LE PAROLE CHE NON TI HO DETTO
-Aspetta, fammi capire…gli hai dato
uno schiaffo?
L’espressione di Livia strappò un
sorriso a Camilla che, riflessa negli occhi della figlia, riuscì a vedere con
un pizzico di leggerezza in più la sua attuale situazione: non che ora potesse
definirsi serena o quantomeno lucida, ma almeno non provava più l’impellente
desiderio di andare a buttarsi sotto un treno in stazione. Considerate le
ultime ore, questo per lei era già un enorme traguardo.
-Un piccolo schiaffo- precisò
Camilla dovendo suo malgrado sorridere a quel ricordo imbarazzante.
Livia alzò un sopracciglio
scettica, ricordando benissimo uno schiaffo dato anni prima da sua madre al
padre in occasione della prima separazione, che non poteva certo definirsi
“piccolo”; anzi, a ripensarci ora, in qualche modo quel gesto le aveva fatto
rivalutare la madre, non tanto perché capace di un sano (e del tutto
giustificabile) atto di violenza quanto per la forza che aveva saputo
esprimere.
Forse proprio perché sapeva di
quanta forza era capace sua madre, ora era ancora più spiazzata nel vederla
così spaurita e vulnerabile. E quello che la faceva sentire ancora peggio era
la consapevolezza di non poter fare nulla per lei; a dire il vero, non era
nemmeno certa di quello che avrebbe dovuto fare: aiutare la madre a lasciarsi
alle spalle Gaetano o a riprenderselo? Non era neppure tanto sicura che sua
madre stessa sapesse cosa volesse fare in proposito. Anzi, a dirla tutta non le
era chiaro nemmeno cosa sua madre provasse per Gaetano.
Oddio, era assolutamente evidente
che lei lo amasse, ma d’altro canto lo aveva anche mollato come un idiota solo
qualche settimana prima, quando tutto sembrava andare bene. E alla scomparsa di
Gaetano si era associata una sempre maggiore presenza di quel Michele:
chiamate, messaggi, visite a sorpresa. Camilla sembrava gradirle, o forse
tollerarle. Le era persino capitato di trovare sua madre seduta sul divano
intenta a frugare in una scatola che non aveva mai visto prima; così,
incuriosita, una mattina in cui sua madre era a scuola per gli scrutini di fine
anno scolastico, Livia aveva preso quella scatola (contro il parere del marito,
grande fan della privacy di chiunque) e aveva dato un’occhiata. In sostanza era
un viaggio nel tempo nella vita di sua madre, dall’adolescenza ad oggi: aveva
trovato foto sue e di quello che intuiva essere Michele (senza barba e
capellone), passando per le immagini di una Livia ancora in fasce, fino ad
arrivare alla piccola Camilla Junior. C’era tutta la vita di Camilla Baudino in quella scatola, tranne un pezzo, quello che
Livia credeva essere forse il più importante degli ultimi dieci anni. Mancava
Gaetano. Se non fosse stato per un disegno di Tommy, una grande stella da
sceriffo che racchiudeva due figure piuttosto stilizzate che potevano benissimo
essere Camilla e Gaetano, dell’uomo non c’era la minima traccia.
Questa cosa proprio non le tornava.
Come era possibile che l’uomo che l’aveva più volte portata al punto di dover
scegliere tra lui e la sua famiglia (e non senza un immenso sacrificio) non
avesse trovato un posto in quella scatola?
-Posso chiederti una cosa?- domandò
Livia dando voce ai suoi pensieri prima ancora di rendersene conto. -Non sei
obbligata a rispondermi se non vuoi…
Camilla si fece di nuovo seria, gli
occhi azzurri di Livia puntati nei suoi, così fermi, così preoccupati.
-Ok- si limitò a dire, con la
consapevolezza che la domanda di sua figlia non avrebbe richiesto una risposta
semplice.
-Tu ami Gaetano?
A Camilla mancò il respiro. Tra
tutte le domande possibili, proprio quella. Quella. La sola domanda a cui
tentava invano di darsi una risposta da mesi, anzi forse da anni, da quando
aveva incontrato Gaetano su quel ballatoio davanti alla casa di Nicola
Esposito. Perché era così difficile identificare quello che provava per
Gaetano? Non erano amici, non lo erano mai stati…ma nemmeno era riuscita ad
ammettere con lui che erano una coppia. Perché aveva reagito così? Perché lo
aveva respinto?
Eppure, in quel momento per la
prima volta da quando ne aveva memoria, Camilla sentì di avere un coraggio che
le era sempre mancato; sentì che dare una risposta a quella domanda non solo le
risultava estremamente facile e naturale, ma addirittura le sembrava di non
poter più contenere quello che provava.
-Sì- disse semplicemente, mentre
sentiva che delle calde lacrime cominciavano a rigarle il volto. –Sì, io lo
amo. Moltissimo.
-Mamma, scusami, io…
-No- la interruppe Camilla. –Non
devi scusarti. Non sto piangendo…voglio dire, sto piangendo, ma è un pianto
liberatorio.
Livia aggrottò la fronte perplessa
davanti alla bizzarra reazione di sua madre. Sembrava contenta di riuscire a
piangere. Il che era parecchio strano, in effetti, dato che Camilla aveva
pianto praticamente in modo costante negli ultimi due giorni…avrebbe ormai
dovuto avere i condotti lacrimali prosciugati! Invece, ora era in lacrime,
scossa dai singhiozzi…ma sorridente, come non lo era da settimane.
-Mamma, sei sicura di stare bene?
-Sì. Sì. Sto benissimo. Io sto
benissimo- ripeteva come un disco rotto. Ed era la verità: stava davvero bene.
Riuscire ad ammettere ad alta voce i suoi sentimenti, dare un nome a ciò che
provava, era immensamente appagante. Sentiva il suo cuore battere più forte che
mai, una corsa forsennata ora che lo aveva liberato di quelle catene che lo
avevano reso insensibile ai gesti, alle parole dell’uomo che amava da dieci
anni.
Il problema è che lui, l’uomo che
amava, ancora non lo sapeva. E forse non lo avrebbe mai saputo, visto che con
ogni probabilità non voleva più avere a che fare con lei. Glielo aveva detto
molto chiaramente proprio quella mattina. Il cuore continuava a corre, ma ora
lo sentiva mancare qualche battito: ora che aveva la certezza dei suoi
sentimenti, che aveva trovato il coraggio per guardare Gaetano negli occhi e
dargli finalmente la gioia più grande, era forse troppo tardi.
-Devo parlare con lui- disse con
voce ferma, decisa come non era da anni. –Devo dirglielo prima che lui…devo dirglielo.
Livia la fissò confusa.
-Aspetta, vuoi dirmi che in tutto
questo tempo tu non gli hai mai confessato di amarlo? Sei andata a letto con
lui senza dirgli che lo amavi?- Livia si rese conto del tono leggermente
accusatorio con cui aveva appena formulato le ultime domande quando vide
Camilla abbassare gli occhi, vergognandosi per quella sua mancanza.
-Io…no. Non ancora. Volevo essere
sicura di quello che provavo. Non volevo commettere errori, illuderlo.
-E non pensi che questo tuo
silenzio dopo dieci anni di attesa da parte sua possa aver contribuito a far
aumentare la sua insicurezza e gelosia al punto da farlo allontanare?
Perché sua figlia continuava a
mettere nero su bianco le sue debolezze e i suoi sbagli con quella lucidità
disarmante? Visto attraverso gli occhi di Livia il suo comportamento le
risultava con tutta evidenza non solo (e non tanto) sbagliato, quanto piuttosto
devastante per Gaetano e per il rapporto così nuovo e fragile.
Camilla sospirò mentre si alzava
finalmente da quel letto che l’aveva accolta ormai molte ore prima.
-Credo tu abbia ragione, ma
purtroppo la paura è stata più forte di tutto, persino dell’amore che provo per
Gaetano. Non è giusto, non è razionale, e probabilmente questo fa di me una
donna orribile e capirei se…se Gaetano non volesse più starmi ad ascoltare. Ma
il fatto è che non riuscivo a dirglielo: ogni volta che lo lasciavo la sera per
tornare qui da voi, una parte di me sentiva di dover dire qualcosa, di dover
fare qualcosa…ma non riuscivo ad afferrare cosa. Era come se tutte le volte io
stessi leggendo un libro di Agatha Christie
fermandomi prima di scoprire chi è l’assassino: sentivo che c’era ancora una
parte, che non avevo finito, ma per quanto volessi continuare qualcosa mi
bloccava.
-La delusione con papà?
Camilla sembrò rifletterci per un
momento: in effetti, aveva sempre usato il tradimento di Renzo come schermo,
come scusa per rimandare e prendere tempo, ma non era affatto certa che le cose
stessero davvero in questo modo. O meglio, una parte di lei era davvero ancora
scottata per quello che aveva dovuto passare (di nuovo), ma c’era qualcosa di
più.
-Non solo, sai? Credo di aver avuto
paura di Gaetano, in un certo senso. In tutti questi anni lui non si è mai
arreso e probabilmente si è sempre costruito un’immagine di me che…beh, non mi
rispecchia totalmente. Ho sempre pensato che un giorno si sarebbe svegliato e
avrebbe trovato “solo” me ad attenderlo. Una “me” molto normale, non la
perfezione che lui immaginava.
-Io non credo che Gaetano ti abbia
mai considerata “perfetta”.
“Perché tu non conosci il
significato del fiore dell’ananas” pensò Camilla non potendo evitare di sentire
una morsa afferrarle lo stomaco al ricordo di quei momenti meravigliosi che
avevano preceduto la loro prima notte insieme.
-Forse no, ma devi ammettere anche
tu che paragonata alle sue ex, io non faccio esattamente una grande figura.
Livia roteò gli occhi in un modo
che a Camilla ricordò (in modo preoccupante a dire il vero) sua madre,
Andreina.
-Davvero, mamma? A parte il fatto
che devi essere proprio cieca per non accorgerti di come Gaetano ti guarda e di
come non abbia mai guardato così nessuna delle sue ex, come le chiami tu…e poi,
quale ragazza si sente all’altezza del proprio compagno? Anche io penso che
George avrebbe potuto avere di meglio rispetto a me, ma credo che sia un
pensiero comune, no? Per noi loro sono
sempre il meglio su piazza: è chiaro che ci sentiamo inadeguate e che abbiamo
paura che qualcuno ce lo possa portare via.
-Posso sapere quando sei diventata
così saggia?- scherzò Camilla, ma sapeva che Livia aveva ragione da vendere su
tutta la linea. Tutte le paure che aveva coltivato su Gaetano e sulla loro
relazione ora le apparivano in tutta la loro inconsistenza. La verità era molto
semplice: era terrorizzata dall’enormità del sentimento che la legava a lui.
Non aveva mai provato niente di così intenso, né per Renzo, né per Michele;
sentiva di dipendere da lui più di quanto fosse possibile, o forse accettabile.
Livia si affiancò alla madre in
evidente difficoltà e la abbracciò.
-Adesso, ti vai a fare un bel bagno
caldo e rilassante mentre io ti preparo la cena. Tranquilla, ordino qualcosa in
rosticceria visto che la mia pasta è un disastro!- aggiunse Livia davanti
all’occhiataccia terrorizzata di Camilla. –Poi una bella camomilla e a
letto…per dormire questa volta, non per compiangersi.
Camilla si ritrovò suo malgrado a
sospirare: era destino che tutto la riportasse a lui, anche le cose più
semplici e quotidiane. –Vada per il bagno e la rosticceria, tesoro, ma niente
camomilla, grazie.
***
La suoneria del cellulare lo costrinse
ad aprire gli occhi. Guardò lo schermo e vide l’immagine di Torre che
lampeggiava ritmicamente accompagnata da quel trillo fastidioso. Ricordava con
esattezza il momento in cui aveva deciso di assegnare al collega quella
particolare melodia, tutt’altro che piacevole: era stata un’idea di Camilla,
che una sera, sdraiata sul divano tra le sue braccia, gli aveva suggerito di
identificare le chiamate del suo sottoposto con la colonna sonora di “profondo
rosso”.
“Del resto, quando Torre chiama non
può che essere successo qualcosa di terribile” aveva affermato Camilla
divertita. Da allora ogni volta che Torre lo contattava, il primo pensiero nel
sentire le note dei Goblin era per Camilla.
Anche in quel momento. Nonostante
tutto.
Si beò di ascoltare quella melodia e
di indugiare nei ricordi ancora per qualche istante prima di rispondere.
-Torre, che c’è? Capisco. Arrivo
subito.
La sua giornata si prospettava
tutt’altro che facile.
Si alzò dal suo giaciglio e solo in
quel momento realizzò che aveva dormito in camera di Tommy. Nel suo appartamento.
Riorganizzò le idee ed i ricordi
della sera precedente: dopo la chiacchierata con Torre aveva deciso di tornare
a casa sua, affrontando il rischio di incontrare Camilla. Non era successo, e
una parte di lui ne fu estremamente delusa, ma d’altro canto forse dopo tutto
quello che si erano detti nel suo ufficio c’era bisogno di tempo per entrambi,
per meditare e lasciare che le parole facessero il loro effetto.
Aveva aperto la porta del suo
appartamento con un nodo in gola, che crebbe non appena mise piede all’interno
di quelle mura: tutti i ricordi, i momenti con Camilla, riaffiorarono
prepotenti nella sua mente, tanto da non riuscire nemmeno ad arrivare in camera
propria. A malapena aveva sopportato la vista del divano, figuriamoci rivedere il
letto che li aveva accolti tante volte nei momenti che Gaetano riteneva i più
belli della sua vita. Alla fine aveva optato per la stanza di Tommy, dove
Camilla non aveva mai dormito. Inaspettatamente il sonno non aveva tardato ad
arrivare, come sempre però popolato da incubi in cui Michele e Renzo a turno si
portavano via la sua donna mentre a lui non restava che rimanere lì impalato
senza poter fare nulla per impedirlo.
Si diresse verso il bagno per sciacquarsi
la faccia, come se quel gesto potesse cancellare o almeno allontanare i segni
peggiori che quegli incubi lasciavano sul suo volto. In realtà, non appena si
fissò nello specchio vide solo profonde occhiaie e un’espressione così dura che
stentava a riconoscersi. Sospirò maledicendo se stesso per la sua debolezza e
anche per aver dato retta a Torre: doveva fare a modo suo e non mettere più
piede in quella dannata casa!
In fretta e furia si preparò per
uscire, come se le pareti di quell’appartamento si stringessero attorno a lui
ad ogni secondo che passava lì dentro. Pochi minuti dopo, senza essersi fatto
né barba né caffè, varcò di nuovo le porte di casa, prendendo di corsa la via
delle scale.
Sembrava di nuovo stesse scappando,
come la notte precedente. Ed esattamente come in quell’occasione, una volta arrivato
al cortile, il destino ci mise del suo.
-Ehi!
La voce di lei, già per lui
inconfondibile, venne accompagnata dal guaito di un cane.
Gli sembrò di vivere al
rallentatore, proprio come gli era capitato qualche anno prima, il pomeriggio
in cui l’aveva incrociata per la prima volta a Torino fuori dal commissariato
per il caso Lalami.
Come allora si voltò lentamente,
tenendo gli occhi bassi con la speranza o forse il terrore di incrociare quelli
di lei color cioccolato.
-Ehi- riuscì a dire in risposta, la
voce tremante.
-Sei…sei tornato allora?- chiese
Camilla, persino più titubante di lui, mentre gli si avvicinava poiché Potty, non appena aveva visto Gaetano, gli era corso
incontro scodinzolando.
-Non lo so, ancora.
-Capisco.
Tra i due calò un silenzio irreale,
per loro assolutamente nuovo, perché mai nei dieci anni trascorsi si erano
trovati in una situazione simile. Del resto, come poteva essere diversamente?
Quello che era successo tra loro aveva cambiato tutto per sempre e non era
possibile tornare ad essere solo amici, vicini, dirimpettai. Non c’era un modo
per tornare a prima di quella notte, riavvolgere il nastro e ripartire come se
nulla fosse. Gaetano lo aveva sempre saputo, mentre Camilla si rendeva conto
della reale portata delle sue azioni solo in quel momento. Non aveva solo perso
l’amore della sua vita, ma anche il suo migliore amico e non avrebbe potuto
fare nulla per rimediare al danno che lei stessa aveva causato, se non sperando
che lui la perdonasse e la riprendesse con sé.
-Mi dispiace per ieri- dissero
all’unisono come nella più classica delle commedie romantiche.
Gaetano sorrise e gli sembrò di
farlo per la prima volta da secoli: i muscoli protestavano mentre si
distendevano in quella che per lui era sempre stata un’espressione naturale
quando aveva al suo fianco Camilla, ma il suo cervello registrò quella
sensazione piacevole come del tutto logica e assurdamente familiare.
Dal canto suo, Camilla, ammirando
quel sorriso così sincero e allo stesso tempo timoroso, si sentì a casa: come
aveva anche solo potuto pensare di restare lontano da lui per più di due
minuti?
Con un cenno della mano Gaetano
invitò Camilla a parlare per prima.
-Ok…beh, stavo dicendo…mi dispiace
per ieri, per lo schiaffo, intendo. Non volevo…
-Non volevi darmelo e basta o non
volevi darmelo così forte?- chiese l’uomo con sincera ironia.
-Era davvero così forte?
-Non è bastato tutto il ghiaccio
del commissariato per evitare il gonfiore- rispose indicando la leggera
protuberanza all’altezza dello zigomo sinistro.
Camilla istintivamente sfiorò con
la punta delle dita il punto che Gaetano aveva indicato; entrambi furono
attraversati da una scossa con cui avevano da anni imparato a convivere,
rimanendo incatenati uno all’altra con lo sguardo. Attimi interminabili, cui
Gaetano dovette porre fine prima di rischiare di avventarsi sulle labbra della
donna e perdere il controllo.
-Non è stata solo colpa tua. Voglio
dire, anche io non sono stato granché gentile. Ho detto delle cose
che…beh…ero…ero…
-Arrabbiato. Lo capisco, Gaetano.
Davvero. E a questo proposito- Camilla inspirò profondamente alla ricerca del
coraggio per continuare per quella strada. –io avrei delle cose da dirti.
Insomma, vorrei parlarti. Ho bisogno di parlarti di quello che ci è successo.
Di noi.
Quel plurale riaccese speranze che
Gaetano credeva ormai morte. Quel “noi” rimbombava nella sua mente scandendo i
suoi pensieri ed impedendogli di accorgersi che Camilla in piedi davanti a lui
attendeva una risposta, come un condannato davanti al boia.
-Gaetano?- gli occhi preoccupati di
Camilla erano puntati dritti nei suoi e lo imploravano di non respingerla di
nuovo.
-Scusami…sì, io…sì, va bene. Vuoi
parlarne qui? Adesso?
-No. Io pensavo a cena- continuò la
donna cui la risposta di Gaetano aveva ridato un po’ di coraggio. Forse tra
loro non era ancora tutto perduto. Lui era arrabbiato, aveva urlato, l’aveva
allontanata e si era allontanato, ma forse erano solo tutte fasi necessarie ad
entrambi per elaborare quanto significassero l’uno per l’altra.
-Però niente giapponese questa
volta, professoressa- ribatté pronto il commissario stupendosi nel sentirsi
pronunciare quel “professoressa” con la naturalezza e la dolcezza che da sempre
lui ricollegava a quell’appellativo. Era inevitabile: per quanto lui potesse
pensare di allontanarsi da Camilla, quello che lo legava a lei era resistente a
tutto. Non poteva sciogliersi da lei. Ma forse non era più costretto nemmeno a
provarci…
Camilla sorrise e a fatica dovette
trattenersi dal lasciare che alcune lacrime di gioia scappassero al suo
controllo.
-Niente giapponese, d’accordo.
Anche se la serata non era poi finita così male- non le sembrava vero di poter
usare ancora quel tono malizioso con Gaetano. Se era un sogno, pregava di non
svegliarsi mai. –Allora…ti andrebbe stasera?
Camilla attese una risposta che
tardava ad arrivare e mentre aspettava vide l’espressione sul volto di Gaetano
mutare radicalmente: il sorriso caldo e gentile era stato sostituito da
quell’espressione dura che aveva tristemente imparato a conoscere negli ultimi
giorni.
-Gaetano?
Ma la ragione di quel mutamento le
fu fin troppo chiara pochi istanti dopo. Le bastò una voce che proveniva alle
sue spalle per capire.
-Camilla!- si sentì chiamare.
Si voltò, gli occhi chiusi sperando
che fosse solo un’allucinazione. Quando li riaprì l’allucinazione era ormai a pochi
passi da lei. Michele.
Angolo dell’autrice:
non odiatemi, dai…ci vuole un bel “finale aperto”. Come dite? Non vi piacciono i finali aperti? (come sono perfida, lo so).
Scherzi a parte, mi ha divertito molto scrivere questo capitolo a dire il vero: tra Livietta che cerca di capirci qualcosa della psiche contorta di sua madre (che manco Freud riuscirebbe a venirne a capo) e il primo incontro in campo neutro dei due (disturbato dall’arrivo di ‘sto barbone ciabattaro), ho riso un bel po’.
Ovviamente Camilla ha un bel po’ di cose da chiarire e non solo con Gaetano….ha praticamente dato speranze a tutti! Ora deve rimettere tutto a posto se vuole riprendersi Gaetanuccio mio.
Ho già per la testa un bel po’ di idee e tanto ho come l’impressione che di tempo per metterle per iscritto la rai me ne darà un bel po’….perciò, preparatevi!
A presto!
L.