi. –Gra… grazie!- sussurrò col fiato corto.
Elena si riappropriò delle sue energie stando forse un’ora o due sdraiata su di lui, ma Hani parve fare altrettanto.
Che bello… questo silenzio… pensò la ragazza addormentandosi, e l’ago insanguinato le cadde di mano.

   
 
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