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Autore: Adeia Di Elferas    08/11/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Sisto IV fece segno all'ancella di allontanarsi e versò personalmente una coppa di vino a Caterina.
 Ella prese il calice e lo alzò verso il papa, prima di bere un lungo sorso. Non le diapiceva il vino romano. Era dolce e, anche se si trattava di un vino forte, mentre lo si beveva andava giù come fosse acqua.
 “Vi chiederete perchè vi ho fatta chiamare anche oggi.” disse Sisto IV, con un sospiro profondo.
 Caterina appoggiò il bicchiere al tavolo e osservò il viso segnato dal tempo e dalle preoccupazioni del pontefice. Era come un volto finto ricoperto di cartapecora. A modo suo, era una maschera buffa, se si tralasciava la freddezza degli occhi.
 “La verità è che sono preoccupato. Ancora non so bene cosa sia successo a Campomorto. Mi hanno detto che i nostri soldati si sono aggiudicati la giornata, ma non so nulla delle sorti di mio nipote.” spiegò il papa, unendo le mani appena sotto al mento.
 “Se fosse morto, ve lo avrebbero già comunicato, non abbiate paura.” gli disse Caterina, sforzandosi di essere il più pacata possibile.
 Dubitava del fatto che suo marito Girolamo avesse davvero preso parte a una battaglia che, a detta del messaggero arrivato a corte poco prima, era stata una vera carneficina. Se negli anni aveva imparato a conoscerlo un po', era certa che se n'era stato in disparte tutto il tempo nella speranza che nessuno si ricordasse di lui.
 “Forse. Forse...” sussurrò Sisto IV, apparendo abbastanza convinto: “Tuttavia la guerra è ben lungi dall'essere conclusa. I nemici ci incalzano da tutti i lati e anche se abbiamo vinto a Campomorto, mi è stato riferito che molti soldati si sono ammalati di malaria e che molti altri risentono del clima ostile.”
 Caterina non riusciva a capire il motivo della sua convocazione davanti al papa. Forse quel vecchio aveva solo voglia di parlare dei suoi timori con qualcuno.
 “Come vanno le cose tra voi e mio nipote?” chiese Sisto IV a bruciapelo.
 Caterina riprese il bicchiere di vino e lo svuotò tutto d'un fiato, prima di rispondere. Il papa aspettava con pazienza che lei si decidesse a rispondere e così lei si sentì in dovere di snocciolare una mezza verità.
 “Vostro nipote è molto affezionato ai nostri figli e cerca di essere un buon padre.” La giovane si morse il labbro e concluse: “Per il resto, immagino che faccia del suo meglio per essere anche un buon marito.”
 “Dunque siete felici assieme?” domandò il papa.
 “Certo.” annuì in fretta Caterina, a disagio.
 “Non mentite al Santo Padre.” l'ammonì il papa: “Lo sapete che è un peccato molto grave. Quindi vi ripeto la domanda: siete felici assieme?”
 “No.” fece Caterina, secca: “Nè io né lui, temo.”
 Sisto IV si abbandonò contro lo schienale della poltrona imbottita e, le mani in grembo e le labbra sporte in fuori, commentò: “Lo immaginavo.”
 Passarono alcuni momenti di silenzio, durante i quali il papa seguitava a fissare Caterina e Caterina cercava di evitare lo sguardo del papa.
 Alla fine Sisto IV chiese: “Vi spiacerebbe se Girolamo morisse mentre è lontano?”
 “No.” rispose d'istinto Caterina, tentando poi di correggersi: “Non ne sarei affranta, almeno. Ma ovviamente mi spiacerebbe se i miei figli restassero senza padre in un mondo come questo.”
 Sisto IV alzò lo sguardo verso il soffitto affrescato e ciondolò un po' il capo: “Siete sempre molto saggia, Caterina. Le vostre madri e vostro padre hanno instillato in voi lo spirito giusto per affrontare la nostra realtà. Conosco bene le vostre capacità, so quanto siete istruita e quanto siete abile con le armi, soprattutto con quelle moderne. Da quando siete qui a Roma, vi ho fatta tenere d'occhio e tutti non fanno altro che dirmi quanto siete brava a cavallo, con la spada e quanto siete ferrata in tattica e strategia. So bene, insomma, quanto siete preparata ad affrontare i tempi bui in cui ci troviamo. Tuttavia in voi cova quella rabbia tipica degli Sforza che spesso non riuscite a controllare. Non come vorreste, almeno. Certo, siete brava a dissimulare quando siete in compagnia di estranei, ma già in mia presenza fate più fatica.”
 Caterina strinse il morso, indecisa se parlare o meno, visto che non riusciva a cogliere il senso ultimo di tutto quel discorso.
 “La rabbia può essere una dote molto preziosa, se incanalata nel modo corretto.” proseguì il papa: “Vi siete chiesta perchè ho mandato Girolamo da Roberto Malatesta?”
 Caterina annuì e si versò un secondo bicchiere di vino senza aspettare il permesso del Santo Padre.
 “L'ho spedito in guerra perchè si stava rendendo ridicolo. L'ho affibiato a Malatesta nella speranza che quella testa di legno, con la sua mente dozzinale lo facesse risaltare e invece mi viene detto che Malatesta è stato acclamato dai soldati, mentre di mio nipote non si fa nemmeno menzione.” disse Sisto IV, contrariato: “E ora non posso permettere che continui così.”
 Caterina aveva finito di bere il suo secondo bicchiere e un piacevole calore le riempiva il petto, facendole desiderare un terzo calice. Tuttavia il tono che aveva preso il discorso del papa la convinse a desistere e concetrarsi, invece, sui sottointesi di quelle parole dette con tanta gravità.
 “Ho notato che in vostra presenza mio nipote cerca di darsi un contegno.” continuò il papa: “Quindi ho pensato che una soluzione a questa situazione ci sarebbe, anche se vi chiedo molto, davvero molto, visto, poi, che voi non lo amate in alcun modo.”
 Caterina stava per controbattere, ma si bloccò. Voleva sentire quale sarebbe stata la richiesta del pontefice e comunque anche contraddirlo, dicendo che lei invece amava Girolamo sarebbe stato quanto meno ridicolo.
 “Vi sto chiedendo di raggiungerlo. Con voi al suo fianco sono sicuro che smetterebbe di comportarsi come uno smidollato e cercherebbe di fare l'uomo, se non altro per non incontrare il vostro biasimo.” fece il papa.
 Caterina alzò un sopracciglio, sorpresa del fatto che il papa le stava proponendo la stessa cosa che Girolamo le aveva proposto prima di partire alla volta di Civita.
 “E una moglie che corre in suo soccorso non peggiorerà la sua situazione? Fossi nei soldati, la troverei una cosa ridicola veramente. Non credete che mandare una donna come me in suo aiuto gli farà perdere la faccia in modo definitivo?” chiese Caterina.
 “Forse.” ammise a malincuore il papa: “Ma almeno ci sarà qualcuno della nostra famiglia in grado di dare ordini e imporsi alle truppe.”
 Caterina si schiarì la voce e disse: “Sono lusingata dalla vostra proposta e dall'alta opinione che avete di me. Penserò seriamente a quello che mi avete detto, ma prima di accettare voglio essere sicura che mio marito sia ancora vivo e, soprattutto, voglio sapere con esattezza com'è andata la battaglia di Campoforto, quanti effettivi ci sono rimasti, com'è la nostra artiglieria e quanti nemici sono morti.”
 “Parlate già come un comandante.” sorrise il papa, certo di aver fatto centro: “Va bene, aspetterò con ansia una vostra decisione. Nel frattempo vi farò fare rapporto su tutti i dettagli che verremo a sapere.”
 Caterina allora si alzò e fece una mezza riverenza, la testa già persa nei suoi pensieri.
 Il papa la osservò uscire e ringraziò il cielo di aver avuto la grazia di trovare una simile moglie per suo nipote.
 
 “Venite qui, bevete un poco di vino. Sono stato villano dopo la battaglia, ma dovete capirmi, ero scosso da un terribile malessere che mi ha anche impedito di prender parte allo scontro...” disse ossequioso Girolamo, facendo segno a Malatesta di sedersi accanto a lui sullo sgabello da campo.
 “Un terribile malessere?” chiese Malatesta, con tono distante.
 Non gli piaceva la compagnia di quel damerino, ma era stato pubblicamente invitato nel suo padigione a bere un calice di vino e non aveva potuto sottrarsi. Il Conte Riario era pur sempre il nipote del papa.
 “Sì, non vi dico...” proseguì Girolamo, cominciando a versare un vino di un rosso molto scuro al suo ospite: “Una tremenda dissenteria che non mi ha lasciato scelta...”
 Malatesta fece una faccia un po' schifata, trovando di pessimo gusto quel ragguaglio clinico proprio mentre si apprestavano a bere del vino e mangiare qualche cosa.
 Girolamo pose davanti a Malatesta dei pezzi di pane nero con quadratini di formaggio e lo invitò ad assaggiarlo.
 Roberto Malatesta ne prese un po' e lo mangiò con gusto. Aveva una fame da lupi e il suo corpo si stava ancora riprendendo dalla grande fatica di Campomorto.
 “Prego, bevete...” ripetè Girolamo, porgendogli il calice colmo fino all'orlo.
 Malatesta, la bocca ancora impastata di formaggio, sentiva la gola secca, per cui prese con slanciò il calice: “Vi ringrazio. Voi non bevete?”
 Girolamo si esibì nella sua miglior espressione affranta: “Il malessere di cui vi parlavo prima mi ha lasciato molto instabile. Il cerusico sostiene sia meglio attendere ancora un paio di giorni, prima di bere vino.” e così dicendo afferrò la caraffa dell'acqua e si versò un calice di quella.
 Malatesta annuì, pensando tra sé che quel damerino era proprio un debole, sia di stomaco sia di mente.
 Bevve un generoso primo sorso di vino e subito si sentì meglio. La gola non era più secca e le sue membra si rilassavano.
 Ne bevve un altro e un altro ancora e si fece versare un altro calice. Girolamo si prestò con remissiva gentilezza a fargli da coppiere e gli riempì il bicchiere fino al bordo.
 Malatesta ne bevve metà e poi un altro piccolo sorso. Ora che non era più tanto assetato, gli parve che quel vino non fosse proprio nulla di che. Era amarognolo e il sapore dell'alcool era tanto forte da coprire il gusto fruttato promesso dal profumo. Ma in fondo in guerra si beveva anche di peggio, per cui non si fece altri problemi e finì anche il secondo bicchiere.
 Tre calici e molte insulse chiacchiere dopo, Malatesta si alzò malfermo per l'alcool dallo sgabello e salutò Girolamo con una certa indulgenza, perdonandolo in parte per la sua mancanza totale di coraggio e amor proprio.
 Una volta nei suoi alloggi, Malatesta cadde in un sonno profondo, durante il quale sognò di nuovo l'assalto alla rocca e le frecce dei suoi balestrieri che facevano strage dei nemici. Però, nel suo sogno, apparve anche Girolamo Riario, alla testa delle truppe nemiche, gli occhi infuocati come quelli di un demonio e, al posto della spada, una brocca di vino color del sangue.

 “Chiamate il cerusico!” esclamò l'attendente di Roberto Malatesta, aggirandosi tra i soldati che si stavano svegliando assieme al sole.
 “Ci penso io!” fece, solerte, Girolamo.
 Andò a recuperare il suo cerusico di fiducia, svegliandolo con un calcio sulla gamba e gridandogli: “Roberto Malatesta sta male! Muovetevi!” e poi, quando l'uomo fu sveglio e alzato, Girolamo gli si accostò e gli sussurrò nell'orecchio: “Mi raccomando, sapete bene quanto mi sta a cuore la sua salute.”
 Il cerusico annuì, il respiro corto mentre finiva di vestirsi. Girolamo gli sorrise e poi lo incitò di nuovo a voce alta, a beneficio di quelli che attendevano fuori: “Forza! Malatesta sta male, sbrigatevi!”
 Condusse il cerusico fino agli alloggi di Roberto Malatesta e poi si mise ad aspettare fuori assieme agli altri.
 Quando il cerusico uscì, nemmeno mezz'ora dopo, la diagnosi era già bella che fatta: “Il comandante ha contratto la malaria, senza dubbio.” disse il cerusico, la voce greve.
 “Ma se la caverà?” chiese con apprensione l'attendente.
 “Siamo nelle mani di Dio.” commentò il cerusico: “Tuttavia – soggiunse, abbassando gli occhi – ritengo sia più prudente riportarlo a Roma, dove potrà essere curato al meglio dai medici del nostra Santo Padre.”
 Girolamo, allora, prese inaspettatamente in mano la situazione: “E sia!” disse, a pieni polmoni: “Presto! Disponete per la nostra partenza! Accompagnerò io, assieme a una scorta degna di questo nome, il nostro caro Malatesta presso la corte di mio zio! Avanti, non dobbiamo perdere nemmeno un minuto!”

   
 
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