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Autore: Midnight the mad    02/11/2015    1 recensioni
Jimmy. 20 anni, un fallito. Questo è tutto ciò che c'è da sapere di lui. Almeno fino a quando non decide di andare via dalla città dove ha sempre abitato alla ricerca di... cosa? Neanche lui lo sa.
Ma quello che trova non se lo sarebbe mai aspettato: una periferia piena di parole, una ragazza con lo stesso nome della marjuana e soprattutto una persona senza nome, senza storia, senza vita.
"– Com’è che l’hai chiamata? –
Lei sorride. – Beh, non dice a nessuno il suo nome, tutti se lo chiedono. Dopo un po’, è diventato un soprannome. La cara, stronza, vecchia Whatsername. –"
". – Tu mi guardi e vedi un mistero. Vero? Vedi qualcuno senza storia, senza vita, senza nome. E pensi: “Oh, cavolo, c’è una ragazza capace di nascondere così tanto di se stessa. Stupefacente. Mi piacerebbe tanto capire quali sono la sua vera storia, la sua vera vita, il suo vero nome.” E invece sbagli. Perché c’è una cosa che non ti è mai passata per la testa, ed è che forse non c’è nessuna storia, Jimmy. Non c’è nessuna vita, e non c’è nessun nome. Per questo non riesci a vederli. Perché non esistono. –"
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jesus of Suburbia, St. Jimmy, Whatsername
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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She’s a rebel, she’s a saint, she’s salt of the Earth and she’s dangerous. 

 
Whatsername solleva un sopracciglio. E poi scoppia a ridere. Una risata piena di ilarità, una risata vera, come se avessi detto la cosa più divertente di questo mondo. Io mi limito a fissarla mentre lei si asciuga le lacrime, neanche fosse la scena di un film. E, come se stessi guardando un film, non mi interessa del fatto che sia ridendo. Non capisco, ma mi sento così... distaccato. Ed è assurdo, perché fino a qualche secondo fa mi importava fin troppo.
Quando finalmente smette di ridere, mi guarda. – Ma sei serio? – chiede, però non mi lascia il tempo di risponderle. E’ una fortuna, forse, perché chissà cosa risponderei. – Cazzo, Jimmy. Tu neanche mi conosci. Ci hai mai pensato? Te ne sei mai accorto? Quanto tempo abbiamo mai passato insieme a guardare film o a parlare o a fare cose che fa la gente che sta insieme? Quanto puoi dire di sapere di me? Non sai quanti anni ho. Non sai qual è il mio gusto preferito di gelato. Non sai quanta gente ho ammazzato. Sai solo una storia, una storia che conta quello che conta, ok, ma alla fine è solo una storia ed è finita, è andata a puttane, e io non sono più quella di prima. –
- Tu di me sai anche meno. E hai detto che potresti innamorarti. –
Lei sospira. – Io sono una pazza, porca miseria. Ho i pensieri nella testa e vanno dove cazzo vogliono senza una logica. E poi non voglio, Jimmy. Non voglio innamorarmi di te e non voglio vivere felice e contenta perché non ci riuscirei. Non so se ti sei accorto di cosa faccio per vivere e di come penso. Ti piacerebbe sul serio avermi così tanto intorno? Ti soffocherei. E soffocherei anche me stessa nel tentativo di non soffocarti. Potresti andare dietro a chiunque altro qui e sarebbe infinitamente più salutare. Anche con Mary Jane, accidenti. Con chiunque. –
- E’ lei la terza persona a sapere la storia? – chiedo, ignorando il suo discorso, perché è sensato, anche se niente di quello che sta succedendo ha senso.
- Già. In realtà è l’unica persona a cui l’avessi mai raccontata prima. E speravo che fosse l’ultima, in realtà. Comunque, sul serio, perché non fai un pensierino su di lei o su chiunque altro? –
- Perché non ci riuscirei, ad avere una storia normale. A chi piacerei? E chi mi piacerebbe? Lo sai perché sono qui? Perché non c’era niente che mi interessasse e nessuno a cui potessi interessare. E la situazione è sempre la stessa, Whatsername. –
Lei sorride. – St. Jimmy. – dice. – E’ meglio che tu ti rassegni al fatto che ti rovinerò. Chiamami St. Jimmy. –
-
- Quante? – chiedo, quando lei esce dalla doccia, avvolta in un asciugamano. Ha un tatuaggio che non avevo mai visto, una scritta sulla clavicola in grafia minuta che non riesco a leggere.
- Quante cosa? – chiede, gettando a terra l’asciugamano. Resto a guardarla. Non è bella da togliere il fiato. Niente di tutto questo. Non c’è sensualità, in questa scena, neanche un po’, anche se in qualche modo so che potrebbe esserci, se solo lei lo volesse. E’ nuda, ma è quasi come se potessi vederla davvero solo col suo consenso. E adesso non ce l’ho.
- Quante persone hai ucciso. Immagino che dovrei saperlo. –
- Non le ho mai contate. – dice, mentre si asciuga un po’ i capelli. – A colpi di pistola una decina, direi. E poi ci sono tutti i morti di overdose o roba del genere. Non si sa mai con certezza, quando fai il mio lavoro. –
- E non ti interessa? –
- Non esattamente. – risponde. Solleva lo sguardo e lo fissa nel mio. – Più ci penso, più mi rendo conto che è una pazzia. Ma lasciamo perdere. Se ci facessimo una sana scopata? –
- Non sembri particolarmente vogliosa. –
- Ci vuole poco a diventarlo. – risponde. Getta l’asciugamano in un angolo e si viene a sedere accanto a me. Chiude gli occhi e si massaggia le tempie. Sorride, un sorriso un po’ triste. – Vorrei poter parlare di qualcosa di normale. –
La guardo. – Inventalo. – dico.
Lei esita. Di nuovo, è assurdo vederla fare una cosa del genere. E’ come se fosse debole e giovane e un sacco di altre cose che non è affatto.
Allunga una mano e mi sfiora la guancia e con quel contatto mi trascina fino a farmi sdraiare sul divano, sopra di lei.
- E’ tutto così malato. – dice, gli occhi di nuovo chiusi e il respiro regolare. – Il mondo. Io. Il mio cervello. Credo che il pianista sia uno dei motivi per cui lo è. L’amore è massacrante. Ti fa a pezzi ed è acido e amaro e così dannatamente pesante. Non ti peso addosso, Jimmy? Non ti sto schiacciando? –
- Non più di qualsiasi altra cosa. – ammetto. Mi piace come sta parlando. E’ sincera. E’ realista. Ed è bella da morire così, all’improvviso, senza alcun motivo.
- Ok. – dice. – E se... se mi parlassi di te? –
- Non c’è niente da dire su di me. –
Ride. – Io lo dicevo sempre. –
- Tu mentivi. Io sono serio. E’ che... – Mi mordo il labbro. – Non ho alcun motivo per essere così, ok? Non vengo da una famiglia disastrata. Non c’è nessun trauma infantile. E’ solo... apatia. Non riesco a concentrarmi. A innamorarmi delle cose. Non c’è niente che mi interessi. –
- Perché io ti interesso? –
- Perché sei una cosa così malata che nel mio cervello malato sei stupenda. –
Ride di nuovo. – E’ la cosa più romantica che mi abbiano mai detto. –
- Allora mi dispiace davvero per te. – scherzo. – Posso baciarti? –
- Ti ho chiesto se scopiamo. Certo che puoi baciarmi. –
- Non è la stessa cosa. –
- Dimmi che non sei una di quelle persone che pensano che i baci siano una cosa romantica. –
- Forse. – ammetto.
- Non ha alcun senso. –
- Lo so, ma non ci avevo mai pensato. – La bacio. E’ un bacio qualsiasi, saliva e labbra e lingua e respiro affannoso, eppure mi piace.
- E’ fastidioso. Pensare. –
- Non inizierò a farmi un sacco di droga per dimenticare. E non ho intenzione di farti diventare la mia St. Jimmy. –
- Andrà tutto a puttane, lo sai? – chiede, guardandomi. Sembra che la mia risposta le interessi sul serio.
- E cosa posso farci? –
Lei scuote la testa. – No. Non hai capito. Il fatto è che tu non ci credi davvero. Fai finta di sapere e accettare che andrà tutto a puttane ma in realtà nella tua testa speri che non succeda. E invece succederà e sarà un gran schifo. –
Sospiro.
- Smetti di pensare che io sia stupida e patetica. – dice. – Lo sai che ho ragione. –
- Perché dovrebbe essere così ovvio che tu ce l’abbia? –
- Perché non abbiamo niente da offrirci a vicenda senza farci a pezzi. E non è normale, Jimmy. –
- La normalità non ha mai fatto per me. E neanche per te, immagino. –
- Che frase fatta del cazzo. –
Ridiamo entrambi e la bacio di nuovo, e in questo momento ho davvero voglia di fare sesso con lei, sesso da coppia appena sposata, non da una botta e via. E lo facciamo, con una lentezza che non ha niente di esasperante, con i baci a fior di labbra e i morsi gentili e le parole. Le racconto del negozio di dischi, e lei fa un altro sorriso triste.
- Avrei dovuto immaginarlo. –
- Cosa? –
- Che fosse ancora lì. Lui. –
- Perché? –
Scrolla le spalle. – E’ mio padre. –
- Cosa? –
- Sì, lo so. Sembra assurdo. Ma è rimasto qui a piangere sui suoi fallimenti come genitore e a sentirsi in colpa. Ho provato a spiegargli che non ha senso, ma non mi ascolta mai. –
- E’ un padre. – osservo. – Però... non so, fa male vederlo in quelle condizioni. Si vede che... –
- ...che è triste. Che casino, la tristezza. – esita. – E se ti rivelassi un segreto? – chiede.
- Dimmi. –
Lei si alza e si infila nel bagno. Torna con un accappatoio troppo grande addosso e si siede di nuovo accanto a me. Mi guarda negli occhi. – Io... non ho mai pensato che potesse davvero funzionare. – dice. E poi ho un ago di siringa piantato nell’incavo del gomito e c’è uno stantuffo che viene spinto e per un secondo non succede nulla, e poi arriva come un’ondata e la stanza inizia a vacillare.
Guardo Whatsername. E’ ferma dov’era, anche se la vedo oscillare lentamente. Vorrei parlare, ma non ci riesco. – Scusa. Ma, ecco, avevo bisogno di stare bene per trovare il coraggio di fare il grande salto. Te l’ho detto come funziona il mio cervello, o sbaglio? –
Buio.
- Grazie. – dice.
E poi più nulla.
  
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