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Autore: albelia    06/11/2015    0 recensioni
Un personaggio surreale che si muove in un mondo ancor più surreale; l'incontro con una locanda buia e polverosa abitata da persone strane e contorte; l'inizio di un viaggio che lo porterà in tempi e luoghi lontani...tutto nel ricordo di un antico amore perduto.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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girovagai senza meta per un po', prima di trovare l'Aramis. come ho detto, non ero mai stato prima in quella città. tutto era nuovo e spaventosamente vuoto. non mi ricordava niente in particolare. e pensare che io vivo di ricordi, vivo di analogie. osservai ogni angolo sporco, ogni cortile polveroso, ogni bambino. forse cercavo qualcuno. ma in quei momenti, purtroppo o per fortuna, non mi ricordavo di chi. chissà, forse se il mio cervello fosse stato più allenato sarei corso indietro a reclamare i miei diritti, o qualcosa del genere. non incontrai nessuno che conoscevo. solo, una sera, a un certo punto, era successa una cosa che mi aveva fatto per un attimo perdere la mia calma proverbiale. camminavo in un vicolo, rasente il muro. era come se strisciassi pur essendo in piedi. cercavo qualche traccia, qualche segnale, ma niente. mai niente. mi ritrovai d'un tratto il passo sbarrato da un'insegna luminosa, che in realtà era molto più in alto di me, ma che mi abbagliò a tal punto da farmi dimenticare dov'ero e dove dovevo andare. mi spaventai a morte. mi raggiunsero contemporaneamente una serie disordinata di suoni sgradevoli: della musica, delle risate sguaiate. mi sporsi un po' per vedere dentro chi c'era. forse quel rossetto opaco con l'occhio strabico. forse con qualcuno. la cosa mi sarebbe spiaciuta? non saprei dire, magari sì. anche se non sono mai stato un tipo geloso. però mi avrebbe dato fastidio, sì, sicuramente. il locale era fumoso e illuminato male, pieno di figure in controluce che scuotevano le loro teste nere e muovevano la mandibola per scambiarsi chissà quali segreti di stato. c'era una bella atmosfera. come se fossero tutti amici. avrei voluto entrare e far finta di essere parte di quel gruppo scombinato. ovviamente non entrai. li osservai per un po', ma non c'era nessuno che attirò più di tanto la mia attenzione. mi venne solo molta tristezza quando notai, seduto su una poltroncina verde, una figurina meno nera delle altre, ma sicuramente più sola. teneva stretto tra le mani un boccale di birra scura, e fissava il liquido ambrato come a volercisi perdere dentro. era vestito male, un po' come me, e aveva i capelli tutti scompigliati. immaginai fosse un altro emarginato, un po' come me. che aveva voluto imbucarsi in quella festa di estranei sperando di riuscire a diventare un membro della famiglia. solo per una sera, solo per una sera. ciò non era successo, e ora lui meditava silenziosamente di annegarsi dentro il suo bicchiere sbeccato. sì, provai davvero pena per lui. poi mi congratulai con me stesso per non aver fatto lo stesso terribile errore. una cosa è essere soli, un'altra è farlo sapere in giro. certe cose è meglio tenersele per sè, anche perché non sono in molti quelli capaci di capire che - capaci di capire. quella sera dormii sotto un ponte. fa ridere, detta così. ormai è diventata un'espressione d'uso comune, lo dicono tutti. nessuno però lo fa mai davvero. forse perché non si trovano più molti ponti per andarci ad abitare. in realtà era un posto carino, quasi accogliente, benché un po' troppo umido. la mattina dopo mi svegliai con un terribile mal di schiena che mi portai dietro per giorni. sul momento, però, mi era sembrato di essere un personaggio letterario, scapestrato e interessante. avevo radunato le mie poche cose, fuori portata dall'acqua che mi lambiva dolcemente i piedi. non era stato possibile accendere un fuoco. avevo guardato il fiume che scivolava placido sotto quella notte piena di lampioni e strade deserte. c'era stata una grande tranquillità, una grande tranquillità tutt'intorno. avevo persino scritto qualcosa, non saprei dire cosa. forse una storia, mi girava in testa da un po', ma non avevo mai avuto il tempo di sedermi alla scrivania e cominciare a darle una forma. avevo lavorato per quasi due ore, scribacchiando furiosamente alla luce raffreddata che mi arrivava dai negozi e da fari lontani. all'alba mi ero addormentato, sprofondato in un sonno fradicio e senza sogni. alla mattina, tutti i miei fogli erano spariti. senza nemmeno due righe di scuse. ci rimasi davvero male. erano sicuramente volati via, o rapiti dalla corrente. poteva succedere, ed era successo. colpa mia che non li avevo messi al sicuro, colpa mia che non li avevo chiusi nella valigia. colpa mia. affrontai quella perdita con stoicismo e poche lacrime. avrei riscritto tutto daccapo appena ce ne fosse stato il tempo. lo giurai a me stesso e a tutti i sassolini caduti dal ponte. poi mi rimisi in cammino. avevo il terribile dubbio di girare sempre in tondo, perché avevo la sensazione spiacevole di non aver ancora visto niente di nuovo. questo, fin dal momento in cui ero arrivato in quella città. la cosa strana è che lì non ci avevo messo piedi, perciò tutto avrebbe dovuto sembrarmi nuovo e magnifico, nuovo e terrificante. e invece niente. era come camminare in un incubo, o magari semplicemente un sogno fatto centinaia di volte. come un deja-vù. avevo anche fermato dei passanti, ma nessuno si era mai mostrato molto comprensivo. lo credo bene. alla sera, dopo aver fatto niente in particolare, di nuovo, finalmente arrivai all'Aramis.
   
 
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