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Autore: ChelseaH    03/11/2015    1 recensioni
Dove Harry e Louis pensano di non poter essere più incompatibili di così, finché Louis non riesce a trascinare Harry nei proprio guai.
“Non rispondere. Dimenticati dell’erba. Aspetta, ho un’idea... ricominciamo da capo.”
Così dicendo uscì dal negozio, lasciò passare due minuti esatti di orologio e rientrò.
“Buongiorno, sono Louis Tomlinson, sono qui per un colloquio,” disse allungando una mano verso Harry dall’altra parte del bancone.
“Tu sei pazzo,” disse Harry guardandolo come se fosse un alieno. “E comunque da dove vieni con quell’accento così marcato?”
“Donny.”
Harry lo fissò interrogativo.
“Doncaster,” ripeté usando il nome completo della cittadina dalla quale veniva. “Non l’hai letto sul mio curriculum? Sono abbastanza sicuro di averci scritto ‘Doncaster, patria dei gloriosi Rovers’.”

[Harry/Louis]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTE.
Stavolta ve le metto all'inizio, così... per consigliarvi di leggervi il capitolo ascoltandovi Home all'infinito. Giusto per gradire e perché io l'ho fatto mentre lo rileggevo per postarlo <3
E già che ci sono, vi ricordo anche che il prossimo sarà l'ultimo capitolo prima dell'epilogo, insomma, che fra due settimane sarà tutto finito e sarà tutto rose, cuore, arcobaleni e unicorni!
 

DANCE INSIDE

What makes the one to shake you down?
Each touch belongs to each new sound
Say now you want to shake me too
Move down to me, slip into you 


 

In cui è il compleanno di Louis e Harry si sente a casa
Harry si stiracchiò sbadigliando quando la voce metallica pre-registrata lo informò che il treno stava per fermarsi alla stazione di Doncaster. Aveva cambiato leggermente il piano iniziale che prevedeva che lui passasse tutta la prima parte delle vacanze natalizie da Louis, perché Niall gli sembrava così abbattuto che non aveva avuto cuore di lasciarlo solo, e così se l’era trascinato a Holmes Chapel per fargli cambiare aria. Era poi riuscito a convincerlo a tornare in Irlanda dalla sua famiglia almeno per Natale, e quella mattina sua madre aveva insistito per accompagnarlo in macchina all’aeroporto di Manchester. Si era offerta di scarrozzare anche lui a Doncaster subito dopo, ma Harry aveva preferito comunque prendere il treno. Era già nervoso all’idea di conoscere la famiglia di Louis, ci mancava solo che dovesse farlo con la mamma al seguito. Non aveva idea di cosa lo aspettasse, non sapeva molto della sua famiglia, tranne che erano abbastanza da mettere in piedi una squadra di calcetto con tanto di riserve, ma era sicuro che Louis non si fosse mai presentato a casa con un ragazzo, così come non era del tutto sicuro che la sua famiglia sapesse che lui fosse il suo ragazzo per l’appunto. E se Louis l’avesse presentato come “il suo amico Harry”? Non sarebbe stato poi così incomprensibile, ma Harry sapeva che ci sarebbe rimasto male quanto bastava da afferrare il suo piccolo trolley rosso e tornarsene a piedi in stazione. Scrollò la testa, Louis non aveva mai avuto peli sulla lingua riguardo a nulla, perché invitarlo – anzi, insistere – a passare il suo compleanno con lui a Doncaster, se non aveva intenzione di presentarlo alla sua famiglia per ciò che era realmente? Sbuffò mentre si alzava e afferrava il trolley, avviandosi in fondo al vagone mentre il treno rallentava in prossimità della stazione. Gemma e Niall avevano ragione – perché ovviamente aveva passato l’intera nottata a stressarli – si faceva troppe paranoie. Una volta sceso dal treno si guardò intorno leggermente spaesato, non che si aspettasse un comitato di accoglienza con tanto di banda, ma aveva dato per scontato che Louis venisse a prenderlo, peccato che non ci fosse segno della sua presenza. Era però vero che il ragazzo aveva la spiccata tendenza a perdere il senso del tempo, per cui decise di lasciarsi alle spalle il binario e di andare ad aspettarlo nell’atrio della stazione. Non fece però a tempo a percorrere nemmeno due metri, che un ragazzo gli andò incontro di corsa e lo abbracciò con trasporto.
“Harry!” esclamò con il fiatone. Harry rimase immobile, un po’ a disagio fra le braccia dello sconosciuto. “Scusa il ritardo, ma il cambio di quella stupida macchina da sempre problemi.”
“Scusa, ci conosciamo?” gli chiese Harry staccandosi e osservandolo confuso.
“Coooome? Non posso credere che Tommo non ti abbia mai parlato di me, seriamente?” rispose lui assumendo un’aria offesa. “Sono Stanley,” così dicendo allungò una mano che Harry strinse, capendo finalmente cosa stava succedendo.
“Stanley come Stan, il migliore amico di Louis?”
“Oooh, finalmente ragioniamo! Certo che poteva farti vedere qualche mia foto, io sono stato inondato di tue foto! Come se questo non bastasse, prima di allungarmi le chiavi della sua macchina mi ha anche fatto una descrizione molto accurata e ci ha preso in tutto! Ha detto che saresti stato l’unico ragazzo riccio che scende dal treno vestito di tutto punto, come se invece di andare a Donny stesse andando a un party esclusivo. Cavoli, ci ha proprio preso.”
Stanley rise e gli diede una pacca sulla spalla come se fossero amici dai tempi dell’asilo.
“E Louis?” chiese Harry, più per dire qualcosa che per altro, visto che era evidente che il ragazzo non era lì.
“Come ti ho detto, mi allungato le chiavi della sua macchina e mi ha ingiunto di venirti a prendere... Jay l’ha mollato con i gemelli per andare a fare la spesa,” Stan fece spallucce come se fosse tutto nella norma. “Quindi preparati a fare un giro sulla Tommo mobile, e a rimanere probabilmente a piedi a metà strada. Odio quel dannato cambio, come regalo di compleanno dovremmo fare una colletta e dargli i soldi per farlo riparare.”
Harry non riuscì a reprimere una risata quando salì sulla fantomatica macchina di Louis, una vecchia Mini che sembrava uscita da un robivecchi, con un cuscino e un pupazzetto dei Rovers sul sedile posteriore e la sciarpa del Manchester United arrotolata intorno allo specchietto retrovisore. C’erano anche un paio di lattine di birra e un sacchetto del McDonald pieno di cartoni di cibo vuoti, nascosti con scarso impegno sotto al sedile del passeggero.
“Sì, quelli potrebbero essere per metà colpa mia,” disse Stan seguendo il suo sguardo. “Ieri sera non avevamo voglia di fare niente in particolare e allora siamo andati al McDrive, e poi siamo rimasti in macchina a chiacchierare.”
Harry annuì e Stan mise in moto, imprecando contro il cambio che a guardare così, sembrava molto più duro di quanto non avrebbe dovuto essere.
“Odio questa macchina, te l’ho già detto? Ma non posso nemmeno lamentarmi troppo, visto che Tommo me la lascia usare ogni volta che ne ho bisogno... da quando si è trasferito a Londra è praticamente diventata mia.”
Sì, Harry non faceva fatica a immaginarsi Louis che condivideva con i suoi amici anche cose importanti come una macchina. In più questo Stan stava iniziando a piacergli a pelle, sembrava spontaneo e genuino proprio come Louis, il che forse era il motivo per il quale i due erano così amici. Non era difficile nemmeno stare nello spazio angusto della macchina da solo con lui, niente silenzi imbarazzanti, niente disagio... tanto c’era Stan che portava avanti la conversazione da solo esattamente come il suo compare. Harry si chiese divertito come facessero a parlare fra di loro se entrambi erano così logorroici.
“Sono proprio felice che tu sia venuto a Donny, anche se da quello che ho capito ripartirai già domani sera... Morivo dalla voglia di conoscerti dalla prima volta che Tommo mi ha parlato di te, ma non sono mai riuscito a venire a Londra,” a quelle parole Harry inarcò un sopracciglio. Ora era curioso, ma non ci fu nemmeno bisogno di fargli qualche domanda per farlo elaborare il pensiero. “E pensa, stava ancora con Eleanor... Era così carino, si è innamorato senza rendersene conto. Non ero abituato a una versione così sdolcinata di Louis, è stato così divertente, dovevi sentire come sospirava per te sostenendo che lui voleva solo essere tuo amico e tu lo odiavi... Be’, non dirgli che te l’ho detto, mi ucciderebbe. Facevamo tutti il tifo per te comunque, dai racconti ci sembravi molto più simpatico di Eleanor. Anche se sono un po’ geloso, non pensavo che Louis avrebbe mai trovato qualcuno a cui volere più bene che a me,” Stan fece finta di lanciargli un’occhiata storta ma durò meno di dieci secondi senza ridere.
“Facevate il tifo per me? Chi?” chiese lui.
“Tutti... io, Jay, le sue sorelle...”
Harry non si era nemmeno accorto di star trattenendo il fiato fino a quando non gli uscì un sonoro sospiro di sollievo dalla gabbia toracica. Così la famiglia di Louis sapeva di loro ancora prima che lui e Louis lo sapessero, e il fatto che Louis avesse stressato praticamente tutte le persone che conosceva con la storia che lui lo odiava, era tipo la cosa più bella che gli fosse mai capitata. Si ritrovò a pensare che tutte le storie che aveva avuto fino a quel momento non fossero state altro che semplici cottarelle passeggere in confronto a ciò che provava per Louis. Non si era mai sentito lo stomaco sottosopra e il cuore così pieno di gioia per dei semplici aneddoti come quelli che gli stava raccontando Stan in quel momento.
“Eccoci arrivati alla Tommo Mansion!” esclamò l’altro fermando la macchina davanti a una casa di mattoni rossi, incurante del fatto che la stava lasciando praticamente in mezzo alla strada.
Scesero dall’auto e Harry lo seguì un pochino più tranquillo, se tutte le persone nella vita di Louis erano come Stan, allora non doveva preoccuparsi di niente. Stan entrò in casa senza suonare, non appena si richiusero la porta alle spalle si mise a urlare, “Tommoooo, ti ho portato il tuo ragazzo sano e salvo!”
“Oh-mio-Dio, è ancora più bello che nelle foto!” esclamò una voce alla sua destra e girandosi Harry vide una ragazzina che non poteva avere più di dodici o tredici anni, sbucare da una porta.
“Phoebe spostati, voglio vedere anch’io!” disse un’altra voce e la prima ragazzina si spostò per fare spazio a una seconda, praticamente identica a lei. “Cavoli!” esclamò a sua volta questa, fissandolo.
“Il collegamento diretto e senza filtri cervello-bocca è una caratteristica di tutti i Tomlinson, farai bene ad abituartici,” lo informò Stan, dandogli un’altra pacca sulla spalla.
“Grazie al cielo, stavo impazzendo,” stavolta fu Louis a parlare e ancor prima di poter capire cosa stesse succedendo Harry si ritrovò con in braccio un bimbo – suppose si trattasse di Ernest, l’ultimo nato, visto che non poteva avere più di un anno. “Devo cambiare Doris, torno subito,” aggiunse prima di sparire su per le scale.
“Doris è la gemella di Ernie,” lo ragguagliò una delle due ragazzine. “Io sono Daisy. Lei è Phoebe. Ti porterei a conoscere Doris ma non è un bello spettacolo quando se la fa addosso. Meno male che c’è Lou, almeno ci pensa lui.”
“Io sono Harry,” si presentò lui sentendosi sciocco a cercare di allungare la mano con Ernie in braccio e il proprio trolley al seguito.
“Lo sappiamo,” risposero all’unisono le gemelle, mentre gli stringevano la mano a turno.
Era strano, Harry si sentiva spaesato dal caos che sembrava regnare in quella casa, ma allo stesso tempo si era sentito a casa non appena ne aveva varcata la soglia. Le sensazioni che provava da quando stava con Louis, e che avevano a che fare con Louis, erano tutte così nuove e strane... Non si era mai sentito a casa in un posto che non fosse casa sua, aveva perfino impiegato mesi a sentirsi a casa nel suo appartamento di Londra, e guarda caso era successo solo dopo l’arrivo di Louis. Un po’ come se Louis fosse diventato sinonimo di casa.
Stan prese il suo trolley e lo guidò su per le scale, fino alla camera di Louis, ingiungendo alle gemelle di smettere di importunarlo. La camera di Louis era esattamente come se l’era immaginata, ovvero piena di poster e gadget delle sue squadre di calcio preferite, le mensole piene di fumetti e videogiochi, e su una parete c’era una vetrinetta con qualche trofeo che Harry immaginò avesse vinto quando ancora giocava a calcio.
“Sì, è piuttosto bravo... se non si fosse infortunato ce l’avrebbe fatta,” commentò Stan seguendo il suo sguardo.
In quel momento arrivò anche Louis, tenendo in braccio una bimba che doveva essere Doris.
“Reggi qua,” disse passandola a Stan con un gesto che voleva sembrare noncurante – come se gli stesse passando un sacco di patate – ma che in realtà Harry notò essere pieno di attenzione. Poi andò verso di lui, gli strinse una mano e lo baciò sulle labbra spostando gentilmente la testa di Ernie.
No, non c’era proprio il pericolo che qualcuno in quella casa non sapesse chi fosse Harry per Louis, ed era tutto così bello che il ricciolino avrebbe voluto mettersi a ballare.
“Posso farvi notare che sono ancora qui e che ci sono ben due minori nella stanza?” chiese Stan e si misero tutti e tre a ridere.
“Lou, guarda che io non ho nessuna intenzione di cucinare, ho già aiutato mamma sia ieri sera che ieri a pranzo,” una ragazza dai lunghi capelli biondi si affacciò alla porta della stanza e Louis alzò gli occhi al cielo.
“Dove cavolo è Fizzy?”
“Fuori.”
“Col suo ragazzo probabilmente,” si intromise Stan.
“Fizzy ha un ragazzo? FIZZY HA UN RAGAZZO? Vi rendete conto che ha quindici anni?” sbottò Louis.
“Sì, ed proprio per le tue reazioni esagerate che ha chiesto a tutti di non dirtelo,” disse la ragazza vagamente irritata. In quel momento si accorse di Harry, che si era seduto sull’angolino del letto di Louis con ancora Ernie in braccio. Harry la vide arrossire vistosamente. “Oh, ciao Harry,” stavolta il suo tono era timido, mentre alzava la mano in un cenno di saluto. Harry le sorrise e fece per alzarsi ma fu lei ad andargli incontro e a prendergli Ernie dalle braccia.
“Non posso credere che Lou ti abbia già messo a fare il babysitter, a nome dell’intera famiglia, mi scuso per i suoi comportamenti inopportuni. Sono Lottie comunque,” gli sorrise a sua volta. “Ci penso io ai gemelli e anche al pranzo, solo perché è arrivato Harry,” concluse.
Alla fine Louis decise che avrebbero pranzato fuori insieme a Stan, perché non voleva passare un minuto di più con quella manica di ingrate, e così li trascinò fuori casa entrambi. Finirono per passare dal McDrive e pranzarono seduti in macchina nel parcheggio di un campo da calcio. A Harry sembrò che per i due fosse una specie di consuetudine mangiare in macchina e passare le ore seguenti a chiacchierare. Fu un pomeriggio piacevole, Harry conosceva Stan da poche ore ma gli sembrava di parlare con un vecchio amico, ed era proprio così che il ragazzo lo trattava, parlando liberamente di qualunque cosa di fronte a lui come se si conoscessero da sempre. Sulle prime Harry l’aveva trovato un comportamento un po’ bizzarro, poi capì che Stan si sentiva già così legato a lui perché Louis aveva passato gli ultimi mesi a parlargli letteralmente quasi solo di lui, con la conseguenza che Stan gli si era affezionato senza neanche conoscerlo. Verso sera accompagnarono Stan a casa e poi rincasarono, e non appena entrarono in casa Harry fu investito da un meraviglioso profumo di arrosto mischiato a qualcosa di più dolce... vaniglia forse?
“Lou, sei tu?” chiese una voce femminile dalla cucina.
“No!” urlò Louis entrando in cucina e Harry lo seguì. La madre di Louis era intenta a sbirciare dentro al forno. Quando lo richiuse e si girò verso di loro, un sorriso identico a quello di Louis le illuminò la faccia.
“Harry, tesoro! Non sai che piacere è conoscerti finalmente!” esclamò la donna stampandogli un bacio sulla guancia e afferrandolo per le spalle per osservarlo meglio. “Le ragazze avevano ragione, sei perfino meglio che in fotografia!” gli disse ridendo e abbracciandolo maternamente, facendolo arrossire. Da quando aveva messo piede a Doncaster quella mattina, la gente non aveva fatto che trattarlo con affetto, proprio come se fosse uno di famiglia.
“G-grazie signora Tomlinson, cioè Deakin... Darling?”
Harry avrebbe voluto sprofondare per quella gaffe, non ricordava assolutamente quale fosse l’attuale cognome da sposata della donna, ma lei gli sorrise nuovamente.
“Jay, solo Jay, tesoro. La cena è quasi pronta, ho fatto anche una torta... vaniglia e cioccolato, spero ti piaccia, Harry.”
Louis lo trascinò via prima che potesse rispondere, borbottando qualcosa del tipo lascialo respirare ‘ma, e Harry adorava quella famiglia ogni secondo di più. A cena fece la conoscenza dell’ultima sorella che gli mancava all’appello, Fizzy – con la quale Louis ebbe un battibecco perché io a quindici anni uscivo massimo con Stan – e il marito di Jay, Dan. Finito di mangiare Harry si offrì di aiutare a sparecchiare nella commozione generale – Louis non sparecchierebbe nemmeno se ne andasse della sua vita, gli disse Lottie. Harry non poté fare a meno di darle ragione, e gli sfuggì di bocca che per un periodo aveva dovuto fargli perfino il bucato e che anzi, in realtà non aveva mai smesso, suscitando l’ilarità generale.
“Povero Harry, mi dispiace che ti sia capitata una disgrazia grande quanto mio figlio,” gli disse Jay, al che Louis si alzò e trascinò nuovamente via Harry.
“Mi dispiace, immagino che a casa tua non siano così chiassosi,” si scusò il ragazzo una volta che furono chiusi in camera sua.
“Mi piace la tua famiglia,” gli rispose Harry sdraiandosi sul letto. “E comunque non credo esista qualcuno più chiassoso di te a questo mondo.”
“Vuoi uscire? Se vuoi uscire chiamo Stan... o non lo chiamo se vuoi uscire senza Stan,” Louis ignorò la sua ultima affermazione, sedendosi sul bordo del letto e iniziando a giocherellare con i suoi ricci.
“Usciamo con Stan se vuoi,” gli sorrise Harry. In realtà era stanchissimo, ma sapeva che Louis non vedeva l’amico da mesi, e fino a quel giorno non aveva capito quanto i due fossero legati, quindi non voleva privarlo della sua compagnia finché ce l’aveva a disposizione.
“Ti ho chiesto se tu vuoi uscire, io sto bene anche qui... Mi sei mancato Styles,” così dicendo si sdraiò di fianco a lui e lo strinse forte. Era passata poco meno di una settimana da quando Harry era tornato a Holmes Chapel con Niall, eppure anche a lui era mancato Louis, terribilmente. Forse proprio perché era così rumoroso e invadente e quindi la sua assenza si notava subito, o forse semplicemente perché era diventato completamente dipendente da lui, fatto stava che aveva sentito la sua mancanza in maniera quasi lancinante e la calma e la pace che regnavano a Holmes Chapel gli erano sembrate quasi insopportabili senza Louis.
“Ho incontrato Charles l’altro giorno, avevo portato Niall a fare un giro al lago,” gli disse affondando la testa nella sua spalla.
“E?” chiese Louis irrigidendosi leggermente.
“E niente, lui mi ha ignorato e io ho fatto lo stesso. Se penso che fino a qualche mese fa pensavo sarei morto di crepacuore senza di lui...” si ritrovò a ridere e sentì Louis rilassarsi.
Però penso potrei morire davvero di crepacuore se tu mi lasciassi, pensò. Louis lo strinse più forte, quasi avesse percepito quel suo pensiero, e poi gli sfiorò i capelli con le labbra.
“Non sai cosa avrei voglia di farti, ma sono abbastanza sicuro che la metà delle mie sorelle sia dall’altra parte della porta a origliare,” gli bisbigliò nell’orecchio.
Be’, Louis non aveva idea di cosa lui avesse voglia di fargli, ma gli astri sembravano remare contro di loro visto che non riuscivano a starsene un po’ da soli – perché ovviamente dopo ciò che era capitato a Niall, Harry aveva insistito perché rimanesse a dormire da loro almeno per qualche giorno, che era diventato tutto il periodo pre-natalizio. Così si limitarono a stare abbracciati e a coccolarsi a vicenda, chiacchierando e raccontandosi come avevano passato le ultime giornate.
Non appena scoccò la mezzanotte, la sveglia del cellulare di Harry partì e lui sussurrò a fior di labbra a Louis gli auguri di buon compleanno. E Louis decise che in fondo non gliene importava niente se nella stanza di fianco stavano dormendo le gemelle, e che quell’anno il corpo di Harry sarebbe stato il suo primo regalo di compleanno.
 
***
 
Louis si svegliò con i capelli di Harry che gli pizzicavano il naso e capì immediatamente che quello sarebbe stato il compleanno più bello della sua vita. Il giorno prima si era alzato dal letto nervoso come non mai, si era fumato almeno quattro sigarette di fila alle quali ne aveva aggiunte altre tre quando sua madre gli aveva annunciato che sarebbe uscita e che doveva farle il favore di badare ai gemelli per un paio di ore, al che era stato costretto a mandare Stan a prendere Harry alla stazione. Non si vergognava di Harry, il problema era proprio l’opposto, ovvero che era fiero di Harry come non lo era mai stato di niente e di nessuno in vita sua. Il che l’aveva portato a farsi mille paranoie – doveva avergliela attaccata Harry quella mania di pensare troppo – e a chiedersi cosa sarebbe successo se alla sua famiglia o ai suoi amici Harry non fosse piaciuto. Stan era l’unica persona sulla faccia della terra – insieme a Zayn – a sapere della piccola parentesi cotta per un maschio che aveva avuto anni prima, e anche se la sua famiglia si era dimostrata sempre supportiva nei suoi confronti, aveva paura che ritrovandosi davanti Harry in carne e ossa qualcuno di loro avrebbe potuto infastidirsi o chissà cos’altro. E invece Harry era piaciuto subito a tutti, sua madre lo adorava, le sue sorelle pendevano dalle sue labbra e lui non si era mai sentito più felice di così, con il suo ragazzo e la sua famiglia che cenavano allegramente seduti allo stesso tavolo. E cosa più importante, anche a Harry era piaciuta la sua famiglia – perché lui aveva una paura assurda anche di questo, che Harry potesse trovarli troppo chiassosi, troppo disordinati, troppo imperfetti.
Harry mugugnò qualcosa nel sonno e Louis si strinse ancora di più a lui, quasi a voler tenere lontano qualunque brutto pensiero potesse aggredirlo nel sonno e il ricciolino si calmò istantaneamente. Era la prima volta che Louis sperimentava un tale grado di nervosismo nel portare a casa qualcuno, di solito non gliene importava nulla e di solito la ragazza di turno era capitata a casa sua per puro caso e non perché lui l’aveva voluto con tutto se stesso.
“Harry Styles, guarda un po’ cosa mi hai fatto,” bisbigliò accarezzandogli i capelli. Con tutti quei ricci e il viso addormentato, Harry sembrava un angioletto. Più lo osservava e più Louis aveva voglia di alzarsi, aprire la finestra e mettersi a urlare al mondo quanto fosse innamorato – e non lo fece solo perché per farlo avrebbe dovuto staccarsi da Harry e non aveva nessuna intenzione di farlo.
Quando anche lui si svegliò, gli venne di nuovo l’impulso di mettersi a urlare il suo amore al mondo perché Harry... be’ Harry si infilò una semplice maglia a maniche corte bianca e un paio di pantaloni della tuta, come se fosse a casa sua, e per il cuore di Louis quello era semplicemente troppo da sopportare.
“Ti amo, lo sai?” gli disse cingendogli i fianchi da dietro e appoggiando la testa alla sua schiena.
“Sì, mi è giunta questa voce,” gli rispose Harry appoggiandosi a lui.
Quando scesero per fare colazione, vennero investiti dall’odore di cioccolato fin dalle scale. Non appena entrarono in cucina tutti iniziarono a cantargli Tanti Auguri in coro, sua madre che teneva in braccio Ernie, Dan con in braccio Doris, le sue sorelle e Stan che non si era mai perso una sua colazione di compleanno in ventitré anni che erano al mondo. Appeso al soffitto sopra al tavolo c’era uno striscione che recitava Auguri Lou! firmato da tutti quanti – Harry compreso, e Louis si chiese quando l’avesse fatto visto che non l’aveva perso di vista un solo istante da quando era arrivato – e sul tavolo c’era un’enorme torta al cioccolato ricoperta di panna e decorata su tutto il perimetro da dei marshmallow bianchi e blu.
“Stavo per venirvi a prendere con la forza, non resisto più a questa torta,” rise Fizzy invitandoli con un gesto a sedersi, e Louis lasciò che Harry si sedesse fra Lottie e una delle gemelle, perché quella era la sua famiglia e Harry ormai ne faceva parte. Harry si offrì di tenere Ernie mentre sua madre tagliava la torta ed era tutto così perfetto che sì, Louis si mise a urlare ignorando Fizzy che gli dava dello psicopatico.
Fu Lottie ad accorgersi che improvvisamente Harry sembrava imbarazzato e gli diede una gomitata indicando il ragazzo. No, no, no, andava tutto così bene fino a dieci secondi prima...
“Harry...?”
Ora tutti stavano fissando il ricciolino.
“È... è... è che sono allergico ai marshmallow,” disse il ragazzo, più rosso di un pomodoro in viso.
“Allergico? Chi è allergico ai marshmallow, Styles?” sbottò Louis, che per un attimo aveva temuto chissà quale catastrofe.
“Oh tesoro, non ti preoccupare, basta toglierli dalla tua fetta, guarda...” così dicendo sua madre ripulì una fetta di torta dai marshmallow e gliela mise nel piatto. “Lottie prendi Ernie, non abbiamo invitato Harry qui a fare il babysitter,” aggiunse, ma Harry scosse la testa e disse che il bimbo non gli dava fastidio, anzi sembrava completamente a suo agio con Ernie in braccio. Ora che il problema marshmallow era stato risolto, ripresero tutti a festeggiare Louis ad alta voce, con Lottie e Fizzy che si divertivano a raccontare aneddoti imbarazzanti su di lui a Harry e Harry che rideva di gusto. Sì, quello sarebbe decisamente stato il compleanno più bello di sempre.
 
“Spero che non porti male fare i regali di Natale con un giorno di anticipo, perché questo è il tuo regalo di compleanno più Natale,” gli disse Harry allungandogli un pacchetto rettangolare. “L’ho incartato con le mie mani,” aggiunse.
“La fregatura di essere nato la vigilia,” bofonchiò Louis che con quella scusa si beccava sempre da tutti un regalo invece che due.
Erano seduti uno di fronte all’altro sul suo letto, entrambi a gambe incrociate. Erano da poco passate le quattro del pomeriggio, e fino a poco prima erano rimasti con il resto della sua famiglia e con Stan a fare tornei alla playstation, cantare al karaoke e festeggiare in ogni maniera possibile. Harry però alle sei aveva il treno per tornare a Holmes Chapel e Louis voleva passare quell’ultimo paio d’ore da solo con lui. Afferrò il pacchetto scuotendolo per cercare di capire di cosa si trattasse e Harry gli lanciò un’occhiataccia.
“Vedi di romperlo ancora prima di aprirlo.”
A quelle parole Louis si decise a scartarlo e sotto alla carta da regalo trovò un rettangolo di plastica che sembrava assemblato a mano dentro al quale c’era arrotolata una maglia a righe bianche e rosse che...
“Mi hai preso una maglia dei Rovers?!” esclamò entusiasta cercando di tirarla fuori dall’involucro di plastica. “Spero tu abbia chiesto a Stan di quali giocatori ce l’ho già, Styles.”
“C’è una cosa fragile avvolta nella maglia, vuoi fare attenzione?!” gli ingiunse Harry. “E comunque Stan l’ho conosciuto solo ieri.”
“Quindi sarà sicuramente un doppione,” replicò Louis fingendo sconforto ma fallendo miseramente. La verità era che quello era un regalo meraviglioso, e lo sarebbe stato anche se si fosse trattato di un doppione, il tutto perché Harry sapeva quanto lui tenesse ai Rovers e aveva deciso di regalargli proprio una loro maglia. La srotolò con attenzione sotto lo sguardo vigile di Harry, e alla fine rimase con una tazza in mano.
In mezzo alla maglia c’era una tazza.
Era una normalissima tazza bianca solo che da un lato c’era disegnata un’ancora marina con la corda arrotolata intorno e dall’altro la scritta All the love...
“L’ancora con la corda significa stabilità, oppure la capacità di riuscire sempre a tornare a casa. È un po’ come mi sento da quando ti ho conosciuto... sicuro e... a casa suppongo.”
Harry era arrossito leggermente e aveva abbassato lo sguardo, come se avesse paura che il suo regalo non venisse apprezzato. Fu lì che Louis comprese che il disegno sulla tazza e le parole erano opera sua, l’aveva fatta fare apposta per lui.
“Dovremmo tatuarcela quest’ancora... Tu l’ancora e io la corda o qualcosa del genere,” gli disse scompigliandogli i capelli e Harry si illuminò in volto. Fu a quel punto che Louis vide il retro della maglia che aveva appoggiato sul letto mentre guardava la tazza.
Tomlinson.
Dietro c’era scritto Tomlinson, accompagnato dal numero 28.
“Non sapevo che numero usare e così ho scelto quello del giorno in cui ci siamo conosciuti,” gli sorrise Harry e Louis venne di nuovo preso dalla voglia di urlare al mondo quanto fosse fortunato e quanto quello fosse il compleanno più bello della sua vita.
Tutto grazie a Harry.


 
   
 
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