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Autore: Mary P_Stark    06/11/2015    2 recensioni
Lithar mac Lir, gemella di Rohnyn, porta con sé da millenni un misterioso segreto, di cui solo Muath e poche altre persone sono al corrente. Complice la sua innata irruenza, scopre finalmente parte di alcune tessere del puzzle di cui è composta la sua esistenza, ma questo la porta a fuggire dall'unica casa - e famiglia - che lei abbia mai avuto. Lontana dai fratelli tanto amati, Lithar cercherà di venire a patti con ciò che ha scoperto e, complice l'aiuto di Rey Doherty - Guardiano di un Santuario di mannari - aprirà le porte ai suoi ricordi e alla sua genia. Poiché vi è molto da scoprire, in lei, oltre alla sua discendenza fomoriana e di creatura millenaria, e solo assieme a Rey, Lithar potrà scoprire chi realmente è. - 4^ PARTE DELLA SERIE 'SAGA DEI FOMORIANI' - Riferimenti alla storia nei racconti precedenti
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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6.
 
 
 

 
Il tran tran della vita in campagna, con le sue scadenze fisse e giornaliere, divenne piacevole e confortante.

Tutte le mattine mi alzavo presto, facevo una passeggiata tra i campi innevati, aiutavo Rey nella stalla e davo da mangiare a nonnina.

Lui preparava i pasti – ero ancora troppo inesperta, per farlo – e si dedicava alla preparazione dei formaggi.

Nel pomeriggio, pensavamo alla legna, alle pulizie e a qualche saltuario viaggio a Cork per fare spese o vendere la sua mercanzia.

Incontrare le persone del mercatino rionale, in cui Rey era solito portare il formaggio, fu appagante.

Tutti mi trattarono con estrema gentilezza, alcuni mi regalarono prodotti delle loro fattorie ma, più di ogni altra cosa, scorsi nei loro occhi l’affetto nei confronti di Rey.

Era benvoluto da tutti, e da tutti rispettato e apprezzato.

La sua famiglia era davvero folle, ad averlo denigrato a quel modo per la scelta compiuta anni prima di prendersi cura della fattoria.

Non mi sarei mai e poi mai capacitata di un simile comportamento ma, d’altro canto, non era compito mio comprenderli.

Inoltre, con esempi come Muath e Tethra alle spalle, di cosa mi stupivo?

Mentre le settimane si susseguivano le une sulle altre, e il mio baricentro tornava a riequilibrarsi, riuscii persino a trovare divertenti gli scherzi di Rey.

Se, sulle prime, il suo prendermi in giro, o lo sfruttare la mia ignoranza in materia di modi di dire, mi irritò, col tempo iniziai a provare un piacere sempre maggiore.

Era divertente e appagante pensare al tempo che mi dedicava, tentando di tirarmi sempre su di morale quando mi vedeva mogia.

O dandomi man forte, quando i ricordi di Mag Mell mi portavano a grondare rabbia.

Più di una volta lo scoprii a guardarmi, mentre mi allenavo dietro casa.

Appariva meditabondo, o affascinato, non avrei saputo dirlo, intendendomene così poco di umani.

Ma, ogni qual volta lo trovai fuori per guardarmi durante gli allenamenti, mi sentii stranamente confortata.

Protetta, mio malgrado.

Un’altra cosa che trovai divertente, quanto appagante, fu prendere lezioni di guida da Rey.

Trovai subito interessante la sua jeep e per quanto, sulle prime, comprendere l’uso del cambio fu un po’ macchinoso, alla fine riuscii a non combinare guai.

O quasi.

Naturalmente, guidare per strada mi fu impossibile – non avevo la patente – ma, avanzare lungo le strette stradine sterrate della sua proprietà, mi diede gioia.

Come a lui diede soddisfazione vedermi così felice.

Non gliene chiesi mai il motivo, ma i suoi occhi parlarono per lui più delle mille parole non dette tra di noi.

A cosa sarebbe servito parlare, quando avvertivo solo serenità e pace, attorno a noi?

Ciò che, però, mi colpì più di tutto, tra i mezzi di trasporto di Rey, fu la sua Harley Davidson.

Blu e bianca, dal motore cromato (aveva detto così, Rey?), e con rifiniture di pregio sul manubrio, spiccava come un’opera d’arte in mezzo al resto dei veicoli.

La prima volta che la vidi nel garage la sfiorai con reverenziale timore e lui, sorridendo, mi promise di portarmici, con la bella stagione.

Da quel giorno, iniziai a contare i giorni che ci separavano dalla primavera.

Non mi lasciai mai sfiorare dal pensiero che forse, in primavera, neppure sarei più stata lì.

Non avevo nulla a cui tornare, a parte i miei fratelli, e stare lì era corroborante e salutare, per me.

Ma sapevo bene quanto, il mio risiedere presso il Santuario, fosse solo una soluzione a breve termine.

Non avrei potuto rimanere ospite di Rey per sempre, anche se la sola idea di andarmene si faceva più pesante di giorno in giorno, nel mio animo.

“Guardare quel povero telefono in maniera così accigliata, non servirà a nulla, sai?”

La voce morbida di Rey mi raggiunse come una carezza e io, nel volgermi a guardarlo, gli feci la lingua per diretta conseguenza.

Erano circa due mesi che abitavo da lui e, in quel periodo di tempo, avevo imparato a conoscere ogni sfumatura del suo carattere.

Ormai, sapevo alla perfezione quando riceveva le rare chiamate dei suoi genitori, o quelle ancor più rare di suo fratello.

Così come sapevo quando era lui a farle.

Il suo classico - e per me ormai usuale - sorriso bonario spariva, sostituito da un'ombra sugli occhi e un silenzio prolungato.

C'erano poche cose che lo turbavano, a parte la famiglia che risiedeva a Cork.

Una di queste, era la salute di nonnina.

Il dottore era passato solo una settimana prima, per la consueta visita di controllo, e non si era dichiarato propenso a cambiare la diagnosi di sei mesi addietro.

Gwendolin si stava spegnendo, lentamente ma in modo inesorabile.

Aveva rifiutato il ricovero e, tra me e Rey, potevamo seguirla senza problemi.

Non avevo, però, davvero idea di cosa avrebbe potuto succedere, se fosse peggiorata.

Come non avevo idea di cosa volesse dire veder morire una persona a quel modo.

Io conoscevo la morte in battaglia, ma quella? Non sapevo davvero come gestire un evento simile.

Non avevo mai visto nessuno morire di vecchiaia.

Avrei tanto voluto parlarne con Rohnyn, capire cosa avesse provato vedendo morire Mairie, ma era un argomento che non avrei mai toccato con lui.

E, di certo, non dopo tanti mesi di silenzio da parte mia.

“Non so cosa dirgli” ammisi a quel punto, scrollando le spalle, infastidita dalla sensazione di impotenza che mi mordeva le carni.

Lui si sedette accanto a me, poggiandomi una mano sulla spalla – mi stavo abituando ai semplici contatti umani tra di noi – e sorrise tranquillo.

Rey mi era sempre accanto, anche quando pensavo di no.

Bastava un suo sguardo in lontananza, per sentirmi più serena.

Anche se, durante il giorno, poteva essere impegnato con gli animali o la fattoria, sapevo che, se avessi aperto bocca, lui si sarebbe fermato per me.

Perché lui era così. Buono, comprensivo e gentile.

E io stavo diventando dipendente da questa sua gentilezza nei miei confronti.

“Forse, ti dirà che sei stata stupida a non andare da lui, ma penso che non andrà oltre. Sarà solo felice di sentirti, ti pare?” mi disse allora lui, bonario.

“Tu dici?” mormorai mogia.

Non mi piaceva sentirmi così insicura, ma avevo cominciato a lasciarmi andare, sapendo che Rey avrebbe trovato una parola gentile per me.

Ogni volta.

Non avevo idea se fosse una cosa buona o meno, ma mi piaceva l'idea che lui si prendesse cura di me.

Forse, Muath e Tethra sarebbero inorriditi al solo saperlo, ma mi importava ben poco della loro opinione, al momento.

“Facciamo così... ci parlo io e sondo le acque, va bene?”

“Lo faresti?”

“Gli dirò che ti ho rapita e che ti tengo in ostaggio, okay?” mi strizzò l'occhio, divertito.

Per tutta risposta, risi e gli diedi uno scappellotto.

Lui rise con me, intercettò la mia mano e la tenne nella sua, forse volendo prevenire ulteriori attacchi.

Mi fece piacere quel tocco, e lasciai che mi tenesse la mano.

“Allora? Vuoi dirmi il suo numero?”

“Niente rapimenti, però” lo additai, mostrandomi minacciosa.

Rey scrollò le spalle, digitò il numero che gli dettai e attese una risposta.

Per mettermi a mio agio, azionò il vivavoce e, quando udii la voce di Rohnyn, mi morsi un labbro, emozionata.

Chissà perché, avevo temuto fosse cambiata. Invece, aveva mantenuto il solito tono basso e roco.

“Ronan O'Sea?”

“Sì, sono io. Con chi parlo?” domandò dubbioso Rohnyn.

“Mi chiamo Rey, e ho notizie di sua sorella Litha.”

Rohnyn non parlò per alcuni secondi, forse vagliando le parole di Rey e, soprattutto, l'uso del mio vero nome.

“Sorellina, sei lì?”

“Ciao” mormorai, contrita.

Lui tirò un sospiro di sollievo, lo sentii dire un paio di parole a qualcuno – forse a Sheridan – per poi riprendere la conversazione con me.

“Dimmi dove sei. Ti veniamo a prendere subito.”

“Ah... no, Rohnyn. Per favore.”

Ancora silenzio, e una più contratta risposta. “Che succede, sorellina?”

“Volevo solo dirvi che va tutto bene, anche se so che vi è stato già riferito. Non voglio che vi preoccupiate per me, ma non ho intenzione di tornare, al momento.”

“Ma... siamo la tua famiglia, Lithar!”

Sospirai tremula, e la mano di Rey mi diede il coraggio di proseguire.

“Devo prima capire cosa desidero fare della mia vita, Rohnyn. Se sei solo preoccupato per me, posso assicurarti che qui sono più che al sicuro.”

“Perché quel tizio conosce il tuo vero nome? E dove sarebbe, poi, il qui?”

Mi accigliai un po', a quella domanda, pur sapendo che era più che lecita.

“Rey sa tutto ed è, come dire, un addetto del settore. E' amico dei licantropi, perciò capisci bene che non ha problemi ad accogliere anche una fuggiasca senza nome come me.”

“Tu hai un nome, sorellina, ed è Lithar mac Lir. Muath è disperata, non sapendo dove ti trovi. Me l’hanno detto sia Stheta che Krilash e credimi, non stavano scherzando.”

Aggrottai la fronte, nel sentir nominare Muath, e replicai: “Rohnyn, non so quanto ti abbiano detto Stheta e Krilash, o quanto Muath abbia detto loro, ma io non sono fomoriana, non del tutto, per lo meno. Sono in parte una Tuatha, e non ho una sola goccia del sangue dei mac Lir.”

“Beh, non mi interessa un accidente! Sei mia sorella, punto, e non ti lascio lì con un uomo che nemmeno conosco, quando potremmo darti tutti quanti una mano a riprendere il controllo sulla tua vita!” sbottò fuori di sé, mandandomi nel pallone.

Ma che stava dicendo?!

Pensava che fossi una sciocca bambina umana, che non poteva essere lasciata sola per più di due minuti con degli estranei?

“Rohnyn, ma ti ascolti? Ho quattromila anni, non sei mesi. Inoltre, posso benissimo difendermi da sola, e lo sai.”
Non parve molto più calmo, quando mi parlò di nuovo, ma tentò per lo meno di apparire così, al telefono.

“Senti, sorellina, so che sei un asso nel corpo a corpo e con la spada, ma ci sono cose che...”

Mi accigliai immediatamente, percependo senza sforzo la mia rabbia al color del sangue che, prepotente, stava tingendo le mie gote.

Borbottando un insulto, replicai piccata: “Rohnyn, mi spiace dirtelo così a bruciapelo, visto che non se ne dovrebbe parlare a questo modo, ma non sono vergine. E, anche se non sono affari tuoi, e mi da un po' fastidio ammetterlo proprio con te, proseguirò lo stesso nel dirtelo. Non avete fatto esperienze di quel genere solo tu e gli altri. Mi sono interessata molto anch’io dell’argomento, puoi credermi sulla parola. Perciò so a cosa stai velatamente alludendo…  e non è questo il caso!

Rey cercò di non ridere ma lo sentii tremare e, quando lo guardai, vidi che stava trattenendo una risata agli angoli della bocca.

Gli occhi, però, stavano lacrimando ilari e, mio malgrado, trovai quella situazione ai limiti del paradossale.

Se fossi stata un’altra persona, sarei scoppiata a ridere anch’io, o avrei dato in escandescenze, ma in quel momento ero solo furiosa con Rohnyn.

“Perché dobbiamo parlare di queste cose di fronte a un estraneo, Lithar?” si lagnò Rohnyn, chiaramente esasperato quanto me.

“Sarà estraneo per te, ma non per me. E non nel senso che pensi tu, voglio chiarirlo subito. Inoltre, vorrei che mi chiamassi Litha.”

Lo sentii sospirare, ma accettò la mia richiesta.

“Allora, non vuoi davvero tornare a casa?”

“Se e quando lo vorrò, te lo dirò io. Per ora, salutami il piccolo Kevin e tutti gli altri. Di' loro che sto bene e sono ben protetta.”

“Ricorda solo che noi ti vogliamo bene, sorellina.”

“Lo so, ora lo so” mormorai, chiudendo la comunicazione dopo averlo salutato.

Riposi mogia il telefono sul tavolino dinanzi a noi Rey, abbozzando un sorriso, asserì: “Non è andata male, dopotutto.”

“Pensa che tu sia un depravato, o chissà chi altro!” brontolai, per nulla d'accordo con lui.

Rise sommessamente, e annuì.

“Perché è un uomo, e stiamo parlando della sua sorellina, in compagnia con una persona che lui non conosce. Non importa se, la sorellina in questione, sarebbe capace di spezzarmi la schiena come se fossi un fuscello.”

“Dovrebbe fidarsi di me!” esclamai, reclinando le spalle per l’esasperazione.

Lui, allora, me le avvolse con un braccio, mi attirò a sé e mi strinse in un abbraccio.

Io ristetti rigida tra le sue braccia e lui, massaggiando le mie con lente carezze, mormorò: “Questo si chiama abbraccio consolatorio, Litha ma, se tu rimani rigida come un palo, non ne sentirai i benefici.”

“Scusa.”

Presi un gran respiro, e mi lasciai andare.

E fu così che percepii ciò che voleva dire... e darmi.

Il suo calore penetrò nel mio corpo, poco alla volta, come una lenta colata di cioccolata calda.

Mi ritrovai a stringere debolmente le braccia attorno a lui e Rey, con calma, mi lasciò scivolare verso il basso, finché non poggiai la testa sulle sue cosce.

A quel punto, mi carezzò i capelli e, roco, mormorò: “Respira con calma. Chiudi gli occhi e lasciati andare. Ascolta solo il ritmo del tuo cuore, lo scoppiettio della legna nella stufa, il canto della civetta sulla betulla...”

Feci come mi disse, e subito mi chetai.

La sua mano tra i miei capelli contribuì a rilassarmi e, pian piano, il mio respiro si fece più tranquillo.

La natura, all’esterno, proseguiva nel suo lento divenire, niente sembrava sconvolto da stravolgimenti improvvisi o violenti.

Tutto procedeva lento e placido, con calma, e io mi uniformai a quella pace, esattamente come Rey mi aveva detto.

“La sua, non è mancanza di fiducia. E' amore” mormorò ancora, continuando nel suo massaggio.

“E il tuo?” gli domandai, volgendomi per poterlo guardare.

Ripiegai le gambe per poter stare più comoda e, con la schiena sui cuscini e la testa sul suo grembo, lui mi guardò con occhi che bruciavano.

Mi sorrise appena, spostando la mano dai miei capelli alla mia bocca, sfiorandola con delicatezza con le punte dei polpastrelli.

Sospirai, sfiorando con il mio alito le sue dita, che tremarono.

“Dopotutto, forse, tuo fratello ha ragione a preoccuparsi.”

Sorrisi, e mi sollevai per essere alla sua stessa altezza.

“E io, dovrei preoccuparmi?”

“Non credo. Ma negare che sei attraente, sarebbe da idioti” asserì, sfiorandomi una guancia con un bacio leggero, niente più di un casto sfiorarsi di pelle contro pelle.

Inspirai con forza, lasciando andare poi lentamente il fiato. Il cuore era tornato a battere con violenza, come aspettandosi altro. Di più.

“Nessun fomoriano fa simili complimenti” mormorai, sentendomi tremare tutta, piena di aspettativa.

“Beh, peggio per loro. Si perdono la parte più divertente” ironizzò, scostandomi una ciocca di capelli dal viso.

Così facendo, mise in mostra la mia rihall, che lui sfiorò con la mano per un attimo, prima di ritrarla infastidito.

“Brucia!” si lagnò, sorpreso e confuso.

Scrollò la mano, rossa nei punti in cui la carne aveva sfiorato la stella, e io me ne spiacqui.

“Sì, può farlo, con chi non è fomoriano” assentii, per nulla sorpresa ma vagamente contrita all’idea di non averlo avvertito.

“Ma... i tuoi arabeschi...”

“Non so cosa siano, in effetti ma, evidentemente, fanno parte della mia eredità Tuatha… e non hanno effetti collaterali. Forse…” scrollai le spalle, impotente di fronte alla sua domanda.

“Dovrò stare attento a dove metto le mani, allora” ironizzò a quel punto, sfiorandomi l'altra parte del collo con la punta di un dito.

Fremetti, colpita all’idea che una semplice carezza potesse rendermi così sensibile, ed esalai: “Cosa... cosa fai?”

“Dei test. E, a quanto pare, anch'io potrei avere qualche problema, con te.”

Sorrisi divertita, mio malgrado e, nel mettermi in piedi con un agile balzo, puntai le mani sulle sue cosce.

Mi sporsi in avanti fin quasi a poggiare il mio naso contro il suo e, maliziosa, mormorai: “Sei molto affascinante anche tu, e credo sarebbe divertente scoprire qualcosa di più, su di te... ma non ora. Ho troppi pensieri per la testa, e non ci sta anche quello.”

“Vero. Ma un bacio non può far danni” mormorò in risposta, sorprendendomi nell'appoggiare le sue labbra sulle mie.

Fu dolce, niente più di un tocco tranquillo, quasi da amico... ma non del tutto.

Io mi scostai sorpresa, sfiorandomi le labbra con una mano, e lui sospirò, lasciandosi andare contro lo schienale del divano.

“Chi ha detto che i baci non fanno danni?” esalò un attimo dopo, guardandomi confuso al pari mio.

“Tu. Poco fa.”

“Che idiota” brontolò, passandosi le mani sul viso.

Sorrisi, lieta che anche lui avesse la mente in subbuglio come me e, nell’allontanarmi, mi volsi per dargli la buonanotte.

Non sapevo se avrei dormito, quella notte, ma una cosa la sapevo per certo.

Da lì in avanti, tenere le mani lontane da Rey Doherty sarebbe stato difficile, se un solo bacio mi aveva fatto innervosire tanto.
 
***

Lanciai in sequenza perfetta una serie di coltelli, che centrarono ordinatamente altrettanti bersagli, posti sopra la staccionata dietro casa.

I ciocchi di legno crollarono a terra uno dopo l’altro e io, operosa, li raccolsi per rimetterli in piedi.

Quando, però, mi volsi per tornare al punto di partenza, sobbalzai, lanciando uno strillo di sorpresa.

A guardarmi con aria ammirata, c’era Rey.

Era coperto fin sotto le orecchie con un maglione a collo alto e uno smanicato in piumino d’oca e, sul capo, portava l’onnipresente basco con la visiera rigida.

Mi sorrise, esponendo per un momento le labbra al mio sguardo, prima di nasconderle sotto l’orlo del maglione, e io mi ritrovai ad arrossire.

Contrariamente a lui, ero in canottiera e pantaloni, con i miei stivali da lavoro ai piedi.

“Non stai congelando, così conciata?”

“Serve a temprare il fisico. Ero un po’ fuori allenamento, e così…” scrollai le spalle, scostando nervosamente una ciocca di capelli.

Non li avevo più legati, da quando avevo abbandonato Mag Mell, e mi innervosiva un po’ ripensare a come Rey li avesse carezzati, la sera prima.

Lui si avvicinò, schiacciando sotto i suoi scarponi la neve, solidificatasi col freddo della notte.

Scrocchiò sonora al suo passaggio e, quando mi raggiunse, vi affondò un poco, portandosi esattamente al mio livello.

Un attimo dopo, mi sfiorò le labbra con un bacio e si scostò, sorridendo maggiormente.

Si lappò le labbra, sensuale, e io desiderai annullare le distanze tra noi.

Ma non lo feci.

Avevo ancora le idee maledettamente confuse, e confonderle ulteriormente infilando nell’equazione un uomo, era ben lungi dal mio ideale di perfezione.

Però, era così affascinante, e quelle labbra così calde…

Scossi il capo, scacciando quei pensieri, e dissi: “E’ un buon modo, per dire buongiorno.”

“Lo immaginavo. Non vieni a fare colazione? O hai già mangiato?”

“No, vengo.”

Mi volsi per afferrare la mia giacca, che avevo appeso a un ramo vicino e, nell’affiancare Rey, dissi: “Non ti scoccia che io abbia depredato i tuoi coltelli, vero? Posso ripagarteli, se li rovino.”

Lui ridacchiò, scuotendo il capo e, nel prendermi la mano con naturalezza, mi accompagnò in casa, dove il calore della stufa mi avvolse tutta.

Sorrisi, lasciando che quel tepore mi ritemprasse le membra intirizzite e lui, nel chiudere la porta alle nostre spalle, mormorò: “Non voglio complicarti la vita, okay?”

“Neanch’io voglio complicare la tua. Ma mi piace, quando mi baci.”

“E a me piace baciarti.”

“Allora… penso vada bene” assentii, avviandomi verso la mia camera da letto per recuperare un maglione.

Rey attese che tornassi e, insieme, raggiungemmo la cucina, dove nonnina ci aspettava paziente.

La salutai con un bacio sulla guancia, e lei mi sorrise.

“Ti stavi allenando, bambina? Ho sentito degli strani rumori, provenire dall’esterno.”

“Esatto. Spero di non averti turbata.”

Mi accomodai e, solerte, le imburrai due panini dolci e morbidi.

“Affatto. E poi, vorrei vedere anch’io quanto sei brava.”

Le sorrisi, annuendo e lei, tornando seria, mi domandò: “Hai più avuto visioni, bambina?”

Scossi il capo e, nel servirle del tè alla pesca, asserii: “Credo che sia successo perché Rey ha toccato gli arabeschi. Con me, non è mai successo prima.”

Sentendosi interpellato, scrollò le spalle e replicò: “Se vuoi, più tardi riproviamo. Sempre che tu voglia vedere qualcosa. Diversamente, lasceremo perdere. Non c’è alcuna fretta e, se la cosa ti turba, non ne parleremo neppure più.”

Da quando era successo, due mesi addietro, non avevo più voluto ritentare.

Parlandone poi con nonnina, lei aveva ipotizzato che potesse trattarsi di scene del mio passato.

E che fossero state sigillate in quei glifi, pronte per consegnarmi la mia eredità, quando e se avessi desiderato conoscerla.

L’idea era balenata anche a me, ma la paura di fare luce su quel passato in particolare, mi aveva letteralmente terrorizzato, così avevamo accantonato l’argomento.

Al tempo stesso, però, avevo desiderato con tutta me stessa scoprire qualcosa di più su di me.

Sulla vera me.

Ma questo avrebbe voluto dire mettere in mezzo anche Rey, apparentemente l’unico in grado di risvegliare quei segreti chiusi dentro di me.

Poiché si era già impegnato a tenermi al sicuro, mi era parso scorretto chiedere ulteriori aiuti.

Il dubbio, però, era rimasto fisso nella mia mente per tutto quel tempo e, nonostante tutto, non se n’era mai andato.

Perché, in fondo, sapevo di non essere mai stata una codarda e, quel lento e inesorabile procrastinare l’inevitabile, non era da me.

Per quanto non sapessi a chi potesse appartenere di preciso la mia stirpe, sapevo chi non ero.

E cioè, una vile.
 
***

Sperai davvero che, all’altro capo, rispondesse chi volevo io, perché non avevo nessuna intenzione di…

“Pronto? Chi è?”

Sorrisi spontanea nel sentire la voce squillante e allegra di Sherry.

Mi trasmise gioia anche attraverso il telefono. Era proprio la donna adatta a mio fratello che, nell’oscurità e nel dolore, aveva sguazzato fin troppo a lungo.

“Sherry… ciao.”

Un attimo di silenzio e, come suo solito, Sheridan si fece riconoscere.

“Oh, bene, finalmente ti fai sentire anche con me! Sappi che ci sono rimasta mooolto male, quando hai messo giù il telefono con Ronan, senza chiedere di parlare almeno due minuti con me…” iniziò a brontolare mia cognata, parlando così in fretta che, per qualche attimo, temetti di perdere il senso delle sue parole.

Sorrisi divertita, lasciando che il suo sproloquio – e i suoi insulti – perdurassero per qualche minuto.

Sapevo che aveva bisogno – e diritto – di sfogare le sue paure, e Sheridan era nota per non avere peli sulla lingua.

Quando infine la sentii sospirare, mormorai: “Scusa.”

“Andata” borbottò lei, con tono più calmo.

“Ho bisogno di un consiglio, Sherry.”

Sheridan bene che, quando usavo il suo nomignolo, ero alla frutta.

Non lo usavo mai, di solito e, quando me lo sentiva utilizzare, si irrigidiva immediatamente.

“Il tipo che ti ospita ti ha fatto delle avances sconvenienti?”

Sbuffai, alterandomi leggermente. Ma perché pensavano tutti a quello?

“No. Rey è molto educato e corretto” brontolai, pur aggiungendo. “Ci siamo baciati, questo sì, ma la cosa è finita lì.”

“E perché, scusa?” esalò a quel punto Sheridan, sorprendendomi.

Sgranai gli occhi, basita, prima di esalare: “Ma… ma non sei preoccupata che possa… sì, insomma…approfittare di me, o che so altro?”

Sherry sbuffò prima che potessi prolungare la mia stentata dichiarazione, replicando pratica: “Quello è tuo fratello. A me interessa che stia bene tu, e del sano sesso consenziente aiuta sempre. Inoltre, dubito che qualsiasi umano potrebbe avere la meglio su di te.”

Sbattei le palpebre, più che mai sbalordita da tanta schiettezza – e dire che la conoscevo – e, nel passarmi una mano sul viso, esalai: “Non ce la farò mai, con te…”

Sheridan a quel punto rise sommessamente e, in sottofondo, udii la risatina dolce e trillante di Kevin.

Sorrisi spontaneamente nel percepire quel suono, e mormorai: “Come sta mio nipote?”

“Benissimo e, quando tornerai, te lo scodellerai per giorni e giorni, così io riposerò le braccia” mi promise mia cognata, portandomi a ridere per il suo tono vagamente minaccioso.

“D’accordo” assentii, non trovando quel pensiero per nulla preoccupante. Tutt’altro.

“Qual era il problema, Litha?”

“Ricordi i tatuaggi che hai visto prima del tuo matrimonio?”

“Certo che li ricordo. Ne hai fatti altri? Erano talmente belli!” esclamò Sherry, ammirata. “Se non avessi così paura degli aghi, li avrei fatti anch’io.”

Interrompendola prima che si lanciasse in un altro sproloquio, dichiarai: “Ti ho mentito. Non sono tatuaggi.”

Silenzio.

Sheridan non era famosa per apprezzare le bugie. Per niente.

Ugualmente, mi ordinò: “Spiegami. Hai il bonus della figlia ribelle da usare, visto che lo usai a suo tempo anch’io.”

“Sono glifi che compaiono ogni mille anni, e crediamo appartengano al mio retaggio Tuatha” le spiegai succintamente, sapendo che non era neppure famosa per la sua pazienza.

Rammentavo bene il nostro primo incontro, quando mi aveva fatto capire più che bene quanto, il mio dialogare, le fosse parso indigesto e noioso.

Non volevo ripetere lo stesso errore, visto che ero in cerca di aiuto.

Crediamo? Ne hai parlato con il tuo Rey?” borbottò dopo qualche momento Sheridan.

Mi piacque quel ‘tuo Rey’. Creava un legame tutto speciale con l’uomo che mi stava aiutando in quella bailamme senza fine.

“Li ha visti e, quando ne ha sfiorato uno, sono apparsi dei flash, delle immagini. Penso appartengano al mio passato.”

Percepii distintamente il suo ‘mpfh’, i gorgoglii di Kevin e poco altro.

Dopo poco meno di un minuto, però, mi disse: “Scopri cosa sono. E’ inutile menare il can per l’aia, Litha. Tu non sei pavida e, qualsiasi cosa contengano quei glifi, è giusto che tu sappia. Ti appartengono, nel bene e nel male, come ti appartiene l’amore di Rohnyn, o il mio, o quello dei tuoi fratelli e sorelle. Nessuno potrà toglierti queste certezze.”

Il loro amore. Sì, mi apparteneva di diritto. Me lo ero guadagnato, come loro si erano guadagnati il mio, di amore.

Sherry aveva ragione.

Nel bene e nel male, dovevo sapere perché ne avevo il diritto.

Rimanere da Rey, vegetare qui nella serena tranquillità della campagna, non mi avrebbe portato una vera pace.

Solo la verità avrebbe potuto farlo, e io l’avrei sondata fino all’ultima goccia.

“Grazie, Sheridan.”

“Ci saresti arrivata anche da sola, ma posso immaginare che, così tante novità in una volta sola, siano troppe anche per te.”

“Volevo solo essere sicura di non commettere un errore.”

“E ti affidi a me per saperlo?” rise lei, portandomi a ghignare. “Mia madre ti darebbe della pazza squinternata, per aver pensato di chiedere a me un consiglio per non sbagliare. Litha, io sono la regina degli errori… ma è così che si cresce. Sbagliando, cadendo e rialzandosi. Fai tesoro dei tuoi errori, cara, anche se immagino che tu ne abbia fatti ben pochi, fino a ora.”

Storcendo il naso, mormorai: “Reputi un errore, il fatto che io non sia venuta da voi?”

“L’ho pensato per i primi cinque minuti, ma poi mi sono data dell’idiota da sola. Quando fuggii da casa, Litha, ero in cerca di risposte esattamente come te, solo che io ero con Kieran. Tu, ora, sei con una persona molto più sensata e intelligente di quanto non lo fossimo io e K all’epoca. Hai più possibilità di me di trovare le risposte che cerchi.”

Sorrisi alle sue parole e, nel lapparmi le labbra, asserii: “Per quel che può valere, io penso che tu sia una persona sensata e intelligente, Sheridan, e ti voglio bene.”

“Te ne voglio anch’io, bambina, ma non dimenticare questo. Arrivare alla verità può far male, ma è sempre meglio che vivere con il dubbio.”

Bambina. Anche Sheridan mi chiamava così.

Forse, era davvero la verità; in questo momento, ero sperduta e insicura come un bimbo.

“Farò così. Grazie, Sheridan.”

De nada, chica. E chiamami, quando ti sarai rotolata tra le lenzuola con il tuo Rey. Voglio avere commenti di prima mano” dichiarò Sherry, portandomi a diventare vermiglia in viso.

“Sapevo che mi avresti fregata con una battuttaccia, prima della fine di questa telefonata. Ci sentiamo, cognata” brontolai, facendole una pernacchia.

Sherry rise, nel salutarmi e, quando chiusi la chiamata, sospirai, lasciandomi andare contro lo schienale della poltrona.

Fu a quel punto che avvertii la presenza di Rey alle mie spalle e, volgendo appena il viso, mormorai: “Quanto hai sentito?”

A giudicare dal risolino che galleggiava sul suo viso, abbastanza.

Mi si avvicinò, appollaiandosi sul bracciolo della poltrona e, sempre sorridendo sornione, esalò: “Rotolarsi… tra le lenzuola?”

“Mia cognata” sospirai, come se quelle due semplici parole potessero spiegare ogni cosa.

“Mi piace già” ghignò Rey, dandomi un buffetto sul naso.

A quel punto gli sorrisi, assentii e dissi: “Piace anche a me.”

“Ebbene? Ti ha aiutata in qualche modo?”

Annuii una sola volta e, nell’alzarmi, gli sfiorai il viso con una mano, mormorando: “Lo farò.”

Rey scosse il capo, replicando: “Lo faremo.”

Sì, così suonava decisamente meglio.







Note: A quanto pare, la convivenza con Rey sta portando Litha a vedere con più chiarezza nel suo cuore e, al tempo stesso, sta creando un legame tra i due giovani, che nessuno dei due aveva preventivato. Giustamente, Litha si sente già abbastanza sottopressione, per pensare anche a un uomo, ma tutto sta a vedere quanto sarà coerente con le sue scelte. O se lo sarà Rey.
Per quanto riguarda Sheridan, lei ha già deciso: sua cognata ha anche bisogno d'altro, oltre che di cambiare aria.
Voi che ne pensate?
Per ora vi ringrazio di essere giunte fino a qui! Alla prossima!

  
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